ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Un colpo d’ala per una moderna affidabile giustizia tributaria.
di Claudio Consolo
Sommario: 1. Uno sguardo d’assieme sui lavori della Commissione della Cananea - 2. Le ragioni della divisione - 3. Una proposta alternativa - 3.1 Salvaguardare e rivitalizzare il giudizio di legittimità - 3.2 Fondere innovazione e continuità per la giurisdizione di merito: l’impiego delle sezioni specializzate imprese quali giudici di appello.
1. Uno sguardo d’assieme sui lavori della Commissione della Cananea
Con la pubblicazione della relazione finale si conclude il primo momento di studio e di riflessione pro futuro della commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria.
In un forte clima di pulsioni ed esigenze riformatrici, che interessa tutti i principali plessi giurisdizionali, incardinare e sviluppare un discorso orientato alla crescita nella razionalizzazione anche della giustizia tributaria, volto a superarne i principali elementi di stallo spesso forieri, peraltro, di un grave vulnus qualitativo nella tutela ivi apprestata, risulta quanto mai necessario e ineludibile. Ciò è pacifico, pur fra vivaci dissensi programmatici, tanto più vero se osservato all’interno dell’attuale contesto di interventi straordinari, nazionali e sovranazionali, apprestati per risvegliare il tessuto economico e produttivo, ancora tramortito dal forte shock subito. Ripresa e resilienza non possono che passare attraverso la definizione di un ordinamento giuridico idoneo a supportarle, in modo quasi funzionale e che non le sia più d’ostacolo, come negli ultimi lustri accaduto per vari gravosi versi. La concreta efficacia di una giustizia tributaria - che sia intimamente tale – assume rilievo primario per la realizzazione dei targets di rilancio prefissati in questa fase di rinascita.
Senza ulteriori indugi, pertanto, è necessario salutare con pubblica riconoscenza il lavoro svolto della commissione Della Cananea, meticoloso e positivo soprattutto se commisurato agli esiti cui esso ha condotto.
Questo pregevole lavoro, tuttavia, si è caratterizzato per una forte polarizzazione delle soluzioni proposte al suo interno, con l’emersione ormai notoria di due filoni già prima facie inconciliabili, proprio in merito alla concezione prodromica che si ha della giustizia tributaria e, in special modo, dei giudici che sono chiamati ad amministrarla.
Da una parte, infatti, la prima proposta “tiene fermo il tratto saliente della normativa vigente, cioè la configurazione della magistratura tributaria come onoraria, pur introducendo il requisito della laurea magistrale in giurisprudenza o in economia o al titolo di dottore di ricerca in materie giuridico-aziendali per quanti non appartengono alla magistratura ordinaria, amministrativa o contabile”[1]. Questa scelta è la mediata conseguenza di una lettura assai rigida delle disposizioni costituzionali rilevanti in materia, che era emersa inizialmente nei lavori della Commissione, in forza della quale non sarebbe stato possibile nemmeno modificare in meglio gli attuali meccanismi di reclutamento dei giudici tributari. La Costituzione non prevede espressamente una compiuta ed autosufficiente giurisdizione tributaria, dunque non consente la creazione di un nuovo giudice speciale in aggiunta a quelli esistenti (amministrativo, contabile, militare). Specularmente, sulla base di tali considerazioni, non sarebbe possibile immettere nella Corte di Cassazione esperti esterni alla magistratura ordinaria al di fuori dei limitati casi previsti. “Da tutto ciò deriva che va tenuta ferma la natura onoraria della magistratura tributaria” a monte della consueta fase di cassazione. Di conseguenza, l’azione di riforma dovrà orientarsi - e limitarsi – ad introdurre alcuni correttivi, senza stravolgere, di fatto, l’attuale configurazione sistematica.
Dall’altra parte, la seconda soluzione prospettata è assai più radicale ed ambiziosa, con alcuni tratti tuttavia non realistici ed in prospettiva asfittici.
Essa si basa su una lettura più elastica dei portati della Costituzione, suffragata in parte dalle più importanti pronunce della Corte Costituzionale in materia, secondo cui non sarebbe preclusa a prescindere qualsiasi tipo di modificazione nella configurazione e nel funzionamento delle commissioni tributarie. “Discende da ciò la possibilità d’istituire una magistratura tributaria assunta per concorso”. Con lampanti, benefiche, conseguenze ne discenderebbero: “il consolidamento della vocazione specialistica della giurisdizione tributaria, estesa all’intero corpo di magistrati, non al solo secondo grado; il venir meno della disparità tra i giudici tributari provenienti – rispettivamente – dalle varie magistrature e dalle professioni; l’apporto che un personale di magistratura più specializzato può fornire alla sezione tributaria della Corte di Cassazione”. In questo quadro, solo la competenza per le liti minori, di valore fino a 3.000 euro, sarebbe ricondotta ad un giudice onorario monocratico, non togato, una sorta di giudice di pace tributario.
Riassumendo le proposte sul campo: a) da una parte, si suggerisce un leggero lifting delle commissioni tributarie le quali, tuttavia, rimarrebbero di fatto come sono, specialmente nel primo grado, da mantenere quasi totalmente invariato. Il processo resterebbe articolato in due gradi di giudizio, a livello provinciale e regionale, il secondo dei quali subirebbe una piccola modifica, consistente nell’istituzione di una sezione specializzata competente per le liti di un determinato e consistente valore, ma pur sempre presso le attuali CTR; b) la seconda valorizza il principio di specializzazione e si spinge fino all’istituzione di un giudice speciale – i tribunali tributari e le corti d’appello tributarie - e al rafforzamento - in realtà non facile e dal tenore un poco illuminista - sia del meccanismo di reclutamento, sia della scelta da parte di quanti intendano ricoprire gli uffici della giurisdizione tributaria. L’accesso è fondato su un pubblico concorso, riservato ai laureati in giurisprudenza e – entro certi limiti quantitativi e a determinate condizioni – ai giudici tributari in servizio. “In sostanza, i giudici tributari non sarebbero più giudici onorari, ma professionali e a tempo pieno”. Quelli che sono già magistrati potrebbero optare per il travaso, e quindi realisticamente, per la parte preponderante, rimanerne del tutto esclusi, salva solo la ricongiunzione.
2. Le ragioni della divisione
Le ragioni giustificatrici di queste due antipodiche soluzioni sono ampiamente intuibili e note ai più, ma forse non è ancora emerso quanto la seconda finirebbe con il forgiarsi in termini non meramente specialistici quanto indesiderabilmente appartati e poco dialogici con il complessivo judicial process nazionale (e, per vederne solo un minimo aspetto rivelatore, con la disciplina costituzionale della Consulta). Si darebbe vita ad un repentino e forse non poi qualificatissimo corpo di neofiti giudiziali, fatalmente financo in appello.
Per quanto riguarda la prima – meno radicale - soluzione, i suoi sostenitori osservano con una certa qual saviezza che “il perimetro della discrezionalità del legislatore nel riordino della giurisdizione tributaria, che rientra tra quelle preesistenti all’entrata in vigore della Carta Costituzionale e conservate ai sensi della VI disposizione transitoria, è ben definito dall’ordinanza 23 aprile 1998, n. 144 della Consulta, in base alla quale i due limiti invalicabili per non infrangere il principio di tendenziale unità della giurisdizione sul quale si fonda il nostro ordinamento (e non far ritenere nuovo il giudice tributario in modo tale da ravvisarsi un diverso giudice speciale) sono rispettati ove non vengano snaturati “né il sistema di estrazione dei giudici, né la giurisdizione nell’ambito delle controversie tributarie”. In relazione al primo profilo, quello cioè del sistema di estrazione dei giudici, la Consulta ha ritenuto legittimi gli interventi legislativi migliorativi “dal punto di vista dei requisiti di idoneità e di qualificazione professionale e delle incompatibilità”. Al contrario, questa parte della Commissione ritiene che la tesi sostenuta dalla restante parte della stessa, ossia la costituzione d’abord di un giudice professionale specializzato, correrebbe di certo il rischio di snaturare il sistema di estrazione dei giudici, il loro statuto sistematico stesso, e, pertanto, richiederebbe un intervento legislativo di rango costituzionale, oggi impensabile. Per quanto riguarda gli obiettivi, invece, che si vorrebbero conseguire, soprattutto ad esempio con l’istituzione della sezione specializzata presso la CTR, elemento di maggiore innovazione – su cui prestare attenzione per i motivi che meglio si comprenderanno infra nel prosieguo -, vi è certamente e lodevolmente quello di “migliorare la qualità del prodotto giurisdizionale che eventualmente dovrà essere esaminato dalla Corte di legittimità, che come noto si trova in uno stato di profonda sofferenza per l’enorme mole della pendenza tributaria certamente in larga misura determinata da decisioni di merito spesso scarsamente motivate e di scadente livello sul piano dell’elaborazione giuridica”.
Quanto invece alla seconda proposta, essa muove dal presupposto secondo cui “la prima e principale riforma dell’ordinamento della giustizia tributaria debba riguardare l’inquadramento dei giudici. Dal 2013 ad oggi sono stati presentati 9 disegni di legge al Senato e 8 alla Camera aventi ad oggetto tale riforma e in tutti si prevede che il giudice tributario debba essere un giudice professionale a tempo pieno (dei 17 disegni di legge 14 accolgono la medesima soluzione qui proposta, mentre i restanti 3 prevedono la devoluzione della materia tributaria ad altre giurisdizioni esistenti). In effetti, che la giustizia tributaria sia tuttora affidata ad un giudice onorario appare anacronistico retaggio della primigenia natura di contenzioso amministrativo del processo, pienamente e definitivamente superata quasi 50 anni fa con il pieno riconoscimento del carattere giurisdizionale della funzione svolta dai giudici tributari (cfr. Corte cost. n. 287/1974)”. In quest’ottica, la giustizia tributaria e il sottostante ramo del diritto risulta invero mortificata da un metodo di reclutamento non mediante apposito concorso, dalla natura onoraria dell’incarico e dalla struttura e dal ridotto ammontare dei compensi erogati ai giudici delle attuali commissioni. La soluzione di riforma in ipotesi, con la realizzazione del Tribunale Tributario e della Corte d’Appello Tributaria, non violerebbe in alcun modo il ben noto limite dell’art. 102, primo comma Cost. del divieto di istituzione di nuovi giudici speciali. “Anche in ragione del fatto che la proposta accentua il carattere giurisdizionale degli organi giudicanti, influendo positivamente sull’indipendenza, terzietà e preparazione professionale del giudice”.
L’inconciliabilità delle due soluzioni emerse dai lavori della Commissione, peraltro, non riguarda solo la scelta attinente ai primi due gradi di merito e in generale al ruolo e alle modalità di selezione del giudice tributario, ma riecheggia fino all’ultimo grado del giudizio, involgendo anche le soluzioni da fornire per riformare il giudizio di legittimità della Suprema Corte in materia tributaria.
Per i primi è sufficiente, dopotutto, lasciare la Corte di Cassazione così com’è, magari assegnando alla sezione tributaria un maggior numero di magistrati del Massimario, previa valutazione del CSM, ma al solo fine di fronteggiare l’immane arretrato in cui è impantanata detta Sezione. Magari anche con utilizzo dei pensionati (futuri o forse anche passati) fino ai 75 anni di età, sinonimo ormai di piena funzionalità mentale e accresciuta preziosa esperienza. Qui emerge la proposta di inserire anche in materia tributaria, condividendo la soluzione prospettata dalla Commissione Luiso per la riforma del processo civile, del rinvio pregiudiziale interpretativo (ruling), ossia un meccanismo che assicuri un tempestivo intervento della Corte di Cassazione, coerente con il ruolo di jus dicere proprio del giudice di legittimità orientato all’armonico sviluppo del diritto nell’ordinamento, in materie o su normative nuove sulle quali non si è ancora pronunciata la giurisprudenza di legittimità, al fine di prevenire la proliferazione del contenzioso[2]. Si legge nella relazione illustrativa: “un'interpretazione autorevole e sistematica della Corte resa con tempestività, in poco tempo ed in concomitanza alle prime pronunzie della giurisprudenza di merito, può svolgere un ruolo deflattivo significativo, prevenendo la moltiplicazione dei conflitti e con essa la formazione di contrastanti orientamenti territoriali. Nella materia del diritto tributario, peraltro, l’esigenza di assicurare una tempestiva interpretazione uniforme è particolarmente avvertita per due ordini di ragioni: il continuo succedersi di norme di nuova introduzione, rispetto alle quali il giudice del merito non ha un indirizzo interpretativo di legittimità cui fare riferimento e la serialità dell’applicazione delle norme che si riflette sulla serialità del contenzioso”.
Anche in riferimento al giudizio di legittimità, i fautori della riforma più radicale, auspicano un totale superamento delle forme e delle strutture come fino ad ora concepite, proponendo per legge, con una disciplina autonoma, l’istituzione di una sezione ordinaria specializzata tributaria. Accordo che manca, tra le varie anime della Commissione, finanche sul rinvio pregiudiziale per saltum, fortemente osteggiato da Cesare Glendi – sostenitore dall’esterno di una riforma maggiormente incisiva - il quale, senza troppi giri di parole, la definisce una proposta stravagante, basata su un macroscopico errore direzionale che si “appalesa tecnicamente “infelice ed eversiva” a livello di sistema ordinamentale”[3]: con questo salto “(mortale?)” dai giudici tributari di merito direttamente al vertice della Suprema Corte, infatti, piuttosto che ridurre l’eccessivo carico di lavoro in ultimo grado si rischia di aggravarlo.
3. Una proposta alternativa
Abbiamo fin qui ricapitolato, con chiose, evocato indirettamente i già tanti e pregevoli saggi, ma ora per essere concisi e chiari ecco la nostra differente propensione, espressa nella apposita audizione (e da implementare, se mai le arridesse qualche fortuna di consenso di fondo, in altra sede): le due proposte sul campo, per quanto lucide e a tratti anche meritevoli di condivisione su più punti, risultano eccessivamente, diametralmente, opposte tra loro e non immaginano una via non già di mediazione ma di composizione. Si fronteggiano a cori duofonici battenti con esposizione ad un grave rischio da sventare ad ogni costo: la radicale diversità delle soluzioni prospettare e la loro inconciliabilità potrebbe rischiare, in ipotesi, di scoraggiare il legislatore da un intervento quanto mai necessario, come evidenziato in apertura.
Con la consapevolezza di non poter far cadere nel vuoto questo necessario tentativo di riforma, magari a causa dell’impossibilità di trovare sintesi tra le due diverse contrapposte formulazioni viste supra, è necessario compiere un colpo d’ala di superamento in avanti con fantasia ricostruttiva. Si badi bene, non si tratta di proporre un artificioso compromesso al ribasso di mediazione tra le prospettate soluzioni della Commissione; ma del tentativo - pensando alle potenzialità per l’appello delle sezioni imprese collegiali presenti nei più importanti tribunali, portatrici di modernità interdisciplinare e grande competenza sul diritto dell’economia - di cogliere questo spirito innovatore del momento e cristallizzarlo in concreto, intimo, non “appartante” miglioramento di cui la giustizia tributaria possa godere e giovarsi tenendo fermo che radici e tronco del diritto tributario e dei suoi rami e fonde mutevoli si ancorano al diritto amministrativo e a quello privato, con una forte coloratura di diritto giustiziale materiale da cui muovevano i suoi indiscussi Patres.
Inoltre e correlatamente Natura non facit saltum e per questo motivo, di diffidenza per mutazioni artificiali, sarà preliminarmente doveroso tener conto che qualsiasi tipo di soluzione prospettata per la riforma in oggetto deve valutare attentamente le tempistiche necessarie ad attuarla, i periodi transitori e la loro durata, dunque, in buona sostanza, fare i conti con la realtà.
La previsione di stravolgimenti radicali oltre a non essere del tutto proporzionata, e sul punto si tornerà fra breve, non risulta allo stato opportuna per diverse ragioni. La più importante è senza dubbio la massima di esperienza che deve guidare ogni processo innovatore secondo cui non v’è riforma migliore di quella realmente possibile: auspicare la nascita di nuovi plessi giurisdizionali senza tradizione ed integralmente con neofiti, come sopra evidenziato, costituirebbe un salto nel buio che rischierebbe, per l’appunto, di far naufragare ogni nobile proclama rifondativo di rinnovamento qualitativo. Altra ragione attiene alle tempistiche di durata delle cd. soluzioni transitorie che, tanto più impegnative quanto più è grande lo stravolgimento operato, rischiano di protrarsi a tal punto nella loro provvisorietà da diventare soluzioni ordinarie e sopperire, di fatto, una riforma che nel frattempo è diventata irrealizzabile. Ma vi è di più. Istituire il Tribunale tributario, ma più ancora la omonima Corte di appello, è inopportuno soprattutto perché non proporzionale, come sopra accennato, all’obiettivo prefissato, comunque raggiungibile con un progetto alternativo di riforma, meno dispendioso e sicuramente più facilmente realizzabile con i talenti sperimentati e collaudati già in parte all’opera, che si disperderebbero in massima parte.
3.1 Salvaguardare e rivitalizzare il giudizio di legittimità
Innanzitutto, il punto fermo da cui muovere è quello di non rimettere minimamente in discussione il giudizio di legittimità di terzo grado come attualmente strutturato. Si deve evitare, di converso, di agire per legge sulla sezione tributaria della Corte di Cassazione[4], istituendone una speciale, magari annebbiati da un fuorviante parallelismo con l’esperienza della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione la quale, è bene sempre ricordare, rientrava nel più ampio disegno riformista dell’introduzione ex novo della giustizia del lavoro del 1973, e che ad ogni modo toccava pochissimo la relativa sezione della Suprema Corte.
Un tale disegno rischierebbe di specializzare eccessivamente la sezione tributaria della Cassazione, allontanandola dalle altre sezioni della Corte, mentre a ben vedere essa si avvantaggia non poco del fatto di essere in collegamento con altre sezioni, in quanto erede legittima della Sezione Prima, che si è occupata a lungo e bene di diritto tributario e di processo tributario, dalla cui esperienza, specialmente di diritto civile e di diritto processuale civile, proveniva peraltro, per tacere di altri e fare un solo nome, il primo presidente della Sezione Tributaria, nonché vero ispiratore e organizzatore della stessa, Michele Cantillo (assai solido processualista, dalla cui penna originò la durevole soluzione del grande dibattito fra art. 18 St. Lav. e art. 336 c.p.c.).
Recidere il legame con le altre sezioni della Cassazione produrrebbe la nefasta conseguenza di rendere il diritto tributario non tanto una materia con proiezione specialistica, come si vorrebbe, piuttosto un compartimento stagno insensibile a quelle necessarie e positive connessioni osmotiche di cui si nutre tutta la scienza pratica del diritto.
Il diritto tributario, infatti, non può essere considerato in alcun modo campo di elettiva esclusività di pochi iperfocalizzati, né tanto meno, bisognerà pur riconoscerlo, autosufficiente rispetto invece alla necessità di un background giuridico più vasto e soprattutto da ciascuno già sperimentato (Glendi pure, a tacer di molti altri, non ne è riprova?). In modo quasi banale, la corretta applicazione di una norma tributaria ad un determinato negozio giuridico di cui si compone un’operazione complessa e multi-strutturata passa inevitabilmente dalla sussunzione e qualificazione da operare a monte, per la quale è inevitabile essere muniti di adeguati strumenti privatistici; il controllo sulla P.A., pur in assenza per solito di discrezionalità e del classicamente inteso interesse legittimo, invoca una cornice anche amministrativistica. Il discorso solo esemplificativo acquisisce ulteriore vigore se si pensa, ad esempio, all’abuso del diritto in materia tributaria: per evitare incoerenti digressioni, è sufficiente mettere in luce che la sostanza economica di un’operazione, la cui prova è richiesta dal dettato normativo, non può essere definizione solo economicistica e specialistica ma deve essere costantemente raffrontata all’esperienza giuridica di tutte le altre branche del diritto con il suo motore nella autonomia contrattuale dei privati, imprese o cittadini.
Tornando al caso che ci occupa, il giudizio di legittimità come strutturato attualmente non è la causa dei problemi quanto piuttosto, a valle di tutto, la vittima[5].
Il proliferare di decisioni qualitativamente inaccettabili nei primi due gradi del giudizio di merito - per tacere delle brame condonizie di varia fattura e mascheratura - alimenta la necessità del costante esperimento del riscorso per cassazione e rende la giustizia tributaria uno dei settori con il più elevato numero di sentenze cassate. Dunque, la Cassazione tutt’al più va difesa dall’assedio cui è sottoposta, non introitata in nuovo sistema isolante.
3.2 Fondere innovazione e continuità per la giurisdizione di merito: l’impiego delle sezioni specializzate imprese quali giudici di appello
Per evitare quindi che sia la Corte di Cassazione a dover troppo spesso (come richiama il Pres. Pietro Curzio) “mettere giustizia” dove altri invece hanno fallito, bisogna intervenire sulle fasi ad essa precedenti e dunque soprattutto e prioritariamente ed in profondità sul fondamentale giudizio di secondo grado. Questo è il Kernpunkt da mettere a fuoco ben di più.
Il secondo grado del giudizio tributario è infatti secondo me, e spero di non rimanere a lungo in ciò isolato, il cardine su cui farà congruamente leva l’intero disegno riformatore.
Per farlo è necessario, semplicemente, riconoscere la competenza a decidere in materia tributaria ad una - e per fortuna in gran parte esiste già, con una storia breve ma di successo e quindi con un sentimento innervante - sezione collegiale specializzata presso l’Autorità giudiziaria ordinaria, coerente ed omogenea in relazione all’epilogo disegnato dall’art. 111 Cost. Dunque, non una sezione speciale, di nuova costituzione e in quanto tale difficile da realizzare in tempi brevi. Basterebbe invece investire di tale funzione di giudice d’appello tributario la Sezione specializzata Imprese, già dotata del giusto know how in materia societaria e commerciale in genere, al cui interno c’è senza dubbio forte capacità di approfondimento specialistico e che potrebbe essa stessa trarre giovamento da tale nuova attribuzione di una materia comunque affine, per molti versi, al mondo giuridico dell’impresa, per diventare una realtà competitiva sul piano europeo e il retroterra ideale, ed addirittura rinvigorente e talora compensativo, rispetto alla stessa Cassazione. La premessa per una nomofilachia tributaria maggiormente partecipativa, vicina inoltre sempre al mondo del fare impresa e più latamente della produzione di ricchezza in senso ampio.
Peraltro, già oggi la competenza delle sezioni specializzate si estende alle cause ed ai procedimenti che presentano ragioni di connessione con le materie assegnate alla cognizione del Tribunale delle Imprese, così come specificate all'art. 3, comma 1 e 2, del D.lgs. 27 giugno 2003, n. 168. La soluzione qui avanzata, pertanto, non rischia di snaturare, anche se certo farà progredire ed allargare, il ruolo dell’attuale Tribunale delle Imprese il quale, come visto, ha già una forte vocazione di approfondimento specialistico basato anche sulle eventuali interconnessioni con la materia trattata. E non v’è dubbio che quello tributario sia un fenomeno che si lega fortemente, e spesso si pone perfino a valle, rispetto alle questioni giuridiche precedentemente trattate e risolte.
Com’è noto, l'art. 2 del D. Lgs. 27 giugno 2003, n. 168, così come sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. b), del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, stabilisce che i Giudici che compongono le sezioni specializzate imprese debbano essere scelti tra i magistrati dotati di specifiche competenze, con conseguente affermazione di un alto livello di specializzazione, qualità quanto mai necessaria anche in materia tributaria. Con la competenza delle sezioni imprese, ovviamente potenziate nella loro struttura – pur sempre già esistente e non da organizzare da zero, al pari di quello che un tempo dicevasi spirito di corpo – sarà possibile conseguire quell’incremento qualitativo, deciso ed omogeneo rispetto al terzo grado, necessario alle decisioni in materia tributaria per evitare che confluiscano quasi tutte, indistintamente, direttamente in Cassazione ove dei loro indirizzi si terrà ben poco conto, con largo e peculiarissimo utilizzo, ad evitare troppi rinvii in un contesto disomogeneo, della cassazione sostitutiva di merito ex art. 384 c.p.c.. Insomma, o cambia il senso del secondo grado (mia proposta) o cambia quello del giudizio di cassazione (proposta cara a molti cari e sapienti amici, che mi rimproverano invero non da oggi la massima di vita culturale: Amicus Plato - nulla di meno, con il viso michelangiolesco - sed…).
In altri termini, la magis Amica percepita come odierna Verità applicativa e di indirizzo ci induce a fare riflettere ognuno sul come soluzioni di tal guisa renderebbero il secondo grado di giudizio tributario ben di più di quell’agognato filtro necessario a ridurre un indiscriminato abbruttente confluire di tutte le controversie dal primo grado fino alla Cassazione, iter che a quel punto acquisirebbe di fatto la conformazione di un imbuto con incedere qualitativo che via via si restringe nel percorso che conduce le liti dalle conciliazioni al primo giudizio e poi se del caso ad un appello anticipatorio e funzionale rispetto all’ultimo grado di giudizio, ma debitamente attento al fatto, ed in special modo al fatto economico, complesso.
In aggiunta, attribuire la competenza di giudice d’appello tributario ad una sezione dell’autorità giudiziaria ordinaria rappresenta, anche figuratamente, quel percorso che incanala la lite tributaria da un processo inizialmente celebrato nelle riformande e decentrate Commissioni Tributarie tout court, a poco a poco, verso una vera specializzazione non settoriale.
La soluzione qui prospettata avrebbe considerevoli conseguenze positive.
Innanzitutto, una volta raggiunto l’adeguato standard qualitativo necessario nel giudizio e avendo già proceduto ad un radicale, ma pur sempre possibile, restyling della giustizia tributaria in secondo grado, non sarebbe più nemmeno così tanto necessario rivoluzionare il primo grado di giudizio. Lo si potrebbe lasciare, in sostanza al part time, salvo ovviamente dei correttivi sulla selezione dei giudici di maggior valore ed esperienza ritraibili dal vecchio secondo grado, i quali, a questo punto, potrebbero ben rimanere ad impiego “a scavalco” ma ben collaudati.
Peraltro, questa conformazione ben si coniuga con un ruolo che deve essere finanche rafforzato per altri versi in capo al giudice di primo grado che è quello di conciliazione e di poter formulare una proposta transattiva. Con il dichiarato intento deflattivo di ridurre ulteriormente le cause che proseguono fino al secondo grado, dopo aver già posto l’argine suddetto al loro indistinto approdo in Cassazione.
Dall’attribuzione della competenza di giudice d’appello alla sezione imprese, poi, deriverebbe la possibilità di riorganizzare e rinvigorire le Commissioni Tributarie Provinciali, sfruttando le migliori energie e risorse liberate delle vecchie Commissioni Tributarie Regionali. E ancora, anche l’organo di autogoverno dei magistrati tributari, il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, avendo ridotto l’area della sua competenza, potrebbe rivolgere il proprio lavoro e tutta l’attenzione necessaria alle sole CTP.
Un’ultima necessaria considerazione, ex multis but not least.
Il nuovo ruolo della Sezione imprese come giudice d’appello tributario non risponde solo ad esigenze di mera riorganizzazione materiale e logistica della macchina della giustizia.
In realtà, la principale motivazione di questa opzione è determinata da una forte concezione teorica e giuridica che riguarda il processo tributario.
A differenza di com’è magari nato nella sua fase speciale semigiurisdizionale, e anche di come s’è sviluppato nel tempo pur dopo il fatidico 1972, il giudizio tributario non può più da gran tempo essere inteso come un mero giudizio caducatorio puro e semplice in cui il giudice tributario è chiamato solo a decidere se annullare o se non annullare un atto impugnato[6].
La consapevolezza – e aggiungerei, il recente interesse che tale questione continua a destare[7] – che trattasi piuttosto di un giudizio di tipo particolare poiché in sintesi costitutivo-sostitutivo discende soprattutto dalla giurisprudenza, saggia e quanto mai condivisibile, della Suprema Corte che ormai non ha più dubbi al riguardo[8].
La scelta di avvicinare sempre più la giustizia tributaria all’archetipo non tanto della giustizia civile ma di quella Ordinaria, alle sue regole e, come si auspica in queste pagine, anche alle sue strutture sia oggettuali sia organiche, varrà ad emancipare il processo tributario dalla concezione che se ne aveva di semplice giudizio d’annullamento, la quale è ormai superata anche in relazione al giudizio amministrativo, ormai disancorato dalla figura degli interessi solo oppositivi. E di riconoscergli quella di giudizio volto alla fissazione del dovuto nell’ambito di un complesso rapporto giuridico tributario che in esso è riflesso attraverso lo spettro selettivo delle causae petendi del ricorso del contribuente[9].
Anche in questa prospettiva, la funzione di giudice d’appello alla sezione specializzata presso l’A.g.o. garantirà un’uniformità di giudizio tra quelli di primo grado, magari ancora fermi ad una visione obsoleta e superata di mero annullamento, e la risposta che il ricorrente vedrà darsi in Cassazione, dove si è ben consci, a ragione, della natura anche sostitutiva del processo tributario, pur nella insostenibilità anche in sede giudiziale degli stilemi antichi della obbligazione tributaria[10].
[1] Relazione Finale – Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria – Ministero dell’economia e delle finanze e Ministero della Giustizia, 30 giugno 2021, p. 16.
[2] Si veda sul punto l’interessante contributo di L. SALVATO, Verso la riforma del processo tributario: il “rinvio pregiudiziale” ed il ricorso del P.G. nell’interesse della legge, in Giustizia insieme, 2021, (https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-tributario/1867-verso-la-riforma-del-processo-tributario-il-rinvio-pregiudiziale-ed-il-ricorso-del-p-g-nell-interesse-della-legge), dove l’A. osserva i presupposti di tale intervento, ossia che “la durata dei giudizi e la loro stessa proliferazione, anche con riguardo al numero delle impugnazioni, è prodotta anche dalle incertezze causate da una normativa alluvionale, spesso non razionalmente inserita in un ordinamento oramai privo di organicità, di non facile ricostruzione (in particolare, nella materia tributaria), alla base di interpretazioni divergenti e di orientamenti contrastanti, soprattutto in mancanza di pronunce della Corte di cassazione. Garantire il tempestivo intervento nomofilattico della Corte di legittimità potrebbe contribuire ad ovviare a detto inconveniente”.
[3] Per questa ed altre serrate critiche al rinvio pregiudiziale proposto dalla Commissione si vd. C. GLENDI, Riforma della giustizia tributaria: così non va!, IPSOA, 2021 (https://www.ipsoa.it/documents/fisco/contenzioso-tributario/quotidiano/2021/07/17/riforma-giustizia-tributaria-non-va). Per l’A. tale rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione produrrebbe soltanto un traumatico allontanamento per le parti dal proprio giudice naturale di merito.
[4] Si veda quanto proposto da C. GLENDI, La “speciale” specialità della giurisdizione tributaria, 2021, 423 dove si auspica un forte intervento, assai innovatore, sulla sezione tributaria della S.C. “onde meglio rimarcarne la relativa maggiore autonomia intersezionale, disegnandone, quindi, la ristrutturazione compositiva con la predeterminazione normativa di un numero fisso e stabile di membri, dislocati in cinque o sei sezioni, ognuna delle quali dotata di proprio presidente, con scelte di carica tutte rigorosamente improntate a criteri di capacità organizzativa e di conoscenza della materia, ratione competentiae, insomma, con la previsione altresì, sempre legislativamente regolata, di un’adunanza plenaria supersezionale, formata da tutti i presidenti delle sottosezioni o da un loro componente all’uopo formalmente delegato (per i soli casi di oggettiva impossibilità di presenza da parte del presidente titolare), quale focus istituzionale stabilmente incardinato, con al vertice lo stesso presidente della Sezione tributaria, per la responsabile formazione di una costantemente monitorata, comunque aggiornata e accurata nomofilachia tributaria di alto livello, riservata, invece, pur sempre alle Sezioni Unite, così come ora esistenti, magari meglio funzionalmente disciplinate, ogni decisione sui conflitti intergiurisdizionali. Con l’aggiunta, infine, di una pur contenuta semplificazione unificata del rito per la trattazione e la decisione delle controversie tributarie, tenuto conto della loro serialità e specificità pure sul piano formale”.
[5] Per una condivisibile panoramica delle ragioni di tale stallo e, più in generale, dei più rilevanti problemi che affliggono la giustizia tributaria si vd. A. MARCHESELLI, Aspettando Godot. Note minime e minoritarie a margine della proposta di riforma della Giustizia tributaria, in Giustizia insieme (https://www.giustiziainsieme.it).
[6] Il riferimento è alla teoria cd. costitutiva, per lungo tempo seguita e condivisa ma invero da qualche anno, pare, passata in secondo piano a fronte della sempre crescente complessità del fenomeno fiscale, Cfr. C. GLENDI, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984; F. TESAURO, Manuale del processo tributario, Torino, 2009; M. BASILAVECCHIA, Funzione impositiva e forme di tutela. Lezioni sul processo tributario, Torino, 2018; ID., Giudice tributario e atto impositivo in Rivista trimestrale di diritto tributario, 2012, fascicolo 4, 1067 ss.
[7] Cfr. il più recente contributo in materia di oggetto e natura del processo tributario di M. AGOSTINELLI, La duplice natura costitutiva del processo tributario, in Giurisprudenza Italiana, 2021, 5, 1091 e ss., dove il giovane Autore riaffaccia una soluzione di evoluzione tra le contrapposte tesi dottrinali nella quale risalta la funzione non solo costitutiva d’annullamento della sentenza tributaria, ma soprattutto quella costitutivo-sostitutiva del singolo capo decisorio specie estimativo del dovuto, oggetto della cognizione giudiziale come delineato dalle stringenti causae petendi del ricorso del contribuente.
[8] Si vd. a commento di Cass. Civ., Sez. Un., 16 giugno 2006, n. 13916, E. MANZON, I limiti oggettivi del giudicato tributario nell’ottica del «giusto processo»: lo swing-over della Cassazione, in Corriere Giuridico, 12, 2016, 1701 e ss., il quale A., peraltro giudice estensore della stessa pronuncia, afferma nella nota 32 a p. 1706: “la sentenza è ampiamente “debitrice” delle tesi di Russo e di Fransoni sul giudicato tributario sostanziale. Appare peraltro a tal fine preferibile la costruzione teorica della fattispecie tributaria ricavabile dalla “fusione” tra gli approdi teorici della c.d. “scuola romana” e le recenti riflessioni di C. Consolo (Cfr. Fantozzi, Diritto tributario, cit., 198-199; Consolo, Processo ed accertamento, cit., 1045; Consolo-D’Ascola, Giudicato tributario, cit., 473, 483-483). È infatti più chiaramente percepibile e contornata l’idea che, strutturalmente e funzionalmente, il tributo consista in un “rapporto giuridico pubblicistico di contribuzione”, anche “complesso” e “di durata”, c.d. “rapporto di cornice”, che deriva direttamente dal presupposto (fatto-indice della capacità contributiva), quale normativamente configurato; che poi si concretizza secondo i relativi moduli attuativi pure normativamente predeterminati, secondo uno schema “a gradini” (eventuali, nel modulo ormai generalizzato della c.d. “autotassazione”: dichiarazione «accertamento «sentenza). Talché ogni “gradino” (sentenza compresa) è, nel procedimento attuativo standard (per intendersi, quello delle imposte reddituali e dell’IVA), pur eventualmente, collegato a quello successivo, ma tutti sono “pregiudizialmente dipendenti” dal “rapporto di cornice”. I cui elementi di base dunque, ove non mutino, se rientrano nell’area oggettiva di un giudicato, non possono essere ridiscussi”.
[9] Per un’ampia analisi non solo del profilo processuale tributario ma anche delle vicende sostanziali si rinvia a C. CONSOLO, Appendice giuridico-sistematica su natura e oggetto del processo tributario (in generale e nella nuova disciplina dell'abuso del diritto), in Abuso del diritto e novità sul processo tributario, a cura di GLENDI – CONSOLO - CONTRINO, 2016, Milano, 323 ss.; CONSOLO, Della inammissibilità di una integrazione o rettifica della motivazione dell’accertamento in sede giudiziale e dei correlati limiti ai poteri istruttori del giudice tributario, in Rassegna tributaria, 1986, vol. I, 135 e successivamente pubblicato in CONSOLO, Dal contenzioso al processo tributario, Studi e casi, 1992, Milano; CONSOLO, Limiti alla rinnovazione della imposizione dopo e alla stregua del giudicato di annullamento del primo avviso di accertamento. (Un soffio di aria nuova nella giurisprudenza sull' oggetto del processo tributario), in Dal contenzioso al processo tributario, cit., 223 e ss..
[10] Come ormai emerso da anni in dottrina, sull’inadeguatezza della figura di una monolitica obbligazione tributaria, per una ricostruzione delle diverse posizioni si v. F. PAPARELLA, Le situazioni giuridiche soggettive e le loro vicende in A. FANTOZZI (a cura di), Diritto Tributario, Torino, 2012, 478 e ss.: “la questione principale e più discussa attiene alla possibilità di riferirsi ad un’unica situazione soggettiva passiva di fondo, relativa al presupposto, quale modello di riferimento a cui correlare la pluralità di fattispecie della riscossione e del rimborso”.
Pandemia e processo civile: l’insostenibile leggerezza della proroga (d.l. 23 luglio 2021, n. 105).
di Franco Caroleo
La trattazione scritta e il collegamento da remoto saranno le modalità di celebrazione dell’udienza civile che ci accompagneranno per tutto il 2021.
Così è deciso nel d.l. n. 105/2021 con cui si procrastina l’efficacia delle disposizioni processuali emergenziali fino al 31 dicembre 2021.
Analizziamo qui di seguito le norme del nuovo d.l. che riguardano il processo civile.
Titolo
DECRETO-LEGGE 23 luglio 2021, n. 105
“Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 e per l'esercizio in sicurezza di attivita' sociali ed economiche” (21G00117) (GU Serie Generale n.175 del 23-07-2021)
La norma riguardante il processo civile
- art. 7, co.1
La proroga delle disposizioni processuali di cui agli artt. 23 d.l. 137/2020 e 221 d.l. n. 34/2020
L’art. 7, co.1, del d.l. n. 105/2021 recita:
“Le disposizioni di cui all'articolo 221, commi 3, 4, 5, 6, 7, 8, e 10 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, nonche’ le disposizioni di cui all'articolo 23, commi 2, 4, 6, 7, 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, 8-bis, primo, secondo, terzo e quarto periodo, 9, 9-bis, 10, e agli articoli 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e 24 del decreto-legge 28 ottobre 2020 n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, continuano ad applicarsi fino alla data del 31 dicembre 2021”.
La vigenza delle norme processuali stabilite per il periodo pandemico viene così posticipata al 31 dicembre 2021.
Come nel d.l. n. 44/2021, il legislatore individua un termine fisso, scegliendo di non ancorare la proroga al termine dello stato di emergenza.
Tuttavia, a differenza del precedente d.l. di proroga, non viene direttamente novellato l’art. 23, co. 1, d.l. n. 137/2020 (contenente il termine ultimo per l’applicazione dei commi da 2 a 9 ter del medesimo art. 23 nonché delle disposizioni di cui all’art. 221 d.l. n. 34/2020), ma è lo stesso d.l. a indicare il termine di protrazione delle previsioni emergenziali.
Effetti
In ogni caso, gli effetti sono analoghi a quelli degli scorsi decreti e devono quindi ritenersi prorogati al 31 dicembre 2021:
- l’obbligo del deposito telematico di tutti gli atti (anche quelli introduttivi) e documenti, per come previsto dall’art. 221, co. 3, d.l. n. 34/2020;
- la celebrazione a porte chiuse che il giudice può disporre per le udienze pubbliche, per come previsto dall’art. 23, co. 3, d.l. n. 137/2020;
- la trattazione scritta che il giudice può disporre per le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti, per come previsto dall’art. 221, co. 4, d.l. n. 34/2020; tale modalità di trattazione può essere adottata anche per le udienze in materia di separazione consensuale e di divorzio congiunto, nel caso in cui tutte le parti che avrebbero diritto a partecipare all’udienza vi rinuncino espressamente, come ammesso dall’art. 23, co. 6, d.l. n. 137/2020;
- la celebrazione con collegamento da remoto che il giudice può disporre per le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti e dagli ausiliari del giudice, per come previsto dall’art. 221, co. 7, d.l. n. 34/2020; in questi casi, il giudice può essere collegato anche da un luogo diverso dall’ufficio giudiziario (art. 23, co. 7, d.l. n. 137/2020);
- il giuramento telematico del c.t.u., con dichiarazione sottoscritta con firma digitale da depositare nel fascicolo telematico (in luogo dell’udienza all’uopo fissata), per come previsto dall’art. 221, co. 8, d.l. n. 34/2020;
- la possibilità per gli organi collegiali di assumere le deliberazioni in camera di consiglio mediante collegamenti da remoto, per come previsto dall’art. 23, co. 9, d.l. n. 137/2020;
-la decisione in camera di consiglio sui ricorsi proposti davanti alla Corte di Cassazione per la trattazione in udienza pubblica a norma degli articoli 374, 375, ultimo comma, e 379 del codice di procedura civile, senza l'intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, salvo che una delle parti o il procuratore generale faccia richiesta di discussione orale (art. 23, co. 8 bis, d.l. n. 137/2020); ció a meno che si tratti di procedimenti per i quali l'udienza di trattazione sia fissata tra il 1° agosto 2021 e il 30 settembre 2021 (deroga espressamente stabilita dal comma 2 dell’art. 7 d.l. n. 105/2021[1]);
- la possibilità di deposito telematico degli atti e dei documenti da parte degli avvocati nei procedimenti civili innanzi alla Corte di Cassazione, per come previsto dall’art. 221, co. 5, d.l. n. 34/2020;
- la possibilità del cancelliere di rilasciare in forma di documento informatico la copia esecutiva delle sentenze e degli altri provvedimenti dell’autorità giudiziaria di cui all’art. 475 c.p.c., previa istanza telematica dell’interessato, per come previsto dall’art. 23, co. 9 bis, d.l. n. 137/2020.
Conclusioni
Quella sancita con il d.l. in commento è l’ennesima proroga nell’arco di due anni.
Il piano vaccinale è a regime, l’evoluzione cromatica delle regioni segue una linea definita, mentre il processo civile dell’emergenza non ha ancora trovato un ordine.
I segni della titubanza istituzionale sono piuttosto evidenti: quattro distinte discipline processuali (in origine fu l’art. 2 d.l. n. 11/2020, poi venne l’art. 83 d.l. n. 18/2020, ancora il d.l. n. 34/2020 con l’art. 221 e da ultimo il d.l. n. 137/2020 con l’art. 23) finalizzate a regolare i medesimi istituti; variegate tecniche prorogative, scandite da plurimi e intricati rimandi normativi (si pensi al balletto intermittente dell’appiglio al termine dello stato di emergenza); appuntamenti di proroga trimestrali (dal d.l. n. 2 di gennaio al d.l. n. 44 di aprile, all’ultimo d.l. di luglio) e sempre quasi allo scadere (con buona pace degli operatori di giustizia che subiscono inerti l’improgrammabilità delle udienze).
Perraltro, a più di un anno dal varo delle modalità alternative di trattazione processuale, siamo qui a discutere del loro nuovo prolungamento di vita, senza sapere se avranno dignità di una pur minima stabilità.
Forse potrebbe avere senso rimetterne la possibilità di ricorso al giudice se vi è consenso delle parti (anche da manifestare in forma silenziosa, non depositando un atto di dissenso entro un dato termine).
Non si tratta certo di una grande ipotesi riformativa; ma sarebbe un tentativo per preservare quanto di buono può trarsi da strumenti processuali che tanto inutili non sono stati in questo periodo eccezionale.
Come sosteneva Carnelutti, le “nuove norme si affermano quasi sempre modestamente sotto forma di eccezioni”, e in esse possono addirittura nascondersi i germi della “evoluzione degli istituti giuridici”[2].
Per il momento, non ci resta che prorogare.
[1] Per un’analisi più specifica di questa previsione si veda Frasca R., “Brevi considerazioni sull’art. 7 del d.l. n. 105 del 2021 e la Cassazione Civile”, su Giustizia Insieme, 26.7.2021: https://www.giustiziainsieme.it/it/processo-civile/1884-brevi-considerazioni-sull-art-7-del-d-l-n-105-del-2021-e-la-cassazione-civile
[2] Carnelutti F., Infortuni sul lavoro, Studi, I, Athenaeum, Roma, 1913.
Proposta di riforma del processo in area famiglia, relazioni familiari e minorenni: un passo avanti condivisibile in the long, long way to il giusto processo minorile
di Maria Giovanna Ruo
Sommario: 1. Premessa - 2. La situazione di partenza: polverizzazione dei riti - 3. The long long way to il giusto processo minorile: l’insostenibile irragionevolezza del sistema attuale - 4. La filosofia di sistema della proposta di riforma.
1. Premessa
La Proposta di Riforma della Commissione Luiso e il maxiemendamento governativo al d.d.l. n. 1662/S/XVIII che dalla stessa trae le norme non senza qualche incomprensibile modifica) intervengono opportunamente nel processo di famiglia per emendarlo da alcune più macroscopiche criticità, aporie, lacune e contraddizioni.
Si delinea così una profonda riforma del sistema della tutela dei diritti in area persone, relazioni familiari e minorenni, la cui filosofia ispiratrice è condivisibile così come, a parte alcune perplessità, gli strumenti normativi individuati per attuarla.
La problematica situazione di partenza si trascina da decenni, nonostante le richieste di intervento dell’avvocatura specializzata e nonostante i richiami della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, in più di una sentenza di condanna dell’Italia per violazione dell’art. 8 CEDU (Diritto alla vita privata e familiare), da solo o in combinato disposto con gli artt. 6 (Diritto all’equo processo) e talvolta 13 (Diritto al ricorso effettivo) e 14 (Divieto di discriminazione), ha rilevato come il nostro Paese debba dotarsi di un arsenale giuridico adeguato[1]
L’attuale sistema processuale soffre infatti di una serie di gravi criticità -non emendabili se non con un profondo intervento strutturale- che si possono così sintetizzare: polverizzazione dei riti; inattuazione nei processi minorili del principio costituzionale del giusto processo per assenza delle piene garanzie costituzionali del contraddittorio e dei diritti di difesa delle parti che alimenta prassi distorsive; frantumazione delle competenze.
2. La situazione di partenza: polverizzazione dei riti
Non esiste infatti ad oggi un solo processo di famiglia: esistono più procedimenti che riguardano la materia familiare, sparsi tra codice civile, codice di rito, legislazione speciale, nel necessario quadro anche della normativa convenzionale (mi riferisco in particolare alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, 20.11.1989, rat. con l. 176/1991 e alla Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei minori, 25.01.1996, rat. con l. 77/2003, di cui la Corte Costituzionale ha sancito la precettività generale con sent. 83/2011) e della giurisprudenza della Corte di Strasburgo che, in forza dell’art. 117 Cost., costituiscono fonte interposta dell’ordinamento e parametro di costituzionalità e che, benché richiamate costantemente ormai da lustri dalle Corti Superiori, non ricevono sempre adeguata attenzione nelle decisioni di merito.
In concreto la pluralità di processi che possono interessare anche simultaneamente la crisi delle relazioni familiari di un nucleo familiare per i quali non può essere disposta la riunione in ragione delle differenze di rito, comporta dispersione di risorse, dilatazione dei tempi, possibile (o meglio probabile) accavallarsi di decisioni incoerenti, difformi o, peggio, divergenti e contraddittorie, costi inutili per l’erario, il che si risolve in spese e tempi insostenibili per le persone coinvolte che sono per lo più in condizioni di vulnerabilità: in parole povere diventa “giustizia negata”.
Emblematico quanto attualmente può succedere in casi di violenza domestica e di genere che coinvolgano anche figli di età minore: la vittima presenta denuncia-querela. Se vi sono minori coinvolti, grazie ai benemeriti protocolli che sono stati stipulati tra procure ordinarie e procure minorili, la situazione viene comunicata al Pubblico Ministero Minorile che potrà iniziare un procedimento ex artt. 330-336 c.c. dinanzi al Tribunale per i minorenni; la vittima di violenza può richiedere ordine di protezione in sede civile (artt. 342 bis e ter c.c: rito speciale ex art. 736 bis c.p.c.). Se la vittima è coniugata, può richiedere la separazione giudiziale dall’autore di violenza (rito disciplinato dall’art. 706 e sgg. c.p.c.): in tale contesto verranno anche tutelati i diritti dei figli minorenni alla genitorialità, alla stabile residenza, al mantenimento -anche dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente senza loro colpa- oltre ai diritti patrimoniali del coniuge vittima di violenza. Ma se invece la vittima non è coniugata dovrà chiedere che siano disciplinati gli identici diritti dei suoi figli minorenni in un procedimento disciplinato dal mero rito camerale (artt. 737 e sgg. c.p.c.) privo di garanzie perché disegnato per la volontaria giurisdizione. Sempre se la vittima non è coniugata e si trova nelle condizioni ai sensi della cd. Legge Cirinnà, dovrà richiedere gli alimenti per sé in ulteriore autonomo procedimento disciplinato invece dal rito ordinario. Il quadro si complica ulteriormente se vi sono figli maggiorenni non ancora autonomi senza loro colpa. La vittima di violenza -coniugata o no, in questo in identica posizione- potrà poi richiedere il risarcimento del danno in autonomo procedimento ordinario.
Quanti processi per un'unica situazione che coinvolge persone in condizioni di vulnerabilità? Quanti provvedimenti di quanti giudici con quale dispersione di tempi e costi? E così spesso, troppo spesso, si arriva ad accordi che tali non sono, ma una resa incondizionata della vittima che, dopo esserlo stato all’interno delle mura domestiche, lo è anche della irragionevolezza del sistema: e, sia detto per inciso ma non troppo, giunge persino il plauso del giudice di merito per aver superato “la conflittualità”. E sul misunterstanding tra conflittualità e violenza si rimanda alla spietata ma veritiera ma Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere comunicata alla Presidenza il 23 giugno 2021.
3. The long long way to il giusto processo minorile: l’insostenibile irragionevolezza del sistema attuale
The long long way to il giusto processo minorile, così intitolai un mio articoletto 11 anni fa[2]: era il 2010. A distanza di oltre un decennio il percorso di giurisdizionalizzazione del processo minorile tarda e compiersi, nonostante oggi sia largamente condiviso che i procedimenti minorili riguardino diritti personalissimi di rango costituzionale (artt. 2, 3, 30, 31 e 32 Cost.) di persone che, per l’età, si trovano in condizioni di particolare vulnerabilità e necessitano di tutela rafforzata e di piena attuazione delle garanzie costituzionali del giusto processo. Invece si tratta di procedimenti disciplinati dalle poche e scarne regole del procedimento camerale (artt. 737 e sgg. c.p.c.), insufficienti in tale materia a garantire il contraddittorio e i diritti di difesa di tutte le parti, in specie la persona di età minore che non può esservi rappresentata dai genitori suoi rappresentanti legali quando si trova in conflitto di interessi con loro, in specie -ma non solo- nei procedimenti che riguardano la cosiddetta area del pregiudizio disciplinati dagli artt. 330-336 c.c.
Tale ultima norma, che integra la disciplina camerale nei procedimenti cd. de potestate -che riguardano l’esercizio della responsabilità genitoriale così disfunzionale al miglior sviluppo psico-fisico del figlio minorenne, da recargli danno-, fu interessata dalla miniriforma di cui alla l. 149/2001. Fu all’epoca parzialmente riformulato l’art. 336 c.c: intenzione del legislatore era prevedere la necessità della difesa tecnica per genitori e minore, ma il tenore letterale della norma riformata è così ambiguo da aver necessitato oltre tre lustri per giungere alla pronuncia della Cassazione 5256/2018[3] che, riconoscendo immanente in questi casi il conflitto di interessi tra figlio minorenne e genitori suoi rappresentanti legali, ha previsto come necessaria la nomina di un curatore speciale. In ogni caso la norma non è sufficiente per garantire un procedimento a contraddittorio pieno, e sono proliferate -come purtroppo proliferano ancora- quelle che sono state definite “prassi distorsive”.
All’indomani dell’entrata in vigore dell’art. 111 Cost. nel testo novellato, la Corte di appello di Genova e la Corte di appello di Torino sollevarono una serie di questioni di costituzionalità sui procedimenti de potestate consistenti, in estrema sintesi, nell’assenza di contraddittorio pieno e di garanzie della difesa non solo per le parti adulte coinvolte ma anche per il minore. La Consulta, con la sentenza interpretativa di rigetto n. 1/2002, dichiarò inammissibili o non fondate le relative questioni, affermando però che il minore è parte di tali procedimenti e segnando con ciò l’inizio del percorso di giurisdizionalizzazione del processo minorile di cui fu tappa fondamentale anche la già ricordata sentenza della Consulta n. 83/2011 in materia di autonoma difesa e rappresentanza in giudizio del figlio minorenne nella fattispecie di cui all’art. 250. VI co., c.c. (autorizzazione al secondo riconoscimento).
Benché dopo le numerose pronunce succedutesi da allora non sia più lecito dubitare che il minorenne sia parte nei procedimenti che riguardano i suoi diritti fondamentali legati al suo status di figlio e alla relazione affettiva ed educativa con i genitori che, pur essendone rappresentanti legali, non possono rappresentarlo se in conflitto di interesse con lui; benché la Corte di Cassazione abbia disegnato con una serie di pronunce nel 2010[4][5] in tema di procedimento di adottabilità un paradigma interpretativo sulla necessità di nomina del curatore speciale[6]applicabile in altre fattispecie in cui si profili tale conflitto di interesse tra minore e suoi genitori; benché la Consulta abbia dichiarato la citata Convenzione di Strasburgo (che prevede la necessità di nomina di un rappresentante autonomo del minore, se del caso un avvocato -art. 9 lett. B) pienamente operativa nel nostro ordinamento; tuttavia nelle Corti di merito ancora il curatore speciale non viene sempre nominato anche nelle ipotesi in cui il conflitto di interessi[7] è palmare e anzi, quello che è forse ancora peggio, con disomogeneità anche in casi identici: in alcuni casi viene nominato, in altri, con identica contrapposizione di interessi, non viene invece nominato.
E tutto ciò nonostante la Cassazione abbia individuato una serie di fattispecie in cui il conflitto di interessi può effettivamente sussistere[8]: la nomina del curatore speciale sarebbe quindi necessaria in queste fattispecie, ma non avviene sempre. Da ultimo la condanna all’Italia da parte di Strasburgo anche per aver omesso la nomina del curatore speciale in un procedimento de potestate (Affaire R.B et. M c. Italie, req n. 41382/2019, 22 aprile 2021[9], appena divenuta definitiva).
Non solo: nei Tribunali per i minorenni persistono ulteriori prassi distorsive evocate dalle Autorità rimettenti nel lontano 2000. Non sempre i ricorsi presentati dal Pubblico Ministero Minorile che richiede ablazione o limitazione della responsabilità genitoriale vengono notificati ai genitori i quali si trovano coinvolti nel procedimento senza sapere perché; l’attività istruttoria viene frequentemente delegata ai giudici onorari, esperti in altre discipline (pedagogia, psicologia, neuropsichiatria, scienze sociali etc.) il cui apporto nel collegio è essenziale per individuare nel caso concreto quale sia the best interest of the child ma, proprio per la loro formazione professionale così distante da quella giuridica, non sempre in grado di disciplinare l’attività istruttoria.
Sopravvive un monstrum come il procedimento di allontanamento previsto dall’art. 403 c.c.. La norma legittima la Pubblica Autorità ad allontanare un minore dalla famiglia quando si trovi in una condizione di grave pericolo per la sua incolumità e a collocarlo “in un luogo sicuro sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione”. Un intervento così intrusivo della Pubblica Amministrazione nella vita privata e familiare delle persone è ammissibile solo in casi di emergenza e solo se il controllo giurisdizionale è immediato, vagliandone legittimità e fondatezza, stabilendo immediatamente percorsi di recupero per la genitorialità fragile e di assistenza psico-pedagogica mirata per il figlio minorenne allontanato, individuando le migliori modalità perché il legame affettivo venga conservato e mirando comunque al ricongiungimento. Ma così non è: nulla è previsto in tal senso, con violazione dei diritti fondamentali della persona di età minore e dei suoi genitori.
Così come non vi è ancora, a 8 anni dalla riforma sulla filiazione che avrebbe abolito ogni differenza di trattamento giuridico dei figli nati dentro o fuori dal matrimonio, un procedimento per stabilire affidamento, mantenimento, residenza, relazione con il genitore non prevalentemente convivente dei figli dei genitori non coniugati: viene applicato il rito camerale, con garanzie ovviamente minori di quelle previste nei procedimenti di separazione e divorzio. Non sempre vengono assunti i provvedimenti provvisori ed urgenti anche perché non sussiste una fase presidenziale e il tutto deve essere deciso dal Collegio con strutturale appesantimento dei tempi del procedimento le cui fasi non sono scandite e si può consumare anche in una sola udienza, se il giudice relatore non ritiene di accogliere le istanze istruttorie delle parti o di dare loro termine per articolarle. I procedimenti sono definiti con decreto invece che con sentenza, con tutte le ovvie conseguenze del caso.
Si potrebbe continuare a lungo: sono solo esempi dell’insostenibile irragionevolezza del sistema attuale.
3. Aporie e discriminazioni anche in ambito di negoziazione assistita dagli avvocati
Nemmeno la procedura di negoziazione assistita dagli avvocati, introdotta dal d.l. 132/2014, come modificato dalla l. 162/2014, è indenne da aporie e illogicità o da discriminazioni incomprensibili. Lo strumento, proprio in materia di crisi della coppia, ha avuto un discreto successo, anche per la sua duttilità; consente con snellezza di costruire accordi relativi alla fine della relazione coniugale includendo anche una serie di questioni che nella separazione consensuale sarebbero escluse per l’oggetto determinato del procedimento. Vengono così definiti nell’accordo negoziato anche tutta una serie di questioni che necessiterebbero di ulteriori procedimenti: oltre che accordi che definiscano il regime di comunione dei beni, di cui la separazione è una delle cause dello scioglimento della comunione dei beni ai sensi dell’art. 191 c.c. se tale era il regime patrimoniale tra i coniugi, anche tutte quelle transazioni mobiliari e immobiliari che definiscono la sistemazione dei patrimoni costruiti prima e durante la vita insieme: ad es. cessione di quote societarie, transazioni immobiliari e mobiliari a favore di terzi (figli di solito), restituzioni di beni, accordi per alienare a terzi parte del patrimonio comune etc. indipendentemente dal regime patrimoniale prescelto.
Ma l’art. 6 la prevede la possibilità di tale procedura solo in caso di separazione, divorzio e relative modifiche: quindi la limita alle questioni di crisi di coppia coniugale, ancorché nemmeno tutte: resta infatti esclusa la possibilità di definire con accordi negoziati anche il divorzio con una tantum per la necessità prevista dalla legge divorzile del vaglio di congruità del Tribunale (art. 5 l.div.).
E - manco a dirlo - ancora una volta resta esclusa la possibilità di definire con tale procedura i diritti dei figli dei genitori non coniugati in caso di crisi della relazione di questi che sono ancora obbligati, in caso di accordo, a presentare ricorso congiunto al Tribunale ordinario per ottenerne ratifica e sussunzione in un provvedimento che quantomeno possa avere natura di titolo esecutivo (procedimento in realtà non previsto dalla normativa, inventato dall’avvocatura e dalla magistratura “specializzate”, ma con diverse varianti nel territorio nazionale). E restano conseguentemente escluse anche tutte le questioni relative alla sistemazione patrimoniale delle coppie non coniugate, per quel che concerne una serie di questioni non dissimili a quelle sopra descritte per le coppie coniugate in separazione dei beni. Si tratta di un inutile appesantimento della giurisdizione e dei costi per le parti. Ugualmente sono esclusi i procedimenti relativi al mantenimento dei figli maggiorenni, e quelli per il riconoscimento degli alimenti. Le questioni relative al riconoscimento della quota di TFR per l’ex coniuge divorziato e di ripartizione della pensione di reversibilità.
Resta esclusa infine per tutte le questioni la fascia dei cittadini non abbienti in quanto non è attualmente previsto il patrocinio a carico dello Stato. Cosicchè i più poveri, per avere assistenza legale per raggiungere un accordo che disciplini la crisi della loro coppia e gli assetti futuri, debbono necessariamente ricorrere alla giurisdizione.
Tutto ciò non ha un senso, è irragionevole, tanto più che lo strumento nasce con espliciti intenti deflattivi: ma poi fallisce nell’individuare solo alcuni dei procedimenti che potrebbero essere definiti, lasciandone senza fuori un logico motivo, una larga fascia. Inutili fin ad ora gli appelli al legislatore dell’avvocatura specializzata e le mozioni congressuali approvate più volte.
4. La filosofia di sistema della proposta di riforma
La proposta di riforma muove dalla condivisibile consapevolezza della peculiarità del processo che riguardi l’area persona, relazioni familiari, minorenni. Si tratta infatti di procedimenti che riguardano diritti personalissimi e di rango costituzionale di soggetti in condizioni spesso di vulnerabilità, che mal tollerano preclusioni e decadenze. Anzi è necessario che il giudice possa esercitare, per la miglior tutela dei soggetti vulnerabili, poteri officiosi istruttori e decisori: insomma sono procedimenti che, per le caratteristiche dei diritti che ne sono oggetto, non possono che sottrarsi al principio della rispondenza tra chiesto e pronunciato.
Si tratta inoltre di procedimenti che non guardano al passato, non mirano a stabilire “torti e ragioni” come altri procedimenti civili, ma guardano al futuro per costruire, sulla base delle condizioni attuali (rebus sic stantibus), il miglior assetto delle relazioni familiari, personali, patrimoniali future in funzione di the best interest of the child che costituisce criterio preminente e determinante di giudizio.
Si tratta infine di procedimenti che hanno ad oggetto una materia esistenziale magmatica e in perenne divenire, che non è possibile cristallizzare all’inizio del procedimento. Persino i presupposti in fatto dei diritti patrimoniali dei soggetti adulti e pienamente capaci, non in condizioni di vulnerabilità, non possono essere fotografati come immutabili all’inizio del procedimento perché le condizioni personali e patrimoniali possono mutare anche durante il suo svolgimento: si perde il lavoro, si ha una promozione, si eredita o si fallisce.
Sono quindi inapplicabili discipline processuali che prevedano sistemi decadenziali, come il rito ordinario o, peggio, il rito del lavoro. Necessario disegnare un procedimento ad hoc che tenga conto della specificità della materia e che sia un rito unico, per consentire la concentrazione delle tutele in un unico procedimento per la decisione delle questioni che riguardano la stessa persona, le stesse relazioni familiari e gli stessi assetti patrimoniali senza quella dispersione di risorse, tempi, costi che l’attuale “polverizzazione” del sistema comporta.
Questa la condivisibile filosofia di sistema adottata dalla proposta di riforma: un rito per la persona e la famiglia, introdotto con ricorso in cui sono forniti tutti gli elementi in fatto e le prove documentali anche relative all’assetto patrimoniale di ciascuna delle parti; ma al contempo un procedimento privo di preclusioni e decadenze, salvo che per i diritti disponibili (che però, per quanto consta, come già illustrato, sono comunque soggetti a variazioni nel corso del processo. E questo appare a chi scrive uno degli elementi di criticità di quanto proposto, anche se è previsto un correttivo all’art. 15 bis lett. G del maxiemendamento governativo). Un rito che preveda la possibilità di assunzione immediata di provvedimenti provvisori e urgenti, perché si tratta di situazioni che non possono attendere lo svolgimento del processo per ricevere una prima disciplina che accompagni le parti durante il suo svolgimento; provvedimenti sempre revocabili e rivedibili e sempre reclamabili (occorrerebbe il rinvio al sistema dei procedimenti cautelari) in cui il contraddittorio sia pieno anche nei confronti del minore, rappresentato dal curatore speciale cui sono attribuiti anche poteri ad acta oltre che ad processum, da nominarsi dal giudice d’ufficio ogni qualvolta vi sia conflitto di interessi anche potenziale. Un processo fortemente diretto da un giudice relatore delegato dal collegio il quale assume provvedimenti provvisori ed urgenti, stabilisce le fasi del processo, ammette ed assume le prove, sempre in contraddittorio tra le parti, provocandolo anche quando le prove sono disposte d’ufficio. Viene eliminato l’attuale necessario dualismo tra i procedimenti di separazione e divorzio che possono essere unificati. Viene tenuta in debita considerazione la violenza domestica e di genere, che resta anzi l’unico motivo di addebito della separazione, con espresso riferimento alla Convenzione di Istanbul: il che fa ben sperare che tutte le forme di violenza, anche quella economica ivi espressamente prevista, vengano finalmente prese in considerazione. Un procedimento che valorizza la mediazione, ma la esclude appunto in tali casi, sintonicamente con tale Convenzione.
Analogamente vengono superate le aporie e discriminazioni in tema di procedura di negoziazione assistita dagli avvocati prima accennate.
Non che la proposta di riforma sia priva di criticità[10]: i rapporti tra relatore e collegio sono appena abbozzati (ma è legge delega); al giudice relatore viene attribuita una forse eccessiva discrezionalità nella direzione del processo e non sono individuati i diritti disponibili che sarebbero soggetti al sistema delle preclusioni e decadenze. Nei Tribunali per i minorenni è prevista la delega di determinati atti ai giudici onorari senza escludere gli incombenti istruttori (delega che è fonte, come già illustrato, di prassi distorsive). Non viene disciplinata l’esecuzione o attuazione dei provvedimenti in materia di relazioni personali del minore, che hanno guadagnato all’Italia varie condanne a Strasburgo [11].
Rimane il dualismo Tribunale per i minorenni/Tribunale ordinario e la pur migliorativa riformulazione dell’art. 38 disp, att. c.c. - che attrae i procedimenti de potestate alla competenza del giudice ordinario davanti al quale pendono procedimenti relativi alla crisi di coppia- non risolve il problema della frantumazione delle competenze. In tema negoziazione assistita non tutto è stato risolto.
Tuttavia il maxiemendamento governativo al d.d.l. n. 1662/S/XVIII in ambito processuale famiglia costituisce un decisivo passo avanti per una presa in carico olistica della crisi delle relazioni personali e familiari, che -nell’equo contemperamento degli interessi in gioco per dirla con la Corte di Strasburgo- apre anche la strada al decisivo e – ad avviso di chi scrive ma non solo[12]- ineludibile ulteriore obiettivo del giudice unico specializzato e più prossimo possibile per la persona, le relazioni familiari e i minorenni.
[1] Per le varie condanne all’Italia e agli altri Paesi per non avere un arsenale giuridico adeguato cfr. http://www.ceduincammino.it/cgi-bin/ceduincammino/cerca.cgi. Per L’Italia in particolare: cfr. Piazzi c. Italia, 1 febbraio 2010 http://www.ceduincammino.it/cgi-bin/ceduincammino/vscheda.cgi?i=MMAMEMPMKMLMZMXMFMDLAP; Lombardo c. Italia, 29 gennaio 2013 http://www.ceduincammino.it/cgi-bin/ceduincammino/vscheda.cgi?i=JJSJPJNJHVCJVJXJKSZHDV; Strumia c. Italia, 23 giugno 2016, http://www.ceduincammino.it/cgi-bin/ceduincammino/vscheda.cgi?i=SSJSPSBSYSZSMSISDJQIJI
[2] M. G. RUO, ‘The long, long way’ del processo minorile verso il giusto processo, in Il diritto di famiglia e delle persone, 2010, nr. 1, pp. 119-141.
[3] Cass. 5256/2018: È ravvisabile il conflitto di interessi tra chi è incapace di stare in giudizio personalmente ed il suo rappresentante legale ogni volta che l'incompatibilità delle rispettive posizioni sia anche solo potenziale, con conseguente necessità della nomina d'ufficio di un curatore speciale che rappresenti ed assista il minore.
Il minore è parte necessaria dei procedimenti de potestate che lo concernono, sicché, a pena di nullità, deve essere sempre rappresentato da un tutore o comunque da un curatore speciale, designato anche d'ufficio dal giudice (nella specie, il tutore provvisorio era stato designato dal tribunale per i minorenni solo all'esito del procedimento di primo grado, con il decreto con il quale aveva disposto, su istanza del pubblico ministero, la decadenza di entrambi i genitori dalla responsabilità genitoriale; decreto confermato in appello, con provvedimento cassato dalla Suprema corte, che ha rimesso il processo al giudice di primo grado perché provveda all'integrazione del contraddittorio nei confronti del minore).
[4] Le sentenze della Corte di Cassazione (3804 e 3805 e 7281/2010) configurarono la rappresentanza del minore nel procedimento di adottabilità secondo i seguenti principi :se è nominato un tutore -e questi non è in conflitto di interesse con il minore- sarà questi a rappresentare il minore nel processo e a essere difeso nella qualità da un avvocato, assicurando così al minore sin dall’inizio la difesa tecnica prevista dall’art. 8 l. 184/1983 come modificata dalla l. 149/2001;se è il tutore non è nominato, o si trova in conflitto di interessi con il minore, sarà nominato un curatore; sarà questi a rappresentare il minore nel processo e a essere difeso nella qualità da un avvocato assicurando al minore sin dall’inizio la difesa tecnica prevista dall’art. 8 l. 184/1983 come modificata dalla l. 149/2001; sia il tutore sia il curatore possono essere avvocati; in ogni caso le funzioni di rappresentanza e di difesa tecnica restano diverse anche se espletate dallo stesso soggetto; se il rappresentante del minore (tutore o curatore che sia) non nomina un difensore tecnico al minore, provvede il giudice a nominargli un avvocato d’ufficio. La Cassazione afferma che il minore è parte del procedimento, che le funzioni di rappresentante e avvocato sono diverse ma cumulabili nella stessa persona, così come d’altronde prevede la Convenzione di Strasburgo che agli artt. 4 e 9 afferma che il rappresentante del minore è, “se del caso, anche un avvocato” Cfr. anche sempre nel 2010 Cass. 19 luglio 2010, n. 16870; Cass., 14 luglio 2010, n. 16553; Cass., 14 giugno 2010, n. 14216; Cass. 11 giugno 2010, n. 14063; Cass., 19 maggio 2010, n. 12290).
[5] Cass. 12962/2016 individua i procedimenti di applicazione tradizionale o necessaria dell’istituto (adottabilità e azioni di stato persNel procedimento ablativo della responsabilità genitoriale anche il minore è parte necessaria e devono essere assicurati la difesa tecnica, il diritto all'audizione ed all'ascolto. Ragioni di effettività della tutela giurisdizionale impongono, poi, di nominare al figlio un curatore speciale, nei cui confronti instaurare il contraddittorio e, contro il provvedimento che definisce il giudizio, è ammesso il ricorso straordinario in Cassazione, per la sua idoneità ad incidere sulla sfera giuridica delle parti) in cui il conflitto di interessi è presunto ex lege ed altri in cui il conflitto di interessi va valutato caso per caso.
[6] Sul tema: Ciardi, https://www.giustiziainsieme.it/en/news/129-main/minori-e-famiglia/1767-il-curatore-speciale-del-minore-nel-conflitto-e-nella-relazione-di-cura-prospettive-di-riforma. Mi permetto di citare anche Ruo (a cura di), Autori: Attenni, Grazioli, Menicucci, Piazzoni, Ruo Il curatore del minore. Compiti, procedure, responsabilità. Maggioli, 2014, https://www.maggiolieditore.it/9788891603517-il-curatore-del-minore.html?gclid=Cj0KCQjw3f6HBhDHARIsAD_i3D_tIUjKfzCJIuMNzgqX4PIjHk5FAqzE4tsT6DaCQUFD53ciiShDQUcaAj7qEALw_
[7] Cass. 5256/2018: È ravvisabile il conflitto di interessi tra chi è incapace di stare in giudizio personalmente ed il suo rappresentante legale ogni volta che l'incompatibilità delle rispettive posizioni sia anche solo potenziale, con conseguente necessità della nomina d'ufficio di un curatore speciale che rappresenti ed assista il minore.
[8] Nell’adozione in casi particolari, la Cassazione non ritiene nell’adozione in casi particolari la nomina del curatore sia sempre necessaria, ma non la esclude l’applicabilità dell’istituto (Cass. 19.10.2011, n. 21651). Cass. 12962/2016 la ha però esclusa nel caso della compagna omosessuale della donna compagna della madre che aveva presentato ricorso –accolto- per l’adozione ai sensi dell’art. 44 lett. D) della bambina nata in Spagna da un progetto comune di genitorialità. Nell’autorizzazione al secondo riconoscimento ex art. 251, IV comma, la corte Costituzionale ha riconosciuto l’applicabilità dell’istituto con sent. 83/2011; il Tribunale per i minorenni di Brescia ha dato inizio alla corrente giurisprudenziale per cui si nomina il curatore speciale all’infrasedicenne genitore per richiedere l’autorizzazione al riconoscimento al Tribunale ordinario ai sensi dell’art, 250, ultimo comma, c.c.; adozione del maggiorenne, in rapresentanza dei figli minorenni dell’istante (Tr. Torino 5.08.2020 e Tr. Roma, 11.10.2016); nei procedimenti ex art. 317 bis c.c. relativi alla tutela della relazione del minorenne con i nonni (Cass. N. 5097/2014). Procedimenti relativi alla crisi della coppa genitoriale ad alta conflittualità (Cass. Cass. Ord. 11554/2018; e molte corti di merito)
[9] http://www.ceduincammino.it/cgi-bin/ceduincammino/vscheda.cgi?i=LLQLXLULZIYLALILDUPLKK
[10] Cfr. D’Alessandro, La riforma della giustizia civile secondo il Piano nazionale di ripresa e resilienza e gli emendamenti governativi al d.d.l. n. 1662/S/XVIII. Riflessioni sul metodo. Su questa rivista https://www.giustiziainsieme.it/it/processo-civile/1758-la-riforma-della-giustizia-civile-secondo-il-piano-nazionale-di-ripresa-e-resilienza-e-gli-emendamenti-governativi-al-d-d-l-n-1662-s-xviii-riflessioni-sul-metodo-di-elena-d-alessandro
[11] Ex multis, recentemente, oltre alla già ricordata R.B. e M.B. c. Italia, 22 aprile 2021, anche A.V.C. c. Italia, ric. 36936/2018, sent. 10 dicembre 2020 http://www.ceduincammino.it/cgi-bin/ceduincammino/vscheda.cgi?i=YYLYNYKYVCEYCYZYWKSKBR
[12] Cfr. mozione congiunta CAMMINO-ONDIF approvata a larghissima maggioranza (85,3%) al Congresso nazionale forense tenutosi a Roma il 23-24 luglio 2021, https://www.cammino.org/cammino-per-la-riforma-nellarea-persona-relazioni-familiari-e-minorenni/
La lesione dell’affidamento: i dubbi sulla giurisdizione e sulla tutela del privato (Nota a margine dell’ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria n. 3701 del 2021)
di Giorgio Capra
Sommario: 1. Il caso dinanzi alla Quarta Sezione e i quesiti rimessi alla Plenaria - 2. Il problema della giurisdizione sulla domanda risarcitoria da lesione dell’affidamento: il ragionamento della Sezione remittente - 3. La seconda e la terza questione rimesse all’Adunanza Plenaria: le condizioni per configurare un affidamento giuridicamente tutelabile e la colpa dell’Amministrazione - 4.1. Prime riflessioni a margine dell’ordinanza: in tema di giurisdizione… - 4.2. (segue) e in tema di affidamento e colpa dell’Amministrazione - 5. Rilievi conclusivi in attesa dell’Adunanza Plenaria.
1. Il caso dinanzi alla Quarta Sezione e i quesiti rimessi alla Plenaria
L’ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria si inscrive in una complessa vicenda di cui è necessario dare sommariamente conto. La pronuncia trae origine da una domanda risarcitoria proposta dinanzi al TAR Marche da un privato che lamentava di aver subito dei danni in conseguenza dell’annullamento giurisdizionale[1] degli atti di pianificazione urbanistica e dei titoli edilizi rilasciati dal Comune a favore del proprio dante causa. Inoltre, in sede di ottemperanza era stata dichiarata nulla[2] anche la successiva delibera del Consiglio comunale che, ritenendo di poter applicare l’art. 38 d.p.r. n. 380 del 2001, aveva riapprovato la variante annullata.
Nello specifico, la ricorrente – che aveva acquistato il terreno nelle more del giudizio sulla legittimità della variante urbanistica – deduceva a fondamento della propria domanda risarcitoria la lesione dell’affidamento dalla stessa riposto sulla legittimità degli atti emanati dall’Amministrazione.
Il TAR accoglieva il ricorso[3] e condannava il Comune al risarcimento del danno, quantificato nella differenza tra il prezzo pagato dalla ricorrente ed il valore agricolo del terreno nonché nelle spese di costruzione e demolizione dalla stessa sopportate. Infatti, nei giudizi aventi ad oggetto gli atti di pianificazione urbanistica ed i titoli edilizi, la sospensione cautelare del permesso di costruire[4] consentiva comunque la prosecuzione dei lavori fino al livello del piano di campagna.
Il Comune, non costituito in primo grado, appellava quindi la sentenza, lamentando, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e, nel merito, l’erroneità della pronuncia del TAR sotto due distinti profili: da un lato, il giudice di prime cure non avrebbe adeguatamente considerato il comportamento del privato, il quale avrebbe proceduto alla realizzazione delle opere nonostante pendesse un giudizio sul titolo edilizio; dall’altro, il TAR non avrebbe correttamente valutato il requisito della colpa in capo al Comune, nel caso concreto insussistente alla luce della complessità dell’iter amministrativo e giudiziario che aveva interessato, dapprima, la variante al piano regolatore generale e, poi, il permesso di costruire.
La Quarta Sezione investita dell’impugnazione ha rimesso all’Adunanza Plenaria la risoluzione di tre importanti questioni: in primo luogo, se della domanda con cui il privato chiede il risarcimento del danno derivante dall’affidamento dallo stesso riposto sulla legittimità del provvedimento amministrativo annullato giudizialmente debba conoscere il giudice amministrativo; in secondo luogo, in caso di risposta affermativa, quali siano i presupposti perché possa configurarsi un affidamento giuridicamente tutelabile; infine, in presenza di quali condizioni possa escludersi la colpa dell’Amministrazione.
L’ordinanza in commento è ricca di contenuti ulteriori rispetto a quelli che vengono qui presi in considerazione, cionondimeno si reputa opportuno soffermarsi esclusivamente sulla posizione dell’affidamento e sulla giurisdizione sulla domanda risarcitoria da lesione dello stesso per l’indubbia rilevanza che tali profili rivestono da un punto di vista di ricostruzione del sistema di tutela del privato nei confronti della Pubblica Amministrazione.
2. Il problema della giurisdizione sulla domanda risarcitoria da lesione dell’affidamento: il ragionamento della Sezione remittente
Come accennato, il primo quesito sottoposto all’attenzione dell’Adunanza Plenaria è quello relativo all’individuazione del giudice fornito di giurisdizione sulla domanda di risarcimento del danno proposta da un privato, avente causa del destinatario di una favorevole variante urbanistica, per i pregiudizi conseguenti all’annullamento giurisdizionale dell’atto di pianificazione e del conseguente permesso di costruire.
La Sezione ritiene opportuno investire la Plenaria in quanto la querelle appare tutt’altro che risolta, stante l’inesistenza di un univoco orientamento sul punto della Cassazione e del Consiglio di Stato. Del resto, il Collegio rileva che la risoluzione della questione non interessa solamente i casi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ma anche le controversie soggette alla giurisdizione generale di legittimità. Della centralità del problema è prova evidente che proprio la questione della giurisdizione sul danno da affidamento era stata già, poco più di due mesi prima dell’ordinanza in commento, rimessa all’esame della Plenaria[5].
La Sezione rimettente, prima di formulare il quesito, procede alla sintetica ricostruzione degli orientamenti emersi in giurisprudenza. Come noto, si contrappongono due indirizzi specularmente opposti: l’uno attribuisce la giurisdizione sulle controversie risarcitorie del ‘danno da affidamento’ al giudice ordinario, l’altro al giudice amministrativo.
Entrambi gli orientamenti muovono dall’assunto per cui la giurisdizione amministrativa è volta ad apprestare tutela contro l’agire pubblicistico dell’Amministrazione – e, quindi, presuppone che si controverta in ordine alla legittimità dell’esercizio del potere amministrativo in relazione alla lesione di un interesse legittimo – e che l’azione risarcitoria costituisce uno strumento ulteriore per rendere piena ed effettiva la tutela del cittadino nei confronti della P.A..
Invero, il primo indirizzo[6] attribuisce la giurisdizione al giudice ordinario sul presupposto che in tali casi la causa petendi dell’azione di risarcimento non sarebbe l’illegittimità del provvedimento: il danno, in altri termini, non sarebbe causalmente ricollegato all’illegittimo esercizio del potere, bensì alla lesione dell’affidamento dell’attore nella legittimità del provvedimento.
Il secondo orientamento[7], invece, afferma la giurisdizione del giudice amministrativo, tenuto conto che, a ritenere il contrario, si introdurrebbe una inversione logica tra causa petendi della domanda risarcitoria e illegittimità del provvedimento, ritenendo la prima non causalmente ricollegata all’annullamento del provvedimento. Inoltre, la tesi favorevole alla giurisdizione del giudice ordinario finirebbe con l’operare una non condivisibile distinzione nell’ambito dell’interesse legittimo pretensivo tra il conseguimento legittimo dell’atto ed il suo successivo mantenimento, trascurando del tutto la natura relazionale del nesso che si instaura tra Amministrazione e privato nel rapporto giuridico procedimentale.
Allontanandosi incidentalmente dalla pronuncia in commento, si reputa opportuno, al fine di meglio comprendere le critiche mosse dalla Sezione remittente all’indirizzo favorevole alla giurisdizione del giudice ordinario, riepilogare brevemente i principali nodi argomentativi sviluppati negli arresti inquadrabili nel primo indirizzo, partendo dall’analisi delle ordinanze gemelle del 2011 e, successivamente, delle pronunce nn. 17586 del 2015 e 8236 del 2020.
In particolare, le ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 motivano la sussistenza della giurisdizione ordinaria in ragione del fatto che, nel caso di danno da provvedimento amministrativo illegittimo favorevole annullato, in via di autotutela o all’esito di un giudizio, la parte che invoca una tutela risarcitoria non lamenterebbe “un esercizio illegittimo del potere consumato in suo confronto con sacrificio del corrispondente interesse sostanziale, ma la colpa che connota un comportamento consistito per contro nella emissione di atti favorevoli, poi ritirati per pronuncia giudiziale o in autotutela, atti che hanno creato affidamento nella loro legittimità e orientato una corrispondente successiva condotta pratica, poi dovuta arrestare”[8].
In sintesi: nel caso di danno da provvedimento favorevole illegittimo non potrebbe esservi giurisdizione del giudice amministrativo in quanto il danno, di cui il privato chiede il ristoro, non sarebbe causalmente ricollegato all’illegittimità dell’atto o del provvedimento amministrativo. L’indirizzo viene, poi, meglio specificato con la successiva, e meglio argomentata[9], ordinanza n. 17586 del 2015. Con tale pronuncia le Sezioni Unite, a seguito del vivace dibattito scaturito dopo le ordinanze del 2011, confermano la giurisdizione del giudice ordinario sulla base di due ulteriori argomenti.
In primo luogo, le Sezioni Unite ritengono che nel contenuto e nell’oggetto della situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo pretensivo rientrerebbe esclusivamente l’interesse positivo ad ottenere il provvedimento, mentre resterebbe fuori l’interesse a che l’Amministrazione provveda legittimamente[10]. Sicché, da un lato, con il rilascio del provvedimento favorevole illegittimo, l’interesse legittimo non potrebbe dirsi leso, e, dall’altro, dopo l’annullamento dello stesso disposto dal giudice o dall’Amministrazione in autotutela, l’interesse legittimo non potrebbe dirsi insoddisfatto illegittimamente.
Di conseguenza, l’impossibilità di riscontrare nel caso di specie una ingiusta lesione dell’interesse legittimo conduce le Sezioni Unite ad individuare in capo al privato una diversa situazione giuridica soggettiva: il danno patito dall’amministrato sarebbe ricollegato alla “lesione di una situazione di diritto soggettivo rappresentata dalla conservazione dell’integrità del suo patrimonio”[11].
Alla luce di questi due argomenti, la Cassazione esclude altresì che nelle materie di giurisdizione esclusiva di tali controversie possa conoscere il giudice amministrativo, posto che, in questi casi, non verrebbe in rilievo alcuna controversia sul potere dell’Amministrazione ma solamente una questione relativa alla “attitudine del pregresso esercizio del potere siccome sfociato nel provvedimento illegittimo a determinare come conseguenza causale l’insorgenza di un incolpevole affidamento del privato beneficiario nella permanenza della situazione di vantaggio”[12].
Le Sezioni Unite, da ultimo con l’ordinanza n. 8236 del 2020, hanno portato ‘a compimento’[13] l’indirizzo in esame, affermando la giurisdizione del giudice ordinario anche nel caso in cui l’affidamento non fosse ingenerato da un precedente provvedimento, bensì da un mero comportamento dell’Amministrazione.
Tale ultima pronuncia si segnala per due ulteriori ragioni: in primis, per l’affermazione che, nei casi di danno da affidamento, la lesione non discende dalla violazione delle regole pubblicistiche che disciplinano l’esercizio del potere amministrativo ma dalla violazione delle regole di diritto privato di correttezza e buona fede – la cui violazione non dà vita a invalidità ma a responsabilità – e, in punto di situazione giuridica soggettiva lesa, per la sostituzione della nozione di ‘diritto alla conservazione dell’integrità del patrimonio’ con un quella di ‘affidamento della parte privata nella correttezza della condotta della pubblica amministrazione’.
Riepilogate sinteticamente le ragioni della giurisprudenza favorevole alla giurisdizione del giudice ordinario e tornando all’ordinanza in commento, la pronuncia si segnala per le interessanti obiezioni mosse a tale indirizzo.
Infatti, la Sezione ritiene debba affermarsi in materia la giurisdizione del giudice amministrativo sulla base di tre argomenti.
Primo: la natura del ‘diritto all’affidamento’ e quella relazionale dell’interesse legittimo.
Il giudice rimettente ritiene che la situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo pretensivo esprima al contempo due posizioni: un interesse ‘sostanziale’, rappresentato dalla pretesa ad ottenere il ‘bene della vita’, e un interesse che viene definito ‘procedimentale’ a che il provvedimento venga emanato nel rispetto della legge. L’interesse legittimo non può essere ritenuto, utilizzando una locuzione tipica degli albori del diritto amministrativo, un interesse occasionalmente protetto, tutelato esclusivamente – e nei limiti in cui – ciò consenta di soddisfare l’interesse pubblico alla legalità dell’azione amministrativa.
Nella ricostruzione della Sezione, infatti, l’interesse legittimo è la posizione giuridica soggettiva correlata all’esercizio del potere amministrativo ed esso deve essere necessariamente riferito al rapporto, complessivamente inteso, tra richiedente e P.A.: risulterebbe artificioso sovrapporre a tale posizione giuridica soggettiva la diversa situazione sostanziale del ‘diritto all’affidamento’.
Ciò posto, la Sezione remittente vuole dimostrare che, nel caso di danno da provvedimento illegittimo favorevole, non potrebbe neanche configurarsi in astratto una lesione di un diritto soggettivo.
La lesione potrebbe, infatti, essere riferita unicamente ad un interesse legittimo in ragione del fatto che, una volta annullato l’atto abilitativo, verrebbe meno il diritto ad esso conseguente e, quindi, il soggetto che si era visto attribuito il provvedimento annullato, tornerebbe ad essere titolare di un mero interesse legittimo.
Secondo: la nozione di potere amministrativo e il ruolo del giudice amministrativo come giudice naturale dell’esercizio della funzione pubblica.
Ad avviso della Sezione rimettente, l’esercizio di un potere amministrativo si configura, non solo nel caso di diniego illegittimo di un atto amministrativo, ma altresì quando l’istanza venga assentita con un provvedimento illegittimo, con conseguente piena riconducibilità delle controversie de qua all’ambito dell’art. 7 c.p.a..
A tal proposito, il Collegio afferma espressamente che “la pretesa risarcitoria – quando si basa su quanto è accaduto in sede di esercizio del potere amministrativo ‘autoritativo’ o nel corso del procedimento amministrativo’ – non è riconducibile ad un comportamento o a una condotta di rilievo privatistico o svolta in via di mero fatto […] ma si duole dell’esercizio del potere amministrativo, disciplinato dal diritto pubblico”[14] sotto gli aspetti oggettivo, soggettivo e funzionale. In questi casi, la domanda risarcitoria non si basa sulla illiceità di un comportamento ma sull’emanazione – anche se illegittima – del provvedimento amministrativo.
Terzo: incompatibilità con il criterio di riparto della giurisdizione previsto dall’art. 103 della Costituzione.
Assegnando la giurisdizione al giudice ordinario, si introdurrebbero dei criteri di riparto della giurisdizione non compatibili con il dettato costituzionale. E ciò, sia a ritenere che vi sarebbe lesione dell’interesse legittimo – e quindi giurisdizione del giudice amministrativo – solo laddove il provvedimento sia stato illegittimamente negato e non anche nel caso in cui sia stato illegittimamente rilasciato; sia ad aderire alla tesi per cui, nel caso di danno da affidamento, le regole violate avrebbero natura privatistica – in quanto riconducibili ai principii di buona fede e correttezza – e le controversie in materia dovrebbero essere conosciute esclusivamente dal giudice ordinario.
Invero, si finirebbe per veicolare un criterio di riparto basato, nell’un caso, sul carattere satisfattivo o meno del provvedimento e, nell’altro, sulla natura privatistica ovvero pubblicistica delle regole violate, il che, non solo contrasta apertamente con l’art. 103 Cost., ma anche con il principio di concentrazione delle tutele che governa il processo amministrativo.
3. La seconda e la terza questione rimesse all’Adunanza Plenaria: le condizioni per configurare un affidamento giuridicamente tutelabile e la colpa dell’Amministrazione
Nel caso in cui l’Adunanza Plenaria dovesse affermare la giurisdizione del giudice amministrativo, la Sezione ritiene debba essere altresì chiarito in presenza di quali condizioni possa insorgere un affidamento giuridicamente rilevante, anche in relazione al fattore temporale.
Il Collegio sostiene che non si potrebbe riconoscere al privato un affidamento risarcibile in tutti i casi in cui il provvedimento amministrativo favorevole sia stato poi annullato, ma dovrebbe sempre tenersi conto delle peculiarità della fattispecie concreta, da apprezzarsi caso per caso, alla luce delle vicende occorse nell’ambito del procedimento amministrativo.
A ritenere diversamente, infatti, qualsivoglia affidamento del privato potrebbe essere posto a fondamento di una domanda risarcitoria.
La Sezione, a questo punto, procede a richiamare i passaggi logico-argomentativi della precedente ordinanza di rimessione n. 2013 del 2021, distinguendo due orientamenti: un primo indirizzo, più restrittivo, secondo cui la sentenza di annullamento del provvedimento amministrativo illegittimo, avendo acclarato la non spettanza del bene della vita, determinerebbe l’assenza del danno ingiusto e, conseguentemente, l’irrisarcibilità dell’affidamento; un secondo indirizzo che, invece, non nega a priori la tutelabilità dell’affidamento nel caso di provvedimento annullato in sede giurisdizionale, ma condiziona la domanda risarcitoria del privato alla dimostrazione di stringenti requisiti quali la colpa dell’amministrazione, il danno subito dall’istante e il nesso di causalità.
Il Collegio ritiene espressamente che gli esiti interpretativi del primo orientamento siano maggiormente condivisibili.
In particolare, affinché vi sia un affidamento tutelabile, occorre che il privato, oltre a versare in una situazione di buona fede ed assenza di colpa, ritenga di avere titolo a conseguire o mantenere un bene della vita[15]. Sul punto, la Sezione precisa che non si potrebbe configurare un affidamento giuridicamente tutelabile non solo nel caso in cui il provvedimento sia stato annullato giudizialmente, posto che in tale caso sarebbe accertata la non spettanza del bene della vita, ma anche qualora l’illegittimità del provvedimento poteva essere riscontrata dallo stesso beneficiario.
Tale conclusione sarebbe imposta sia alla luce del principio di autoresponsabilità, per cui chi propone un’istanza non accoglibile non può chiedere alcun risarcimento, sia in quanto si verrebbero a determinare inaccettabili conseguenze con riguardo all’assetto del potere di autotutela: l’Amministrazione, in quanto esposta a conseguenze risarcitorie, potrebbe temere di esercitare il proprio potere di secondo grado.
Inoltre, la Sezione rimettente ritiene che nel caso di specie si dovrebbe escludere un affidamento risarcibile: lo stesso potrebbe essere ravvisato solo a condizione che sia trascorso un adeguato lasso di tempo dal conseguimento del provvedimento, tale da ingenerare una ragionevole un’aspettativa alla sua conservazione. Il requisito temporale, invero, difficilmente potrebbe essere soddisfatto nel caso in cui il provvedimento ampliativo venga immediatamente impugnato da un controinteressato.
La terza ed ultima questione rimessa all’Adunanza Plenaria è volta, poi, a chiarire le condizioni in presenza delle quali si possa escludere la colpa dell’Amministrazione.
Nel caso sub judice, infatti, non potrebbe dirsi sussistente la colpa del Comune, in quanto l’annullamento dei provvedimenti sarebbe in concreto dipeso non dalla superficialità dell’Amministrazione nella fase di emanazione dei permessi di costruire, ma esclusivamente per la complessa vicenda amministrativa e giudiziaria riguardante la variante urbanistica; sicché dovrebbe escludersi la rimproverabilità dell’agire dell’Amministrazione e, con essa, la risarcibilità del danno.
4.1. Prime riflessioni a margine dell’ordinanza: in tema di giurisdizione…
L’ordinanza di rimessione appare condivisibile laddove sostiene le ragioni dell’attribuzione alla giurisdizione amministrativa delle controversie in tema di danno da affidamento.
Sin dal 2011, la dottrina giuspubblicistica ha evidenziato – pur con diversità di posizioni[16] – le criticità dell’indirizzo volto ad attribuire la giurisdizione al giudice ordinario. E, a testimonianza di un proficuo dialogo tra accademia e giurisprudenza, gli argomenti utilizzati dalla Sezione rimettente per sostenere le ragioni della giurisdizione del giudice amministrativo sembrano recepire le riflessioni della dottrina.
Il primo argomento utilizzato dalla Sezione rimettente è quello relativo alle posizioni giuridiche soggettive che vengono in rilievo nel rapporto con l’Amministrazione. È un argomento che, nonostante la perdurante difficoltà nel delineare le nozioni di interesse legittimo e di affidamento, dà l’opportunità di inquadrare il problema in un’ottica più generale: v’è, infatti, il serio rischio che la figura del danno da lesione dell’affidamento del cittadino nei confronti dell’Amministrazione, così come ricostruita dalla Cassazione, “manc[hi] di un reale fondamento sistematico e si confond[a] con altre ipotesi, ricondotte al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi”[17].
Come accennato, la questione viene impostata dalla Sezione rimettente nei seguenti termini: l’interesse legittimo è la posizione che si correla all’esercizio del potere, l’interesse legittimo pretensivo esprime sia l’interesse ‘sostanziale’ all’ottenimento del bene della vita, sia l’interesse ‘procedimentale’ a che il provvedimento sia emanato seguendo il procedimento previsto dalla legge. La natura sostanziale, e non meramente processuale, della posizione di interesse legittimo renderebbe improprio sovrapporre a tale situazione giuridica soggettiva la diversa figura dell’affidamento.
Date queste premesse, il ragionamento della Sezione appare pregevole ma non del tutto lineare.
Deve essere necessariamente condiviso nella parte in cui afferma la natura relazionale dell’interesse legittimo. L’interesse legittimo è, infatti, la posizione giuridica soggettiva che si confronta con il potere amministrativo[18] e la relazione che si viene ad instaurare tra il potere e l’interesse legittimo non può che dare luogo ad un particolare rapporto giuridico[19], regolato dal diritto pubblico.
Ed è proprio alla luce della particolare natura della relazione che si instaura tra Amministrazione e privato che non risulterebbe sistematicamente corretto introdurre all’interno di una tale dinamica pubblicistica una diversa situazione di diritto soggettivo, avente ad oggetto il comportamento dell’Amministrazione da un punto di vista prettamente privatistico.
Il ragionamento, invece, appare non del tutto lineare laddove il giudice remittente, ponendo l’accento sia sull’aspetto ‘sostanziale’ sia su quello ‘procedimentale’ dell’interesse legittimo, sembra aderire all’opzione interpretativa che riconduce all’interno della nozione di interesse legittimo, oltre all’interesse all’ottenimento del bene della vita, anche la pretesa alla legittimità dell’agire della pubblica amministrazione. Se questa è la ricostruzione fatta propria dalla Sezione – secondo la tesi già autorevolmente sostenuta da Carlo Emanuele Gallo a margine dell’ordinanza n. 17586 del 2015[20] – se ne dovrebbe logicamente dedurre che il rilascio di un provvedimento favorevole ma illegittimo leda non un diritto soggettivo[21], ma direttamente la posizione di interesse legittimo del privato, con conseguente e obbligata attribuzione della controversia de qua alla giurisdizione del giudice amministrativo.
A questo punto, però, non si comprende la ragione per cui la Sezione abbia ritenuto necessario approfondire la questione, soffermandosi sulla impossibilità di rinvenire diritti soggettivi nelle vicende in cui vengono in rilievo danni da affidamento. L’assenza di diritti soggettivi viene motivata in base alla circostanza per cui, una volta annullato l’atto abilitativo, non sarebbe più configurabile il diritto ad esso conseguente e l’originario richiedente tornerebbe ad essere titolare di un mero interesse legittimo.
Sembra che la Sezione, per superare la giurisdizione del giudice ordinario, avverta la necessità di escludere in concreto la presenza di diritti soggettivi.
In realtà, la controversia dovrebbe spettare alla giurisdizione del giudice amministrativo non tanto per l’impossibilità di riscontrare diritti soggettivi in conseguenza dell’annullamento dell’atto abilitativo, ma, piuttosto, perché non può ragionevolmente ritenersi che l’interesse legittimo pretensivo esprima esclusivamente l’interesse al conseguimento del provvedimento e non anche l’interesse alla sua conservazione.
Del resto, il privato che entra in relazione con l’Amministrazione non solo vuole che la stessa gli riconosca il provvedimento favorevole, ma ha anche un interesse alla stabilità del provvedimento, a mantenerlo una volta ottenuto[22]. Sicché l’annullamento del provvedimento favorevole illegittimo, disposto all’esito di un giudizio amministrativo, lede non un diritto soggettivo all’integrità del patrimonio o un diritto all’affidamento ma direttamente l’interesse legittimo pretensivo del privato. E la lesione dell’interesse legittimo – più che riconducibile all’illegittimità del provvedimento favorevole – sembra determinata dal fatto che la rimozione del provvedimento si riverbera direttamente sull’interesse alla stabilità dello stesso.
Gli altri argomenti richiamati dalla Sezione per affermare la giurisdizione del giudice amministrativo sono quelli relativi al collegamento della controversia con il potere amministrativo e all’incompatibilità dei criteri di riparto derivanti dall’attribuzione della giurisdizione al giudice ordinario con il dato costituzionale.
Com’è noto, l’art. 103 Cost. stabilisce che il criterio di riparto della giurisdizione sia quello della situazione giuridica soggettiva che viene in rilievo: assegna al giudice ordinario le controversie in materia di diritti soggettivi e alla giurisdizione del giudice amministrativo la tutela degli interessi legittimi. La Corte costituzionale ha ulteriormente chiarito che la natura delle materie devolute alla giurisdizione generale di legittimità “è contrassegnata dalla circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino dinanzi al giudice amministrativo”[23]. La presenza e l’esercizio del potere autoritativo sono, dunque, indicatori della presenza di una situazione di interesse legittimo[24], la cui tutela anche risarcitoria è assegnata alla giurisdizione del giudice amministrativo[25].
La Sezione rimettente, del tutto condivisibilmente, ritiene che le controversie relative al danno da affidamento siano riconducibili all’esercizio del potere, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo.
Del resto, questo profilo era stato evidenziato, sin dal 2011, dalla migliore dottrina che ha affermato che “il provvedimento favorevole giustamente annullato è comunque espressione del potere pubblico”[26] e che la tesi della Cassazione “non convince in quanto la controversia è pur sempre collegata all’esercizio di poteri nel quale l’Amministrazione è presente come autorità”[27].
È, infatti, del tutto evidente che tra gli atti di esercizio di un potere amministrativo rientrano non solo il diniego illegittimo di un atto amministrativo ma, altresì, l’assenso ad un’istanza per mezzo di un provvedimento illegittimo[28]. Affermare che la giurisdizione spetterebbe al giudice ordinario in quanto la causa pretendi del risarcimento risiede “non nel cattivo esercizio del potere amministrativo, bensì, […] in un comportamento (nel cui ambito l'atto di esercizio del potere amministrativo - provvedimentale o adottato secondo moduli convenzionali - rileva come mero fatto storico) la cui illiceità venga dedotta prescindendo dal modo in cui il potere è stato (o non è stato) esercitato e venga prospettata come violazione di regole comportamentali di buona fede e correttezza alla cui osservanza è tenuto qualunque soggetto, sia esso pubblico o privato”[29] sarebbe del tutto improprio.
E ciò a tacer del fatto che l’attribuzione al giudice ordinario delle controversie relative al ‘danno da affidamento’ si accompagna, inevitabilmente, alla prospettazione di criteri di riparto che sembrano inconciliabili con l’art. 103 Cost. così come interpretato dalla Corte costituzionale. A tale risultato si perviene, sia nel caso in cui la giurisdizione venga fatta dipendere dalla satisfattività o meno del provvedimento, sia nel caso in cui si ritenga che la lesione derivi “dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede, di diritto privato, cui si deve uniformare il comportamento dell’Amministrazione”[30]. Nel primo caso, si verificherebbe una frantumazione della giurisdizione anche in relazione a vicende unitarie, perché un provvedimento satisfattivo per il destinatario potrebbe non esserlo con riferimento alla posizione dei terzi[31] e viceversa; nel secondo, si opererebbe un’artificiosa differenziazione, sezionando “in due parti un procedimento che si presenta unitario e orientato, nella sua destinazione, all’interesse pubblico e che non sembra poter essere scisso, a tal punto da determinare l’osservanza di regole differenti aventi diversa destinazione”[32].
4.2. (segue) e in tema di affidamento e colpa dell’Amministrazione
Affrontato il tema della giurisdizione, è ora possibile soffermarsi sulla ricostruzione dell’affidamento proposta nella ordinanza in commento.
Come accennato, la Sezione rimettente muove dalle affermazioni per cui il mero annullamento di un provvedimento favorevole non potrebbe, di per ciò solo, essere posto a base di una domanda risarcitoria e che, affinché possa dirsi sussistente un affidamento, occorrerebbe sempre tenere conto delle peculiarità del caso concreto.
Partendo da questa prima considerazione, la Sezione sviluppa il suo ragionamento, che è in parte non del tutto lineare e in parte solleva alcune perplessità.
Appare ambiguo nella parte in cui, richiamata la precedente ordinanza di rimessione n. 2013 del 2021 e i due orientamenti in tema di danno da affidamento in caso di annullamento giurisdizionale del provvedimento favorevole, ma illegittimo, il Giudice ritiene di accogliere l’indirizzo più restrittivo, secondo il quale, una volta acclarata, con la sentenza di annullamento del provvedimento, la non spettanza del bene della vita, dovrebbe escludersi sia l’ingiustizia del danno che, conseguentemente, la sua risarcibilità[33]. Infatti, non sembra possibile sostenere che la accertata non spettanza del bene della vita escluda il risarcimento e, contemporaneamente, che il mero annullamento non possa, di per sé solo, essere posto a base della domanda risarcitoria, dovendosi valutare le circostanze del caso concreto. Se, infatti, l’annullamento giurisdizionale del provvedimento esclude l’ingiustizia del danno, non possono – neanche astrattamente – configurarsi particolari circostanze occorse nell’iter procedimentale che consentano di fondare un affidamento giuridicamente tutelabile.
Il Collegio, quindi, pur dichiarando di aderire all’orientamento restrittivo, sembra discostarsene laddove procede, poi, alla disamina dei requisiti della posizione di affidamento per suggerirne la insussistenza nel caso di specie. A prescindere dal fatto che non ci si avvede della ragione per cui, accolta la tesi che nega la tutela risarcitoria del legittimo affidamento in caso di annullamento giurisdizionale del provvedimento favorevole, il Collegio si soffermi nella ricostruzione della posizione di affidamento, gli esiti interpretativi cui la Sezione rimettente perviene suscitano talune perplessità.
Com’è noto, affinché possa insorgere una posizione di affidamento devono sussistere congiuntamente tre requisiti[34]: uno di carattere soggettivo, consistente nella buona fede e nell’assenza di colpa dell’amministrato; uno di carattere oggettivo, nel senso che l’affidamento deve trovare la propria fonte in un provvedimento o in un comportamento tenuto dall’Amministrazione; e uno temporale, nel senso che l’aspettativa alla stabilità deve essere ritenuta tanto più forte quanto maggiore sia il tempo trascorso.
Ebbene, con riferimento al requisito c.d. soggettivo, la Sezione ritiene che “per aversi affidamento giuridicamente tutelabile in capo al privato, occorra che questi – in buona fede e senza sua colpa – ritenga di avere titolo al conseguimento o alla conservazione di un bene della vita”[35].
Se non può che concordarsi su questa affermazione, non essendo possibile che l’ordinamento tuteli l’interesse – maturato colposamente o, addirittura, in mala fede[36] – alla conservazione del provvedimento favorevole, appaiono discutibili gli approdi successivi.
Il Giudice, infatti, ritiene condivisibile la deduzione difensiva per cui chi si avvale di un provvedimento tempestivamente impugnato lo fa ‘a suo rischio e pericolo’: non potrebbe sussistere un affidamento risarcibile quando il beneficiario dell’atto, dopo l’impugnazione ad opera di un controinteressato, ritenga di effettuare spese che ragioni di prudenza imporrebbero di evitare. La Sezione prosegue affermando che tale principio dovrebbe rilevare a maggior ragione quando l’interessato abbia cominciato l’attività sulla base di una d.i.a./s.c.i.a. e poi il giudice abbia ravvisato l’insussistenza dei relativi presupposti, censurando la mancanza di provvedimenti repressivi dell’amministrazione.
Queste considerazioni, oltre a porsi in contrasto con il principio di presunzione di legittimità dei provvedimenti amministrativi, nonché con la regola per cui, in pendenza di giudizio e in assenza di misura cautelare di sospensione[37], il provvedimento amministrativo continua ad essere pienamente efficace, rischiano di rappresentare un vero e proprio boomerang sulla ripresa economica, specie a seguito della crisi pandemica.
Se, in ragione della impugnazione avverso il provvedimento favorevole, la tutela risarcitoria dell’affidamento venisse esclusa de plano – sulla base della circostanza che l’operatore economico accorto, in una ottica prudenziale, non dovrebbe effettuare spese – si verificherebbero conseguenze non certo auspicabili. Infatti – a portare alle naturali conseguenze l’affermazione della Sezione – sembra che la semplice proposizione di un ricorso giurisdizionale da parte di un soggetto controinteressato valga a determinare una sorta di surrettizia sospensione dell’efficacia del provvedimento: non v’è operatore economico che – a seguito del ricorso di un controinteressato – si accollerebbe, per tutto il tempo necessario a definire il giudizio, il rischio di effettuare spese di importi anche considerevoli laddove, sopraggiunto l’annullamento, verrebbe a trovarsi privo di tutela.
In sostanza, in presenza di un ricorso proposto avverso il provvedimento ampliativo rilasciato a proprio favore, l’operatore economico non intraprenderebbe alcuna attività giacché la risarcibilità del proprio interesse alla stabilità del provvedimento sarebbe sic et simpliciter esclusa, a prescindere da qualsiasi valutazione in concreto della vicenda.
La criticità di siffatta interpretazione del requisito soggettivo dell’affidamento è tanto più grave laddove il Giudice ritiene che una simile soluzione si imporrebbe, a maggior ragione, per le attività avviate a seguito di segnalazione certificata di inizio attività. E ciò, non solo in quanto le norme di liberalizzazione “celano in realtà l’ingiusto trasferimento dalle amministrazioni ai privati delle responsabilità della ricerca e della lettura delle regole applicabili alle singole fattispecie”[38], ma soprattutto perché tale ricostruzione del requisito soggettivo – se intesa nel senso di escludere la tutela dell’affidamento nel caso in cui l’istanza di sollecitazione dei poteri di controllo dell’Amministrazione sia stata proposta dal controinteressato dopo sessanta giorni dalla presentazione della segnalazione – renderebbe definitivamente la s.c.i.a. uno strumento del tutto inadeguato ai fini del superamento dei regimi autorizzatori ex ante. Dal disposto dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, infatti, sembra emergere che il segnalante debba sopportare il rischio che la propria attività possa essere vietata, inibita o sospesa, esclusivamente per i sessanta giorni successivi alla presentazione dell’istanza. Trascorso quel momento – e stante la fondamentale diversità dei presupposti dell’esercizio dei poteri di controllo dopo i sessanta giorni – deve potersi ammettere, in linea generale, che il segnalante possa maturare un affidamento sulla stabilità del titolo.
Con riferimento al requisito oggettivo, la Sezione osserva che non potrebbe configurarsi un affidamento giuridicamente tutelabile ogniqualvolta il richiedente abbia presentato un’istanza non assentibile. Nel ragionamento del giudice, affermare che il beneficiario del provvedimento annullato possa chiedere il risarcimento del danno significherebbe esonerarlo dalle conseguenze di tale illegittimità: anzi ne trarrebbe vantaggio in relazione alla possibilità di ottenere il ristoro economico dall’Amministrazione[39].
Anche sotto tale profilo, la ricostruzione proposta suscita alcune perplessità.
L’Amministrazione, lungi dall’essere un soggetto incapace per il quale l’ordinamento deve apprestare una particolare tutela[40], occupa una posizione che genera di per sé un affidamento – lato sensu inteso – in capo ai cittadini[41], vieppiù quando riscontra l’istanza del privato con un provvedimento espresso.
Del resto, subordinare la tutela dell’affidamento alla assentibilità dell’istanza e, quindi, alla spettanza del bene della vita, pone un rilievo critico difficilmente superabile: si andrebbe, infatti, a risarcire non l’affidamento ma, direttamente, l’interesse al bene della vita.
Infine, con riferimento all’elemento temporale, si può in linea di massima condividere il principio affermato dalla Sezione, per cui l’affidamento necessita di un certo lasso di tempo per consolidarsi e difficilmente, nel caso di provvedimento favorevole tempestivamente impugnato dal controinteressato, tale requisito potrebbe dirsi integrato.
Tuttavia, occorre osservare come la valutazione circa la sufficienza dell’elemento temporale per maturare un affidamento debba essere, comunque, effettuata alla luce della fattispecie concreta, considerando anche gli altri due elementi: non si dovrebbe negare una tutela risarcitoria dell’affidamento sul solo presupposto dell’esiguità del lasso temporale intercorso dall’emanazione del provvedimento favorevole.
Analizzato il tema della posizione di affidamento è ora possibile soffermarsi brevemente sull’argomento della colpa dell’Amministrazione, oggetto della terza questione rimessa all’Adunanza Plenaria.
In merito si può condividere quanto sostenuto dalla Sezione rimettente: la colpa dell’Amministrazione ben potrebbe non sussistere nel caso in cui il danno sia imputabile alla particolare complessità della vicenda amministrativa.
5. Rilievi conclusivi in attesa dell’Adunanza Plenaria
L’ordinanza in commento rimette alla Plenaria alcune questioni connesse ad un tema complesso e, al contempo, fondamentale nella ricostruzione del sistema di tutela del privato nei confronti dell’Amministrazione, e lo fa sia sotto il profilo della giurisdizione sull’azione risarcitoria da lesione dell’affidamento, sia con riguardo alla ricostruzione di tale posizione sul piano sostanziale.
Sotto il profilo della giurisdizione, non può non auspicarsi che l’Adunanza Plenaria confermi la giurisdizione amministrativa nelle controversie relative al danno da affidamento. Si sono sopra evidenziate le convincenti ragioni che impongono tale soluzione: la giurisdizione del giudice ordinario rischia di non essere sostenibile sotto il profilo sistematico, svalutando la connessione delle controversie con il potere amministrativo e introducendo criteri di riparto che sembrano avulsi da quello previsto dall’art. 103 della Costituzione.
Venendo, invece, alla posizione di affidamento sembra che la ricostruzione proposta dalla Sezione sia eccessivamente restrittiva. È opportuno che la Plenaria si esprima sul punto in modo da non impedire a priori la tutela contro i danni patrimoniali sopportati dall’amministrato che abbia confidato nella stabilità del provvedimento amministrativo. In particolare, i requisiti oggettivo, soggettivo e temporale dovrebbero essere valutati sempre in concreto, alla luce delle vicende del caso specifico. In altri termini: sarebbe opportuno considerare i tre requisiti non come dei compartimenti stagni, bensì come dei vasi comunicanti in grado di compensarsi a vicenda. Dovrebbe, quindi, riconoscersi un affidamento suscettibile di ristoro anche nel caso in cui il provvedimento favorevole, seppur tempestivamente impugnato, sia stato accompagnato da un contegno dell’Amministrazione volto a rassicurare il privato circa la legittimità dello stesso, così da sopperire all’esiguo lasso di tempo entro cui l’affidamento in questione si è consolidato.
Con riferimento alla terza questione rimessa alla Plenaria, pur dovendosi concordare, in linea di principio, con le argomentazioni della Sezione, occorrerà che il giudice amministrativo applichi tale scusante in modo rigoroso ed equilibrato. È, infatti, evidente che riconoscere sic et simpliciter l’assenza di colpa dell’Amministrazione per errore scusabile determinerebbe un vuoto di tutela a danno dell’amministrato.
Infine, corre l’obbligo di rilevare che nell’economia complessiva dell’ordinanza sembrano non essere stati adeguatamente valorizzati due rilevanti elementi del caso concreto: da un lato, la ricorrente aveva acquistato il terreno quando era già pendente il ricorso giurisdizionale per l’annullamento dell’atto di pianificazione – situazione ben diversa rispetto a quella in cui versa il destinatario originario del provvedimento favorevole impugnato – e, dall’altro, successivamente all’annullamento della variante urbanistica e del permesso di costruire, era intervenuta una delibera di riapprovazione della variante, finalizzata alla sanatoria delle opere edilizie ex art. 38 d.p.r. n. 380 del 2001.
Se la prima circostanza, insieme con la sospensione cautelare dei provvedimenti impugnati, potrebbe far ritenere insussistente l’elemento soggettivo dell’affidamento[42], alla luce del fatto che non può certo definirsi non colposo il contegno di chi acquista un terreno edificabile sulla base di una variante urbanistica tempestivamente impugnata, il sopravvenire della ‘sanatoria’ introduce un elemento di ulteriore complicazione, potendo – in astratto – fondare un affidamento distinto rispetto a quello maturabile sul permesso di costruire.
Non sembra che la questione sia risolvibile unicamente sulla base del criterio della spettanza del bene della vita.
Infatti, da una parte, in difetto della reintrodotta variante, si potrebbe dubitare della sussistenza, oltre che dell’elemento soggettivo, anche dell’elemento oggettivo su cui maturare un affidamento. Questo dubbio riporta alla annosa questione della trasmissibilità dell’interesse legittimo[43] e non è certo questa la sede per soffermarsi su un argomento che presenta profili di indubbia complessità. Tuttavia, si deve evidenziare che, eccezion fatta per la voltura[44] del permesso di costruire, in assenza della nuova variante la ricorrente non avrebbe avuto direttamente alcun ‘rapporto amministrativo’ con il Comune, in quanto sia la prima variante urbanistica che il titolo edilizio impugnati erano stati rilasciati a favore del suo dante causa[45].
D’altra parte, la ricorrente aveva comunque ottenuto la ‘sanatoria’ e, quindi, si tratterà di valutare se, ed in che termini, il contegno dell’Amministrazione comunale, insieme agli altri requisiti, avrebbe potuto integrare un affidamento giuridicamente rilevante.
[1] Annullamento avvenuto con sentenza TAR Marche, sez. I, 1.8.2011, n. 630 e confermato con sentenza Cons. St., sez. IV, 19.6.2014, n. 3114.
[2] Con sentenza TAR Marche, sez. I, 8.10.2015, n. 698.
[3] Cfr. TAR Marche, sez. I, 6.5.2020, n. 268.
[4] Concessa con ordinanza TAR Marche, sez. I, 8.7.2010, n. 444 e confermata con ordinanza Cons. St., sez. IV, 29.9.2010, n. 4458.
[5] Con ordinanza Cons. St., sez. II, 9.3.2021, n. 2003. Per un commento all’ordinanza si rinvia a C. Napolitano, Risarcimento e giurisdizione. Rimessione alla plenaria sul danno da provvedimento favorevole annullato in www.giustiziainsieme.it, 2020.
[6] Come noto l’indirizzo ha preso avvio dalle ordinanze Cass., SS.UU., 23.3.2011, nn. 6594, 6595 e 6596 – su cui si veda la relazione al convegno svoltosi presso l’Università di Roma Tre l’11 maggio 2011, intitolato “L'azione risarcitoria nei confronti delle pp.AA. e l'eterno dibattito sulle giurisdizioni”, di F. Patroni Griffi, L’eterno dibattito sulle giurisdizioni tra diritti incomprimibili e lesione dell’affidamento in Foro amm. TAR, 2011, 9, LXVII, nonché M.A. Sandulli, Il risarcimento del danno nei confronti delle pubbliche Amministrazioni: tra soluzione di vecchi problemi e la nascita di nuove questioni in Federalismi.it, 2011, 7, 1 e ss. – ed è stato successivamente confermato con ordinanze Cass., Sez. Un., 4.9.2015, n. 17586; 22.5.2017, n. 12799; 22.6.2017, n. 15640; 23.1.2018, n. 1654; 2.3.2018, n. 4996; 24.9.2018, n. 22435; 13.12.2018, n. 32365; 19.2.2019, n. 4889; nonché, da ultimo con ordinanze Cass., Sez. Un.,28.4.2020, n. 8236 e 22.1.2021, n. 615. Anche il Consiglio di Stato ha aderito a questo indirizzo, sul punto, si vedano: Cons. St., sez. V, 27.9.2016, n. 3997; Id., sez. IV, 25.1.2017, n. 293; Id., 20.12.2017, n. 5980; Id., sez. VI, 13.8.2020, n. 5011.
[7] In particolare, si vedano: ordinanze Cass., Sez. Un., 21.4.2016, n. 8057 e 29.5.2017, n. 13454 nonché Cons. St., sez. V, 23.2.2015, n. 857; TAR Abruzzo, sez. I, 20.6.2012, n. 312.
[8] cfr. punto n. 3 di Cass. civ., Sez. Un., ord. 23.3.2011, n. 6596.
[9] C.E. Gallo, La lesione dell’affidamento sull’attività della Pubblica Amministrazione in Dir. Proc. Amm., 2016, 2, 564.
[10] Questa è la ricostruzione dell’interesse legittimo autorevolmente sostenuta da Franco Gaetano Scoca. Sul punto, funditus, si veda: F.G. Scoca, L’interesse legittimo. Storia e teoria, Torino, 2017.
[11] Cfr. il punto n. 8.3 dell’ordinanza delle Sezioni Unite n. 17586 del 2015.
[12] Così sempre il punto n. 8.3 dell’ordinanza delle Sezioni Unite n. 17586 del 2015.
[13] G. Tropea, A. Giannelli, Comportamento procedimentale, lesione dell’affidamento e giurisdizione del g.o. Note critiche in www.giustiziainsieme.it, 2020.
[14] Cfr. il punto n. 28.8 dell’ordinanza in commento.
[15] Secondo la Sezione, non potrebbero dirsi sussistenti gli estremi per configurare un affidamento tutelabile, non solo, nel caso in cui il privato abbia dolosamente o colpevolmente indotto in errore l’Amministrazione, ma anche laddove la sua pretesa non sia conforme al quadro ordinamentale e non possa, quindi, essere assentita. Si vedano i punti nn. 33.1 e 33.7 della ordinanza in commento.
[16] A favore della giurisdizione del giudice amministrativo si sono, negli anni, espressi: R. Villata, F.G. Scoca, C.E. Gallo, A. Travi. Si distingue la posizione di M.A. Sandulli, Il risarcimento del danno nei confronti delle pubbliche Amministrazioni: tra soluzione di vecchi problemi e la nascita di nuove questioni in Federalismi.it, 2011, 7, 11; per cui la giurisdizione dovrebbe spettare al giudice amministrativo “almeno nelle materie di giurisdizione esclusiva”.
[17] Così A. Travi, Il giudice amministrativo come risorsa? in Questione Giustizia, 2021, 1, 27. La mancanza di reale fondamento sistematico della figura citata e la confusione con altre ipotesi di risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi è stato un profilo su cui si è ampiamente soffermata la dottrina amministrativistica. Sul punto, si vedano: M. Mazzamuto, La Cassazione perde il pelo ma non il vizio: riparto di giurisdizione e tutela dell’affidamento in Dir. Proc. Amm., 2011, 2, 899-900, per cui la Cassazione, nel delineare un diritto all’affidamento sulla legittimità dell’atto amministrativo, in realtà sta configurando “un a pretesa al corretto svolgimento dell’azione amministrativa, cioè una posizione che si confronta con l’esercizio del potere, e che dunque non può non dare luogo, secondo le correnti qualificazioni, che ad un interesse legittimo”; A. Travi, Annullamento del provvedimento favorevole e responsabilità dell’amministrazione in Foro it., 2011, I, 2398, in cui “l’utilità della figura dell'affidamento non deve andare a detrimento della possibilità di identificare una ordinaria situazione soggettiva di interesse legittimo (esattamente come non vi è bisogno di scomodare la figura dell'affidamento, per ammettere il risarcimento nel caso di violazione di obbligazioni contrattuali)”; C.E. Gallo, La lesione dell’affidamento sull’attività della Pubblica Amministrazione in Dir. Proc. Amm., 2016, 2, 569; G.P. Cirillo, La giurisdizione sull’azione risarcitoria autonoma a tutela dell’affidamento sul provvedimento favorevole annullato e l’interesse alla stabilità dell’atto amministrativo in Riv. giur. ed., 2016, 5, 484, per il quale “la Cassazione sembra volersi ritagliare uno spazio di giurisdizione in questioni che sono chiaramente di interessi legittimi” .
[18] Il rapporto tra potere e interesse legittimo è riconosciuto da tutta la letteratura. Sia da coloro che sostengono che l’interesse legittimo sia una posizione giuridica soggettiva sostanziale strumentale (su tutti: F.G. Scoca, Interesse legittimo: storia e teoria, Torino, 2017, passim) sia da coloro che sostengo la tesi c.d. finale (su tutti G. Greco, Il rapporto amministrativo e le vicende della posizione del cittadino in Dir. Amm., 2014, 4, 585) sia, infine, dalla Scuola che riconduce l’interesse legittimo ad un diritto di credito (su tutti: L. Ferrara, Statica e dinamica dell’interesse legittimo: appunti in Dir. amm., 2013, 475; Id., Le ragioni teoriche del mantenimento della distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo e quelle del suo superamento in Dir. Pubbl., 2019, 3, 725).
[19] Tale relazione è stata espressamente definita dall’Adunanza Plenaria n. 7 del 2020 in termini di ‘rapporto amministrativo’. Di ‘rapporto amministrativo’ parlano apertamente anche: M. Nigro, Ma che cos’è questo interesse legittimo in Foro it., 1997, V, 469, per cui v’è “un contatto amministrazione-privato che non si esaurisce nel momento di sintesi autorità-libertà, costituita e espressa dall’atto amministrativo, ma si prolunga nel tempo prima e oltre quel momento […] un rapporto amministrativo perché non si saprebbe come definire altrimenti questo contatto durevole in cui si manifestano da una parte e dall’altra poteri, soggezioni, oneri, aspettative, ecc.”; F.G. Scoca, Interesse legittimo: storia e teoria, Torino, 2017, 458 e G. Greco, Il rapporto amministrativo e le vicende della posizione del cittadino in Dir. Amm., 2014, 4, 589.
[20] C.E. Gallo, La lesione dell’affidamento sull’attività della Pubblica Amministrazione in Dir. Proc. Amm., 2016, 2, 564 e ss.
[21] E ciò a prescindere dal fatto che lo stesso venga ricostruito come diritto all’integrità del patrimonio, come nell’ordinanza n. 17856/2015, o diritto all’affidamento, come da ultimo sostenuto dalle Sezioni Unite con l’ordinanza n. 8236/2020.
[22] Cfr. F.G. Scoca, L’interesse legittimo cit., pag. 466-467 e G.P. Cirillo, La giurisdizione sull’azione risarcitoria autonoma a tutela dell’affidamento sul provvedimento favorevole annullato e l’interesse alla stabilità dell’atto amministrativo in Riv. giur. ed., 2016, 5, 495.
[23] Cfr. il punto n. 3.2. della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004.
[24] F. Caringella, Il riparto di giurisdizione in www.giustizia-amministrativa.it, 2008.
[25] Sui ‘rischi’ che la tutela risarcitoria comporta per il giudice amministrativo si veda F. Francario, Interesse legittimo e giurisdizione amministrativa: la trappola della tutela risarcitoria in Questione Giustizia, 2021, 1, 133 e ss.
[26] M.A. Sandulli, Il risarcimento del danno nei confronti delle pubbliche Amministrazioni: tra soluzione di vecchi problemi e la nascita di nuove questioni in Federalismi.it, 2011, 7, 11.
[27] R. Villata, «Lunga marcia» della Cassazione verso la giurisdizione unica («Dimenticando» l’art. 103 della Costituzione)? in Dir. Proc. Amm., 2013, 1, 349.
[28] M. Mazzamuto, La Cassazione perde il pelo ma non il vizio: riparto di giurisdizione e tutela dell’affidamento in Dir. Proc. Amm., 2011, 2, 898-899; sostiene che all’origine dell’affidamento vi è comunque un provvedimento e, ai fini del riparto, “poco importa che questo sia stato annullato, così come poco importa che si sia trattato un provvedimento illegittimo «favorevole»” mentre “ciò che conta è che l’azione dell’amministrazione, la si qualifichi come si preferisce (atto o comportamento), rimanga pur sempre da collegare, immediatamente o mediatamente, all’«esercizio» del potere pubblico”. Per F.G. Scoca, Il processo amministrativo ieri, oggi, domani (brevi considerazioni) in Dir. Proc. Amm., 2020, 4, 1103; con riferimento, però all’ordinanza n. 8236 del 2020 (che, come accennato, ha assegnato alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia risarcitoria anche nel caso in cui l’affidamento sia maturato non su un previo provvedimento ma su un comportamento della P.A.), ha affermato – con un ragionamento a maiori ad minus estensibile anche al caso di cui occupa – che la Cassazione erroneamente ritiene “vi sia esercizio del potere solo con l’adozione del provvedimento e non nel corso del procedimento, con l’adozione, o non adozione, degli atti endoprocedimentali, o anche con assunzione di comportamenti significativi [e, quindi,] non vede il collegamento (se si vuole indiretto, ma forse anche diretto) tra l’affidamento e l’esercizio del potere, appunto, nel corso del procedimento”.
[29] cfr. il punto 27.2. dell’ordinanza n. 8236/2020 cit..
[30] cfr. il punto n. 26.1 dell’ordinanza n. 8236 del 2020 cit.. Cfr. G. Tropea - A. Giannelli, Comportamento procedimentale, lesione dell’affidamento e giurisdizione del g.o. Note critiche in www.giustiziainsieme.it, 2020 che hanno evidenziato come “l’iter prodromico all’esercizio (o al non esercizio) di un potere non possa essere privato della sua prima materia pubblicistica, e dunque derubricato alla stregua di un mero comportamento materiale”.
[31] Sul punto si veda: M. Mazzamuto, op. cit., 906 e C.E. Gallo, op. cit., 575.
[32] A. Di Majo, La responsabilità pre-contrattuale della Pubblica Amministrazione tra tutela dell’interesse pubblico e privato in Riv. giur. ed., 2020, 4, 2, 291.
[33] Sulla criticità di questa interpretazione si veda C. Napolitano, Risarcimento e giurisdizione. Rimessione alla plenaria sul danno da provvedimento favorevole annullato in www.giustiziainsieme.it, 2021. L’A. ha altresì rilevato una contraddittorietà nel ragionamento della Sezione rimettente laddove, in controversia del tutto analoga a quella che ha dato avvio all’ordinanza in commento, il Giudice, da un lato, “sostiene la connessione del danno al potere amministrativo per richiamare a sé la giurisdizione” e, dall’altro, “sembra negare la risarcibilità del danno [sul presupposto che] non sussisterebbe il comportamento tipico che fonda la lesione dell’affidamento legittimo per ius commune ovvero per la violazione del divieto di venire contra factum proprium”.
[34] Da ultimo, si veda, anche se con riferimento ad una fattispecie relativa all’autotutela, la sentenza Cons. St., sez. III, 8.7.2020, n, 4392 in cui il Giudice afferma “affinché un affidamento sia legittimo è necessario un requisito oggettivo, che coincide con la necessità che il vantaggio sia chiaramente attribuito da un atto all’uopo rivolto e che sia decorso un arco temporale tale da ingenerare l’aspettativa del suo consolidamento, e un requisito soggettivo, che coincide con la buona fede non colposa del destinatario del vantaggio (l’affidamento non è quindi legittimo ove chi lo invoca versi in una situazione di dolo o colpa)”. In dottrina, nel fondamentale testo di F. Merusi, Buona fede e affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni “trenta” all’“alternanza”, Milano, 2001, 127; si definisce l’affidamento come “una situazione giuridica soggettiva caratterizzata da un’aspettativa generata dall’altrui comportamento (che può essere anche inerzia) e tutelata dal principio di buna fede che, in questo caso, prescrive che il successivo comportamento dell’affidante sia coerente con quello che, in precedenza, ha generato l’altrui fiducia”.
[35] Cfr. punto n. 33.1. dell’ordinanza in commento.
[36] Ad esempio, nel caso di provvedimento ictu oculi illegittimo.
[37] Che, si ricorda, nel caso sub judice era stata concessa, pur consentendo la prosecuzione dei lavori fino al livello del piano di campagna.
[38] M.A. Sandulli, La “risorsa” del giudice amministrativo in Questione Giustizia, 2021, 1, 39. Sul tema della liberalizzazione e dei rischi derivanti per il privato si rinvia a: M.A. Sandulli, La “trappola” dell’art. 264 del dl 34/2020 (“decreto Rilancio”) per le autodichiarazioni. Le sanzioni “nascoste”, in Giustizia insieme, 2 giugno 2020 nonché a M.A. Sandulli, La semplificazione della produzione documentale mediante le dichiarazioni sostitutive di atti e documenti e l’acquisizione d’ufficio, in Id. (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, Milano, 2020.
[39] Secondo le argomentazioni già contenute nella sentenza Cons. St., sez. V, 29.10.2014, n. 5346, in cui: “nel caso di proposizione di una domanda non accoglibile, il ‘bene della vita’ non spetta ab origine e il successivo annullamento del titolo abilitativo illegittimamente formatosi non consente di chiedere un risarcimento del danno per la perdita di un quid sostanzialmente non spettante” e, quindi, “non può […] dolersi del danno chi – per una qualsiasi evenienza e con un provvedimento espresso, ovvero a seguito di un silenzio assenso o una s.c.i.a. – abbia ottenuto un titolo abilitativo presentando un progetto oggettivamente non assentibile: in tal caso il richiedente sotto il profilo soggettivo ha manifestato quanto meno una propria colpa (nel presentare il progetto assentibile solo contra legem) e sotto il profilo oggettivo attiva con efficacia determinante il meccanismo causale idoneo alla verificazione del danno”.
[40] Come sembra emergere dal punto 33.7 dell’ordinanza in commento laddove si legge che “il controinteressato soccombente […] vanta indubbiamente una pretesa risarcitoria nei confronti del progettista che ha elaborato la domanda, la quale è accolta (de plano o previ accertamenti) perché l’Amministrazione la ha considerata attendibile, ‘fidandosi’ del titolo professionale di chi la ha predisposta”. L’ordinanza, sempre al punto 33.7, afferma che in questi casi sarebbe esclusivamente responsabile il progettista: “il controinteressato soccombente – a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale del titolo – vanta indubbiamente una pretesa risarcitoria nei confronti del progettista che ha elaborato la domanda”.
[41] E. Casetta, Buona fede e diritto amministrativo in L. Garofalo (a cura di), Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del convegno internazionale di studi in onore di Alberto Burdese, I, Padova, 2003, 380.
[42] Come ha ritenuto – estendendo impropriamente tale principio anche alla posizione dell’originario destinatario del provvedimento – la Sezione al punto n. 34.2. dell’ordinanza in commento.
[43] In dottrina, si rinvia ai già citati F.G. Scoca, Interesse legittimo. Storia e teoria, Torino, 2017, 468-475; G. Greco, Il rapporto amministrativo e le vicende della posizione del cittadino in Dir. Amm., 2014, 4, 616-625; nonché ad A. Nicolussi, Diritto soggettivo e rapporto giuridico. Cenni di teoria generale tra diritto privato e diritto pubblico, in A. Travi (a cura di), Colloquio sull’interesse legittimo, Napoli, 2014, 76 e ss..
[44] Che, comunque, è atto vincolato. Sul punto, si vedano, ex multis: Cons, St., sez. VI, 20.10.2014, n. 5159; TAR Sicilia, Catania, sez. III, 22.10.2020, n. 2736; Id., sez. I, 15.2.2007, n. 276; Cass. civ., sez. un., 22.10.2003, n. 15812.
[45] In questa ipotesi, ben diverso sarebbe stato se la ricorrente avesse ricevuto rassicurazioni dal Comune circa la legittimità della variante e del titolo edilizio rilasciati al suo dante causa oppure se la stessa – acquistato il terreno dopo che l’atto di pianificazione e il titolo edilizio fossero divenuti inoppugnabili – fosse stata destinataria di un annullamento d’ufficio, casi in cui – a rigore – dovrebbe riconoscersi un affidamento giuridicamente rilevante.
Mahienour El-Masry: difendere ad ogni costo i diritti umani in Egitto prima e dopo la “rivoluzione del Nilo”
di Federico Cappelletti
Sommario. 1. Premessa. La difesa dei diritti umani in Egitto oggi: una missione ad alto rischio - 2. Mahienour el-Masry e la libertà ritrovata dopo 665 giorni di carcerazione preventiva - 2.1. Le tappe della persecuzione giudiziaria iniziata nel 2014 - 3. Avvocati per i diritti umani perseguitati ed uccisi in Egitto a causa dell’esercizio della professione - 4. L’intervento delle istituzioni e della comunità forense internazionali a sostegno degli avvocati egiziani ingiustamente perseguitati - 5. Conclusioni. Dedicato a tutte le anime e gli esseri coraggiosi.
1. Premessa. La difesa dei diritti umani in Egitto oggi: una missione ad alto rischio
I casi di Giulio Regeni e Patrick George Zaky - che hanno scosso l’opinione pubblica italiana ed internazionale disvelando ai più come gli abusi di potere e le violazioni di diritti umani in danno di attivisti, studenti, ricercatori e oppositori del governo siano all’ordine del giorno - incarnano il paradigma delle modalità con le quali si esplica ai giorni nostri la repressione del dissenso in Egitto.
Giulio Regeni, giovane ricercatore italiano che frequentava il dottorato in Studi dello Sviluppo presso l’Università di Cambridge, fu sequestrato la sera del 25 gennaio 2016 al Cairo e ritrovato cadavere la mattina del 3 febbraio successivo sopra un cavalcavia nel deserto fra il Cairo ed Alessandria, con il corpo completamente sfigurato, la pelle marchiata da bruciature di sigaretta, le ossa di polsi, spalle e piedi frantumate[1].
Patrick George Zaky, ricercatore egiziano e studente del Master internazionale in Studi di genere all’Università di Bologna, il 7 febbraio 2020 è stato arrestato all’aeroporto del Cairo dove era atterrato dall’Italia per una breve vacanza in famiglia. Di lui si sono perse le tracce per quasi 24 ore durante le quali sarebbe stato interrogato subendo torture arrecategli con scosse elettriche e percosse, tuttavia, in modo da non lasciare tracce sul suo corpo. Da un anno e mezzo a questa parte è detenuto in custodia cautelare per i reati di “istigazione a proteste e propaganda di terrorismo sul proprio profilo Facebook”[2].
I rapporti annuali tanto di organizzazioni internazionali[3], quanto delle rappresentanze diplomatiche in Egitto[4], segnalano, infatti, tra le violazioni significative in tema di diritti umani uccisioni illegali o arbitrarie, comprese le esecuzioni extragiudiziali da parte del governo o dei suoi agenti; sparizioni forzate; tortura e casi di trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti da parte delle autorità; condizioni carcerarie dure e tali da mettere a repentaglio la vita stessa dei detenuti; detenzioni arbitrarie o per fini politici; rappresaglie a sfondo politico contro individui situati fuori dal paese; interferenze arbitrarie o illegali nella privacy; gravi restrizioni alla libertà di espressione, alla stampa e a internet, tra cui arresti o procedimenti giudiziari nei confronti di giornalisti, censura, blocco dei siti; sostanziali interferenze con i diritti di riunione pacifica e la libertà di associazione, come le leggi eccessivamente restrittive che regolano le organizzazioni della società civile; restrizioni alla partecipazione politica; violenza contro persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali e uso della legge per arrestarle e perseguirle arbitrariamente. Viene, altresì, evidenziato come i funzionari che hanno commesso abusi, sia nei servizi di sicurezza che altrove nell’apparato di governo, siano stati puniti o perseguiti in modo incoerente. Nella maggior parte dei casi, non sono state condotte indagini esaustive sulle accuse di violazioni dei diritti umani, compresa la maggior parte degli episodi di violenza da parte delle forze di sicurezza, contribuendo, così, a generare un clima di impunità.
Tra i difensori dei diritti umani vittime della repressione figurano anche molti appartenenti al ceto forense fra i quali l’avvocata Mahienour el-Masry, che più volte è stata privata della libertà personale a causa dell’indefesso impegno profuso per la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali.
2. Mahienour el-Masry e la libertà ritrovata dopo 665 giorni di carcerazione preventiva
Nel pomeriggio di domenica 18 luglio 2021 le agenzie di stampa hanno rilanciato la notizia, pubblicata sui social media dalla sorella, della tanto inattesa quanto desiderata scarcerazione di Mahienour el-Masry, rinomata avvocata ed attivista dei diritti umani egiziana di Alessandria, che, a dispetto dei suoi 35 anni, è da tempo un punto di riferimento nel suo Paese per la difesa dei diritti dei lavoratori, delle donne e dei rifugiati.
Era detenuta dal 22 settembre 2019, quando tre agenti di polizia in borghese l’avevano tratta in arresto e rinchiusa in un minivan fuori dalla sede della tristemente nota Procura Suprema di Sicurezza dello Stato[5], nel quartiere del Quinto Insediamento del Cairo, dove si trovava per assistere diversi suoi clienti arrestati durante le proteste scoppiate in tutto il paese il 20 e 21 settembre 2019 volte a chiedere le dimissioni del presidente Abdel Fattah al-Sisi. Nel corso di tali manifestazioni sono state incarcerate decine di persone - minorenni inclusi - oltre a giornalisti, avvocati e membri dei partiti politici di opposizione, in una vera e propria ondata di repressione della società civile[6].
Successivamente è stata interrogata dal Procuratore supremo per la sicurezza dello Stato nell’ambito del procedimento penale n. 488/2019, relativo alle accuse di “aiutare un gruppo terroristico a raggiungere i suoi obiettivi” e “diffondere notizie false”, per aver preso parte alle proteste del marzo 2019 scatenate da un incidente ferroviario mortale al Cairo che aveva provocato la morte di 25 persone e decine di feriti. A seguito dell’incombente, il Procuratore aveva ordinato la sua detenzione cautelare nel carcere femminile di Al-Qanater, ove, allo scoppio della pandemia da COVID-19, si vedeva revocare dalle autorità il permesso di inviare lettere alla famiglia.
Il 30 agosto 2020 è stata sottoposta ad indagini in un nuovo procedimento penale (n. 855/2020) con l'accusa di “adesione ad un’organizzazione terroristica” insieme ad altri difensori dei diritti umani, avvocati e giornalisti, come Esraa Abdelfattah, Solafa Magdy e Mohamed el-Baqer.
2.1. Le tappe di una persecuzione giudiziaria iniziata nel 2014
Quella appena descritta, purtroppo, non è che l’ultima tappa di una vera e propria persecuzione giudiziaria in atto nei suoi confronti, dato che dal 2014, suo malgrado, è entrata ed uscita più volte dal carcere a causa del suo attivismo per i diritti umani e dell’esercizio legittimo dei suoi diritti alla libertà di espressione e di riunione pacifica.
La polizia l’ha arrestata una prima volta il 12 aprile 2014 mentre si trovava in un negozio di abbigliamento nel distretto di Mohram Bey ad Alessandria.
Il 2 gennaio 2014, infatti, era già stata condannata in contumacia alla pena di due anni di reclusione ed alla multa di 50 mila sterline egiziane per aver violato la legge n. 107 del 2013 - che vieta di riunire 10 o più persone senza un permesso rilasciato dalle autorità[7] - aggressione alle forze di sicurezza e blocco del traffico, in relazione agli eventi accaduti il 2 dicembre 2013 quando l’avvocata el-Masry aveva preso parte ad una manifestazione pacifica di solidarietà dinnanzi al Tribunale di Alessandria ove si stava svolgendo la quarta udienza del processo per omicidio di Khaled Saeed, figura emblematica della rivoluzione del 25 gennaio 2011, rapito in un internet cafe e torturato a morte da due poliziotti a Sidi Gaber il 6 giugno 2010[8].
Il processo di primo grado è stato celebrato nuovamente in sua presenza e la condanna inflittale in absentia è stata confermata il 20 maggio 2014 dal Tribunale penale di Sidi Gaber ad Alessandria dopo aver rigettato la richiesta dei difensori di rinviare il processo.
Il 20 luglio 2014, la Corte d'appello ha ridotto la pena detentiva a 6 mesi e confermato nel resto.
Nel corso della carcerazione ha rifiutato qualsiasi amnistia a meno che non fosse abrogata la legge contro le manifestazioni ed ha evidenziato l’incongruenza ed il paradosso della situazione che si trovava a vivere riassunto efficacemente dalle sue stesse parole: “Abbiamo protestato per abbattere un sistema politico e giudiziario e ora c'è un regime che è arrivato al potere attraverso le manifestazioni che ci mette in prigione per aver protestato”[9].
Il 21 settembre 2014 è stata scarcerata dopo che la Corte d'Appello di Alessandria ha sospeso la sua condanna a sei mesi di carcere a seguito di ricorso alla Corte di Cassazione[10].
Ciò le ha permesso di presenziare il 31 ottobre 2014 a Firenze[11] alla consegna del prestigioso premio internazionale Ludovic Trarieux - un riconoscimento conferito agli avvocati per i loro contributi alla difesa dei diritti umani - che le era stato assegnato mentre si trovava in detenzione[12].
Nel febbraio del 2015 è stata condannata a due anni di reclusione, ridotti a un anno e tre mesi in appello, per “protesta senza autorizzazione”, “danneggiamento di proprietà della polizia”, “attacco alle forze di sicurezza” e “minaccia alla sicurezza pubblica”, imputazioni afferenti la sua partecipazione, il 29 marzo 2013, a una protesta davanti alla stazione di polizia di al-Raml ad Alessandria per solidarizzare con gli avvocati che erano stati colà trattenuti e interrogati e che avevano accusato gli agenti di polizia di averli aggrediti verbalmente e fisicamente. Il 13 agosto 2016 è stata scarcerata dopo aver scontato l’intera pena. Il 14 giugno 2017, Mahienour, e gli attivisti Moataseem Medhat, Asmaa Naeem, Waleed el-Amry e Ziad Abu el-Fadl hanno partecipato a una protesta ad Alessandria contro la decisione del governo egiziano di cedere il controllo di due isole, Tiran e Sanafir, al Regno dell'Arabia Saudita. Il 18 novembre 2017, il Tribunale per i reati minori Montazah di Alessandria ha ordinato la detenzione preventiva di Mahienour el-Masry e Moataseem Medhat. Il 30 dicembre 2017, lo stesso Tribunale ha condannato entrambi a due anni di carcere per “partecipazione a una protesta non autorizzata” e “dimostrazione di forza”. Il Tribunale ha anche condannato gli altri tre attivisti a tre anni di prigione, in absentia. Il 13 gennaio 2018, la Corte d'appello di Montazah ad Alessandria ha assolto l’avvocata el-Masry e Moataseem Medhat da tutte le accuse.
In realtà Mahienour el-Masry, molto prima della rivolta del 25 gennaio 2011, la c.d. “rivoluzione del Nilo”, si era già messa in luce per la sua volontà di aiutare coloro che non erano in grado di rivendicare diritti per sé stessi, per i più indifesi. Fin dall’inizio della sua carriera si era, inoltre, contraddistinta per l’impegno in favore dell’indipendenza della magistratura, dei diritti dei detenuti, fra i quali i prigionieri politici, del diritto di organizzare manifestazioni pacifiche, utilizzando i social media per veicolare le denunce delle violazioni dei diritti umani. Ha fornito assistenza legale alle famiglie dei martiri, a centinaia di lavoratori licenziati pretestuosamente e fondato insieme al medico ed attivista Taher Mukhtar, il Refugee Solidarity Network, un’associazione volta a garantire l'assistenza medico-legale ai rifugiati sirani e siriano-palestinesi detenuti nelle carceri di Alessandria per aver tentato di raggiungere clandestinamente le coste europee via mare.
Dopo la rivoluzione del 2011 ha continuato, come continua, instancabilmente ad adoperarsi credendo fermamente che i cittadini rivestano un ruolo centrale per il cambiamento del sistema egiziano e che lo scopo della rivolta fosse quello di cambiare il regime e non il tiranno.
3. Avvocati per i diritti umani perseguitati ed assassinati in Egitto a causa dell’esercizio della professione
La storia di sofferenza ed attaccamento ai valori della professione forense dell’avvocata el-Masry non è, purtroppo, isolata e la comunità dei giuristi e della società civile ne è ben consapevole.
Lo testimonia il fatto che nel 2020 il premio per i diritti umani del CCBE, il Consiglio degli Ordini Forensi d’Europa, è stato assegnato proprio a sette avvocati egiziani, fra i quali la stessa Mahienour el-Masry, che si sono distinti nella difesa dei diritti umani[13]. Si tratta di Haytham Mohammadein[14], avvocato per i diritti umani e attivista sindacale già arrestato più volte, l’ultima delle quali il 12 maggio 2019, tuttora, in custodia cautelare in carcere; di Hoda Abdelmoniem[15], avvocata, - già componente del Consiglio nazionale per i diritti umani, portavoce della Coalizione rivoluzionaria delle donne egiziane e consulente del Coordinamento egiziano per i diritti e le libertà - brutalmente arrestata nel cuore della notte del 1 novembre 2020 da 20 agenti che hanno forzato la porta del suo appartamento e l’hanno bendata; di Ibrahim Metwally Hegazy[16], avvocato, tra gli altri, della famiglia di Giulio Regeni, membro della Commissione egiziana per i diritti e le libertà (ECRF) e co-fondatore dell'Associazione egiziana delle famiglie degli scomparsi (EAFD), arrestato il 10 settembre 2017 all’aeroporto del Cairo mentre stava partendo per Ginevra dove lo attendeva una vertice del Consiglio dei Diritti umani delle Nazioni Unite e, tuttora, in detenzione preventiva nel carcere di Aqrab; di Mohamed el-Baqer[17], avvocato specializzato nella difesa dei diritti umani, fondatore e direttore del Centro Adalah per i diritti e le libertà, che si occupa dal 2014 dell’assistenza legale delle vittime di detenzione arbitraria, della difesa dei diritti degli studenti, nonché delle questioni relative al trasferimento forzato della popolazione nubiana. Si trova in custodia cautelare in carcere dal 29 settembre 2019 quando è stato arrestato nell’edificio della Procura Generale mentre rappresentava il blogger e difensore dei diritti umani Alaa Abdel Fattah. Entrambi sono stati arrestati con l’accusa di diffondere informazioni false e utilizzazione abusiva dei social media, così come di aver fondato e fatto parte di un gruppo terroristico. Entrambi sono stati trasferiti nell’ala 2 del carcere di Tora, nota per le sue condizioni di detenzione inumane.
Inoltre, sono stati premiati Mohamed Ramadan, avvocato che patrocina abitualmente i casi dei difensori dei diritti umani, arrestato il 10 dicembre 2018, attualmente in detenzione preventiva e Zyad El-Eleimy, avvocato ed ex parlamentare, arrestato il 25 giugno 2019 al Cairo a tutt’oggi in custodia cautelare nel carcere di Tora[18].
Da quanto sin qui esposto emerge chiaramente come gli avvocati ed, in generale, i difensori dei diritti umani che esercitino la loro professione in coscienza, libertà ed indipendenza diventino automaticamente dei bersagli da silenziare definitivamente - come accaduto a Karim Hamdy, avvocato di 27 anni che nel febbraio del 2015 è stato prelevato dalle forze di sicurezza presso la sua abitazione del Cairo, sequestrato, torturato fino alla morte come ha testimoniato dagli esiti dell’autopsia sul cadavere che dava conto della frattura di alcune costole e di percosse che avevano causato lividi ed emorragie al petto e alla testa[19] - o temporaneamente, come nei casi di Amr Imam, Zyad El-Elaimy e Gamal Eid.
Il 16 ottobre 2019, l’avvocato Amr Imam[20] è stato arrestato dalla polizia presso il suo domicilio dopo aver annunciato l’intenzione di intraprendere uno sciopero della fame per protestare contro gli arresti arbitrari dei difensori dei diritti umani e gli abusi della polizia.
Gli è stato impedito di telefonare al suo avvocato ed ai propri famigliari ed il luogo di detenzione è rimasto sconosciuto per 24 ore.
Il 17 ottobre 2019 è comparso davanti al Procuratore supremo per la sicurezza dello Stato ed è stato formalmente sottoposto ad indagini per “collaborazione con un’organizzazione terroristica”, “diffusione di notizie false” e “utilizzo abusivo di un social network”. Si trova attualmente detenuto in custodia cautelare presso il carcere di Tora, dove le visite dei famigliari e l’accesso degli avvocati sono fortemente limitati[21].
Nel gennaio 2014 era stato minacciato con la pistola alla stazione di polizia Maadi quando insisteva nel chiedere di vedere dei suoi clienti arrestati durante una manifestazione[22].
L’avvocato per i diritti umani ed ex parlamentare Zyad El-Elaimy[23] è stato arrestato nel 2019 e si trova tuttora in detenzione preventiva per “aver diffuso informazioni false con l’intenzione di creare panico tra la popolazione e disturbare l’ordine pubblico” avendo rilasciato un’intervista alla BBC in cui ha denunciato la pratica delle sparizioni forzate e l’uso della tortura da parte delle autorità egiziane. È stato, altresì, inserito per cinque anni nella lista dei terroristi suscitando la presa di posizione da parte degli esperti delle Nazioni Unite, che, tuttavia, non ha sortito gli effetti sperati[24].Ezzat Ghoneim è un avvocato e difensore dei diritti umani impegnato nella difesa delle garanzie del giusto processo e nel monitoraggio delle sparizioni forzate. Dal 2014 è direttore esecutivo della Commissione egiziana per i diritti e le libertà (ECRF), organizzazione che denuncia arresti arbitrari, sparizioni forzate, violazioni della libertà di espressione, negligenza medica e tortura nelle carceri.Dopo essere scomparso per quasi cinque mesi è stato fatto comparire avanti al Tribunale di Tura il 9 febbraio 2019. Continua ad essere detenuto in custodia cautelare, con le accuse di “diffamazione” e “adesione a un gruppo illegale”[25].
Dal 2016, l’avvocato Gamal Eid[26] è vittima di persecuzione giudiziaria nell’ambito del caso sui “Finanziamenti esteri”, chiamato caso n°173, che coinvolge più di 40 organizzazioni della società civile ed i loro rappresentanti. I suoi conti ed i beni familiari sono stati sottoposti a sequestro per ordine del Tribunale penale del Cairo. Non può uscire dall’Egitto e rischia fino a 25 anni di prigione.
Gamal Eid è un eminente avvocato e difensore dei diritti umani in Egitto soprattutto dei diritti correlati alla libertà di espressione. È il fondatore dell’Arabic Network for Human Rights Information (ANHRI), rete istituita nel 2003, che promuove la libertà di espressione in Egitto e fornisce assistenza giuridica ai difensori dei diritti dell’uomo e ai giornalisti. L’associazione ha ricevuto lo Human Dignity Award nel 2011 da parte della fondazione Roland Berger.
Dal 30 settembre 2019 è vittima di minacce, aggressioni e di atti di vandalismo. Ha ricevuto numerose telefonate e messaggi in cui gli si intimava di interrompere l’attività che stava svolgendo e di “comportarsi bene”. La sua automobile è stata rubata il 30 settembre in una delle strade principali del Cairo all’ora di punta. L’automobile è stata identificata da diverse telecamere di sorveglianza, ma l’inchiesta non ha avuto seguito.
Il 10 ottobre 2019 è stato vittima di un’aggressione da parte di due uomini armati in abiti civili che hanno tentato di rubargli il telefono ed il computer, è stato ferito ad un braccio e alla gamba ed ha riportato la frattura di diverse costole. Nessuna indagine è stata avviata in relazione a questi accadimenti nonostante siano stati denunciati dall’avvocato Eid.
Il successivo 30 ottobre ha ricevuto una chiamata telefonica durante la quale è stato minacciato e il giorno dopo l’automobile che aveva noleggiato, a seguito del furto del proprio veicolo, è stata vandalizzata. I suoi vicini hanno testimoniato di aver visto diverse persone armate fermarsi davanti all’automobile e poi chiamare qualcuno per comunicare i dettagli dell’automobile[27].
4. L’intervento e le iniziative delle istituzioni internazionali e della comunità forense a sostegno degli avvocati egiziani ingiustamente perseguitati
I continui arresti, spesso senza mandato, il mantenimento in isolamento e la prolungata carcerazione preventiva di difensori dei diritti umani, fra i quali, come evidenziato, molti avvocati, accusati di aver commesso ipotesi di reato pretestuose ed infondate, hanno suscitato molteplici prese di posizione da parte delle istituzioni e dell’Avvocatura internazionali.
In particolare, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei difensori dei diritti umani, Mary Lawlor, è intervenuta due volte nel corso di quest’anno. Una prima, nel mese di gennaio, per stigmatizzare l’abuso delle leggi antiterrorismo e di sicurezza nazionale per criminalizzare il lavoro dei difensori dei diritti umani nel paese. Ciononostante, molti altri sono stati successivamente incarcerati in attesa di giudizio per fattispecie di reato previste da tali normative che comportano dei considerevoli aggravi di pena.
“Esercitare il proprio diritto alla libertà di espressione, associazione o riunione pacifica non è un crimine. Tutti hanno il diritto di promuovere e proteggere i diritti umani. Non c'è alcuna giustificazione per le azioni intraprese contro i difensori dei diritti umani dalle autorità egiziane”: è la sintesi del pensiero espresso della relatrice speciale in un nuovo comunicato del 15 luglio 2021, che ha, altresì, evidenziato come essi vengano abitualmente sottoposti a detenzione preventiva per periodi di quindici giorni rinnovati in continuazione fino ad arrivare comunemente a due anni senza che sia celebrato il processo, col rischio di essere associati a nuovi casi per presunti crimini previsti dalla stessa normativa, pratica particolarmente comune per neutralizzare le scarcerazioni disposte dai tribunali[28].
In precedenza, l’Alta Commissaria per i diritti umani delle Nazioni Unite, Michelle Bachelet, aveva condannato gli arresti di alcuni esponenti dell’Iniziativa egiziana per i diritti della persona (EIPR), fra i quali Patrick George Zaki, inquadrandoli in un modello più ampio di intimidazione delle organizzazioni che difendono i diritti umani e dell’uso della legislazione antiterrorismo e di sicurezza nazionale per silenziare il dissenso.
Del pari, era stato denunciato come l’uso sovrabbondante delle leggi antiterrorismo e di accuse indefinite come “unirsi a un'organizzazione terroristica” e “diffondere false informazioni” per vessare e criminalizzare il lavoro dei difensori dei diritti umani non fosse coerente con lo stato di diritto e con gli obblighi assunti a livello internazionale dall'Egitto in tema di diritti umani[29].
Anche il Parlamento Europeo con risoluzione del 16 dicembre 2020 sulle violazioni dei diritti umani in Egitto, citando come esempi i casi di Giulio Regeni e Patrick George Zaki, ha deplorato la crescente repressione in atto in Egitto per mano delle autorità statali e delle forze di sicurezza, da un lato, invitando l’Unione Europea ad avvalersi di tutti gli strumenti a disposizione per rispondere alle gravi violazioni, inclusa la possibilità di adottare misure restrittive nei confronti di funzionari egiziani di alto livello responsabili delle violazioni più gravi, dall’altro, chiedendo agli Stati membri di astenersi dal concedere riconoscimenti ai leader politici responsabili di violazioni dei diritti umani[30].
Sul versante dell’Avvocatura, se l’Ordine nazionale egiziano, che consta di circa seicentomila iscritti, ha manifestato scarsa reattività rispetto alla violazione dei diritti fondamentali[31], la comunità forense internazionale ha, viceversa, dimostrato, come dimostra, una grande attenzione nei confronti delle Colleghe e dei Colleghi ingiustamente perseguitati a causa dell’esercizio della propria attività.
In particolare, è stata loro dedicata l’edizione del 2018 della giornata internazionale dell’avvocato minacciato[32], sono periodicamente redatti appelli e petizioni in loro favore ed esercitate azioni di lobbying nei confronti delle istituzioni internazionali per sensibilizzare al tema in generale e a casi specifici[33], nonché organizzate fact-finding missions[34] all’esito delle quali stilare report da diffondere e valorizzare anche in ambito giurisdizionale.
Il comune denominatore di tutte le suesposte iniziative è quello di richiamare l’attenzione del Governo egiziano e della comunità internazionale affinché venga assicurato il rispetto dei Principi Fondamentali relativi al Ruolo degli avvocati, adottati dalle Nazioni Unite nel corso dell’Ottavo Congresso sulla prevenzione del crimine e sul trattamento degli autori di reati tenutosi a L’Avana dal 27 agosto al 7 settembre 1990[35]. Fra di essi, in particolar modo, il Principio 16: “I governi devono garantire che gli avvocati (a) siano in grado di svolgere tutte le loro attività professionali senza intimidazioni, ostacoli, molestie o interferenze improprie; (b) siano in grado di viaggiare e di consultare liberamente i loro clienti sia all'interno del loro paese che all’estero; e (c) non debbano subire, o essere minacciati di subire, azioni penali o sanzioni amministrative, economiche o di altro tipo per qualsiasi attività compiuta in conformità ai doveri professionali riconosciuti, agli standard ed alla deontologia”, il Principio 17: “Qualora la sicurezza degli avvocati sia minacciata nell’esercizio della loro professione, essi devono essere protetti adeguatamente dalle autorità”, cosi come il Principio 18: “Gli avvocati non devono essere identificati con i loro clienti o con le cause dei loro clienti come conseguenza dell’esercizio delle loro funzioni”. Si tratta di regole che devono rimanere inviolabili perché sono dei modelli da seguire per i Paesi delle Nazioni Unite che vogliono dotarsi di una vera giustizia e che fanno derivare un vero e proprio obbligo in capo agli Stati di protezione degli avvocati nell’esercizio della loro professione[36].
Anche l’organizzazione di eventi volti a far sì che il Foro e l’opinione pubblica si preoccupino e, soprattutto, si occupino delle Avvocate e degli Avvocati minacciati in Egitto, così come nel mondo, assume una grande importanza.
Proprio dall’invito rivolto, per il tramite del sottoscritto, alla comunità internazionale, ed a quella dei giuristi in particolare, dall’avvocata iraniana Nasrin Sotoudeh - orgoglio e simbolo di un’Avvocatura disposta a rinunciare anche alla propria libertà per difendere i diritti degli altri e dei più deboli, in particolare - di dedicare la stessa attenzione con la quale sono seguite le sue vicende anche alla situazione degli altri avvocati e difensori dei diritti umani ingiustamente perseguitati è nato lo scorso mese di giugno il progetto “Adopt an Endangered Lawyer / Adotta un avvocat@ minacciat@” dell’Unione delle Camere Penali Italiane[37] col patrocinio del Global Campus of Human Rights e la collaborazione dell’artista ed attivista Gianluca Costantini, che si propone di tener sempre viva l’attenzione della società, del Foro e dei media sulle loro storie perché non vengano mai dimenticate. Fra di essi, ovviamente, anche le Colleghe ed i Colleghi egiziani rappresentati nell’illustrazione di lancio dell’iniziativa proprio da Mahienour el-Masry.
5. Conclusioni. Dedicato a tutte le anime e gli esseri coraggiosi
Attraverso questo percorso - al tempo stesso doloroso ma che è anche, e soprattutto, fonte d’ispirazione - di condivisione delle storie di donne e uomini che sono giunti e giungono a rinunciare alla propria libertà ed anche alla propria vita pur di adempiere fino in fondo al loro mandato professionale nel nome della difesa dei diritti fondamentali, come d’abitudine, si è inteso prestar loro voce per ricordarli ed onorarli. In quest’ottica, pertanto, la conclusione di questo breve scritto è affidata alle parole - sempre attuali - pronunciate da Mahienour el-Masry alla consegna del Premio Trarieux a Firenze nel 2014, che rappresentano il manifesto stesso di un’Avvocatura libera, indipendente, che crede nel valore della solidarietà ed è baluardo della democrazia e dello stato di diritto nel mondo.
Dedico questo premio a tutte le anime e gli esseri coraggiosi[38].
Cari servitori della giustizia e difensori dei diritti umani, oggi sono qui fisicamente con voi, sebbene fino a poco tempo fa ciò non sarebbe stato possibile in quanto detenuta in un carcere dal maresciallo al Sisi come più di 41 mila prigionieri politici.
Sono stata accusata insieme ad altre 8 persone, quattro delle quali sono tuttora in carcere a scontare una pena di due anni.
Sono stata condannata a due anni e la pena è stata ridotta in appello e poi sospesa grazie alla vostra solidarietà e ai vostri sforzi.
Sono stata più fortunata di altre persone alle quali non è dedicata molta attenzione.
Sono rimasta sorpresa quando ho saputo che avevo vinto questo prestigioso premio; in quel tempo ero in carcere privata della possibilità di ogni tipo di comunicazione con il mondo esterno.
Non credo di aver meritato questo grande onore perché per molto tempo ho fatto parte di un gruppo più grande, prima come socialista rivoluzionaria, fino a diventare un avvocato volontario per difendere i manifestanti di Alessandria; sono stata un’attivista per dire no ai processi militari e per il movimento di solidarietà dei rifugiati, ma, soprattutto, sono stata uno dei milioni di egiziani che hanno sognato la giustizia. Abbiamo avuto una rivoluzione che ha rovesciato due dittatori e stiamo incrociando le dita per rovesciare il terzo.
Mi riferisco a quello che è successo il 3 luglio 2013, quando al Sisi, il leader della controrivoluzione, ha posto in essere un colpo di stato, non perché ha rovesciato un altro dittatore ma perché ha manipolato le masse. Penso che dovrebbe essere considerato un criminale di guerra perché era il capo dell'intelligence militare e ha usato dei pretesti per imporre test di verginità alle donne durante le proteste del marzo 2011. Era il ministro della difesa all'epoca del presidente Morsi che ha ucciso molti egiziani nella città di Port Said, e quando ha rovesciato Morsi, ha compiuto uno dei più grandi massacri di questo nuovo secolo, che ha avuto luogo a Rabaa, dove più di 1.000 persone sono state assassinate. E ora è in atto una repressione che ha portato all’incarcerazione di migliaia di persone e persino all'evacuazione di persone e alla demolizione delle loro case nel Sinai, sotto lo slogan della guerra al terrorismo.
In ogni situazione in cui un dittatore rafforza i suoi poteri, tra i suoi principali nemici ci sono sempre i difensori dei diritti umani e, in particolare, gli avvocati.
Un avvocato deve tenere gli occhi aperti sulla quantità di ingiustizia nella società; gli avvocati devono scegliere di servire la giustizia o accettare di servire la legge, anche se la legge è contro gli interessi del popolo. La legge è una parola astratta, per me la legge è la legge della classe dirigente e in paesi come l'Egitto, dove c'è autocrazia e tirannia, ci sono leggi emanate per mettere a tacere le persone o per confiscare i loro diritti. Gli avvocati hanno anche un grande ruolo di sensibilizzazione e devono essere lo scudo per proteggere gli emarginati e la voce di chi non ha voce.
Vorrei dedicare questo premio a Omar, Loay, Islam, Nasser, quattro persone che mi sono state molto vicine e che sono ancora in prigione; a Sanaa Seif, Yara Sallam e i manifestanti di Ithadia; a Mohamed Hissny, Alaa Abdelfattah e Shura, manifestanti imprigionati; a Mahmoud Nasr, ed ai giornalisti inglesi di El Jazeera che sono in prigione in Egitto; a Mohamed Sultan e Ibrahim el Yamany che stanno entrando nel loro 300° giorno di sciopero della fame, a tutti i 41 mila prigionieri politici in Egitto; al popolo palestinese che ci ha insegnato a resistere e ad avere speranza per il futuro; al popolo di Kobane che sta combattendo gli estremisti; a Rihana Gerabi, una ragazza iraniana che è stata condannata a morte perché ha ucciso il suo stupratore per autodifesa; dedico il mio premio a tutte le anime e gli esseri coraggiosi.
Vi ringrazio molto e spero che noi, come avvocati, possiamo contribuire a costruire un mondo migliore e una società più umana.
[1] Per approfondire la vicenda, “Perché un ricercatore universitario italiano è stato torturato e uccio in Egitto?”, di D. Walsh, in The New York Times Magazine, 23.08.2017.
[2] Per approfondire la vicenda, “Patrick Zaky: chi è l’attivista in carcere in Egitto e perché è stato arrestato”, di A. Facchini, in Osservatorio Diritti, 13.02.2020; si veda anche, “Patrick George Zaki, l’Egitto e noi”, di A. Schiavello, in Giustizia Insieme, 29.03.2021.
[3] In particolare si segnalano i report di Amnesty International, “Cosa vuoi che m’importi se muori? Negligenza e diniego di cure mediche nelle prigioni egiziane”, 2021 (ENG); “Ufficialmente tu non esisti. Scomparsi e torturati in nome della lotta al terrorismo”, 2016, ed il report 2021 di Human Rights Watch.
[4] Si veda, “2020 Country Reports on Human Rights Practices: Egypt” a cura dell’Ambasciata degli Stati Uniti d’America al Cairo
.
[5] Si veda il report di Amnesty International, “Stato d’eccezione permanente. Abusi della Procura Suprema di Sicurezza dello Stato”, 2019 (ENG).
[6] Si veda, Federazione Internazionale per i Diritti Umani (FIDH), “Egitto: arresto arbitrario di Mahienour El-Massry” (ENG), 23.09.2019.
[7] La Legge n. 107 sul diritto alle riunioni pubbliche, alle manifestazioni e alle dimostrazioni pacifiche è stata adottata il 24 novembre 2013 ed ha attirato ampie critiche da parte degli esperti delle Nazioni Unite e delle organizzazioni della società civile per essere in violazione degli standard internazionali. La legge, infatti, attribuisce poteri eccessivi alle forze di sicurezza per vietare e disperdere arbitrariamente le proteste pacifiche, imponendo pesanti sanzioni ai manifestanti. Dalla sua adozione, la legge n. 107 è stata regolarmente utilizzata per reprimere le manifestazioni pacifiche e perseguire i difensori dei diritti umani che protestano contro la crescente intolleranza del governo egiziano nei confronti del dissenso. Tratto dalla scheda di Civicus su Mahienour el-Masry.
[8] Il 26 ottobre 2011 entrambi gli agenti di polizia sono stati giudicati colpevoli di omicidio colposo e condannati a sette anni di reclusione. Sia l’accusa che la difesa hanno impugnato la sentenza ed è stato ordinato un nuovo processo. Il 3 marzo 2014, il Tribunale di Alessandria ha aumentato la pena di tre anni condannando gli imputati a dieci anni di carcere. Qui la notizia sul sito Ahram online (ENG), 03.03.2014.
[9] Tratto dal discorso dell’Avv. Bertrand Favreau, Presidente della Giuria, alla cerimonia di consegna del Premio Internazionale per i diritti dell’uomo “Ludovic Trarieux” svoltasi a Firenze il 31.10.2014 (FRA).
[10] Si veda, Front Line Defenders, “Case history: Mahienour el-Masry” (ENG).
[11] Si veda, la scheda dell’evento sul sito del Premio Internazionale dei Diritti dell’Uomo “Ludovic Trarieux”.
[12] Creato nel 1984, il “Premio Internazionale dei Diritti dell’Uomo - Ludovic Trarieux”, “L’omaggio degli avvocati ad un avvocato”, è attribuito ad “un avvocato senza distinzione di nazionalità o di foro d’appartenenza che abbia contribuito, con il proprio impegno, la propria attività e le proprie sofferenze, alla difesa dei diritti dell’uomo, alla supremazia del diritto, alla lotta contro il razzismo e l’intolleranza”.
Il Premio “Ludovic Trarieux” rappresenta il più antico e prestigioso riconoscimento riservato ad un avvocato. La sua origine deriva dal messaggio di Ludovic Trarieux (1840-1904), avvocato del Foro di Bordeaux, e successivamente di Parigi, Ministro della Giustizia (1895), fondatore nel 1898 (al momento del caso Dreyfus) della « Lega francese dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino », all’origine di tutte le leghe successivamente create.
Il primo Premio Ludovic Trarieux è stato attribuito il 29 marzo 1985 a Nelson Mandela, allora in prigione da 23 anni in Sud Africa. Il premio è stato ufficialmente consegnato a sua figlia il 27 aprile 1985, in presenza, per la prima volta, di 40 presidenti di Consigli degli Ordini degli Avvocati dell’Europa e dell’Africa.
Oggi il premio è un omaggio annuale ad un avvocato nel mondo. E’ conferito congiuntamente dall’Istituto dei Diritti dell’Uomo dell’Ordine degli Avvocati di Bordeaux, dall’Istituto di formazione sui Diritti dell’Uomo dell’Ordine degli Avvocati di Parigi, dall’Istituto dei Diritti dell’Uomo degli avvocati di Bruxelles, dagli Ordini degli Avvocati di Lussemburgo, di Ginevra, di Amsterdam, dalla Rechtsanwaltskammer di Berlino, dall’Unione Forense per la Tutela dei Diritti Umani, dalla Union Internationale des Avocats (UIA) e dall’Institut des Droits de l’Homme des Avocats Européens (IDHAE).
[13] Si vedano il documento di base con le informazioni sui premiati ed il comunicato stampa (ENG) a cura del CCBE.
[14] Qui la lettera della Presidente del CCBE al Presidente al-Sisi del 26.03.2021 (ENG), con il collegamento ipertestuale a precedenti documenti relativi alla situazione dell’Avv. Haytham Mohammadein.
[15] Si vedano la lettera del gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria del 17.02.2021 (ENG) e la lettera della Presidente del CCBE al Presidente al-Sisi del 20.04.2021 (ENG), con il collegamento ipertestuale a precedenti documenti relativi alla situazione dell’Avv. Hoda Abdelmoniem.
[16] Si vedano, Federazione Internazionale per i Diritti Umani, “Egitto: proroga della custodia cautelare in carcere di Ibrahim Metwally Hegazy” (ENG), 24.09.2020; OHCHR, “Secondo gli esperti delle nazioni Unite, l’Egitto deve liberare un avvocato per i diritti umani detenuto in violazione del divieto di doppia incriminazione” (ENG), 20.11.2019.
[17] Si vedano la scheda dell’Avv. Mohamed el-Baqer sul sito dell’Osservatorio Internazionale degli Avvocati in Pericolo (OIAD), e l’appello per la sua liberazione a cura della coalizione globale con la partecipazione del CCBE, in data 26.07.2021.
[18] Per ulteriori informazioni su questi Avvocati, si veda il documento di base con le informazioni sui premiati (ENG), a cura del CCBE.
[19] Per la notizia completa si veda, BBC, “Poliziotti egiziani incarcerati per la morte dell’avvocato Karim Hamdy” (ENG), 12.12.2015.
[20] Si veda la scheda dell’Avv. Amr Imam sul sito dell’Osservatorio Internazionale degli Avvocati in Pericolo (OIAD).
[21] Si veda la scheda sulla situazione dei difensori dei diritti umani e degli attivisti in Egitto di EuroMed Rights (ENG).
[22] Si veda il rapporto informativo “Difendere i diritti in Egitto” a cura degli Avvocati Nicola Canestrini, Ezio Menzione e Barbara Spinelli per Unione delle Camere Penali Italiane, Giuristi Democratici, European Association of Lawyers for Democracy and World Human Rights, Legal Team Italia, Avocats Européens Démocrates – European Democratic Lawyers, Day of the Endangered Lawyer Foundation, 2017, pag. 12.
[23] Si veda la scheda dell’Avv. Zyad El-Elaimy sul sito dell’Osservatorio Internazionale degli Avvocati in Pericolo (OIAD).
[24] Si veda, OHCHR, “Gli esperti delle Nazioni Unite chiedono la rimozione dei difensori dei diritti Ramy Shaath e Zyad El-Elaimy dalla lista dei terroristi” (ENG), 11.02.2021.
[25] Si veda, Front Line Defenders, scheda relativa all’Avv. Ezzat Ghoneim (ENG).
[26] Si veda, Front Line Defenders, scheda relativa all’Avv. Gamal Eid (ENG).
[27] Si veda la scheda dell’Avv. Gamal Eid sul sito dell’Osservatorio Internazionale degli Avvocati in Pericolo (OIAD).
[28] Si veda OHCHR, “Egitto: secondo l’esperto delle Nazioni Unite i difensori dei diritti umani vengono trattenuti in isolamento ed affrontano accuse pretestuose” (ENG), 15.07.2021. In particolare, la Relatrice Speciale sulla situazione dei difensori dei diritti umani ha sottolineato il ruolo vitale che la società civile svolge in Egitto ed ha assicurato che continuerà a seguire i casi di difensori dei diritti umani detenuti portati alla sua attenzione, chiedendo, altresì, l’immediata scarcerazione di: Mohamed Ramadan, difensore dei diritti umani e avvocato; Mohamed el-Baqer, difensore dei diritti umani e avvocato; Ezzat Ghoneim, difensore dei diritti umani e avvocato, direttore del Coordinamento egiziano per i diritti e le libertà (ECRF); Aisha el Shatr, difensore dei diritti umani e membro del consiglio dell'ECRF; Mohamed Abo Horira, difensore dei diritti umani e membro del consiglio dell'ECRF; Hoda Abdel Moneim, difensore dei diritti umani e membro del consiglio dell'ECRF; Ibrahim Ezz el-Din, difensore dei diritti umani e ricercatore; Ramy Kamel Saied Salib, difensore dei diritti umani e capo della Fondazione giovanile Maspero; Mahienour el-Masry, difensore dei diritti umani e avvocato; Amr Imam, difensore dei diritti umani e avvocato della Rete araba per l'informazione sui diritti umani; Walid Ali Saleim Mohammed Hamada, difensore dei diritti umani e avvocato.
[29] OHCHR, nota informativa per la stampa (ENG), 20.11.2020.
[30] Qui il testo integrale della risoluzione dal sito del Parlamento Europeo.
[31] Si veda il rapporto informativo “Difendere i diritti in Egitto”, cit., pag. 8.
[32] L'iniziativa che si celebra tutti gli anni nel mondo a partire dal 2010, è l'anniversario della strage avvenuta il 24 gennaio 1977 e ricordata in Spagna col nome di "Matanza de Atocha", allorquando un commando di terroristi neofascisti entrò in un ufficio di avvocati giuslavoristi situato, per l'appunto a Madrid, in Calle de Atocha, ed aprì il fuoco uccidendone cinque e ferendone quattro. Scopo della manifestazione è quello di richiamare l’attenzione dell'opinione pubblica sulla situazione di uno specifico Paese nel quale gli avvocati che si spendono per la tutela dei diritti umani sono esposti ad un grave rischio di persecuzione con conseguenze infauste per la democrazia e lo Stato di diritto.
[33] Oltre a quelli già segnalati nelle note relative ai singoli casi, si veda, da ultima, l’appello per la scarcerazione di Mohamed el-Baquer a firma del CCBE e di numerose altre associazioni.
[34] Si ricorda quella condotta da Unione delle Camere Penali Italiane, Giuristi Democratici, European Association of Lawyers for Democracy and World Human Rights, Legal Team Italia, Avocats Européens Démocrates – European Democratic Lawyers, Day of the Endangered Lawyer Foundation, di cui al rapporto informativo “Difendere i diritti in Egitto”, cit..
[35] Si vedano, Principi Fondamentali relativi al Ruolo degli avvocati, adottati dalle Nazioni Unite nel corso dell’Ottavo Congresso sulla prevenzione del crimine e sul trattamento degli autori di reati tenutosi a L’Avana dal 27 agosto al 7 settembre 1990 (A/RES/45/121), in www.ohchr.org; essi riprendono per una parte i principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, in particolare gli articoli 7, 8, 10, 11, ma anche gli articoli 2, 14, 26 della Convenzione relativa ai diritti civili e politici.
[36] Si veda, B. Favreau, “L’indépendance de l’avocat”, Edizioni del Consiglio d’Europa, Strasburgo, 2003 e B. Favreau “L’indépendance des avocats et des magistrats: une condition de l’état de droit”, in Rivista Ellenica dei diritti dell’Uomo - n 24, Sakkoulas, Atene, 2004, pp. 1101-1132, cit. da F. Cappelletti, “Gli attacchi alla funzione difensiva nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo : il caso Azerbaigian ed il valore della solidarietà nell’Avvocatura”, in Diritto di Difesa, Giuffrè Francis Lefebvre, 15.02.2021.
[37] Per approfondire, si veda la notizia del lancio del progetto sul sito dell’Unione delle Camere Penali Italiane, richiamata con i disegni raffiguranti i volti di alcuni avvocati in pericolo sul sito Channeldraw di Gianluca Costantini e nell’articolo di L. Lipari, “Avvocati nel mirino dei regimi autoritari”, su HuffPost Italia, 05.07.2021.
[38] Mahienour el-Masry, discorso di accettazione del Premio alla cerimonia di consegna del Premio Internazionale per i diritti dell’uomo “Ludovic Trarieux” svoltasi a Firenze il 31.10.2014 (FRA).
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