ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
La Cassazione civile-tributaria alla sfida del PNRR, in sintesi ed in prospettiva
di Enrico Manzon
Sommario: 1. Per introdurre - 2. Primo livello (breve periodo): le misure deflative - 3. Secondo livello (medio periodo): le misure processuali - 4. Terzo livello (medio-lungo periodo): le misure ordinamentali. L’opzione per la nuova giurisdizione speciale dei magistrati professionali - 5. Segue. La Sezione specializzata tributaria della Corte di Cassazione - 6. Per concludere.
1. Per introdurre
La milestone M1C1-35 del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) prevede che ≪La riforma del quadro giuridico deve avere l'obiettivo di rendere più efficace l'applicazione della legislazione tributaria e ridurre l'elevato numero di ricorsi alla Corte di Cassazione≫.
Sia pure con una previsione alquanto generica, appena dettagliata dalla relazione al Piano, l’esercizio della funzione nomofilattica in materia fiscale è stata dunque inserita nel perimetro di attuazione della principale misura di programmazione economico-sociale progettata per i prossimi anni dal Governo italiano, di concerto con la Commissione dell’Unione europea.
Conseguentemente, nell’aprile 2021 i ministri direttamente responsabili (economia-finanze/giustizia) hanno istituito un’apposita Commissione di studio per analizzare, in termini generali, le questioni afferenti la riforma degli organi e delle procedure della giustizia tributaria nel suo complesso; è noto che questo gruppo di esperti, nonostante un lavoro di notevole ampiezza e profondità, a differenza che le coeve analoghe Commissioni per la riforma delle procedure di giustizia penale e civile, non è giunto a determinazioni unitarie, lasciando aperte le prospettive di riforma a più soluzioni, anche antitetiche, sia per la giurisdizione di merito che per quella di legittimità.
In composizione più ristretta, sempre su incarico dei ministri dell’economia-finanze e della giustizia, il lavoro di studio è proseguito nella primavera del 2022, trovando concretizzazione in un disegno di legge governativo approvato dal Cdm a giugno, quindi deliberato - con profonde modificazioni- dal Parlamento nella prima decade di agosto, divenendo la legge n. 130 del 31 agosto 2022.
Tale fonte normativa attua la citata milestone (a quanto è dato sapere, con buona soddisfazione degli organi unionali di verifica) con disposizioni che sia direttamente sia indirettamente attengono alla Corte di Cassazione. Peraltro è significativamente integrata da alcune scelte operate dal legislatore delegato alla riforma del rito civile (v. d.lgs. 149/2022).
Si tratta di un complesso normativo, non particolarmente ampio, ma senz’altro rilevante, che merita di essere ben riflettuto e valutato, cosa che sta già accadendo e che accadrà, anche perché già si intravedono varie problematiche che renderanno necessaria un’attività “manutentiva” non solo ermeneutica, ma anche direttamente legislativa. Del resto il tempo della discussione parlamentare è stato inevitabilmente contratto dalla fine anticipata della legislatura, sicché l’“ultimo miglio”, per così dire, è stato percorso a ritmo di carica. Mentre con questo tipo di interventi sarebbe più opportuno un “passo da montagna”. E la differenza si è vista e si vedrà, anche abbastanza presto, come in questo scritto, si proverà a spiegare.
Tuttavia, siccome - molto “a caldo”, da poco alzata la polvere della battaglia - si tratta di fare una prima analisi e niente di più, la scelta necessitata, oltre alla sintesi delle questioni, è la schematizzazione.
Nel plesso delle norme in esame possono quindi distinguersi tre livelli di intervento: primo livello (breve periodo): le misure deflative; secondo livello (medio periodo): le misure processuali; terzo livello (medio-lungo periodo): le misure ordinamentali.
Di seguito le relative considerazioni
2. Primo livello (breve periodo): le misure deflative
Che la Sezione tributaria della Corte e quindi la Corte avessero sulla schiena uno “zaino” troppo pesante (giacenza media dei ricorsi tributari negli ultimi dieci anni: 50 mila circa) era ed è fatto notorio. Tuttavia, a causa di veri e propri pregiudizi (ideologici), la previsione di un, pur limitato, alleggerimento di questo pesantissimo fardello (la metà circa della coeva pendenza dell’intera Cassazione civile) ha visto la luce solo in articulo mortis ossia alla fine del percorso di studio e di legislazione.
Che si trattasse (e si tratti) di pregiudizi non fondati lo dimostra la scelta legislativa fatta (pur perfettibile, v. appena oltre), tanto prudente, quanto, almeno in astratto, foriera di un buon risultato rispetto alla sua ratio.
Non un condono, ma una definizione agevolata, mirata su due, chiarissimi targets: da un lato, coprire un’area potenziale di applicabilità idonea a far conseguire un risultato “quantitativo” (il peso dello zaino, nella metafora) di rilievo; da un altro lato, incidere sull’“alea” del giudizio di legittimità, nel versante dello jus litigatoris, specificamente del contribuente.
Di qui le due soglie valoristiche di accesso alla definizione e, contestualmente, il loro collegamento con i diversi esiti dei gradi di merito (una o due vittorie del contribuente, almeno parziali); quindi una misura pensata, esclusivamente, per sbloccare il contenzioso di legittimità ed in termini essenzialmente processuali. Per l’appunto fuori dalla “logica condonistica” (in relazione alla quale si può effettivamente sollevare molte obiezioni, anche in relazione ai principi di cui agli artt. 3-53, Cost.).
L’aspettativa, chiara, è dunque quella di scendere molto sotto detto livello del contenzioso tributario di legittimità - anche e soprattutto questo, abnorme per una Corte suprema occidentale - rendendo il fardello meno pesante e quindi la scalata più veloce, ancorchè comunque impegnativa.
Certo, ragionando –finalmente- in termini pratici (non ideologici o almeno astratti), si poteva e dunque si può fare qualcosa di più, non per bulimia deflativa, ma per ragioni logiche e di equità.
In primo luogo si possono alzare le soglie di accessibilità, portandole ad almeno 200.000 euro per la “doppia conforme” (almeno parzialmente) favorevole al contribuente ed a euro 100.000 in caso di una sola, almeno parziale, decisione a lui favorevole.
Si tratterebbe comunque di valori rispettivamente di 4 ed 8 volte inferiori a quello medio delle cause tributarie di cassazione (la media di valore è infatti di 800 mila euro circa), quindi per il contenzioso di legittimità comunque non elevati; con la prima modifica si porterebbe il “definibile” ai due terzi della pendenza, pertanto con tutte e due il potenziale deflativo aumenterebbe sensibilmente (con la normativa attuale è intorno alla metà della pendenza).
In secondo luogo, nella logica stretta della - mera - “deflazione processuale”, tale potenzialità potrebbe vieppiù ampliarsi con la previsione della definibilità anche delle cause in cui il contribuente abbia avuto una “doppia conforme” di merito sfavorevole, ovviamente alzando il “prezzo” della definizione. Oltre che per detta ragione di target, non si comprende infatti la ragionevolezza dell’esclusione di tale ipotesi, soprattutto a fronte del dato statistico - consolidato - dell’alta percentuale di accoglimenti dei ricorsi, quindi di cassazione (con o senza rinvio) delle sentenze di appello, il che induce addirittura a profilare una possibile questione di legittimità per violazione quantomeno dell’art. 3, Cost.
A elezioni politiche fatte, senza dunque la pressione del consenso da acquisire, può auspicarsi che il Governo ed il Parlamento, anche, su questo piano intervengano con spirito pragmatico e costruttivo.
Per chiudere sul punto con la metafora iniziale, sull’Everest si può andare senza il respiratore, ma lo zaino deve essere sostenibile. Se poi c’è in ballo il conseguimento del disposition time della Corte, se quindi bisogna accelerare, allora diventa di fondamentale importanza che lo zaino sia il più leggero possibile.
Al di là dei risultati attesi dagli altri livelli di intervento, il dimensionamento corretto/efficace di questo primo livello rappresenta, indiscutibilmente, una conditio sine qua non, di breve periodo, essendo gli altri livelli proiettati/proiettabili più sul medio/lungo.
3. Secondo livello (medio periodo): le misure processuali
La legge 130 del 2022 non contiene disposizioni processuali direttamente disciplinanti il giudizio di cassazione, diversamente dal ddl governativo, che invece ne conteneva due e di notevole rilievo: il rinvio pregiudiziale ed il ricorso del Procuratore generale presso la Corte nell’interesse della legge.
Può senz’altro affermarsi che la mancata approvazione parlamentare ha delle buone ragioni.
Quanto alla prima misura (rinvio pregiudiziale) va detto che è sicuramente molto più opportuna la sua introduzione quale istituto di diritto processuale comune (art. 363 bis, cod. proc. civ.). A scanso di ogni equivoco teorico ovvero interpretativo/applicativo: il processo civile di Cassazione è e deve essere uno soltanto, indipendentemente dalla materia trattata, poiché il giudice civile di legittimità è uno soltanto e non ha nessun senso differenziare la disciplina processuale applicabile, così evitandosi in radice ogni possibile distonia giuridica. Basti in tal senso pensare al delicato rapporto tra sub-procedimenti (per decreto, camerale e di udienza pubblica) nonché tra l’attività delle Sezioni semplici e quella delle Sezioni Unite, sede massima, unitaria, della nomofilachia civile, processuale e sostanziale.
Quanto alla seconda misura, come si è anche fatto notare da più parti, si trattava di una “fuga in avanti” o forse meglio di un passo davvero troppo spinto verso la de-processualizzazione, quindi è stato opportuno ripensarci e non vararla.
Questo sul piano storico. Su quello della prospettiva, dalla riforma generale del processo rinviene uno strumento - il rinvio pregiudiziale, appunto - che pare avere una sede “di elezione” proprio per le cause in materia tributaria, per due, essenziali e coesistenti ragioni.
La prima riguarda i tempi della nomofilachia, del tutto decisivi in un settore dell’ordinamento giuridico così centrale quale quello delle discipline fiscali. Troppe volte nel passato si è dovuto riscontrare la sostanziale inutilità degli interventi orientatori della Corte essenzialmente a causa della loro tempistica, spesso superata in velocità dall’attività legislativa, a complicazione di un quadro operativo già di per sé non semplice.
La seconda, conseguenziale alla prima, attinge direttamente i “volumi” del contenzioso, tanto più rilevanti quanto meno efficace è la funzione di indirizzo ermeneutico della Cassazione (piano del c.d. jus costitutionis). In altri termini, nella "latitanza" della nomofilachia il contenzioso –inevitabilmente- si espande.
Il saldarsi storico delle due situazioni ha creato il circolo vizioso che nel tempo, nonostante la - meritoria - creazione della sezione specializzata nel 1999 per via “tabellare” (organizzativa interna), ha messo la Corte nelle critiche condizioni attuali, con una forte riduzione dell’impatto - necessario - della giurisprudenza sulla attuazione dei tributi. Troppe cause nel merito, troppe di legittimità, limitazione dell’effetto globale della giurisdizione, come tutela primaria dei diritti e come concretizzazione della legge (jura litigatorum/jura costitutiones).
Ed infatti l’esigenza di porre rimedio è divenuta la milestone citata all’inizio.
Ora, pare chiaro che, se il rinvio pregiudiziale avrà successo presso il giudici tributari di merito (ora Corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado), se verrà utilizzato con “sapienza” e quindi integrato secondo i suoi canoni normativi nel sistema processuale del giudizio di legittimità, potrà diventare uno strumento di nomofilachia preventiva davvero importante ed efficace.
Sia per lo jus dei litiganti sia per il diritto (tributario) oggettivo.
Bisogna superare anche qui dei pregiudizi, che astraggono colpevolmente dalla realtà qual è stata e qual è ossia quella di una risposta di giustizia insoddisfacente, pur per ragioni diverse, tra merito e legittimità. Non si può prescindere dalla constatazione che –a “Costituzione invariata” (art. 111, settimo comma, Cost.)- la Corte Suprema italiana è investita da una domanda di giustizia assolutamente sconosciuta nel Mondo. Quindi i rimedi, come quello in esame, vanno necessariamente trovati sul piano di una normazione primaria costituzionalmente compatibile, ma efficace.
In termini concreti, qualsiasi modalità che, senza toccare i principi di cui agli artt 24, 111, Cost., induca ad una riduzione prospettica del flusso di ricorsi, per quanto qui interessa, tributari, quindi ad una velocizzazione/miglioramento della funzione di nomofilachia, deve affermarsi come realmente conforme allo spirito della Costituzione, in parte qua.
Ed il rinvio pregiudiziale “promette” di essere funzionale a questo fine.
Che pure è “servito” da altre nuove previsioni del d.lgs. 149/2022, particolarmente dalla introduzione del rito accelerato, conseguente all’abolizione della “apposita Sezione” civile deputata all’esame preliminare dei ricorsi ed alla decisione di quelli di pronta definizione.
Misure anch’esse di razionalizzazione, che non possono che dare risultati positivi, anche se, ovviamente, tutti da verificare.
Quanto peseranno positivamente le, parziali, modifiche del rito tributario speciale (d.lgs. 546/1992) contenute nella legge 130/2002 è poi tutto da vedere e qui le stime diventano davvero difficili, quindi meglio astenersi dal farle.
4. Terzo livello (medio-lungo periodo): le misure ordinamentali. L'opzione per la nuova giurisdizione speciale dei magistrati professionali
La legge 130/2022 mantiene l'attuale assetto ordinamentale "duale" della giurisdizione tributaria - merito, giudice speciale/legittimità, giudice ordinario - anzi lo consolida ancor più, tendenzialmente lo "cristallizza" in via definitiva.
Che questa fosse l'unica scelta possibile, che fosse quella migliore è lecito dubitare, anche volendo al netto di qualche -nient'affatto peregrina - riserva sul piano della costituzionalità, semplicemente, e non è/non sarà poco, sul piano della praticabilità e dei tempi di attuazione della scelta legislativa nel versante della costituzione della "nuova" (la quinta) magistratura professionale italiana.
La via "maestra", la più costituzionalmente compatibile, quella di meno complessa realizzazione, era sicuramente quella dell'assorbimento della giurisdizione tributaria di merito in quella ordinaria. Pur non potendosi nascondere le difficoltà di questa - radicalmente diversa - prospettiva, a partire dalla necessità di implementare considerevolmente l'organico della magistratura ordinaria (operazione per nulla semplice e veloce) per proseguire con le ulteriori per nulla semplici misure logistiche (edilizia giudiziaria) e complementari (personale ausiliario), tuttavia essa appare indiscutibilmente meno accidentata e sicuramente meno lunga di quella di assumere oltre 700 magistrati tributari speciali per concorso.
Peraltro si potevano anche trovare soluzioni intermedie, quali ad esempio lasciare il primo grado al giudice speciale, ancora di tipo onorario, accentuandone la funzione arbitrale/conciliativa, e portare il grado di appello nell'ambito del giudice ordinario, accentrando le sedi, secondo un modello analogo a quello del tribunale per i minorenni e del tribunale di sorveglianza (quindi anche con l'associazione di giudici non togati).
Ma tant'è, nell'agosto 2022, in una convulsa fase di fine legislatura, con la pressione del PNRR (che, va detto, non imponeva affatto una via riformatrice precisa), si è fatta una scelta diversa, le cui criticità si stanno già evidenziando e che verosimilmente si paleseranno sempre più, forse costringendo il legislatore a ritornare, almeno parzialmente, sui "suoi passi". Questa però è un valutazione da sfera di cristallo, dunque va subito abbandonata all'ambito del vaticinio.
Presa pertanto la realtà normativa per quello che è, senza entrare funditus nel merito del -complicato- compito della costruzione della nuova giurisdizione di merito, si tratta qui essenzialmente di cogliere i profili di "congiunzione" tra essa e quella di legittimità, appunto in relazione alle previsioni che la legge 130/2022 contiene.
Vengono in tal senso in rilievo due determinazioni legislative: lo speciale regime di opzione per i magistrati professionali che siano anche attuali giudici tributari (art. 1, commi 4 ss.) e l'istituzione della sezione specializzata tributaria presso la Corte di Cassazione (art. 3).
La prima previsione ha una ratio evidente: creare subito un "corpo solido" di magistrati formati ed esperti, anche in campo tributario, all'interno della nuova magistratura, in considerazione dei tempi lunghi di costituzione della medesima. Qui c'è una risposta razionale e potenzialmente efficace alla milestone del PNRR, pur latamente intesa.
Tuttavia, la disposizione legislativa de qua sconta la fretta ed ha più di una zona d'ombra. Anzitutto non è del tutto chiara in relazione al trattamento economico degli "optanti", in secondo luogo pone un limite di età troppo basso ed un limite di flusso per i magistrati ordinari altrettanto eccessivamente compresso.
Di per sé, secondo le considerazioni di cui appena oltre, il numero 100 può considerarsi tuttosommato una determinazione quantitativa congrua, ma è piuttosto improbabile che 50 possano affluire dalle magistrature professionali speciali, per un complesso di ragioni (bacini di riferimento ristretti; possibilità di carriera). Tale circostanza, unitamente alle altre due condizioni poste dalle disposizioni legislative in oggetto (trattamento economico, limite di età) rendono perciò alquanto incerto il successo effettivo della misura ordinamentale de qua (lo si sostiene da più parti, da ultimo -con particolare autorevolezza- anche dal Vice Ministro Maurizio Leo).
Peraltro l'interpretazione dell'avverbio «prioritariamente» utilizzato dal legislatore nell'individuare la destinazione degli optanti (alle Corti di giustizia tributaria di secondo grado) data dal Consiglio di presidenza della giustizia tributaria (v. delibera n. 1559/2022) affossa definitivamente ogni effettiva potenzialità "di sistema" della misura in esame.
Con tale delibera infatti il CPGT ha determinato in 70 gli optanti destinati alle Corti di primo grado ed in 30 quelli destinati alle Corti di secondo grado, assegnandoli secondo un criterio, non reso palese dai consideranda, che in ogni caso -di fatto- oblitera il tratto indubbiamente saliente della scelta normativa ossia, come detto, quello di creare immediatamente "massa critica" nel grado di appello.
Il collegamento (“da PNRR”) tra questa necessità ed il giudizio di legittimità risulta invero del tutto evidente. Come più volte indicatosi nella relazione inaugurale dell'anno giudiziario ordinario dal Primo Presidente della Corte di Cassazione, la prima misura per decrementare e qualificare il contenzioso tributario di legittimità è indubitabilmente quella di migliorare la qualità media delle pronunce di appello. Che questo sia un profilo problematico lo evidenza, oltre ogni ragionevole dubbio, la percentuale degli annullamenti, che per le sentenze di appello tributarie è "storicamente" (ultimi 10 anni, dati dell'Ufficio di statistica della Cassazione) doppio a quella delle sentenze di appello civili.
Ammesso, ma non concesso, che 30 optanti vadano nelle Corti di secondo grado, sparsi sul territorio, come detta delibera prevede, non si capisce come detto obiettivo possa essere raggiunto in termini minimamente soddisfacenti.
In realtà gli optanti in appello servono (e sono appena appena sufficienti) tutti e 100. Solo a questa condizione ed a quella ulteriore di una razionale distribuzione territoriale il miglioramento - immediato - della media qualitativa delle decisioni di secondo grado può essere ragionevolmente conseguito.
Sotto quest'ultimo profilo (assegnazione degli optanti alle Corti di giustizia tributaria di secondo grado) vi è comunque da considerare che, a legislazione vigente, già esiste un pregnante potere organizzativo dell'organo di autogoverno della giurisdizione tributaria speciale la cui portata complementare/integrativa risulta del tutto evidente. L'art. 6, comma 1, d.lgs. 545/1992 infatti prevede che «Con provvedimento del Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria sono istituite sezioni specializzate in relazione a questioni controverse individuate con il provvedimento stesso». Il Consiglio potrebbe quindi agevolmente attuare tale previsione normativa appunto con l'assegnazione a queste «sezioni specializzate» (per materia: es. tributi armonizzati; per valore: es. da 100.000 euro) gli optanti. E così il "cerchio" della riforma in parte qua si chiuderebbe "virtuosamente".
Per queste ragioni la delibera CPGT appare pertanto radicalmente miope e sostanzialmente errata. L'unico rimedio che si prospetta - di poco momento, ma di decisivo impatto - è che la disposizione della legge 130/2022 in esame venga emendata con la soppressione dell'avverbio «prioritariamente», sicché non possa esservi alcun dubbio interpretativo circa la destinazione -esclusivamente- in appello dei magistrati professionali optanti. Chiaro è tuttavia che bisogna accompagnare questa modifica normativa con altre -sempre di modesto impegno politico legislativo, ma anch'esse decisive- che riguardino il trattamento economico ed il limite di età.
Si potrebbe anche, aggiuntivamente, prevedere il mantenimento della possibilità di opzione, fino al completamento dell'organico di giudici speciali previsto dalla legge, qualora, per qualsiasi causa, la presenza degli optanti nella giurisdizione speciale scenda sotto un certo limite (es. 90).
In questi, modificati, termini l'opzione può diventare una vera "chiave di volta" della riforma (così com'è, non lo è e la delibera del CPGT già lo dimostra) sia sul versante del giudizio di merito sia sull'interfaccia di legittimità.
E non è affatto una questione secondaria. Con una corretta soluzione della stessa infatti si può correggere e limitare l'incongruenza, detta all'inizio di questa parte della riflessione, del permanere della cesura ordinamentale/funzionale tra merito e legittimità, creando una zona di - immediata - omogeneità qualitativa, ma in prospettiva anche soggettiva.
L'art. 1, comma 9, legge 130/2022 prevede infatti espressamente che gli optanti possano rientrare nelle magistrature di provenienza, secondo le rispettive norme ordinamentali. Questa è l'unica possibilità, a Costituzione vigente, che la Sezione specializzata tributaria della Corte di Cassazione venga, nel medio-lungo periodo, arricchita dall'esperienza professionale specialistica dei magistrati ordinari transitati alla giurisdizione tributaria di merito. Ed è questa una chance che non deve essere assolutamente trascurata.
5. segue. La Sezione specializzata tributaria della Corte di Cassazione.
L'art. 3 della legge 130/2022 prevede che «1. Presso la Corte di cassazione e' istituita una sezione civile incaricata esclusivamente della trattazione delle controversie in materia tributaria. 2. Il primo presidente adotta provvedimenti organizzativi adeguati al fine di stabilizzare gli orientamenti di legittimità e di agevolare la rapida definizione dei procedimenti pendenti presso la Corte di cassazione in materia tributaria, favorendo l'acquisizione di una specifica competenza da parte dei magistrati assegnati alla sezione civile di cui al comma 1».
Non si tratta affatto di una disposizione pleonastica, esornativa, come fosse soltanto una "etichetta". Essa infatti contiene non solo l'istituzione per legge, come fatto negli anni '70 per la Sezione lavoro della Corte, ma rispetto proprio a questo precedente normativo, anche l'attribuzione di precisi poteri di indirizzo organizzativo del Primo Presidente, con altrettanto precise indicazioni teleologiche.
È dunque una misura che impone delle scelte, ma nient'affatto soltanto del Capo dell'ufficio interessato, che è pur sempre soltanto il "terminale" del sistema del governo autonomo della magistratura. Sono infatti evidenti le responsabilità al riguardo del Consiglio direttivo della Corte, ma, anche di più, del Consiglio Superiore della Magistratura.
L'organo principale dell'autogoverno dovrà dare attuazione alla disposizione legislativa primaria con la normazione secondaria sia tabellare sia concorsuale, trovando i modi più appropriati per implementare l'afflusso di risorse, anche specialistiche, alla Cassazione, giacché altrimenti le attribuzioni presidenziali ne risulterebbero fortemente limitate e sostanzialmente la scelta riformatrice ne verrebbe vanificata.
Oltre ai magistrati ordinari, bisogna peraltro sottolineare che, in base alla previsione di cui all'art. 106, terzo comma, Cost., come attuata dalla legge 303/1998, alla Corte possono essere destinati i c.d. "meriti insigni" (professori universitari ed avvocati) ed è sicuramente anche questa una via che il CSM può e deve potenziare per le finalità di rafforzamento della nuova Sezione specializzata come configurate dal legislatore («stabilizzare gli orientamenti di legittimità»; «acquisizione di una specifica competenza da parte dei magistrati assegnati...»).
Ed ancora, esercitando il proprio di indirizzo, il CSM può dare alla Scuola Superiore della magistratura l'input di rafforzare l'offerta formativa nella materia tributaria.
Insomma, risulta chiaro che vi sono concrete misure attuative di questa parte, rilevante, della riforma (che è attuazione diretta della milestone del PNRR) che vanno adottate al più presto dai centri decisionali competenti.
6. Per concludere
Tra luci ed ombre la legge 130/2022 presenta comunque delle nuove opportunità per la nomofilachia tributaria, ad impatto evidentemente frazionato nel tempo.
Già ripartire più "leggeri" può, anzi deve, indurre una contrazione dei tempi di giustizia (il disposition time del PNRR) e migliorare la qualità della produzione giurisprudenziale di legittimità.
A regime, le misure processuali, soprattutto esterne alla legge di riforma (in particolare, art. 363 bis, cod. proc. civ.), a loro volta promettono miglioramenti di flusso nonché di prontezza ed efficacia della giurisprudenza di legittimità.
Ad un livello più complesso, ma strutturale, dunque nel medio-lungo periodo con il maggior valore aggiunto, le misure ordinamentali, se opportunamente modificate ed accompagnate, possono indurre una migliore, più adeguata, strutturazione del nesso di collegamento appello/Cassazione e nella parte terminale del circuito giurisdizionale (Sezione specializzata della Corte) un upgrade di notevole, diretto, impatto sulla funzione demandata alla Cassazione dagli artt. 111, settimo comma, Cost., 65, legge di ordinamento giudiziario.
Queste sono soltanto brevi considerazioni ed auspici. Vedremo i fatti dove porteranno la riforma, anche nel segmento, fondamentale, della giurisdizione di legittimità.
Premio “Giulia Cavallone” – anno 2022
Presunzione di innocenza Venerdì 25 novembre 2022, ore 15 - Roma Tre - Sala del consiglio - secondo piano- Dipartimento di Giurisprudenza
Giunge quest’anno alla sua seconda edizione il premio “Giulia Cavallone”, nato da un’iniziativa della Fondazione Piero Calamandrei e della Famiglia Cavallone per ricordare e onorare la memoria di Giulia Cavallone, una giovane donna, magistrato, scomparsa a soli trentasei anni dopo una lunga lotta contro il cancro. Una malattia che peraltro non le impedì di amministrare giustizia fino all’ultimo in quell’aula del Tribunale Penale di Roma che, per tale motivo, da allora porta il suo nome.
Giulia Cavallone è stata una donna e una giurista di respiro internazionale.
Dopo essersi laureata in Giurisprudenza con il massimo dei voti presso l’Università Roma Tre, con una tesi dal titolo “Il reato transnazionale in materia di terrorismo”, conseguì successivamente il dottorato di ricerca presso l’Università “La Sapienza” di Roma, in cotutela con l’Universitè Paris II – Panthéon Assas, con una tesi dal titolo “Obblighi europei di tutela penale e principio di legalità in Italia e in Francia”.
Grazie a numerose borse di studio vinte, svolse periodi di ricerca anche presso l’Università di Losanna e presso l’Istituto di diritto penale straniero e internazionale “Max Planck” di Friburgo, in Germania.
Svolse altresì uno stage presso la Rappresentanza permanente dell’Italia presso l’Unione Europea, a Bruxelles, ove ebbe modo di approfondire la sua conoscenza del diritto e delle istituzioni europee.
Fu giudice penale presso il Tribunale di Velletri, sino all’ottobre 2018, e successivamente ricoprì le medesime funzioni presso il Tribunale di Roma sino alla data della sua morte, prematura e ingiusta, avvenuta in una tiepida mattina del 17 aprile 2020.
In considerazione dell’apprezzamento unanime della sua figura professionale e umana, del prestigio acquisito in Italia e all’estero nonostante la giovane età, del suo instancabile esercizio della funzione giurisdizionale, che la portò a presiedere sino all’ultimo le udienze di un delicato processo d’interesse nazionale, nonché del suo impegno sociale nel promuovere in prima persona l’emancipazione e la difesa dei diritti delle donne lavoratrici in Senegal, la Giunta Capitolina di Roma ha deliberato il 30 ottobre 2020 di riservarle un’area presso il Cimitero Monumentale del Verano, quale persona che ha onorato con la sua vita la città di Roma in Italia e nel mondo.
Anche il Tribunale di Velletri, sua prima sede di servizio ha deliberato, come già avvenuto a Roma, di intitolarle l’aula dove ella aveva tenuto le sue udienze.
In linea con la sua storia personale, il Premio “Giulia Cavallone” ha pertanto lo scopo di finanziare soggiorni di studio presso Università e altri centri esteri di riconosciuto prestigio per consentire a giovani dottorandi nel campo del diritto e della procedura penale di ampliare le loro conoscenze, così da formare giuristi sensibili alle diversità culturali, con una mente aperta, critica e disposta al confronto, la cui azione sia improntata ai valori della solidarietà e della tutela della persona, così com’era Giulia Cavallone.
Come hanno già scritto di lei, Giulia Cavallone “era arrivata in magistratura dopo anni di vita vissuta, dedicati con passione alla ricerca e all’accademia, da giurista (e da persona) matura e raffinata, cui erano bastati pochi mesi di preparazione per superare il concorso. Pochi mesi in cui Giulia studiava di sera, in un monolocale al sesto piano senza ascensore dal cui abbaino si vedeva la Tour Eiffel, di ritorno da lunghe giornate passate all’Institut de Droit Pénal china sulla sua tesi di dottorato. Pochi mesi durante i quali aveva vinto prestigiose borse di studio internazionali, aveva fatto la spola tra Parigi ed Heidelberg, aveva pubblicato articoli scientifici in lingue diverse, e diverse dalla propria, si era fatta ospitare a casa degli amici la sera prima delle conferenze internazionali in cui aveva relazionato. Mesi in cui aveva portato avanti il suo impegno nel volontariato, dando il via a nuovi importanti progetti, partendo per l’Africa. Tutto questo senza mai mancare una serata a teatro, una mostra, un concerto, un’occasione di viaggio, una cena con gli amici. E a cena Giulia dava il meglio di sé. Era una delle persone più brillanti che si potesse sperare di avere intorno. Il suo senso dell’umorismo era la punta dell’iceberg della sua intelligenza. Portava la propria erudizione ed il proprio spessore come si portano un paio di jeans, con la stessa leggerezza con cui, poi, avrebbe portato il fardello della malattia. Che non le avrebbe impedito di continuare a viaggiare, di costruire una casa con il suo compagno, di rinsaldare e coltivare le sue amicizie ed i suoi interessi, ed anzi l’avrebbe spinta a farlo con sempre maggior convinzione. La fatica fisica e morale delle cure, l’apprensione con cui parlava della malattia, l’estenuante alternarsi di speranza e sconforto, nel suo quotidiano sbiadivano dietro l’ironia con cui sapeva celarli …. La gentilezza di cui tutti raccontano era il sintomo di una grande maturità e consapevolezza di sé: non solo indole, ma frutto delle tante esperienze fatte, di un convinto e profondo umanismo. Di pari passo con la dedizione per il lavoro in cui così tanto credeva andava l’impegno che metteva in ogni altro aspetto del vivere, la cura che dedicava alle proprie relazioni, ai propri interessi e passioni, al costruire la propria esistenza di essere umano. Giulia aveva compreso che l’unico modo per essere un buon giudice, un giudice giusto, è essere una persona giusta, qualsiasi cosa voglia dire. Rispettosa della vita e del mondo. Studiosa non solo del diritto, ma dell’umano.(Sibilla Ottoni, Giustizia Insieme, 17 Aprile 2021)”
In un momento storico in cui sembrano prevalere su tutto l’incompetenza, la superficialità, l’incontinenza verbale ed emotiva, il desiderio di fama e di potere come massima realizzazione dell’essere umano, l’eredità che ci lascia Giulia Cavallone è quella di un esercizio della funzione giurisdizionale come servizio da rendere, mai come un privilegio, sempre con competenza, compostezza, garbo e umanità.
In questo spirito, il Premio si propone quindi come obiettivo di contribuire a formare non soltanto migliori operatori del diritto ma, anche, buoni cittadini.
Nell’edizione del 2021 il Premio è stato assegnato alla dottoressa Alice Giannini, dottoranda presso l’Università di Firenze, per un progetto di ricerca di carattere internazionale svolto sull’Intelligenza Artificiale nei suoi riflessi sulla responsabilità penale. Il progetto verteva sulla possibilità di individuare parametri di riferimento per una responsabilità intesa come accountability , atteso che l’imprevedibilità dell’azione operata autonomamente dalla “macchina” pone il problema di come determinare con un grado di certezza giuridicamente ammissibile se un danno causato come conseguenza di un’azione autonoma ed imprevedibile di un’I.A. possa essere attribuito ad un agente umano coinvolto nella catena causale degli eventi. Il suo percorso di ricerca all’estero si è svolto presso la Facoltà di Legge dell’Università di Maastricht.
E’ significativo che la Commissione giudicatrice abbia valutato molto favorevolmente l’impegno duraturo della vincitrice quale Avvocato di strada e nell’assistenza legale ai detenuti. Una forma di volontariato non richiesta dal bando ma ritenuta non estranea allo spirito del Premio, “che ricorda una giovane donna, impegnata nel suo lavoro di magistrata ma sempre con sguardo alto, rivolto agli altri e, tra questi, agli ultimi”.
Nell’edizione 2022 la Commissione esaminatrice ha attribuito il premio alla dottoressa Laura De Stradis, dottoranda presso l’Università del Salento, con un progetto che nuovamente affronta la problematica dell’I.A., questa volta sotto il profilo dell’inserimento dell’intelligenza artificiale nel sistema della compliance aziendale, al fine di ottimizzare le chances di prevenzione del rischio-reato, con particolare riferimento ai reati finanziari, e apportando un contributo in chiave di innovazione digitale. Lo studio, come si legge nel progetto “si focalizzerà in particolar modo sul ruolo dei modelli di organizzazione, gestione e controllo del rischio-reato, cuore pulsante del sistema 231 e chiave di volta per la comprensione della vocazione preventiva del sistema della corporate criminal liability, nonché per la valorizzazione del profilo della rimproverabilità dell’ente, nel rispetto del principio di colpevolezza ex art. 27, comma 1, Cost.”. Il programmato soggiorno di studio all’estero si svolgerà presso l’Universidad de Castilla – La Mancha e contribuirà certamente al conseguimento degli obiettivi scientifici sottesi al progetto di ricerca.
E’ auspicio della Fondazione Calamandrei e della Famiglia Cavallone che, anche per il futuro, l’esempio di Giulia possa contribuire a cambiamenti verso una società più giusta, in armonia con quello che può essere ricordato come il suo invito rivolto a tutti noi: “Siate giusti, siate gentili”.
Il quadro costituzionale e le opzioni politiche nostrane. A proposito delle vicende belliche in atto
di Antonio D’Andrea
Ragionare di “pace” e correlativamente di “guerra” in termini etici e morali – diciamo pure restando sul piano teorico generale – serve ad esprimere, in prima battuta, un bisogno che parte dal profondo dell’animo umano e informa di sé mente e cuore di ciascun individuo orientandone opzioni culturali prevalentemente in termini valutativi rispetto a quello che accade e di cui sono responsabili “altri” (specie se considerati portatori di valori differenti rispetto ai propri riferimenti ideali), così come pure, per quel che può valere, finisce per orientare concretamente azioni e comportamenti personali: si oscilla dalla più banale partecipazione ad una manifestazione pubblica, pro o contra una delle due o più parti del conflitto in atto, sino ad indurre taluno che voglia esprimere un più radicale convincimento a schierarsi apertamente e con slancio, anche solo con sforzi di natura argomentativa quali sono quelli che competono agli intellettuali indotti a ragionare sugli accadimenti che si dipanano sotto i loro occhi, ora a fianco di una parte belligerante di cui si riconoscono le buone ragioni (ad esempio quella di difendersi da un’aggressione alla propria integrità territoriale e alla libertà di autodeterminazione sul piano delle scelte interne e internazionali) ora spendendosi in favore di una visione “pacifista” – ancorché non necessariamente equidistante rispetto al conflitto bellico in atto – sul presupposto della inaccettabilità in ogni caso della guerra (anche ove ci si sforzi lo stesso di darne una spiegazione in chiave geopolitica), conflitto dal quale occorrerebbe uscire ricorrendo esclusivamente a mezzi politico-diplomatici, tanto più per evitare il prolungamento delle sofferenze patite da chi è vittima delle terribili azioni ad esso connesse. Vale a dire, per restare al caso attualmente sotto la lente di ingrandimento europea, sicuramente il popolo ucraino. L’opzione pacifista, come è noto, oltretutto viene spesso invocata come l’unica in grado di evitare l’ulteriore allargamento del conflitto ad altri contesti (nel caso di specie l’area dei Paesi Nato, sul confine tra Ucraina e Russia oltre che gli Stati del nord Europa, al momento “neutrali”) come pure il possibile uso di strumenti di distruzione di massa quali le armi nucleari nella disponibilità dell’invasore russo. Naturalmente per parlare di “guerra” e di “pace” in termini più stringenti rispetto a quanto accade “sul terreno”, al di là di quello che ci viene direttamente documentato in modo molto spesso esemplare per non dire eroico, ci sono competenze “tecniche” specifiche che investono lo studio e l’analisi delle questioni geopolitiche che sono deflagrate così drammaticamente nel nostro Continente. Egualmente abbiamo imparato a conoscere studiosi, più o meno accreditati, ma pur sempre “addetti ai lavori” delle relazioni internazionali e delle prassi diplomatiche e ancora esperti di strategia militare i quali, nel caso di specie, al punto in cui si è giunti, meritano, almeno a mio avviso, di essere ascoltati più di altri che potremmo definire incompetenti generici o, se si vuole, competenti relativi (siano essi giuristi, filosofi, sociologi, storici, politologi) i quali, almeno a mio giudizio, intervengono copiosamente nel dibattito pubblico spesso in modo del tutto approssimativo, ricostruendo, nella migliore delle ipotesi, il loro astratto punto di vista intorno alle “condizioni” sopra evocate senza fornire chiarimenti e opinioni utili su quel che accade oltre il campo visivo, fuori cioè dalle immagini e dai resoconti che rimbalzano dal fronte, e neppure fornendo chiavi di lettura che aiutino a ragionare gli altri – i più – illustrando indispensabili e realistici “punti di vista” su quel che ci si potrà aspettare da qui in avanti.
Non sempre del resto – capita a tutti – si è in grado di esprimere un’opinione autorevole, ancorché si abbia pur sempre un’opinione, che, dunque, di fronte a scenari così terribili da lasciare sbigottiti e, mi pare, senza l’ausilio di una bussola funzionante per comprendere effettivamente i termini delle questioni e degli interessi in gioco, al di là di quel che ciascuno legittimamente pensa dell’invasione russa, della resistenza ucraina, dell’azione o inazione dell’Unione europea, degli interessi americani e del ruolo difensivo o espansivo della Nato, della possibile mediazione cinese, dell’efficacia delle sanzioni economiche promosse nei confronti della Russia e delle inevitabili ricadute in questo o in quel Paese, a partire dal nostro, ci dovrebbe essere risparmiata almeno dai mezzi di informazione più accreditati, specie se da ricondurre al servizio pubblico. E, invece, in tanti “pontificano” non proprio con il rigore e persino la continenza (e la competenza) necessaria, specie quando si accede, e talvolta non si capisce perché, agli ambiti in cui si svolge la comunicazione più pervasiva nei confronti della pubblica opinione (non ho dunque in mente i cc.dd. social, che ovviamente restano spalti e tribune poco consone a valutazioni di principio).
Resta inteso che, se da un piano istintuale e in ogni caso intimamente collegato persino alla moralità della persona e, se si vuole, allo sviluppo del pensiero filosofico e antropologico si volesse davvero passare (al tentativo) di una configurazione strettamente giuridica di fenomeni che hanno da sempre contrassegnato le relazioni tra Stati sovrani – che restano tuttora presenti sulla scena internazionale ancorché impegnati a far parte di organizzazioni sovranazionali operanti su scale differenti, segnandone in profondità i loro destini – occorrerebbe, in primo luogo, partire dalla qualificazione normativa che ciascun ordinamento finisce per dare, direttamente o indirettamente, della “guerra” e della “pace”. Non fosse altro perché, nel secondo dopoguerra, l’aspirazione, ben colta e assecondata nella nostra Costituzione repubblicana, di dare vita ad un nuovo “ordinamento internazionale” non consente una regolamentazione solo domestica di tali “mezzi”. Credo che, in effetti, su questo terreno, almeno per il costituzionalista e per chiunque voglia restare sul piano di una valutazione giuridica, non valga tanto il sentimento più o meno diffuso che si afferma nella Comunità in relazione ad una specifica vicenda che può coinvolgere “emotivamente” lo Stato e i suoi appartenenti, quanto piuttosto il riferirsi alla legittimità o illegittimità di azioni e comportamenti riconducibili immediatamente a quanti detengono le leve del governo statuale che potrebbe muoversi – e si muove – sul piano interno e/o internazionale in una o nell’altra direzione.
Da questo punto di vista, probabilmente insignificante ma almeno tecnicamente definito in un ambito circoscritto, dal quale peraltro molti entrano ed escono con sconcertante disinvoltura, due mi sembrano i precetti costituzionali ricavabili da una lettura sistematica delle disposizioni costituzionali (dunque non solo dall’articolo 11, ma anche, almeno, dagli articoli 78, 80, 87, ottavo e nono comma, della Costituzione) dai quali muovere e che, come spesso accade, esprimono sensibilità non proprio coincidenti, ovviamente da bilanciare, senza che uno possa annullare o svuotare del tutto l’altro per orientare le scelte legittime che ricadono nella piena responsabilità degli organi di indirizzo politico del nostro Paese, a prescindere – mi verrebbe da dire – dagli umori inevitabili della “piazza” che liberamente manifesta e, eventualmente, “spinge” in uno dei due sensi, ma non si assume in nessun caso la responsabilità di governare direttamente. Ometto, a tal proposito, di affrontare il tema del coinvolgimento, peraltro inevitabile e costituzionalmente necessario, degli organi parlamentari sulle scelte che vengono assunte dallo Stato poiché tocca – ahimè – lo stato viziato da molti decenni nelle relazioni istituzionali che intercorrono tra Parlamento e Governo. Dunque, prescindendo da ciò, si fronteggiano con pari dignità costituzionale due principi: il ripudio della guerra per risolvere controversie internazionali (il tema è dunque quello della promozione sul piano internazionale, a partire certo da quello europeo, di attività finalizzate ad ottenere la cessazione dello “sbocco” bellico sia in funzione preventiva sia una volta determinatosi lo scenario di guerra, a prescindere dallo stesso coinvolgimento diretto o indiretto del nostro Paese in quello scenario); e la reattività sul piano militare ad un’aggressione bellica in atto, che comporta conseguentemente la legittimità della guerra difensiva (il che autorizza, a mio modo di intendere, lo stesso ausilio armato che il nostro Paese ritenesse di dover fornire ad uno Stato considerato “aggredito” da altro Stato, prescindendo da obblighi internazionali di difesa comune contratti in favore di Stati alleati). Riguardo a tale “ausilio”, esso mi parrebbe coerente proprio con la salvaguardia delle ragioni dovute al mantenimento della sovranità degli ordinamenti, laddove non “ceduta” in condizioni di parità, come richiesto proprio dallo stesso articolo 11 della Costituzione, al fine di promuovere e favorire pace e giustizia tra le Nazioni attraverso nuovi assetti organizzativi tra gli Stati, e non altro.
Se questa è la cornice costituzionale nella quale restare, per il nostro Paese è evidente che la strada da perseguire sul piano della legittimità dell’indirizzo politico non è l’assoluto prevalere di un principio sull’altro, ma il contemperamento delle due esigenze sopra richiamate in una gradazione che certo rappresenterà pur sempre, inevitabilmente, l’accentuazione anche momentanea dell’una rispetto all’altra.
In fondo il processo per arrivare alla pace, che non c’è, presuppone l’incamminamento su una strada lunga e impervia senza nascondersi che l’obiettivo resta lontano e non si potrà raggiungere con slogan urlati fuori dal contesto interessato dalla guerra, che viceversa è drammaticamente in atto, o con suggestioni irrilevanti per chi la guerra la vive sulla propria pelle.
Scheda n. 5 - Udienza preliminare (artt. 416 ss. c.p.p.)
OBIETTIVO DELLA RIFORMA
La finalità della riforma, in tema di udienza preliminare, risulta quella di concentrare nella fase predibattimentale una serie di controlli in ordine, in particolare, alla esatta individuazione della competenza territoriale nonché della corretta e precisa enunciazione del fatto oggetto di contestazione, in modo così da evitare successive indebite regressioni procedimentali nel corso del giudizio e contenere così i tempi di definizione dei procedimenti; coerente con tale esigenza risultano poi le novità in tema di (nuovi) casi in cui l’imputato deve essere considerato presente e quelle che garantiscono maggior facilità per la costituzione di parte civile.
Così come, peraltro, anche la nuova regola di giudizio delineata dall’art. 425 c.p.p. risulta rispondere alla necessità che la celebrazione del dibattimento sia limitata ai casi in cui la previsione di condanna sia ragionevole.
APERTURA DELL’UDIENZA PRELIMINARE
La prima innovazione relativa alla disciplina dell’udienza preliminare è contenuta all’art. 416 c.p.p. (“Presentazione della richiesta del pubblico ministero”), ove è stato abrogato il comma 2-bis, già introdotto dalla l. n. 102/2006, che prevedeva che, in caso di procedimento per reati di cui all’art. 589, comma II c.p. (omicidio colposo con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro) e all’art. 589-bis c.p. (omicidio stradale), la richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero doveva essere depositata entro il termine di trenta giorni dalla chiusura delle indagini.
All’art. 419 c.p.p. (“Atti introduttivi”), poi, con riguardo all’avviso di fissazione del giorno, ora e luogo dell’udienza preliminare, viene implementato il novero degli avvisi da dare all’imputato in ordine alla possibilità di celebrazione del processo in sua assenza, mediante l’indicazione – oltre che dei già previsti artt. 420-bis, 420-ter, 420-quater, 420-quinquies c.p.p. – anche dell’art. 420-sexies c.p.p., che ha introdotto, nella rinnovata formulazione della disciplina dell’assenza, la revoca della sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo. Si prevede anche l’informazione all’imputato e alla persona offesa della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa.
COSTITUZIONE DELLE PARTI
TESTO RIFORMATO |
Art. 420 c.p.p. - Costituzione delle parti. (Omissis) 2-bis. In caso di regolarità delle notificazioni, se l’imputato non è presente e non ricorrono i presupposti di cui all’articolo 420-ter, il giudice procede ai sensi dell’articolo 420-bis. 2-ter. Salvo che la legge disponga altrimenti, l’imputato che, dopo essere comparso, si allontana dall’aula di udienza o che, presente ad una udienza, non compare alle successive, è considerato presente ed è rappresentato dal difensore. È considerato presente anche l’imputato che ha richiesto per iscritto, nel rispetto delle forme di legge, di essere ammesso ad un procedimento speciale o che è rappresentato in udienza da un procuratore speciale nominato per la richiesta di un procedimento speciale. (Omissis) |
All’art. 420 c.p.p. (“Costituzione delle parti”) vengono introdotti due nuovi commi, il 2-bis e il 2-ter.
Il comma 2-bis prevede che si procede alla verifica dei presupposti per la dichiarazione di assenza dell’imputato “in caso di regolarità delle notificazioni”, quando l’imputato non è presente e non ricorrono i presupposti di cui all’art. 420-ter (“Impedimento a comparire dell’imputato o del difensore”); viene quindi ribadita con maggior forza la sequenza procedimentale per cui solo a seguito della positiva verifica della regolarità della notifica è possibile poi passare alla valutazione relativa alla procedibilità in assenza.
Il comma 2-ter ridefinisce invece i casi in cui l’imputato deve considerarsi presente, aggiungendo a quelli tradizionali e già previsti all’art. 420-bis, 3° comma c.p.p. dell’imputato che, dopo essere comparso, si allontana dall’aula di udienza o che, presente ad una udienza, non compare alle successive (ma, per entrambi i casi “Salvo che la legge disponga diversamente”), i casi in cui “l’imputato che ha richiesto per iscritto, nel rispetto delle forme di legge, di essere ammesso ad un procedimento speciale o che è rappresentato in udienza da un procuratore speciale nominato per la richiesta di un procedimento speciale”.
Vanno poi segnalate due novità che, ancorché estranee al Titolo IX del Libro V del codice di rito, ove trova sede la disciplina dell’udienza preliminare, sono destinate a produrre effetti anche in relazione ad essa.
COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE
La prima attiene al “Termine per la costituzione di parte civile”, art. 79 c.p.p.; fermo restando che “La costituzione di parte civile può avvenire per l’udienza preliminare”, si specifica ora che tale termine è individuato “prima che siano ultimati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti”; è in ogni caso confermato, al comma II dell’art. 79 c.p.p., che il (nuovo) termine così precisato è stabilito a pena di decadenza.
Peraltro, per completezza, va osservato che all’art. 78 (“Formalità della costituzione di parte civile”) è stato introdotto un nuovo comma 1-bis, volto a facilitare la costituzione mediante sostituzione, prevedendo che “Il difensore cui sia stata conferita la procura speciale ai sensi dell’articolo 100, nonché la procura per la costituzione di parte civile a norma dell’articolo 122, se in questa non risulta la volontà contraria della parte interessata, può conferire al proprio sostituto, con atto scritto, il potere di sottoscrivere e depositare l’atto di costituzione”.
RINVIO PREGIUDIZIALE ALLA CORTE DI CASSAZIONE PER LA DECISIONE SULLA COMPETENZA PER TERRITORIO
La seconda novità rilevante anche per l’udienza preliminare è quella dal nuovo art. 24-bis c.p.p. (“Rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione per la decisione sulla competenza per territorio”).
La norma così introdotta prevede la facoltà del giudice di rimettere, anche d’ufficio, la questione concernente la competenza per territorio, alla Corte di Cassazione; in tal caso il giudice pronuncia ordinanza con la quale rimette gli atti alla Corte di Cassazione insieme agli atti necessari alla risoluzione della questione, con l’indicazione delle parti e dei difensori; la novellata disciplina risulta quindi costruita sul modello della proposizione e della risoluzione dei conflitti di giurisdizione e competenza, pur con alcuni specifici adattamenti; in particolare, nel caso di risoluzione di conflitto di competenza, la Corte di Cassazione, se dichiara l’incompetenza del giudice procedente, ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente; l’estratto della sentenza è immediatamente comunicato al giudice rimettente, a quello competente – se diverso – nonché ai pubblici ministeri presso i medesimi giudici e alle parti private.
Il termine entro il quale il giudice può disporre il rinvio è individuato dall’art. 24-bis c.p.p. in “prima della conclusione dell’udienza preliminare”; viene inoltre previsto al comma 6° dell’art. 24-bis c.p.p. che la parte che ha eccepito l’incompetenza per territorio, senza chiedere contestualmente la remissione della decisione alla Corte di Cassazione, decade dalla possibilità di riproporre l’eccezione nel corso del procedimento.
MODIFICA DELL’IMPUTAZIONE
TESTO RIFORMATO |
Art. 421 c.p.p. – Discussione. 1.Conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti il giudice dichiara aperta la discussione, se rileva una violazione dell’articolo 417, comma 1, lett. b), il giudice, sentite le parti, invita il pubblico ministero a riformulare l’imputazione. Qualora il pubblico ministero non provveda, il giudice, sentite le parti, dichiara anche d’ufficio la nullità della richiesta di rinvio a giudizio e dispone, con ordinanza, la restituzione degli atti al pubblico ministero. 1-bis. L’imputazione modificata è inserita nel verbale di udienza e contestata all’imputato presente. Quando l’imputato non è fisicamente presente, il giudice rinvia a una nuova udienza e dispone che il verbale sia notificato all’imputato entro un termine non inferiore a dieci giorni dalla data della nuova udienza. 2. Se non dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero, il giudice dichiara aperta la discussione. Il pubblico ministero espone sinteticamente i risultati delle indagini preliminari e gli elementi di prova che giustificano la richiesta di rinvio a giudizio. L'imputato può rendere dichiarazioni spontanee e chiedere di essere sottoposto all'interrogatorio, per il quale si applicano le disposizioni degli articoli 64 e 65. Su richiesta diparte, il giudice dispone che l'interrogatorio sia reso nelle forme previste dagli articoli 498 e 499. Prendono poi la parola, nell'or- dine, i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato che espongono le loro difese. Il pubblico ministero e i difensori possono replicare una sola volta. (Omissis) |
Tornando alle novità previste nel Titolo IX, due innovazioni di significato attengono al controllo, in sede di udienza preliminare, in ordine alla contestazione contenuta nella richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero, da un lato sotto sotto il profilo della specificità e, dall’altro, in ordine alla sua corrispondenza alle risultanze degli atti di indagine, con previsione di specifici ed immediati rimedi.
Quanto al primo profilo, all’art. 421 c.p.p. (“Discussione”) commi 1 e 1-bis, è previsto che, conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti e prima di procedere alla discussione, il giudice, se rileva che la richiesta di rinvio a giudizio non presenta una “enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge” (art. 417, comma 1, lett. b c.p.p.), sentite le parti, deve invitare il pubblico ministero a riformulare l’imputazione.
Qualora il pubblico ministero provveda alla riformulazione, l’imputazione modificata va inserita nel verbale di udienza e contestata all’imputato se è presente in aula, anche mediante collegamento a distanza; se invece l’imputato non è presente, il giudice sospende il processo e rinvia a nuova udienza, disponendo la notifica del verbale contenente la nuova imputazione entro un termine non inferiore a dieci giorni dalla data della nuova udienza (art. 421, comma 1-bis c.p.p.).
Qualora, invece, il pubblico ministero non provveda alla riformulazione a seguito dell’invito, il giudice, sentite le parti, dichiara anche d’ufficio la nullità della richiesta di rinvio a giudizio e dispone, con ordinanza, la restituzione degli atti al pubblico ministero (art. 421, comma 1 c.p.p.).
TESTO RIFORMATO |
Art. 423 c.p.p. – Modificazione dell’imputazione. 1. Se nel corso dell'udienza il fatto risulta diverso da come è descritto nell'imputazione ovvero emerge un reato connesso a norma dell'articolo 12 comma 1 lettera b), o una circostanza aggravante, il pubblico ministero modifica l'imputazione e la contesta all'imputato presente. Se l'imputato non è presente, la modificazione della imputazione è comunicata al difensore, che rappresenta l'imputato ai fini della contestazione. 1-bis. Se rileva che il fatto, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza non sono indicati nell’imputazione in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti o che la definizione giuridica non è corretta, il giudice invita il pubblico ministero a operare le necessarie modificazioni. Se la difformità indicata permane, sentite le parti, il giudice dispone con ordinanza, anche d’ufficio, la restituzione degli atti al pubblico ministero. 1-ter. Nei casi di modifica dell’imputazione ai sensi dei commi 1 e 1-bis, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 421, comma 1-bis. (Omissis) |
Quanto al secondo profilo, l’art. 423 c.p.p. (“Modifica dell’imputazione”), fermo il già previsto potere del pubblico ministero di modificare la contestazione se nel corso dell’udienza preliminare il fatto risulta diverso da come descritto nell’imputazione ovvero se emerge un reato connesso a norma dell’art. 12 comma 1, lett. b) o una circostanza aggravante, viene ora previsto che se emerge che il fatto, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza non sono indicate nell’imputazione in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti o che la definizione giuridica non è corretta, il giudice invita il pubblico ministero a operare le necessarie modificazioni.
Qualora il pubblico ministero provveda alla modifica dell’imputazione, si segue la sequenza già indicata prevista dal nuovo comma 1-bis dell’art. 421 c.p.p.
Qualora invece il pubblico ministero non provveda alla modifica o comunque “se la difformità indicata permane”, anche il tal caso il giudice, sentite le parti, dispone con ordinanza, anche d’ufficio, la restituzione degli atti al pubblico ministero.
La finalità di queste due innovazioni – si legge nella Relazione Illustrativa allo schema di d.l. recante attuazione della l. n. 134/2021 - è quella di “rispondere all’esigenza della celere definizione dei procedimenti, in quanto la completezza dell’imputazione e la sua correttezza (in punto di fatto e di diritto), per di più realizzata (salvo contrasti) senza retrocessione degli atti e nel contraddittorio con le parti, per un verso, consente il più rapido superamento dei casi problematici, per altro verso, facilita l’accesso ai riti alternativi, soprattutto se preclusi proprio dalla qualificazione giuridica o, in ogni caso, scoraggiati da fatti mal descritti o qualificazioni errate. La soluzione adottata, oltre a impedire il verificarsi dell’evento anomalo per cui è solo con il decreto di rinvio a giudizio che emerge la qualificazione ritenuta dal giudice, consente altresì di svolgere il dibattimento su un oggetto (in fatto e in diritto) corretto, riducendo il rischio tanto di istruttorie inutili quanto di modifiche (ex art. 516 ss. c.p.p.) o retrocessioni (art. 521 c.p.p.) in corso di dibattimento o, addirittura, in esito ad esso.
I nuovi poteri attribuiti al giudice dell’udienza preliminare in ordine al controllo sulla corretta descrizione del fatto e sulla sua rispondenza alle risultanze delle indagini preliminari rendono superflua la previsione dell’art. 429, comma 2-bis, che disciplina una situazione non più suscettibile di verificarsi (la norma, infatti, recita: «Se si procede per delitto punito con la pena dell’ergastolo e il giudice dà al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, tale da rendere ammissibile il giudizio abbreviato, il decreto che dispone il giudizio contiene anche l’avviso che l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato entro quindici giorni dalla lettura del provvedimento o dalla sua notificazione. Si applicano le disposizioni dell’art. 485»). L’abrogazione in parola consentirà, oltre tutto, di concentrare la celebrazione del rito abbreviato per tutti i reati per i quali è prevista l’udienza preliminare innanzi al GUP, poiché l’imputazione dovrà essere in ogni caso modificata in udienza preliminare dal pubblico ministero e non potrà essere disposta autonomamente dal giudice in sede di decreto di rinvio a giudizio”.
SVOLGIMENTO DELL’UDIENZA
Ulteriore innovazione è relativa all’art. 422 c.p.p. (“Attività di integrazione probatoria del giudice”), prevedendosi ora che nel caso in cui il giudice abbia disposto l’assunzione di una prova di cui appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere, è possibile disporre che l’esame si svolga a distanza se vi è una particolare disposizione di legge che lo prevede o se comunque le parti vi consentono.
SENTENZA DI NON LUOGO A PROCEDERE
Rinnovata è anche la regola di giudizio per l’udienza preliminare, art. 425 c.p.p. (“Sentenza di non luogo a procedere”).
Fermo restando che il giudice pronuncia la predetta sentenza negli ordinari casi di cui al I comma, al comma III la previgente formulazione secondo cui il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti “risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio” è sostituita con quella secondo cui il giudice pronuncia tale sentenza anche quando essi “non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna”.
Con tale formula, quindi, la regola di giudizio si allinea con quella prevista ora in tema di archiviazione ai sensi del novellato art. 408 c.p.p. che dispone che il pubblico ministero presenta richiesta di archiviazione “quando gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna o di applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca”.
Quanto all’ “Impugnazione della sentenza di non luogo a procedere” (art. 428 c.p.p.), viene riscritto il comma 3-quater prevedendo che sono inappellabili le sentenze di non luogo a procedere relative – non più solo a “contravvenzioni” punite con l’ammenda o con pena alternativa – ma a “reati” puniti con la sola “pena pecuniaria o con pena alternativa”.
DECRETO CHE DISPONE IL GIUDIZIO
Quanto al “Decreto che dispone il giudizio” (art. 429 c.p.p.), è ora previsto che esso deve contenere anche, alla nuova lett. d-bis), l’avviso all’imputato e alla persona offesa che hanno facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa; inoltre viene riscritta la lett. f), prevedendo che il decreto contiene “l’indicazione del luogo, del giorno e dell’ora dell’udienza per la prosecuzione del processo davanti al giudice del dibattimento”.
Sempre all’art. 429 c.p.p. viene infine soppresso il comma 4, che prevedeva che “Il decreto è notificato all’imputato contumace nonché all’imputato e alla persona offesa comunque non presenti alla lettura del provvedimento di cui al comma 1 dell’art. 424 almeno venti giorni prima della data fissata per il giudizio”.
Tale soppressione - si legge nella Relazione Illustrativa allo schema di d.l. recante attuazione della l. n. 134/2021 – è conseguenza della nuova disciplina in tema di assenza e, in particolare, dalla delega, “la quale al punto d) prevede che il giudice verifica la rinuncia a comparire dell’imputato o, in mancanza, l'effettiva conoscenza dell'atto introduttivo oppure della sussistenza delle altre condizioni che consentono di procedere in assenza “all'udienza preliminare o, quando questa manca, alla prima udienza fissata per il giudizio”. Di conseguenza – continua la Relazione Illustrativa - quel che accade attualmente, per cui vi è una verifica dell’assenza sia in udienza preliminare che alla successiva prima udienza fissata per il giudizio deve essere escluso.
Questa scelta, d’altro canto, muove dall’assunto che il momento in cui si incardina il rapporto processuale con l’imputato e si valuta, quindi, la sua piena consapevolezza di essere sottoposto ad un processo è, nei riti con udienza preliminare, proprio l’udienza preliminare. E’ rispetto a quel momento, infatti, che, in modo connesso, si pretende un livello qualitativo più elevato della notifica dell’atto introduttivo ed è in quella sede che si debbono compiere le accurate verifiche di cui si è detto circa la effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputato, per cui è del tutto logico che a quel momento si colleghi la posizione processuale dell’imputato, senza alcuna necessità di rinnovarne la verifica in una fase successiva che ne è la mera prosecuzione, già fisiologicamente prevista come tale dal processo e, quindi, già conosciuta anche dall’imputato.
In ragione di ciò, la verifica dell’assenza in sede di dibattimento (salva sempre la verifica dell’esistenza di impedimenti) è compiuta solo nei casi in cui manca l’udienza preliminare. Nel qual caso soltanto trovano applicazioni le disposizioni di cui agli articoli 420, 420-bis, 420-quater, 420-quinquies e 420-sexies”.
NORME TRANSITORIE
Quanto al momento di entrata in vigore e applicazione di queste nuove norme in tema di udienza preliminare, in forza di quanto previsto dall’art. 6 d.l. n. 162/2022, che ha introdotto nel decreto legislativo n. 150/2022, l’art. 99-bis, essa è prevista per il 30 dicembre 2022.
Scheda n. 6 - Le modalità e la nuova disciplina del processo penale telematico (PPT)
OBIETTIVO DELLA RIFORMA
Le norme richiamate mirano a realizzare la transizione digitale e telematica del processo penale, attraverso significative innovazioni in tema di formazione, deposito, notificazione e comunicazione degli atti e in materia di registrazioni audiovisive e partecipazione a distanza ad alcuni atti del procedimento o all’udienza. La digitalizzazione della giustizia penale e lo sviluppo del processo penale telematico rappresentano aspetti cruciali proprio perché costituiscono uno degli obiettivi del PNRR.
LE DISPOSIZIONI GENERALI SUGLI ATTI
TESTO PREVIGENTE | TESTO RIFORMATO |
Art. 110. Sottoscrizione degli atti 1. Quando è richiesta la sottoscrizione di un atto, se la legge non dispone altrimenti, è sufficiente la scrittura di propria mano, in fine dell'atto, del nome e cognome di chi deve firmare. *** *** 2. Non è valida la sottoscrizione apposta con mezzi meccanici o con segni di- versi dalla scrittura. *** *** *** *** 3. Se chi deve firmare non è in grado di scrivere, il pubblico ufficiale, al quale è presentato l'atto scritto o che riceve l'atto orale, accertata l'identità della persona, ne fa annotazione in fine dell'atto medesimo. *** *** *** *** *** *** *** *** *** | Art. 110. Forma degli atti 1. Quando è richiesta la forma scritta, gli atti del procedimento sono redatti e conservati in forma di documento informatico, tale da assicurarne l’autenticità, l’integrità, la leggibilità, la reperibilità, l’interoperabilità e, ove previsto dalla legge, la segretezza. 2. Gli atti redatti in forma di documento informatico rispettano la normativa, anche regolamentare, concernente la redazione, la sottoscrizione, la conservazione, l’accesso, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici. 3. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli atti che, per loro natura o per specifiche esigenze processuali, non possono essere redatti in forma di documento informatico. 4. Gli atti redatti in forma di documento analogico sono convertiti senza ritardo in copia informatica ad opera dell’ufficio che li ha formati o ricevuti, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la redazione, la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici. |
TESTO PREVIGENTE | TESTO RIFORMATO |
Art. 111. Data degli atti 1. Quando la legge richiede la data di un atto, sono indicati il giorno, il mese, l'anno e il luogo in cui l'atto è compiuto. L'indicazione dell'ora è necessaria solo se espressamente descritta. *** 2. Se l'indicazione della data di un atto è prescritta a pena di nullità, questa sussiste soltanto nel caso in cui la data non possa stabilirsi con certezza in base ad elementi contenuti nell'atto medesimo o in atti a questo connessi. *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** | Art. 111. Data e sottoscrizione degli atti 1. Quando la legge richiede la data di un atto informatico o analogico, sono indicati il giorno, il mese, l'anno e il luogo in cui l'atto è compiuto. L'indicazione dell'ora è necessaria solo se espressamente descritta. 2. Se l'indicazione della data di un atto è prescritta a pena di nullità, questa sussiste soltanto nel caso in cui la data non possa stabilirsi con certezza in base ad elementi contenuti nell'atto medesimo o in atti a questo connessi. 2-bis. L’atto redatto in forma di documento informatico è sottoscritto nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici. 2-ter. La ricezione di un atto orale, trascritto in forma di documento informatico, contiene l’attestazione da parte dell’autorità procedente, che sottoscrive il documento a norma del comma 2-bis, della identità della persona che lo ha reso. 2-quater. Quando l’atto è redatto in forma di documento analogico e ne è richiesta la sottoscrizione, se la legge non dispone altrimenti, è sufficiente la scrittura di propria mano, in fine dell'atto, del nome e cognome di chi deve firmare. Se chi deve firmare non è in grado di scrivere, il pubblico ufficiale, al quale è presentato l'atto scritto o che riceve l'atto orale, accertata l'identità della persona, ne fa attestazione in fine dell'atto medesimo. |
Il legislatore ha introdotto alcune previsioni nuove nel Libro II del codice di procedura penale, dedicato agli atti del procedimento, decidendo contestualmente di non introdurre nuove previsioni in materia di invalidità degli atti, ma di adattare quelle esistenti alla transizione digitale, sulla base della considerazione che un sistema, già denso di previsioni invalidanti, non necessitasse di disposizioni ulteriori.
Pertanto, l’art. 110 c.p.p. individua come regola la forma digitale dell’atto penale, sin dalla sua formazione. Vale, in questa ottica, una condizionata libertà di forme: ogni soluzione digitale percorribile è accettata, purché assicuri i requisiti della autenticità, integrità, leggibilità, reperibilità, interoperabilità e, ove previsto dalla legge, segretezza, caratteristiche che sono diretto precipitato della normativa sovranazionale e, in particolare, europea in materia di documenti informatici.
Il comma 3 disciplina i casi di deroga alla regola della formazione degli atti penali in formato digitale: è stata prevista una formula volutamente ampia così da consentire il ricorso alle modalità tradizionali anche nelle ipotesi – diverse dai casi di malfunzionamento disciplinati dall’art. 175-bis c.p.p. – in cui contingenti e specifiche esigenze o caratteristiche proprie dell’atto non consentano la formazione dell’atto nativo digitale (la relazione illustrativa fa come esempio la memoria redatta dall’imputato in stato di detenzione o di situazioni contingenti anche di impedimenti tecnici che non hanno le caratteristiche di un malfunzionamento nel senso dell’articolo 175-bis c.p.p.).
Il comma 4 dispone che gli atti redatti in forma di documento analogico siano convertiti, senza ritardo, in copia informatica ad opera dell’ufficio che li ha formati o ricevuti. Il termine “senza ritardo” comporta che trattasi di termine ordinatorio non soggetto ad alcuna nullità.
Per le definizioni di documento informatico e documento analogico, nonché per la disciplina della conversione del documento analogico in informatico e viceversa, la relazione illustrativa fa espresso richiamo al CAD (Codice Amministrazione Digitale).
In conclusione, possiamo affermare che dall’entrata in vigore delle nuove norme, la regola sarà la forma digitale degli atti penali, mentre gli atti prodotti e depositati in formato analogico devono essere convertiti in copia informatica, così da rendere il fascicolo penale digitale completo.
LE DISPOSIZIONI SUL DEPOSITO TELEMATICO E SUL FASCICOLO INFORMATICO
Le nuove disposizioni di cui agli artt. 111-bis e 111-ter c.p.p. concorrono, con le disposizioni già analizzate, a costruire l’architrave del nuovo processo telematico.
ARTICOLO INTRODOTTO |
Art. 111-bis. Deposito telematico 1. Salvo quanto previsto dall’articolo 175-bis, in ogni stato e grado del procedimento, il deposito di atti, documenti, richieste, memorie ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici. 2. Il deposito telematico assicura la certezza, anche temporale, dell’avvenuta trasmissione e ricezione, nonché l’identità del mittente e del destinatario, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. 3. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli atti e ai documenti che, per loro natura o per specifiche esigenze processuali, non possono essere acquisiti in copia informatica. 4. Gli atti che le parti compiono personalmente possono essere depositati anche con modalità non telematiche. |
L’art. 111-bis prevede, al comma 1, l’obbligatorietà e la esclusività del deposito telematico di atti e documenti.
I commi 3 e 4 dell’art. 111-bis c.p.p. prevedono due casi di deroga alla regola generale:
- il comma 3 precisa che la previsione dell’obbligatorietà del deposito telematico “non si applica per gli atti e documenti che, per loro natura o per specifiche esigenze processuali, non possono essere acquisiti in copia informatica”: la relazione illustrativa fa l’esempio dei documenti aventi contenuto dichiarativo preformati rispetto al processo penale (una scrittura privata, un testamento olografo) di cui si contesti l’autenticità o documenti, quali ad esempio planimetrie, estratti di mappa, fotografie aeree e satellitari, per i quali appare indispensabile il deposito in forma di documento analogico, posto che l’acquisizione in forma di documento informatico priverebbe di nitidezza e precisione i relativi dati, incidendo sul loro valore dimostrativo in sede processuale;
- il comma 4 attribuisce la facoltà alle parti di depositare in forma analogica gli atti che compiono personalmente. Sul punto giova precisare che l’utilizzo del termine “parti” appare tecnicamente inesatto in quanto certamente da questa facoltà è esclusa la “parte pubblica” e in ogni caso pare rivolgersi ai soli soggetti privati e non già, ad esempio, ai loro difensori, come si può evincere dalla dicitura “atti che le parti compiono personalmente”.
ARTICOLO INTRODOTTO |
Art. 111-ter. Fascicolo informatico e accesso agli atti 1. I fascicoli informatici del procedimento penale sono formati, conservati, aggiornati e trasmessi nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente il fascicolo informatico, in maniera da assicurarne l’autenticità, l’integrità, l’accessibilità, la leggibilità, l’interoperabilità nonché l’agevole consultazione telematica. 2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche quando la legge prevede la trasmissione di singoli atti e documenti contenuti nel fascicolo informatico. 3. Gli atti e i documenti formati e depositati in forma di documento analogico sono convertiti, senza ritardo, in documento informatico e inseriti nel fascicolo informatico, secondo quanto previsto dal comma 1, salvo che per loro natura o per specifiche esigenze processuali non possano essere acquisiti o convertiti in copia informatica. In tal caso, nel fascicolo informatico è inserito elenco dettagliato degli atti e dei documenti acquisiti in forma di documento analogico. 4. Le copie informatiche, anche per immagine, degli atti e dei documenti processuali redatti in forma di documento analogico, presenti nei fascicoli informatici, equivalgono all’originale anche se prive della firma digitale di attestazione di conformità all'originale. |
L’art. 111-ter c.p.p. concerne la formazione e la tenuta dei fascicoli informatici. La norma prevede che i fascicoli informatici del procedimento penale siano formati, conservati, aggiornati e trasmessi in modalità digitale, tale da assicurarne l’autenticità, l’integrità, la accessibilità, la leggibilità, l’interoperabilità nonché un’efficace e agevole consultazione telematica. Secondo la relazione illustrativa, la riforma, a regime, dovrebbe dunque garantire una maggiore effettività del diritto di difendersi, attraverso un accesso alle informazioni nel fascicolo veloce, completo, di facile lettura.
Al comma 2 è previsto che anche la trasmissione di singoli atti e documenti, disgiunti dal fascicolo processuale, avvenga in forma digitale.
Per gli atti depositati in modalità analogica (modalità che, come detto, è sempre possibile per il deposito operato personalmente dalle parti), si prescrive al comma 3 una pronta conversione in copia informatica ai fini del loro inserimento nel fascicolo informatico, con la stessa clausola di salvezza (questa volta ai fini specifici dell’inserimento nel fascicolo) prevista per gli atti e i documenti formati e depositati in forma di documento analogico che per loro natura o per specifiche esigenze processuali non possano essere acquisiti o convertiti in copia informatica. Tale disposizione vale, tra l’altro, ad estendere la clausola di salvezza a tutte le ipotesi e le forme di acquisizione di originali di scritti e documenti di cui all’art. 234 c.p.p. Si è comunque precisato che nel fascicolo informatico debba essere inserito un elenco dettagliato di tutti gli atti e documenti che, per qualsiasi ragione, siano acquisiti in forma di documento analogico e non siano stati convertiti in copia informatica. Tale disposizione vale a preservare completezza e continuità del fascicolo processuale anche laddove parte dello stesso fascicolo sia in forma di documento analogico, al contempo offrendo alle parti uno strumento utile per comprendere, consultando telematicamente il fascicolo, quali e quanti degli atti e documenti che compongono quel fascicolo siano presenti solo in cartaceo.
Al comma 4 si è, infine, precisato che le copie informatiche, anche per immagine, degli atti e documenti processuali, redatti in forma di documento analogico, presenti nei fascicoli informatici, equivalgono all'originale anche se prive della firma digitale di attestazione di conformità all'originale.
In conclusione, possiamo affermare che il fascicolo penale è e rimarrà unico e non vi sarà un regime di duplicazione (uno in formato digitale e uno in formato cartaceo). Il fascicolo, però, seppure unico, potrà essere in composizione mista: ferma, difatti, la regola del fascicolo digitale (che diventa il formato ordinario), sarà possibile che alcuni atti (e in particolare i documenti analogici che per loro natura o per specifiche esigenze processuali non possono essere acquisiti o convertiti in copia informatica) siano conservati in formato cartaceo. Questo comporterà, come per il processo civile, di fatto un doppio binario.
TESTO PREVIGENTE | TESTO RIFORMATO |
Art. 172 c.p.p. - Regole generali (Omissis) *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** | Art. 172 c.p.p. - Regole generali (Omissis) 6-bis. Il termine per fare dichiarazioni, depositare documenti o compiere altri atti in un ufficio giudiziario con modalità telematiche si considera rispettato se l’accettazione da parte del sistema informatico avviene entro le ore 24 dell’ultimo giorno utile. 6-ter. Salvo che non sia diversamente stabilito, i termini decorrenti dal deposito telematico, quando lo stesso è effettuato fuori dell’orario di ufficio stabilito dal regolamento, si computano dalla data della prima apertura immediatamente successiva dell’ufficio. |
L’art. 172 c.p.p., che detta la disciplina generale in materia di termini processuali, vede aggiungersi due commi: il 6 bis e il 6 ter. Il primo è dettato in un’ottica di favor per il diritto di difesa e stabilisce che il termine per il deposito di atti in un ufficio giudiziario con modalità telematiche si considera rispettato se l’accettazione da parte del sistema informatico avviene entro le ore 24 dell’ultimo giorno utile.
L’altro è volto a contemperare le esigenze difensive con la necessità di non compromettere l’organizzazione giudiziaria stabilendo che il termine per provvedere sulla domanda depositata telematicamente fuori orario d’ufficio decorre dalla prima apertura successiva dell’ufficio competente.
ARTICOLO INTRODOTTO |
Art. 175-bis. Malfunzionamento dei sistemi informatici 1. Il malfunzionamento dei sistemi informatici dei domini del Ministero della giustizia è certificato dal direttore generale per i servizi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, attestato sul portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia e comunicato dal dirigente dell’ufficio giudiziario, con modalità tali da assicurarne la tempestiva conoscibilità ai soggetti interessati. Il ripristino del corretto funzionamento è certificato, attestato e comunicato con le medesime modalità. 2. Le certificazioni, attestazioni e comunicazioni di cui al comma 1 contengono l’indicazione della data dell’inizio e della fine del malfunzionamento, registrate, in relazione a ciascun settore interessato, dal direttore generale per i servizi informativi del Ministero della giustizia. 3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, a decorrere dall’inizio e sino alla fine del malfunzionamento dei sistemi informatici, atti e documenti sono redatti in forma di documento analogico e depositati con modalità non telematiche, fermo quanto disposto dagli articoli 110, comma 4, e 111-ter, comma 4. 4. La disposizione di cui al comma 3 si applica, altresì, nel caso di malfunzionamento del sistema non certificato ai sensi del comma 1, accertato ed attestato dal dirigente dell’ufficio giudiziario, e comunicato con modalità tali da assicurare la tempestiva conoscibilità ai soggetti interessati della data di inizio e della fine del malfunzionamento. 5. Se la scadenza di un termine previsto a pena di decadenza si verifica nel periodo di malfunzionamento certificato ai sensi dei commi 1 e 2 o accertato ai sensi del comma 4, si applicano le disposizioni dell’articolo 175. |
Vengono, pertanto, previste due ipotesi: la prima (disciplinata ai commi 1 e 2 della nuova disposizione), riguarda il malfunzionamento c.d. certificato, ovvero le ipotesi di malfunzionamento generalizzato dei domini del Ministero della Giustizia: in tal caso il malfunzionamento è certificato dal direttore generale per i servizi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia. La seconda ipotesi (disciplinata al comma 4) riguarda il malfunzionamento “non certificato”, ovvero quello che può verificarsi in relazione ad uno specifico ufficio giudiziario e/o in ambito locale e in tal caso il malfunzionamento è accertato e attestato dal dirigente dell’ufficio. In tali casi è consentito il deposito in formato analogico.
DISCIPLINA TRANSITORIA
Viene dettata una disciplina transitoria che prevede che il entro il 31.12.2023 il Ministro della Giustizia debba adottare un decreto con cui le regole tecniche riguardanti il deposito, la comunicazione e la notificazione con modalità telematiche degli atti del procedimento penale, nonché un altro decreto in cui preveda i termini di transizione al nuovo regime di deposito, comunicazione e notificazione.
Sino al quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei suddetti provvedimenti continuano ad applicarsi, nel testo attuale, le disposizioni di cui agli articoli 110, 111, comma 1, 116, comma 3 bis, 125, comma 5, 134, comma 2, 135, comma 2, 162, comma 1, 311, comma 3, 391-octies, comma 3, 419, comma 5, primo periodo, 447, comma 1, primo periodo, 461, comma 1, 462, comma 1, 582, comma 1, 585, comma 4 c.p.p., nonché le disposizioni di cui l’articolo 154, commi 2, 3 e 4 disp. att. c.p.p.
Le disposizioni di nuova introduzione (e in particolare gli artt. 111, commi 2 bis, 2 ter e 2 quater, 111 bis e 111 ter c.p.p., ma anche gli artt. 122, comma 2 bis, 172, commi 6 bis e 6 ter, 175 bis, 386, comma 1 ter, 483, comma 1-bis, 582, comma 1-bis c.p.p.) si applicano a partire dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei provvedimenti di cui sopra.
Le legge 30 dicembre 2022 n. 199 di conversione del d.l. 162/2022 ha introdotto l’art. 87 bis, rubricato “Disposizioni transitorie in materia di semplificazione delle attività di deposito di atti, documenti e istanze”.
La norma detta un regime transitorio che, a decorrere dal 31.12.2022 e in attesa dell’entrata in vigore dei commi 6 bis e 6 ter dell’art. 172 c.p.p., attribuisce valore legale al deposito degli atti mediante invio dall’indirizzo di posta elettronica certificata.
Tale indirizzo PEC deve essere inserito nel registro generale degli indirizzi elettronici previsto all'art. 7 del regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44, mentre gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari sono esclusivamente quelli indicati in apposito provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati, pubblicato nel portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia.
Quanto all’oggetto, possono essere depositati a mezzo PEC tutti gli atti, i documenti e le istanze comunque denominati diversi da quelli relativi alla fase d’indagini, per i quali il deposito deve invece essere fatto mediante il portale del processo penale telematico.
Le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e alla sottoscrizione digitale e le ulteriori modalità di invio sono demandate al medesimo provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati.
Richiamando quanto previsto all’art. 172 co 6 bis c.p.p., la norma prevede che “il deposito è tempestivo quando è eseguito entro le ore 24 del giorno di scadenza”.
Infine, la norma prevede che il personale di segreteria e di cancelleria debba attestare il deposito degli atti dei difensori inviati tramite PEC annotando nel registro la data di ricezione, per poi inserire l'atto sia nel fascicolo telematico, sia nel fascicolo cartaceo mediante inserimento di copia analogica dell'atto ricevuto munito di attestazione della data di ricezione e di intestazione della casella di posta elettronica certificata di provenienza.
I commi 3, 4 e 5 dell’art. 87 bis dettano una particolare disciplina per gli atti di impugnazione, ivi compresi i motivi nuovi e le memorie, con ciò dovendosi intendere “tutti gli atti di impugnazione comunque denominati e, in quanto compatibili, alle opposizioni di cui agli articoli 461 e 667, comma 4, del codice di procedura penale e ai reclami giurisdizionali previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354”, per i quali è richiesta la specifica indicazione degli allegati, che devono essere trasmessi in copia informatica per immagine sottoscritta digitalmente dal difensore per conformità all'originale, mentre le specifiche tecniche sono demandate al provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati.
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