ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
La riforma del processo civile in appello. Le disposizioni innovate dal D. Lgs. n. 149/2022
di Franco Petrolati, Presidente di sezione di Corte d'Appello
Giustizia Insieme propone ai suoi lettori una serie di contributi relativi alla riforma della procedura civile, per conoscere, approfondire e discutere. L’articolo presentato riguarda la riforma del processo civile in appello.
I precedenti articoli:
1. La trattazione scritta. La codificazione (art. 127-ter c.p.c.)
2. La riforma del processo civile in Cassazione. Note a prima lettura
Sommario: 1. Decorrenza della riforma – 2. Competenza – 3. Difetto di giurisdizione – 4. Termine breve per l’impugnazione – 5. Impugnazioni incidentali tardive – 6. Forma dell’appello – 7. Appello incidentale – 8. Improcedibilità – 9. Inammissibilità e manifesta infondatezza – 10. Nomina dell’istruttore – 11. Trattazione – 12. Decisione a seguito di discussione orale – 13. Provvedimenti sull’esecuzione provvisoria – 14. Decisione – 15. Rimessione al primo giudice – 16. Ammissione ed assunzione delle prove – 17. La riforma dell’appello nel c.d. rito del lavoro
1. Decorrenza della riforma
Conviene partire dalla norma transitoria sulla decorrenza della riforma, così come da ultimo novellata, per il giudizio di appello, dall’art. 1, comma 380, legge 29 dicembre 2022 n. 197 (legge di bilancio 2023): le nuove disposizioni sulle impugnazioni in generale e sull’appello (artt. 323 – 359 c.p.c., oltre all’art.283 c.pc.) nonché talune “corrispondenti” disposizioni del c.d. rito del lavoro (artt. 434, 436bis, 437, 438 c.p.c.) “si applicano alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023» (art.35, comma 4, d. lvo n. 149/22).
Il parametro originario per l’innesco della riforma dell’appello era in precedenza costituito dalla data di deposito della sentenza impugnata (se cioè successiva al 30 giugno 2023). Con la anticipazione, in via generale, della decorrenza della riforma del processo civile ai procedimenti successivi al 28 febbraio 2023, è mutato anche il referente temporale per le nuove disposizioni sull’appello, dovendosi aver riguardo alla “proposizione” del gravame e, quindi, alla notificazione della citazione o al deposito del ricorso : se tali adempimenti si sono già perfezionati alla data del 28 febbraio 2023 continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti; altrimenti, se sono compiuti successivamente, a partire quindi dal 1° marzo 2023, implicano l’applicazione delle norme riformate.
In particolare, quanto alla notificazione della citazione, è da richiamare l’orientamento nomofilattico che riconosce la compiuta “pendenza” della lite solo nel momento in cui si perfeziona la notificazione per il destinatario, in tal senso escludendo che a tal riguardo rilevi la scissione soggettiva degli effetti della notificazione (Cass., sez. un., 19 aprile 2013, n. 9535; Cass., sez. un., 6 novembre 2014, n. 23675)
È da evidenziare, tuttavia, che opera anche nei processi di merito già pendenti alla data del 1° gennaio 2023 (art. 35, comma 7, cit. come novellato dalla legge n. 197/22) il nuovo art. 363bis c.p.c., relativo al rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di Cassazione per la definizione di una questione di diritto.
2. Competenza (art. 341 c.p.c.)
A seguito dell’ampliamento della competenza in primo grado del giudice di pace ex art. 7 c.p.c. – da 5 a 10 mila euro per le cause mobiliari, da 20 a 25 mila euro per quelle di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti – è conseguentemente ampliata la competenza funzionale, ai sensi dell’art. 341 c.p.c., del tribunale quale giudice di appello rispetto alle sentenze del giudice di pace, con correlativa restrizione dell’ambito di competenza della corte di appello rispetto alle sentenze del tribunale.
Una ridefinizione dei confini, quindi, ex art. 341 c.p.c. tra tribunale e corte di appello, di entità verosimilmente non notevole rispetto alla mole complessiva del contenzioso; è da osservare, inoltre, che deve aversi riguardo, per la sua applicazione ratione temporis, alla data di introduzione del giudizio in primo grado (se successiva o meno al 28 febbraio 2023) in conformità al criterio generale di individuazione del momento determinane della competenza ex art.5 c.p.c..
3. Difetto di giurisdizione (art. 37 c.p.c.)
Le mura interne della giurisdizione hanno da tempo perso la loro tradizionale consistenza: è invalso, come noto, nella giurisprudenza di legittimità l’orientamento secondo cui la rilevabilità di ufficio del difetto di giurisdizione “in qualunque stato e grado del processo” debba essere contemperata con i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, oltre che con l’affievolimento dell’idea della giurisdizione come espressione della sovranità statale piuttosto che come servizio reso alla collettività.
Di qui il riconoscimento di un giudicato interno sulla giurisdizione tutte le volte in cui il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando anche implicitamente la propria giurisdizione e, sul punto, non sia stata proposta impugnazione (in tal senso l’indirizzo risale a Cass., sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883; recentemente, Cass., sez. un., 22 settembre 2022, n. 27744).
Ora il legislatore della riforma riafferma la tradizionale rilevabilità di ufficio “in ogni stato e grado del processo” del solo difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione, laddove, quindi, è riscontrabile l’invasione delle attribuzioni proprie di altro potere dello Stato o di altri ordinamenti dotati di autonomia, in ordine a questioni neppure astrattamente suscettibili di dar luogo ad un intervento giudiziale (c.d. difetto assoluto di giurisdizione: v. recentemente Cass., sez. un., 5 settembre 2022 n. 26038); la questione pregiudiziale, invece, relativa alla inerenza della causa alla giurisdizione del giudice amministrativo o altro giudice speciale, è espressamente rilevabile di ufficio solo in primo grado, così onerando la parte che intenda contestare la giurisdizione nei gradi successivi a formulare sul punto uno “specifico motivo”, nel rispetto del termine di decadenza previsto per il gravame.
È, altresì, codificata la preclusione, già affermata dalla giurisprudenza, per l’attore rimasto soccombente nel merito in primo grado: costui non può impugnare per difetto di giurisdizione la sentenza emessa dal giudice che egli stesso abbia originariamente adito (così già Cass., sez. un., 20 ottobre 2016, n. 21260).
4. Termine breve per l’impugnazione (art. 326 c.p.c.)
L’art. 326 c.p.c. è riformulato solo per chiarire in via generale la decorrenza del termine c.d. breve per l’impugnazione nel caso di notificazione della sentenza: il termine perentorio di 30 gg per l’appello decorre per entrambe le parti – sia il soggetto notificante che il destinatario della notificazione – dal perfezionamento del procedimento di notificazione per il destinatario.
In tal senso è codificata la soluzione già adottata dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla coincidenza della decorrenza del termine perentorio per entrambe le parti del rapporto processuale (Cass., sez. un., 4 marzo 2019, n. 6278; conf. Cass., sez. VI, ord., 28 luglio 2020 n. 16015).
In caso, quindi, di notificazione della sentenza a mezzo posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito qualificato, il termine decorre dal momento in cui è generata la ricevuta di avvenuta consegna o, se generata dopo le ore 21, dalle successive ore 7 del mattino (così il nuovo art. 149, commi 3 e 4, c.p.c.).
5. Impugnazioni incidentali tardive (art. 334 c.p.c.)
Le impugnazioni incidentali tardive sono quelle proposte dalla parte cui sarebbe preclusa l’impugnazione principale, per scadenza del termine perentorio o prestata acquiescenza: sono ammissibili, infatti, se ed in quanto l’interesse alla proposizione sia sorto proprio a seguito dell’impugnazione principale (in tal senso, da ultimo, Cass. sez. III, ord. 21 ottobre 2022 n. 31135).
Al riguardo l’art. 334 c.p.c. è innovato, al secondo comma, per chiarire che l’impugnazione incidentale tardiva diviene inefficace non solo nel caso in cui l’impugnazione principale sia dichiarata inammissibile ma anche nel caso in cui l’impugnazione principale sia dichiarata improcedibile.
Nella giurisprudenza si è da tempo affermato, sia pure con i margini di ambiguità derivanti dalle formule in rito adottate, che l'appello incidentale tardivo perde efficacia se l'impugnazione principale viene dichiarata improponibile, improcedibile o inammissibile per mancata osservanza del termine per impugnare ovvero degli adempimenti richiesti a tal fine dalla legge processuale (Cass. 11 giugno 2010 n. 14084) od anche per mancanza di interesse all’impugnazione in via principale “attesa la similitudine tra inammissibilità e improcedibilità, entrambe incidenti sul procedimento di impugnazione prima della trattazione del merito e con effetti non riferibili alla volontà dell'appellante” (Cass., sez. V, ord. 26 novembre 2019, n. 30782; conf. Cass., sez. III, sent. 14 ottobre 2021 n. 28131).
Nel contempo si era, tuttavia, evidenziata l’esigenza di evitare condotte elusive da parte dell’impugnante principale, non potendo essere rimesso alla volontà di costui l’esito dell’impugnazione incidentale tardiva; per questo è stata esclusa l’applicazione dell’art. 334, comma 2, c.p.c. in caso di rinuncia all’impugnazione principale (Cass., sez. un., 19 aprile 2011, n. 8925; conf. Cass., sez. VI, ord. 3 maggio 2022, n. 13888).
L’estensione, operata dalla riforma, della perdita di efficacia dell’impugnazione incidentale tardiva a tutti i casi di improcedibilità, senza alcuna distinzione, appare comunque orientata a privilegiare la cessazione della materia del contendere in sede di gravame, una volta venuto meno il presupposto – l’impugnazione principale – che costituisce la ragione giustificatrice dell’ammissibilità del gravame incidentale tardivo.
6. Forma dell’appello (art. 342 c.p.c.)
Si conferma nell’incipit del riformulato art. 342 c.p.c. la modalità introduttiva della citazione secondo il modello previsto dall’art.163 c.p.c.; nel secondo comma resta pure identico il termine libero a comparire, che è tuttavia indicato espressamente (90 o 150 gg secondo il luogo della notificazione, in Italia o all’estero), essendo stato ampliato quello previsto in primo grado dall’art.163bis c.p.c..
Sono, invece, integralmente riformulati i requisiti previsti “per ciascuno dei motivi” “a pena di inammissibilità”. Si richiede al riguardo l’indicazione “in modo chiaro, sintetico e specifico” del “capo” della sentenza appellata (n. 1), delle censure “alla ricostruzione dei fatti” (n. 2), delle “violazioni di legge” e della “loro rilevanza ai fini della decisione impugnata” (n. 3).
È da evidenziare innanzitutto che tali indicazioni sono opportunamente riferite non già alla motivazione dell’appello, complessivamente considerata, ma a “ciascuno dei motivi”, che è, quindi, onere dell’impugnante distintamente articolare.
Ogni censura deve essere espressamente orientata verso un determinato “capo” della decisione impugnata; non è più necessario, quindi, riprodurre integralmente “le parti del provvedimento” censurate così come è richiesto dalla previgente formulazione del requisito n. 1 dell’art. 342 c.p.c..
Le censure in fatto (n.2) ed in diritto (n.3) – nonostante la formulazione in successione dei requisiti - non sono in realtà da ritenersi entrambe necessarie, potendo la sentenza essere impugnata anche solo per le “violazioni di legge” in relazione ad una pacifica o, comunque, condivisa “ricostruzione dei fatti”.
Le denunciate violazioni di legge devono però, in ogni caso, essere oggetto di argomentazioni che ne spieghino la “rilevanza” in vista della riforma della decisione appellata.
Tutte le deduzioni in ciascun motivo vanno, inoltre, formulate “in modo chiaro, sintetico e specifico”. È da intendersi, al riguardo, innanzitutto ribadito il principio introdotto dalla riforma sulla redazione di ogni atto processuale “in modo chiaro e sintetico” (art. 121, comma 1, c.p.c.), in conformità, quindi, ai “criteri e limiti di redazione dell’atto” fissati dal regolamento attuativo ministeriale, i quali, tuttavia, in via generale non pregiudicano la validità dell’atto ma possono solo assumere rilievo in sede di accollo delle spese processuali all’esito del giudizio (art. 46, commi 4 e 5, disp. att. c.p.c.).
È, pertanto, da ritenere che la sanzione della “inammissibilità” continui in buona sostanza ad essere conseguenza di un motivo di gravame non “specifico”, rispetto al quale l’oscurità e/o la prolissità della formulazione possono eventualmente essere soltanto indici sintomatici del vizio.
Da una lettura complessiva del nuovo art. 342 c.p.c. può comunque riscontrarsi, proprio quanto a chiarezza e sinteticità, che le indicazioni relative ai motivi di gravame siano state formulate, rispetto alla disciplina previgente, in termini senz’altro meno ambigui ed involuti.
7. Appello incidentale (art. 343 c.p.c.)
È riformulato il termine per la proposizione dell’appello incidentale soltanto per indicare espressamente – e non più mediante il rinvio al previgente art. 166 c.p.c. – che il deposito della comparsa di risposta deve eseguirsi almeno 20 giorni prima della (prima) udienza di trattazione, corrispondente a quella indicata nella citazione introduttiva del gravame od a quella differita dal presidente o dall’istruttore ai sensi dell’art. 349bis c.p.c..
8.Improcedibilità (art. 348 c.p.c.)
Rimangono invariate le ipotesi tipiche di improcedibilità per mancata tempestiva costituzione in giudizio o mancata comparizione dell’appellante nelle due successive prime udienze di trattazione.
Si introduce, tuttavia, un ulteriore comma per precisare che avanti alla corte di appello l’istruttore provvede con ordinanza suscettibile di essere reclamata secondo le modalità già previste dall’art. 178, commi 3,4,5, c.p.c. (relativamente alle declaratorie di estinzione adottate dal giudice istruttore in primo grado che non operi come giudice unico); la corte decide collegialmente sul reclamo in camera di consiglio ai sensi dell’art. 308, comma 2, c.p.c. e, quindi, con ordinanza non impugnabile se accoglie il reclamo o con sentenza se lo respinge.
Il tribunale od anche la corte di appello, nel caso non sia stato nominato il consigliere istruttore, dichiarano, invece, l’improcedibilità sempre con sentenza.
La forma del provvedimento è, come si vede, conformata dal carattere eventualmente definitivo della declaratoria – rispetto al giudizio in corso - e dall’esigenza di assicurarne un gravame in sede giudiziale.
9. Inammissibilità e manifesta infondatezza (art. 348bis c.p.c.)
Viene eliminata l’ipotesi di inammissibilità fondata sulla prognosi di infondatezza dell’impugnazione (“non ha una ragionevole probabilità di essere accolta”), con conseguente abrogazione della disciplina concernente il relativo procedimento ex art. 348ter c.p.c.
L’art. 348bis c.p.c. viene riformulato nel senso di prevedere solo una modalità decisoria semplificata – la discussione orale ex art. 350bis c.p.c. – nei casi nei quali l’appello sia ritenuto inammissibile o manifestamente infondato; si richiede, tuttavia, espressamente che tali presupposti debbano riscontrarsi anche nell’eventuale appello incidentale, oltre che nell’appello principale e, quindi, con riguardo all’intero giudizio; in difetto, il giudice deve procedere alla “trattazione di tutte le impugnazioni”.
Il legislatore consente, quindi, l’immediata definizione semplificata solo se riferibile all’intera causa, dovendosi altrimenti procedere alla ordinaria fase di trattazione.
10. Nomina dell’istruttore (art. 349bis c.p.c.)
La trattazione avanti alla corte di appello non è più necessariamente collegiale così come previsto dall’art. 350 c.p.c. nella disciplina anteriore alla riforma.
Il presidente, infatti, può attivare due alternativi moduli procedimentali: nominare il giudice relatore e fissare l’udienza per la discussione orale avanti al collegio oppure designare l’istruttore tra i componenti del collegio per la trattazione.
È da ritenere che la scelta tra i due moduli in rito dipenda dalla valutazione relativa alla sussistenza o meno dei presupposti per la discussione orale ex art. 350bis c.p.c. e, quindi, della possibilità di una immediata definizione dell’intero giudizio senza necessità di una fase di trattazione – ed eventuale istruzione – avanti al consigliere istruttore.
L’udienza di trattazione indicata nella citazione introduttiva può, inoltre, essere differita con decreto dal presidente o dallo stesso istruttore osservando le stesse modalità e limiti (non oltre quarantacinque giorni) già previsti per il primo grado nella disciplina anteriforma dall’art.168bis, comma 5, c.p.c.. La nuova udienza è, quindi, comunicata dalla cancelleria alle parti costituite ed implica il differimento anche del termine a ritroso di 20 giorni per la proposizione dell’appello incidentale (in tal senso espressamente il nuovo art. 343 c.p.c.).
11. Trattazione (art.350 c.p.c.)
Nei giudizi avanti alla corte di appello, come si è anticipato, viene meno la necessaria collegialità della trattazione, che era stata già temperata, con la novella del 2011 (legge n. 183/2011), dalla possibilità della delega dell’assunzione della prova ad uno dei componenti del collegio.
La trattazione è, infatti, affidata all’istruttore “se nominato”, permanendo il carattere collegiale soltanto della decisione; nulla è innovato, invece, per la composizione del giudice – sempre monocratico - nel giudizio di appello avanti al tribunale.
La nomina dell’istruttore, tuttavia, dipende, come si è visto, dal modulo procedimentale prescelto dal presidente, potendo il giudizio essere sin dall’origine veicolato verso la discussione orale, ai fini della immediata definizione, con conseguente nomina del solo giudice relatore (art. 349bis c.p.c.).
Si possono delineare in tal senso avanti alla corte di appello due moduli dal punto di vista processuale: un modulo ordinario, con nomina dell’istruttore, ed uno semplificato, con nomina del relatore per la discussione. Si può così prospettare, pur con larga approssimazione, una analogia con quanto previsto per il giudizio di primo grado, dove si è espressamente istituito il procedimento semplificato di cognizione (artt. 281decies e segg. c.p.c.), relativamente alle controversie essenzialmente “di pronta soluzione”, suscettibili di essere definite senza osservare i tempi tecnici di regola imposti dalla cognizione ordinaria.
Nel modulo ordinario l’istruttore procede a tutte le consuete verifiche in ordine alla validità della costituzione delle parti, la compiuta instaurazione del contraddittorio e la dichiarazione della contumacia dell’appellato, la riunione – necessaria ex art. 335 c.p.c. o discrezionale - dei giudizi, disponendo, se possibile, per l’eventuale sanatoria dei vizi rilevati: in tal senso l’istruttore assegna, a titolo esemplificativo, il termine perentorio per la costituzione della persona cui spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio o la rinnovazione della procura alle liti (se inesistente o nulla : art. 182, comma 2, c.p.c., sul quale incidenter v. già Cass., sez. un., 21 dicembre 2022, n. 37434), così come per l’integrazione necessaria del contraddittorio nelle cause inscindibili (art. 331 c.p.c.) o la rinnovazione della invalida notificazione dell’atto di appello (art. 291 c.p.c.) oppure un termine (non perentorio) per la notificazione dell’appello nelle cause scindibili (art. 332 c.p.c.).
L’istruttore può, inoltre, esperire il tentativo di conciliazione avanti a sé disponendo anche, ma solo se ritenuto opportuno, la comparizione delle parti (che è, invece, obbligatoria alla prima udienza in primo grado: art. 183, comma 1, c.p.c.).; è pure confermata la possibilità, anche in appello, della “mediazione demandata” dal giudice, alla quale il legislatore della riforma ha dedicato un distinto articolo (art. 5quater, d. l.vo. n. 28/2010). Il potere più caratterizzante del nuovo istruttore è però senz’altro quello di decidere l’ammissione delle prove – entro i limitati margini di ammissibilità ex art. 345, comma 3, c.p.c. - e procedere alla relativa assunzione avanti a sé.
Entrambe le incombenze – sia il tentativo di conciliazione che l’ammissione di prove - tuttavia, possono essere “bypassate” qualora l’istruttore valuti la sussistenza dei presupposti per la discussione orale – vale a dire l’inammissibilità, la manifesta infondatezza o fondatezza dell’appello – oppure ritenga comunque opportuna la definizione immediata della causa in quanto “di ridotta complessità” o per ragioni di “urgenza”.
Si tratta di valutazioni in ordine al modulo procedimentale da seguire (ordinario o semplificato) che, in astratto, sono state bensì già operate dal presidente, ai sensi dell’art.349bis c.p.c., ma solo sulla base degli atti depositati dall’appellante; esse, pertanto, ben possono ricevere un diverso orientamento, da parte dell’istruttore, a seguito della compiuta instaurazione del contraddittorio all’esito della prima udienza di trattazione.
È da ritenere, poi, che le ragioni di urgenza, poste a fondamento della immediata definizione a seguito della discussione orale, debbano in ogni caso essere compatibili con le risultanze istruttorie già acquisite, in quanto la discussione orale implica comunque una cognizione piena – e non sommaria – della causa.
12. Decisione a seguito di discussione orale (art.350bis c.p.c.)
Qualora l’appello – sia quello principale che l’eventuale gravame incidentale – venga ritenuto inammissibile o manifestamente infondato (art. 348bis, c.p.c.) oppure manifestamente fondato o, ancora, appaia “di ridotta complessità” o comunque ricorrano ragioni di “urgenza” (art. 350, comma 3, c.p.c.), la causa viene decisa a seguito della discussione orale secondo le modalità previste in primo grado dall’art. 281sexies c.p.c., cui l’art. 350bis, comma 1, c.p.c. espressamente rinvia.
Le parti, quindi, precisano le conclusioni e discutono oralmente la causa in udienza; è da ritenere che l’eventualità di un rinvio, su istanza di parte, della sola discussione in una ulteriore udienza possa trovare giustificazione in primo grado in ragione della novità della scelta di tale immediata modalità decisoria operata in udienza da parte del giudice, mentre in appello viene fissata preventivamente proprio una udienza per la discussione orale, da parte del presidente ex art. 349bis o dell’istruttore ex art. 350, comma 3, c.p.c., sicchè tutte le parti devono, di regola, comparire già pronte a discutere.
Qualora sia stato nominato l’istruttore, infatti, le parti precisano le conclusioni avanti a tale consigliere, il quale fissa l’udienza di discussione avanti al collegio ed assegna anche un termine, anteriore all’udienza, per lo scambio di note conclusionali; la relazione della causa è affidata allo stesso istruttore.
All’esito della discussione il giudice, previa deliberazione in camera di consiglio, pronuncia la sentenza, dando lettura del dispositivo e della motivazione “sintetica” ed apponendo la sottoscrizione unitamente al verbale dell’udienza, cui segue l’immediato deposito in cancelleria.
In alternativa il giudice può, tuttavia, riservare il deposito della sentenza – non, quindi, della sola motivazione – entro i successivi 30 giorni: opportuna novità, introdotta dalla riforma all’art. 281sexies, comma 3, c.p.c., per tener conto, ad esempio, della eventualità che la causa presenti all’esito della discussione una complessità maggiore o, comunque, imprevista.
La modalità “sintetica” della motivazione può, infine, espressamente consistere anche nell’ “esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi” (art.350, comma 3, c.p.c.). Nonostante il chiaro intento del legislatore di semplificare la motivazione, nell’ottica di favorire la ragionevole durata del processo, non sembra, tuttavia, che gli esclusivi riferimenti ai profili “risolutivi”, in fatto ed in diritto, od ai “precedenti” siano sostanzialmente diversi dai “fatti rilevanti” e dalle “ragioni giuridiche” “anche con riferimento a precedenti conformi” che, ai sensi dell’immutato art.118 disp. att. c.p.c., già connotano (od almeno dovrebbero connotare) da tempo la motivazione della sentenza.
13. Provvedimenti sull’esecuzione provvisoria (artt. 351 e 283 c.p.c.)
Si conferma che alla prima udienza è trattata e decisa, con ordinanza non impugnabile, l’eventuale istanza di inibitoria della sentenza appellata. Avanti alla Corte di appello la decisione è in ogni caso collegiale: se è stato nominato il relatore per la discussione orale (secondo il c.d. modulo semplificato), infatti, le parti compaiono in udienza direttamente avanti al collegio, mentre in caso di nomina dell’istruttore (secondo il modulo c.d. ordinario) l’udienza si svolge avanti a tale consigliere, il quale, si riserva all’esito di riferire in camera di consiglio.
I presupposti per l’inibitoria ex art. 283 c.p.c. sono circoscritti ed aggravati in quanto individuati, alternativamente, o in un giudizio prognostico di manifesta fondatezza dell'impugnazione o nella imminenza di un grave e irreparabile pregiudizio, derivante dall’esecuzione della sentenza; il capo di condanna da inibire può espressamente attenere anche ad un debito pecuniario e deve, al riguardo, tenersi conto della possibilità di insolvenza di una delle parti, eventualmente da fronteggiare con l’imposizione di una cauzione.
In ordine alle invalse formule selettive delle inibitorie, quindi, il c.d. fumus boni iuris deve raggiungere la soglia della manifesta fondatezza mentre il periculum in mora deve minacciare un danno grave ed irreparabile: la ratio appare quella di salvaguardare l’immediata esecutività della sentenza di primo grado, persino a fronte di appelli solo eventualmente (ma non probabilmente) fondati o nella imminenza di danni suscettibili di essere compiutamente compensati a posteriori (e, quindi, riparabili).
È sostanzialmente invariata, invece, la disciplina sanzionatoria dell’istanza di inibitoria inammissibile o manifestamente infondata, essendosi soltanto precisato che la pena pecuniaria è da irrogare in favore della cassa delle ammende, come si conviene ad una sanzione avente carattere punitivo piuttosto che compensativo di un pregiudizio arrecato alla controparte (in tal senso esulando dalla responsabilità processuale ex art. 96 c.p.c.).
In ordine al rito, resta ferma innanzitutto la possibilità, su istanza di parte, della trattazione dell’inibitoria anteriormente alla prima udienza fissata per il merito: laddove sia adita la Corte di appello, tuttavia, le parti compaiono in camera di consiglio avanti all’istruttore e, all’esito di tale udienza, il consigliere riferisce al collegio anche ai fini della conferma, modifica o revoca, con ordinanza non impugnabile, del decreto presidenziale che abbia inaudita altera parte, per i consueti “giusti motivi di urgenza”, provvisoriamente disposto l’inibitoria.
L’inibitoria non può comunque essere richiesta prima della proposizione dell’appello in quanto è pure confermata la regola della contestualità dell’istanza cautelare “con l'impugnazione principale o con quella incidentale” (art. 283, comma 1, c.p.c.).
Tuttavia – ed in ciò la riforma innova – può essere anche proposta (per la prima volta) o reiterata (se prima respinta, in tutto od in parte) anche in pendenza del giudizio di appello qualora si adempia all’onere di indicare specificamente nella stessa istanza, a pena di inammissibilità, i sopravvenuti “mutamenti nelle circostanze” che la giustificano; è da ritenere, al riguardo, che la contestualità, tra la proposizione del gravame e l’inibitoria, resti la regola, pur suscettibile di essere derogata, in via di eccezione, dalla sopravvenienza di eventi esterni rispetto a quelli già implicati dai capi di condanna impugnati e, quindi, non attinenti alla fase esecutiva (ad esempio, le circostanze che abbiano determinato un notevole peggioramento della situazione personale o patrimoniale del debitore).
La cognitio maturata all’esito del subprocedimento sull’inibitoria può giustificare, come noto, anche il passaggio immediato alla fase decisoria del merito dell’appello (art. 351, comma 4, c.p.c.): in tal caso le parti possono essere invitate a precisare le conclusioni ed alla discussione orale ai fini della decisione secondo la modalità prevista dall’art. 281sexies c.p.c.. Nei giudizi avanti alla Corte di appello, qualora le parti siano comparse non già avanti al collegio per la discussione orale (secondo il modulo c.d. semplificato) ma avanti all’istruttore (secondo il modulo c.d. ordinario), spetta comunque successivamente al collegio, in sede di decisione sull’inibitoria, fissare una udienza ulteriore avanti a sé per la discussione orale con assegnazione di termine intermedio per note conclusionali.
Si conferma, infine, a garanzia della pienezza del contraddittorio, che, ove l’istanza di inibitoria sia stata trattata anteriormente all’udienza di merito, la successiva udienza di discussione deve essere comunque fissata nel rispetto del termine a comparire (90 o 150 giorni secondo il luogo della notificazione, in Italia o all’estero, dell’atto introduttivo: art. 342, comma 2, c.p.c.).
14. Decisione (art. 352 c.p.c.)
Secondo la modalità ordinaria del giudizio di appello le parti compaiono, come già evidenziato, avanti all’istruttore ai fini della trattazione.
Il consigliere istruttore, quando ritiene la causa matura per la decisione, può tuttavia ancora adottare la modalità semplificata, vale a dire la discussione orale, invitando le parti a precisare le conclusioni e fissando l’udienza direttamente avanti al collegio, ai sensi dell’art.350bis, c.p.c., ove ritenga l’appello inammissibile o manifestamente infondato/fondato.
In alternativa l’istruttore fissa avanti a sé l’udienza di “rimessione della causa in decisione” assegnando alle parti tre termini perentori, anteriori a tale udienza, rispettivamente: per la sola precisazione delle conclusioni (1), per le memorie conclusionali (2), per le note di replica (3).
È previsto che il primo termine (precisazione delle conclusioni) debba essere non superiore a 60 gg. prima dell’udienza; il secondo (conclusionali) non superiore a 30gg. prima; il terzo (repliche) non superiore a 15gg. prima.
Come si vede, l’istruttore può fissare termini a ritroso anche inferiori rispetto a quelli massimi ex lege e, quindi, più ravvicinati all’udienza di rimessione della causa in decisione; è tuttavia prevedibile che i termini massimi legali finiranno per imporsi come default nella prassi, considerato che per gli appelli di pronta soluzione è da percorrere l’altra modalità decisoria costituita dalla discussione orale e che per tutti gli altri l’udienza di rimessione in decisione non sarà fissata, come si dice, a breve.
È da osservare, poi, che all’intera suesposta fase predecisoria scritta, anteriore all’udienza finale, le parti possono espressamente rinunciare, in tal senso potendosi argomentare che sono in questione incombenti nell’interesse essenzialmente delle parti medesime (facoltà piuttosto che oneri).
All’udienza successiva a tale fase scritta la causa è trattenuta in decisione; il consigliere istruttore della Corte di appello si riserva di riferire al collegio; in ogni caso la sentenza è da depositare entro 60 gg. dall’udienza di rimessione in decisione.
Si può in sintesi annotare che nel giudizio di appello il legislatore della riforma reitera, nella fase decisoria ordinaria, la stessa inversione temporale, tra udienza e trattazione scritta, che è stata introdotta per il giudizio di primo grado sia per la trattazione (art. 171ter c.p.c.) sia per la decisione (art.189 c.p.c.); inversione che, invero, può avere il pregio di evitare che la prospettiva di una successiva appendice scritta riduca, come di prassi, l’udienza ad una mera comparizione per la richiesta di termini.
15. Rimessione al primo giudice (art. 354 c.p.c.).
È abrogato l’art. 353 c.p.c. ed interamente riformulato l’art.354 c.p.c. nel senso di escludere due tradizionali ipotesi di rimessione al primo grado, da parte del giudice di appello, quando sia ritenuta: a) la sussistenza della giurisdizione negata dal primo giudice; b) l’insussistenza della causa estinzione del processo posta a fondamento della declaratoria ex art. 308 c.p.c.. In tali eventualità, infatti, le parti devono essere solo riammesse al compimento delle attività che erano state precluse ed è eventualmente rinnovata, se possibile, l’istruttoria ai fini della definizione del merito in grado di appello.
L’innovazione è chiaramente orientata a privilegiare la ragionevole durata del processo rispetto al doppio grado di cognizione del merito.
È rimasto invece identico, anche se trasposto dall’art.353 all’art.354 c.p.c., il termine perentorio per la riassunzione, pari a tre mesi decorrenti dalla notificazione della sentenza e soggetto ad interruzione in caso di ricorso per cassazione contro la decisione del giudice di appello.
16.Ammissione ed assunzione delle prove (art. 356 c.p.c.)
In ordine all’ipotesi in cui la Corte disponga, con ordinanza, la prosecuzione del processo ai fini dell’assunzione di prove o la rinnovazione di quelle già assunte in primo grado, la nuova formulazione dell’art.356 c.p.c. prevede che il collegio deleghi per tali incombenti l’istruttore o il relatore, secondo la modalità, ordinaria o semplificata, a suo tempo adottata per il procedimento.
Tuttavia, se ritenuto necessario, il collegio può anche di ufficio disporre che le prove assunte avanti all’istruttore in secondo grado siano rinnovate in udienza collegiale: viene così introdotta una clausola di garanzia della formazione collegiale della decisione sulla base della immediata percezione delle prove costituende, pur già assunte avanti al monocratico consigliere designato, ma con esiti ritenuti non pienamente convincenti.
17. La riforma dell’appello nel c.d. rito del lavoro
In ordine al contenuto del ricorso introduttivo (art. 434 c.p.c.) sono imposti, a pena di inammissibilità, per la formulazione di ciascuno dei motivi, gli stessi requisiti introdotti per l’appello ordinario, all’art.342 c.p.c., in termini di chiarezza, sinteticità e specificità: si richiama, quindi, la lettura al riguardo operata in relazione alla forma dell’appello (supra,6).
La trattazione è rimasta collegiale. Nella fase decisoria sono, tuttavia, configurabili, analogamente a quanto previsto in via generale per l’appello (artt. 350bis e 352 c.p.c.), due moduli di definizione : uno semplificato (art. 436bis c.p.c.) , nel quale all’esito della discussione è pronunciata integralmente la sentenza, mediante lettura del dispositivo e della motivazione, redatta “in forma sintetica” così come già previsto nel nuovo art. 350bis, comma 3, c.p.c. (supra,12) ; l’altro ordinario (artt. 437, 438 c.p.c.), nel quale continua ad essere pronunciato il solo dispositivo nell’udienza di discussione ed il termine per il deposito della sentenza è fissato in 60 gg. dalla pronuncia, in tal senso aumentando il termine previgente di soli 15 gg per adeguarlo – del tutto opportunamente - a quello previsto in via generale per le sentenze di appello (art.352, comma 2, c.p.c.); del deposito della sentenza il cancelliere dà immediata comunicazione alle parti.
L’art. 436bis c.p.c., attraverso il richiamo agli artt. 348, 348bis e 350, comma3, c.p.c., riserva espressamente il modulo semplificato alle ipotesi in cui l’appello sia da ritenere improcedibile, inammissibile, manifestamente fondato/infondato oppure di ridotta complessità o, comunque, ne sia urgente la definizione: come si vede, a fronte della pur apprezzabile intenzione del legislatore di tipizzare taluni presupposti del modulo decisorio semplificato, è ampia la discrezionalità rimessa al collegio in ordine alla scelta dell’una o dell’altra modalità di definizione.
I colloqui intimi dei detenuti: dubbi di costituzionalità dell’art. 18 Ord. Pen.
Il magistrato di sorveglianza di Spoleto, con l’ordinanza emessa in data 14.12.2022, che si pubblica, dovendo decidere in ordine al reclamo di un detenuto che lamentava di non poter svolgere nell’intimità colloqui con la compagna, presso l’istituto penitenziario ove è ubicato, ha sollevato questione di costituzionalità dell’art. 18 della legge penitenziaria, rispetto ad una pluralità di parametri, nella parte in cui non prevede la possibilità per un detenuto, per il quale non si rappresentino ostative ragioni di sicurezza particolari, di svolgere colloqui intimi, anche di tipo sessuale, con la partner, senza il controllo a vista della polizia penitenziaria. Ormai oltre dieci anni fa, la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi su una questione, soltanto in parte sovrapponibile a quella odierna, e dichiarata allora inammissibile, aveva affermato che il tema dell’affettività, anche di tipo sessuale, delle persone detenute costituiva “una esigenza reale e fortemente avvertita” della quale il legislatore avrebbe dovuto farsi carico, ma da allora, nonostante diversi disegni di legge e un quadro sovranazionale in cui 31 paesi del Consiglio d’Europa già consentono tali momenti di intimità, nessuna modifica è intervenuta. Anche da qui muove l’ordinanza, che da un lato considera già oggi rinvenibili nel sistema penitenziario strumenti idonei a superare la lacuna dell’art. 18, e dall’altro ricorda la giurisprudenza della Corte Costituzionale che, negli ultimi anni, ha in più occasioni esibito profili di incostituzionalità di disposizioni normative, poi concedendo termine al legislatore per concretizzare le modifiche a maggior tasso di discrezionalità.
I programmi di scambio internazionali tra le Autorità Giudiziarie
di Marco Alma
Sommario: 1. I principi regolatori - 2. La Rete Europea di Formazione Giudiziaria - 3. I programmi di scambio - 3.1. Gli scambi di breve durata - 3.2. Gli scambi di lunga durata - 3.3. Le visite di studio - 4. Il ruolo del CSM e della Scuola Superiore della Magistratura nelle procedure di assegnazione dei magistrati ai programmi di scambio - 4.1. Lo status dei magistrati che partecipano ai programmi di scambio - 4.2. La selezione dei partecipanti agli stage e l’esonero dal lavoro giudiziario - 5. Alcune considerazioni.
1. I principi regolatori
L’articolo 81, paragrafo 2, lettera h), del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), firmato dai 27 paesi dell'UE il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009 prevede che “L’Unione sviluppa una cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transnazionali, fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali. (...) 2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano, in particolare se necessario al buon funzionamento del mercato interno, misure volte a garantire: (...) h) un sostegno alla formazione dei magistrati e degli operatori giudiziari.”.
Allo stesso modo l’art. 82, paragrafo 1, lettera c) del medesimo Trattato prevede che “La cooperazione giudiziaria in materia penale nell’Unione è fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e include il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri nei settori di cui al paragrafo 2 e all’articolo 83. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure intese a: (...) c) sostenere la formazione dei magistrati e degli operatori giudiziari”.
2. La Rete Europea di Formazione Giudiziaria
Già prima della sottoscrizione del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea nell’anno 2000, era però stata costituita la Rete Europea di Formazione Giudiziaria (REFG) – in inglese European Judicial Training Network (EJTN) – avente lo scopo di contribuire a promuovere una comune cultura giuridica e giudiziaria europea.
Nel 2005, poi, su iniziativa del Parlamento europeo era stato varato il primo programma di scambio tra le autorità giudiziarie.
Attualmente la REFG rappresenta gli interessi relativi alla formazione di oltre 120.000 giudici, pubblici ministeri, formatori giudiziari e personale giudiziario di Paesi dell’Unione Europea.
In particolare, la REFG dal 2000 ad oggi ha continuato e continuerà anche nel futuro a sviluppare programmi di formazione contenenti le attività volte alla promozione della comprensione dei sistemi giudiziari degli Stati Membri; della mutua comprensione degli strumenti di cooperazione giudiziaria; delle conoscenze linguistiche; dell’elaborazione di strumenti di formazione comuni, dell’approfondimento delle conoscenze nel settore giudiziario.
Più nello specifico, rientrano nell’oggetto della REFG:
a) la cooperazione in materia di analisi e identificazione dei bisogni in termini di formazione, elaborazione di programmi e di metodologie per attività formative comuni;
b) la promozione del confronto e dello scambio di conoscenze in merito ai sistemi giudiziari;
c) lo scambio e la divulgazione delle esperienze nel campo della formazione in ambito giudiziario;
d) il coordinamento dei programmi e delle attività degli Stati Membri, con particolare riguardo alle iniziative dell’Unione Europea;
e) la fornitura del know-how e delle proprie conoscenze alle istituzioni europee, nazionali ed internazionali.
Deve, poi, essere doverosamente ricordato che l’Unione Europea non solo promuove le predette iniziative di scambio ma ne garantisce la effettiva realizzazione attraverso un importante supporto finanziario, coprendo, attraverso la REFG, le spese di viaggio e di soggiorno dei partecipanti mediante il pagamento di una diaria o, se del caso, rimborsando le spese sostenute sulla base dei costi effettivi.
3. I programmi di scambio
Al fine, come detto, di favorire lo sviluppo di una cultura giuridica e giudiziaria europea comune e di promuovere la conoscenza dei sistemi giuridici e, pertanto, la comprensione, la fiducia e la cooperazione tra i magistrati degli Stati membri dell'UE, nel corso degli anni, è aumentata la possibilità di scambi tra le autorità giudiziarie europee ed annualmente la REFG organizza programmi di scambio di breve durata nell'ambito degli organi giurisdizionali degli Stati membri dell'UE (da 1 a 2 settimane) e periodi di formazione di lunga durata (da 3 a 12 mesi) presso la Corte di giustizia dell'Unione europea, la Corte europea dei diritti umani ed Eurojust.
3.1. Gli scambi di breve durata
Quanto agli scambi di breve durata negli Stati membri dell'UE gli stessi consistono in:
a) Scambi generici: gli stessi vengono organizzati individualmente o in gruppi di giudici e pubblici ministeri di diversi Stati membri dell'UE e sono finalizzati a consentire ai partecipanti di ricevere informazioni sul sistema giudiziario del Paese ospitante, di assistere alle udienze e di scambiare idee e informazioni con i colleghi che operano in loco;
b) Scambi specialistici: gli stessi, in genere della medesima durata degli scambi generici e programmati nel numero di oltre 15 ogni anno, sono finalizzati a consentire ai magistrati di ampliare le proprie competenze in specifici settori del diritto recandosi presso gli uffici giudiziari di altro Stato dell'UE.
c) Scambi bilaterali: gli stessi, normante di durata di una settimana, sono attivati dai magistrati di propria iniziativa e consistono nel fatto che gruppi di giudici o pubblici ministeri dello stesso tribunale o procura si recano in un ufficio giudiziario di altro Stato membro dell'UE al fine di scambiare esperienze e best practices su temi specifici di comune interesse;
d) Scambi tra i dirigenti di uffici giudiziari: trattasi di attività progettate per Presidenti di Tribunali o di Corti e Procuratori della Repubblica, volte a consentire dibattiti e scambi di esperienze in materie quali la leadership e la gestione delle risorse umane, la comunicazione e le relazioni con i media, la gestione finanziaria e informatica degli uffici;
e) Scambi tra formatori: trattasi di attività nelle quali i judicial trainers possono raccogliere notizie sulle metodologie, sugli strumenti pedagogici e sulla programmazione delle attività di formazione del Paese ospitante, nonché hanno la possibilità di confrontarsi con i colleghi stranieri sulle best practices in materia di formazione professionale dei magistrati (giudici e pubblici ministeri) negli Stati membri dell'UE.
Tra le attività di scambio di breve durata in materia di formazione dei magistrati rientra poi un programma specifico denominato AIAKOS rivolto a giudici e pubblici ministeri in fase di tirocinio iniziale (in alcuni Stati prima ancora di essere nominati) oppure ad inizio carriera. Il programma, in genere di durata settimanale, offre ai partecipanti l'opportunità di apprendere il funzionamento di altri sistemi giudiziari e le metodologie formative, consentendo anche di approfondire la conoscenza del diritto dell'UE e degli strumenti di cooperazione giudiziaria, nonché di sviluppare utili contatti con altri giovani colleghi.
3.2. Gli scambi di lunga durata
Quanto agli scambi di lunga durata gli stessi (come detto di durata da 3 a 12 mesi) consistono in stages presso organizzazioni europee e internazionali.
La durata di ogni stage varia a seconda dell'istituzione ospitante ed è stabilita da quest'ultima.
Si tratta di periodi di formazione offerti su base individuale e che si svolgono presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), la Corte EDU od Eurojust.
Tali tipi di scambi consentono ai partecipanti di cooperare materialmente nelle attività delle istituzioni ospitanti in modo tale da comprenderne appieno i principi e le procedure che ne regolano il funzionamento.
3.3. Le visite di studio
Sempre nell’ambito delle attività di scambio devono, infine, farsi rientrare a pieno titolo anche le visite di studio organizzate per gruppi di partecipanti di diverse nazionalità presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CJEU), la Corte Europea dei diritti dell’Uomo (ECtHR), Eurojust, le Istituzioni Europee a Bruxelles, l’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali (FRA) e la The Hague Conference on Private International Law (HCCH) che consentono ai partecipanti di apprendere nozioni sul funzionamento e sulle procedure delle istituzioni ospitanti.
4. Il ruolo del CSM e della Scuola Superiore della Magistratura nelle procedure di assegnazione dei magistrati ai programmi di scambio
Il Consiglio Superiore della Magistratura e la Scuola della Magistratura sono membri permanenti della Rete Europea di Formazione Giudiziaria e pertanto cooperano con essa nella concreta realizzazione dei predetti programmi di scambio, sia ospitando magistrati stranieri presso i propri uffici, sia ospitando presso le proprie sedi corsi di formazione organizzati dalla REFG, sia, infine, attivando le procedure di selezione dei magistrati che hanno richiesto di prendere parte alle attività di formazione all’estero ed ai programmi di scambio.
La Scuola Superiore della Magistratura ha, inoltre, compiti propositivi nelle predette attività essendo anche componente eletto del Comitato di pilotaggio della Rete e membro di tutti i gruppi di lavoro (linguistico, civile, penale, metodologie, diritti fondamentali, programmi di scambio).
Sulla premessa, che l’”aggiornamento professionale” costituisce elemento imprescindibile per la valutazione della professionalità del magistrato, e come tale previsto dall’art. 11 del D.Lgs. n.160/2006, sia per la valutazione del parametro della capacità, per il quale rileva anche “il grado di aggiornamento professionale” (lett. a), sia del parametro dell’impegno, per il quale rileva anche la “frequenza ai corsi di aggiornamento” (lett. e) e che quindi la formazione professionale costituisce un compito essenziale del magistrato, il CSM ha però dovuto varare una disciplina ad hoc riguardante sia le modalità di partecipazione del Consiglio alla fase di selezione dei partecipanti agli stage di lunga durata organizzati nell’ambito della Rete Europea di Formazione Giudiziaria (REFG), sia la conseguente procedura di autorizzazione all’esonero dal lavoro giudiziario dei magistrati ammessi a partecipare a tali periodi di formazione, il tutto previo chiarimento in ordine allo status giuridico dei magistrati che partecipano a tali stage.
Al riguardo, all’esito delle riunioni di un tavolo tecnico istituito tra il Consiglio superiore della magistratura (Sesta e Nona Commissione) e la Scuola superiore della magistratura (SSM), il CSM, con delibera in data 5 maggio 2022 ha approvato un apposito documento intitolato “Disciplina delle modalità attraverso le quali concedere l’esonero durante gli stage di lunga durata organizzati nell’ambito della Rete Europea di Formazione Giudiziaria”.
4.1. Lo status dei magistrati che partecipano ai programmi di scambio
Con riguardo allo status dei magistrati selezionati per gli stage, sulla premessa già sopra evidenziata, che gli stessi non sono retribuiti dall’Unione Europea o dalla REFG, ma ricevono esclusivamente un “per diem” che non costituisce una forma di salario ma che solo consente loro di sostenere le spese di vitto e alloggio durante la permanenza all’estero, il CSM ha ritenuto che il periodo di partecipazione a tali attività presso istituzioni estere si configura come un compito istituzionale del magistrato e, quanto alla posizione di quest’ultimo, come una delle prestazioni tipiche da svolgersi nell’ambito del rapporto di lavoro.
Con la partecipazione allo stage, del resto, al magistrato non viene conferito alcun incarico, lo stesso non stipula contratti di lavoro con le istituzioni internazionali e non riceve alcuna retribuzione da parte di un ente diverso dallo Stato italiano.
4.2. La selezione dei partecipanti agli stage e l’esonero dal lavoro giudiziario
Poiché i magistrati italiani che partecipano all’estero ai programmi di scambio di lunga durata presso organismi internazionali non possono, all’evidenza, continuare a lavorare in detto arco temporale presso gli uffici di appartenenza, ciò rende necessario che detta partecipazione sia oggetto di un previo provvedimento autorizzativo del CSM e del contestuale esonero dal lavoro giudiziario.
In tale prospettiva il CSM sottolineato la necessità della previsione di momenti di interlocuzione con il Consiglio stesso, da parte delle istituzioni che selezionano i magistrati per queste attività ed ha, altresì, ritenuto la necessità di introdurre con la menzionata circolare una disciplina specifica in materia che tenga conto della durata dell’esonero, che preveda l’introduzione di un meccanismo selettivo della valutazione di condizioni ostative di carattere soggettivo (mutuate da quelle previste dalla circolare in materia di incarichi extragiudiziari) o di carattere oggettivo, relative alla considerazione del disagio che la prolungata assenza del magistrato produce sull’ufficio di provenienza.
Il meccanismo di selezione dei magistrati passa quindi attraverso diverse fasi espressamente regolamentate.
Innanzitutto, la Scuola Superiore della Magistratura, nell'ambito delle competenze in tema di formazione internazionale dei magistrati ad essa conferite dall'articolo 2 del d.Lgs. 30 gennaio 2006, n. 26, deve provvedere a disporre annualmente la pubblicazione di un bando per la selezione dei candidati agli stage di lunga durata sulla base dei criteri stabiliti dalla REFG.
I criteri di selezione per gli stage di lungo termine, in genere legati a requisiti di anzianità e di esperienza oltre che di adeguate conoscenze linguistiche, sono infatti annualmente definiti dalla stessa REFG.
Salvi i requisiti previsti dalla REFG per ogni singolo stage, il CSM ha poi stabilito che possono presentare la propria candidatura i magistrati che abbiano maturato almeno la prima valutazione di professionalità alla data del termine fissato per la presentazione delle dichiarazioni di disponibilità, salvo il necessario conseguimento della predetta valutazione di professionalità al momento della nomina. Mentre gli aspiranti che abbiano maturato, ma non conseguito, la prima valutazione di professionalità potranno richiedere al Consiglio Superiore della Magistratura la trattazione anticipata della relativa pratica contestualmente alla dichiarazione di disponibilità.
Chi è intenzionato a presentare la propria candidatura è tenuto, poi, ad informare preventivamente per iscritto il dirigente dell’ufficio giudiziario di appartenenza ed a richiedere allo stesso la formulazione del relativo parere.
Il dirigente dell’Ufficio giudiziario di appartenenza del candidato dovrà quindi trasmettere detto parere al Consiglio Superiore della Magistratura, entro dieci giorni dalla richiesta, curando di indicare:
- eventuali impedimenti di natura organizzativa, specificamente dettagliati;
- se il magistrato, alla data del bando, sia impegnato nella trattazione di procedimenti, processi o affari tali che il suo allontanamento, tenuto conto del periodo di svolgimento dello stage, possa nuocere gravemente agli stessi;
- se nell’anno che precede la data del bando siano maturati ritardi nel deposito dei provvedimenti o comunque nel compimento di attività giudiziarie (allegando un eventuale prospetto dei ritardi, indicativo di numero e durata degli stessi).
Allo stesso tempo, la Scuola Superiore della Magistratura, ricevute le candidature, le trasmette immediatamente e comunque entro 5 giorni dalla loro ricezione al CSM, per consentire l’attiva partecipazione del Consiglio nella fase di preselezione dei candidati.
Il Consiglio, acquisite le candidature ed i pareri dei dirigenti degli uffici giudiziari, entro 15 giorni dalla ricezione - e comunque in tempo utile per la trasmissione delle candidature alla REFG - comunica alla SSM eventuali impedimenti di natura soggettiva o derivanti da esigenze di servizio o organizzative, esponendone le ragioni.
Tra gli impedimenti di natura soggettiva, la menzionata circolare del CSM, analogamente a quanto disposto dall’articolo 10 della circolare in materia di incarichi extragiudiziari menziona espressamente:
a) la pendenza di un procedimento penale a seguito di iscrizione nominativa nel registro degli indagati;
b) la pendenza di procedimenti disciplinari nell’ambito dei quali sia stata avanzata richiesta di fissazione dell’udienza di discussione;
c) l’inizio – disposto con l’invio della relativa comunicazione all’interessato - della procedura di trasferimento d’ufficio nel caso previsto dalla seconda parte del primo capoverso dell'art 2 del regio decreto n. 511 del 31 maggio 1946, ovvero l’intervenuta delibera di trasferimento ai sensi di tale normativa;
Sono ritenuti altresì ostativi alla designazione i casi previsti dall’articolo 10 punti 2 (sottoposizione dell’interessato alle misure della custodia cautelare in carcere, arresti domiciliari e/o della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio), 3 (condanna dell’interessato con sentenza definitiva per delitto non colposo negli ultimi 10 anni, oppure magistrato sanzionato disciplinarmente negli ultimi cinque anni computati a decorrere dalla sentenza definitiva e/o trasferito d’ufficio in via cautelare negli ultimi 3 anni computati a decorrere dalla data di pronuncia ditale provvedimento cautelare) e 4 (quando la condanna per delitto non colposo o la condanna disciplinare, per la gravità del fatto o per la relazione tra il fatto e la natura dell’incarico, possono pregiudicare per ciò solo la credibilità del magistrato o il prestigio dell’ordine giudiziario) della Circolare in materia di incarichi giudiziari, con le eccezioni ivi previste.
Non devono, poi, sussistere anche impedimenti di natura oggettiva in relazione alle esigenze di servizio ed organizzative dell’Ufficio giudiziario in cui il magistrato presta
servizio, anche tenuto conto del parere del Dirigente dell’Ufficio.
In particolare, sono da ritenersi impedimenti derivanti da esigenze di servizio:
- l’eventuale sussistenza, nell’anno antecedente alla data dell’interpello, di ritardi nel deposito dei provvedimenti, che siano significativi per durata o per numero, la cui sussistenza dovrà essere verificata sulla base del parere rilasciato dal dirigente dell’ufficio;
- il fatto che il magistrato, alla data della richiesta, sia impegnato nella trattazione di procedimenti, processi o affari di particolare complessità tali che, anche tenuto conto della fase di avanzata trattazione dei procedimenti e tenuto conto del periodo in cui lo stage avrà luogo e della durata dello stesso, possa ritenersi che l’allontanamento del magistrato potrebbe nuocere gravemente agli stessi.
È, infine, considerato impedimento di natura organizzativa, tenuto conto del periodo in cui lo stage avrà luogo e della durata dello stesso, ed in ogni caso nell’ipotesi di stage di durata superiore ai sei mesi, la provenienza da una sede di servizio che presenti un indice di scopertura dell’organico superiore al 20%; per sede di servizio si intende l’ufficio giudicante o requirente cui il magistrato è assegnato, rimanendo irrilevanti eventuali destinazioni in applicazione distrettuale o extradistrettuale. L’indice di scopertura è computato sull’organico, compresi i posti semidirettivi, tenendo conto anche delle assenze per aspettativa o per congedo straordinario, ovvero le ipotesi di esonero totale dal lavoro. Gli eventuali esoneri parziali sono computati pro quota.
Solo all’esito del vaglio da parte del CSM la Scuola Superiore della Magistratura potrà comunicare alla Rete Europea di Formazione Giudiziaria “l’elenco dei candidati proposti per lo stage di lungo termine”, tra i quali potranno essere selezionati i partecipanti da parte dell’istituzione ospitante.
L’ammissione al tirocinio di magistrati italiani è comunque eventuale, essendo rimessa la decisione finale sull’ammissione esclusivamente alle autorità ospitanti.
Una volta ricevuta la comunicazione dell’ammissione, il CSM disporrà l’esonero dal lavoro giudiziario del magistrato ammesso al programma di scambio di lunga durata.
Si è, altresì, contemplata la possibilità che, in una fase post selettiva, il Consiglio accerti la sopravvenienza di impedimenti ostativi di “particolare gravità” che implicano l’immediata comunicazione alla REFG per le conseguenti determinazioni.
Infine, il magistrato che ha partecipato ad uno degli stage di lunga durata sarà tenuto a redigere, alla scadenza del primo semestre se si tratta di stage annuale, e comunque nel termine di 30 giorni dalla cessazione dello stage, una relazione descrittiva delle attività svolte.
5. Alcune considerazioni
Si evince da quanto sopra esposto una comprensibile tensione nel rapporto tra le fondamentali quanto imprescindibili esigenze formative dei magistrati anche in campo internazionale e le esigenze operative degli uffici giudiziari che indubbiamente sono chiamati ad ulteriori sforzi lavorativi qualora uno dei loro componenti debba allontanarsi per mesi dal posto di lavoro.
E’ il CSM – e non potrebbe essere altrimenti - che è chiamato a rivestire il difficile ruolo di bilanciamento tra l’esigenza di una giustizia rapida ed efficiente che può trovare ostacoli nell’allontanamento temporaneo di magistrati dalle ordinarie attività lavorative e quella di avere magistrati professionalmente e culturalmente preparati anche in campo internazionale, destinati ad elevare la qualità (e talvolta anche a velocizzare la tempistica) di alcune attività giudiziarie.
Un delicato ruolo in materia è poi anche rivestito dai dirigenti degli uffici giudiziari che, come visto, con i loro pareri possono di fatto bloccare l’ammissione dei magistrati ai programmi di scambio. Talvolta può incidere nella formulazione dei pareri anche un approccio culturale di segno negativo verso l’attività di formazione, da taluni vista come secondaria rispetto alle esigenze di produttività giudiziaria che certi uffici sono da sempre chiamate a perseguire.
Vi è poi un altro aspetto che deve essere segnalato che è quello relativo alla impossibilità di ammettere ai programmi di scambio i magistrati provenienti da una sede di servizio che presenti un indice di scopertura dell’organico superiore al 20%.
Se anche in questo caso le ragioni di tale previsione regolamentare sono facilmente comprensibili tuttavia le stesse finiscono inevitabilmente per porsi in contrasto con le possibilità formative che dovrebbero spettare in misura eguale a tutti i magistrati senza danneggiare coloro che – di certo per fattori da loro non dipendenti – si trovano ad operare in uffici (spesso di piccole dimensioni o collocati in particolari aree del Paese) caratterizzati da una scopertura di organico superiore al 20%.
Resta solo da ricordare che è oramai obsoleta la figura del magistrato chiamato ad occuparsi di vicende esclusivamente legate a ristretti ambiti territoriali.
L’evoluzione sociale, commerciale ma anche quella criminale, portano sempre più i magistrati a confrontarsi con una casistica giudiziaria, sia nel settore civile che in quello penale, che travalica i confini nazionali.
I problemi di cooperazione internazionale devono oggi essere affrontati dai magistrati con un approccio moderno da operatori “europei” della giustizia – diremmo con una “mentalità europea” - che si muove tra convenzioni e decisioni delle Corti Europee all’interno di un comune spazio di libertà, sicurezza e giustizia richiamato dal titolo V del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea.
Il tutto non può che passare attraverso una attività di formazione in campo internazionale destinata alla diffusione ed all’apprendimento di regole e di modus operandi che non può prescindere dalla conoscenza delle Istituzioni europee e del loro funzionamento. Una conoscenza implementabile solo mediante la partecipazione a specifici stage e programmi di scambio da realizzarsi in loco.
La partecipazione ai programmi di scambio internazionali tra i magistrati è quindi oggi una parte imprescindibile della formazione professionale e non si può che auspicare che la stessa sia vieppiù implementata.
Focus sui programmi di scambio internazionale tra magistrati appartenenti all’Unione Europea - Editoriale
La partecipazione di magistrati italiani a esperienze di formazione presso tribunali di altri Stati dell’Unione Europea è una delle conseguenze più importanti e visibili della progressiva integrazione dei sistemi giuridici degli appartenenti alla stessa.
Negli ultimi anni si è assistito ad un aumento esponenziale dei programmi di scambio di vario tipo, sicché oggi, soprattutto tra le nuove generazioni di magistrati, questo tipo di esperienza è divenuta piuttosto comune e fa parte del bagaglio diffuso della formazione tipo.
La nostra Rivista ha pensato di dedicare a questo fenomeno in continua espansione un focus: dopo l’articolo introduttivo odierno in cui Marco Alma, componente del Comitato Direttivo della Scuola Superiore della Magistratura, illustrerà il funzionamento dei vari tipi di programmi di scambio, seguiranno nei prossimi giorni alcune testimonianze di giovani magistrati che hanno partecipato a diverse tipologie di programmi di scambio.
Intendiamo in questo modo contribuire alla divulgazione di questo importante istituto e fornire una riflessione ad opera di chi vissuto questa esperienza in prima persona.
Brasilia, luogo dell’anima, sogno della Democrazia
di Paolo Spaziani
Aeroplano suadente, Uccello in volo, Rapace che si compiace della sua potenza: il sogno di Niemeyer e di Costa si mostra così a chi arriva in aereo.
Compare anzitutto la coda, poi la lunga fusoliera scura, formata dagli edifici governativi, ordinati e diligenti; quindi le ali, che si allargano sui due lati, quasi a turbare il verde del Parque Nacional.
Quando inizia la manovra di atterraggio, il viaggiatore ha la sensazione di planare su una di esse, ma prima che l’aereo scenda di quota, scorge il blu intenso delle acque del Lago do Paranoà, oltre i due settori delle ambasciate e il Congresso Nazionale e, alla fine della Estrada de Turismo, gli sembra di vedere il capo fiero dell’aquila compiacente.
Vi è, al centro del Brasile, un altopiano ove da solo viveva il Silenzio.
Lontano dagli inferni del Mato Grosso e di Amazonas come dai paradisi di Rio e di Bahia.
Non è esatto dire che fosse un luogo disabitato perché tanti luoghi lo sono in Brasile.
Più esatto è dire che era un luogo che non esiste, una discontinuità, un non-luogo.
Ancora più esatto è dire che era un altro-luogo. Una enclave di un altro universo, lo specchio di un’altra dimensione, un luogo dell’anima.
Da esso sgorgavano tre sorgenti.
La prima dava vita al Tocantins (in lingua Tupi vuol dire “Becco del Tucano”), che tra foreste di macchia, piantagioni di soia e praterie verdeggianti, avrebbe raggiunto l’Atlantico a Marajó, quasi sfiorandolo, ma non confondendosi, col maestoso delta dell’Amazonas.
La seconda formava il São Francisco che avrebbe risalito il Nordeste, innamorandosi di Bahia, pur restandone distante, e a Canindé avrebbe creato il canyon naturale più bello del mondo, con arenarie verdi e rosa deterse dal blu cobalto delle sue acque.
La terza, questa verso sud, avrebbe aperto, con il Paranà, la porta del Pantanal misterioso, il regno di sua maestà il Giaguaro (la onça dei Guarani), capace di divorare la Luna, che tornerà, però, più luminosa, sorretta dalle ali indaco degli Ara Giacinto.
Il presidente Kubitschek decise che il luogo dell’anima tra le tre sorgenti non poteva restare in silenzio, essendo il centro del Paese.
Non diventò un luogo, restò un non-luogo, ma il genio di Costa gli tolse il silenzio sostituendolo con le persone, mentre quello di Niemeyer lo riempì di cose ordinate.
Diversamente da qualsiasi altro turista, non raggiunsi questo non-luogo in aereo ma in autobus, respirando la terra rossa della strada del Nordeste.
Provenivo da Aracaju, capitale dello Stato del Sergipe, ove avevo alloggiato in un Hotel a quattro stelle, per concedermi un po’ di relax dopo alcune notti insonni e un viaggio movimentato di rientro a Bahia.
Ma, invece di proseguire per Salvador, avevo approfittato di un passaggio per Canindé, porta del Monumento Natural do Rio Sao Francisco.
A Canindé avevo risalito il Velho Chico sino alle cascate di Paulo Afonso. Lungo il monumento naturale, si transita con piccole imbarcazioni tra budelli di roccia e acque quiete e pulite. Caverne di piscine smeraldo si alternano a spiagge di sabbia chiara ove si trova il comfort di qualche pousada.
In una di queste, poco prima della Cachoeira de Paulo Afonso, un camionista che trasportava legname a Feira de Santana mi aveva offerto un passaggio sulla BR 110. Avevo quindi proseguito in autobus, dapprima verso ovest, sino a Barreiras; quindi a sud, verso il Goiás.
Scorsi l’arco luminoso della capitale del Brasile, dopo avere superato il crinale trapuntato di eucalipti nei pressi della vecchia città di Planaltina.
Dall’alta Torre della Televisione, posta all’inizio dell’Asse Monumentale, non si apprezzava la forma di aeroplano o di uccello rapace, ma l’armoniosa struttura del progetto di Costa dava l’impressione di trovarsi sulla corda di un arco, come una freccia che sta per essere scoccata.
Dall’altra parte dell’Asse Monumentale, in prossimità del lago, le due torri del Congresso Nazionale sembravano l’obiettivo da raggiungere, la mela di Guglielmo Tell.
Viste di lontano, sembravano isolate e autoreferenziali, ma qualcuno mi spiegò che la piazza dove si trovavano, nella testa dell’uccello, si chiama Praça dos Três Poderes.
L’indomani percorsi a piedi l’Asse Monumentale.
Arrivai al Piazzale dei Ministeri nel pomeriggio inoltrato. La calda luce del sole quasi al tramonto fendeva le basse nuvole del cielo del Distrito Federal, arrossate dalla terra alzata dal vento del vicino parco.
Il pomeriggio trascorreva in una luce rossa accesissima, che dipingeva di sé tutta la città.
I sedici palazzi dalla forma cubica sembravano giovani soldati, disposti in una rigorosa adunata. Si volgevano verso di me con la fronte già aggredita dalla prossima oscurità, mentre le fiammate gialle che filtravano dal sole morente ne accendevano il lato che dava sul piazzale, ove si specchiava la corsa disordinata delle auto.
Mi scortarono, come guardie discrete, sino all’ultimo di essi, il Ministero della Giustizia, ove mi accolsero sei piccole cascate artificiali, costruite in ricordo delle molte cascate della regione.
Entrai quindi nella Praça dos Três Poderes, ove ricordai ciò che mi era stato detto la sera prima: accanto alle torri gemelle e alle cupole del sontuoso Congresso Nazionale vidi, sulla sinistra, il Palazzo Planalto, sede dell’esecutivo e, sulla destra, la Corte Suprema, il cui ingresso era presidiato dalla statua, incorruttibile, della Giustizia.
Erano i Tre Poteri, separati e distinti, eppure coesi e amici.
Essi non erano soli. Dinanzi al Palazzo Planaltina, quasi a vigilare sulla loro integrità, apparvero, alteri ma non minacciosi, armati ed inermi, umili ed orgogliosi, i “Guerrieri” di Bruno Giorgi.
Si stagliavano neri, alti ed imponenti nel cielo rosso di Brasilia: erano, ad un tempo, l’inarrivabile beltà dei giovani, l’amore infinito dei fratelli, il fiducioso conforto dell’amicizia, la forza incorruttibile della virtù, la risorsa insopprimibile della solidarietà, la ragione del diritto, l’umanità della giustizia, il Sogno della Democrazia.
Non erano veri guerrieri e le lance stilizzate, non strette ma poggiate sulle loro mani, non erano vere armi ma strumenti di lavoro; erano Os Candangos, gli operai che avevano costruito Brasilia, coloro che avevano realizzato un desiderio e custodito un sogno.
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