ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
FORUM I MALI DEL CSM E LA LORO SCOMPARSA: L’INVADENZA DELLE CORRENTI O LA LORO SCOMPARSA?
Le correnti: un male necessario? di Carlo Guarnieri
* Testo della relazione presentata al Convegno Migliorare il Csm nella cornice istituzionale, Roma, 11 ottobre 2019 pubblicato in Migliorare il CSM nella cornice costituzionale editore CEDAM, collana: Dialoghi di giustizia insieme.
Quando parliamo di correnti giudiziarie ci riferiamo a gruppi organizzati di magistrati, dotati di organi direttivi e di strutture di comunicazione, con fini istituzionali latu sensu politico-culturali. Il contesto in cui nascono e si sviluppano le correnti è quello del conflitto che travaglia la magistratura italiana a partire dalla metà degli anni 50 del secolo scorso e che ha come oggetto la cosiddetta carriera, cioè le verifiche che a quel tempo dovevano superare i magistrati che volessero occupare, all’interno dell’organizzazione giudiziaria, posizioni di maggior prestigio come essere a capo di un tribunale, di una corte d’appello, di una procura o far parte della corte di cassazione. Tradizionalmente, queste verifiche erano controllate dai magistrati che già le avevano superate, disegnando così una struttura tendenzialmente piramidale governata dal meccanismo della cooptazione.
In questo contesto, il conflitto che emerge riguarda proprio queste verifiche che vengono considerate da molti magistrati una violazione dell’indipendenza in quanto, mettendo nelle mani dei magistrati di grado più elevato le promozioni, concedono loro di fatto anche il potere di influenzare i comportamenti dei loro colleghi, nonostante l’art. 101 della Costituzione stabilisca che “i giudici sono soggetti solo alla legge”. È qui che iniziano ad organizzarsi le cosiddette correnti, così designate perché – pur con differenze circa le strategie da seguire per ottenere una riforma dell’assetto - tutte operano all’interno dell’associazione maggiormente rappresentativa – l’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) - quella cui alla fine aderisce la quasi totalità dei magistrati. A questa prima articolazione – di tipo per così dire sindacale – si aggiungerà in seguito, alla fine degli anni ’60, una differenziazione più nettamente politica e che si riferisce soprattutto al ruolo del giudice nel sistema politico e quindi al suo rapporto con il sistema giuridico ed in particolare sull’importanza da dare al testo costituzionale[i].
L’esito del conflitto vede la sostanziale vittoria di chi intende trasformare in profondità l’assetto della magistratura, con la conseguenza che le garanzie di indipendenza dei magistrati vengono nettamente rafforzate[ii]. Va sottolineato che tale mutamento viene ottenuto attraverso la riforma del CSM, dove – almeno a partire dal 1975 – i due terzi dei componenti sono magistrati direttamente eletti dai propri colleghi. Questo fatto, da un lato, irrobustisce l’indipendenza – esterna ed interna – dei nostri magistrati e, dall’altro, favorisce lo sviluppo di una forte competizione fra le varie correnti che si dispiega, appunto, anche a livello elettorale. Il ruolo delle correnti nel governo della magistratura assume infatti un particolare rilievo. Non solo tutte le decisioni che toccano i magistrati sono prese da CSM. Quasi tutti i componenti togati del Consiglio appartengono ad una o a un’altra delle correnti dell’Anm, che così quelle decisioni sono in grado di influenzare in modo rilevante. Infatti, il ruolo dei componenti laici, pur non trascurabile, è decisamente secondario e può esplicarsi solo qualora – e nella misura in cui – le correnti si presentino divise.
Le disfunzioni di questo assetto non hanno tardato a manifestarsi. Innanzitutto, affidare le valutazioni di professionalità ad un organo formato per due terzi da chi viene eletto proprio da coloro che deve valutare ha in pratica vanificato l’efficacia delle valutazioni, anche quando queste siano previste e siano caratterizzate da notevole complessità: di solito, più del 99% dei valutati ottiene un risultato positivo[iii]. In altre parole, si innesca qui un chiaro conflitto di interessi, favorito proprio dalla presenza delle correnti. Infatti, il divieto di immediata rieleggibilità – che dovrebbe servire a impedire una eccessiva disponibilità dei membri togati nei confronti dei loro colleghi – di fatto non ha efficacia proprio per la presenza delle correnti. Infatti, qualora un componente togato del consiglio si mostri eccessivamente “severo” nella valutazioni sarà la sua corrente a pagarne il conto alle prossime elezioni. Si spiega così – pur con qualche valorosa eccezione – la tendenza al lassismo che caratterizza l’operato del consiglio in questo campo. La conseguenza più rilevante dal punto di vista organizzativo è stata che le verifiche tradizionali di professionalità – la carriera – sono state smantellate e non sono state sostituite da altre.
Allo stesso tempo, questa situazione, rendendo sulla carta tutti magistrati egualmente bravi, non ha fatto che allargare i margini di scelta del Consiglio quando i candidati ad una posizione siano più di uno. È quanto avviene per quelle posizioni direttive che – ad esempio, quando riguardano gli uffici requirenti – comportano per chi le ricopre prestigio e soprattutto l’esercizio di un notevole potere verso l’esterno – la società, l’economia, la politica - ma anche verso l’interno, cioè verso i propri colleghi. Sono posizioni ricercate da molti magistrati e che attirano l’interesse del sistema politico e quindi anche dei componenti laici del CSM. Questo fatto, unito alla composizione proporzionale del consiglio, rende molto probabile che alla fine le varie correnti si accordino – con l’eventuale partecipazione di membri laici – per spartirsele fra loro. Non solo, è poi anche probabile che nei processi di nomina la fedeltà – alla corrente – venga premiata, a scapito della competenza: avere un proprio magistrato alla guida di un importante ufficio è, per una corrente, fonte di prestigio e soprattutto di potere, potere utile anche a rafforzare ulteriormente il proprio consenso elettorale.
L’assetto che abbiamo sommariamente descritto appare piuttosto stabile. Il controllo esercitato dalle correnti sul CSM permette ai magistrati di superare senza problemi – a meno di gravissime mancanze – i vagli di professionalità, con i relativi miglioramenti del trattamento economico, sostanzialmente anche continuando a svolgere le stesse funzioni o solo con minimi aggiustamenti. Per chi invece intenda aspirare a ricoprire posizioni più importanti le correnti offrono delle strade promettenti, almeno a chi sia disposto ad impegnarsi nell’attività associativa: questi ultimi infatti sono quasi sempre ricompensati con la nomina a qualche posizione importante. Quindi poco potrebbe incidere una riforma della legge elettorale[iv]. Forse solo il sorteggio applicato in modo integrale – cioè fra tutti i magistrati – potrebbe avere delle conseguenze rilevanti, anche se probabilmente per lo più negative[v].
Una volta messi in luce i limiti delle correnti giudiziarie, possiamo però anche domandarci se esse vadano davvero considerate un male. Per fare questo bisogna innanzitutto partire dalla constatazione – ormai largamente accettata – dell’accresciuta creatività giurisprudenziale[vi] e dagli ampi margini di discrezionalità che di fatto godono gli uffici del pubblico ministero (e quindi anche chi li dirige)[vii]. In questo contesto, in cui i magistrati vengono ancora reclutati con un concorso pubblico che mira solo a valutare le loro conoscenze del diritto e con successive valutazioni che di fatto non sono operative, le correnti svolgono un ruolo non indifferente: segnalano infatti all’esterno dell’istituzione, almeno a grandi linee, le modalità con cui la discrezionalità verrà esercitata. Lo stesso collateralismo – oggi peraltro molto meno in voga – collegando correnti di magistrati a indirizzi politici introduceva, anche se in modo surrettizio, una forma di responsabilità. Semmai, il declino della dimensione programmatica ha coinvolto, dopo i partiti politici, anche le correnti giudiziarie che oggi possono essere accusate di voler influire non tanto sulle politiche giudiziarie quanto sulla spartizione delle posizioni direttive.
Se si intende ovviare ai limiti di questa situazione i punti su cui agire sono altri. Innanzitutto, bisogna partire dal fatto che, come abbiamo più volte sottolineato, i meccanismi di valutazione delle capacità professionali sono gravemente carenti. Oltretutto, smantellata la tradizionale carriera, non si è agito per rendere più accurata la selezione iniziale. La conseguenza è che è cresciuta a dismisura l’influenza della correnti, che possono tranquillamente scegliere fra magistrati tutti formalmente bravi. Allo stesso tempo, il declino della dimensione programmatica delle correnti ha aperto la via ad una crescente autoreferenzialità degli orientamenti professionali, anche perché la nostra magistratura è, anche in Europa continentale, la più chiusa al contributo delle altre professioni giuridiche[viii].
Il risultato forse più problematico è che, in un contesto in cui il magistrato – giudicante e soprattutto requirente – si trova a godere di dosi crescenti di discrezionalità, tale discrezionalità viene esercitata in modo sempre meno trasparente. Pensare che i nostri magistrati siano “soggetti” alla legge può essere solo un’utopia. Sapere però, almeno a grandi linee, come vorranno adoperare i margini che il sistema lascia loro è un obiettivo che, in un regime democratico costituzionale, non può essere abbandonato.
[i] Vedi C. Guarnieri, Giustizia e politica, Il Mulino, Bologna, 2003 e, di recente, E. Bruti Liberati, Magistratura e società nell’Italia repubblicana, Laterza, Bari, 2018.
[ii] Il caso italiano – talvolta preso a modello da istituzioni dell’Unione Europea o del Consiglio d’Europa - presenta tali caratteri in modo particolarmente ampio.
[iii] Vedi G. Di Federico, Le valutazioni della professionalità dei magistrati, in C. Guarnieri, G. Insolera e L. Zilletti (acd), Anatomia del potere giudiziario, Carocci, Roma, 2016, pp. 79-85. Va aggiunto che queste percentuali sono possibili anche perché non esiste limite al numero di giudizi positivi che possono essere emessi. In altre parole, il CSM non è obbligato a scegliere.
[iv] Chi scrive si è in passato espresso in favore del Voto singolo trasferibile: un sistema tendenzialmente proporzionale che avrebbe il pregio di premiare le personalità di grado di aggregare consensi anche al di là degli schieramenti correntizi. Difficilmente però anche questo sistema sarebbe in grado di trasformare in modo radicale l’attuale assetto. Si veda più avanti nel testo qualche suggerimento sugli interventi con maggiore impatto.
[v] Come affidare il controllo del CSM ad un piccolo gruppo di magistrati, privo di qualunque rappresentatività e magari anche delle capacità a gestire un organo complesso come il CSM. Non considero poi di proposito il tema della costituzionalità del sorteggio.
[vi] Il fenomeno venne chiaramente identificato a suo tempo da M. Cappelletti, Giudici legislatori?, Giuffrè, Milano, 1983.
[vii] Da ultimo vedi E. Bruti Liberati in “Il Foglio” 9 luglio 2019.
[viii] Si pensi che anche in Francia ormai circa il 30% dei magistrati viene reclutato con concorsi “laterali”, aperti a chi ha già maturato delle esperienze professionali.
* Sul Forum si rinvia alla lettura Introduzione di Alfonso Amatucci al forum I MALI DEL CSM E LA LORO SCOMPARSA: L’INVADENZA DELLE CORRENTI O LA LORO SCOMPARSA? ,
Seguiranno: I mali del Csm di Giorgio Spangher e I mali del CSM: invadenza delle correnti o la loro scomparsa? di Eugenio Albamonte
FORUM I MALI DEL CSM E LA LORO SCOMPARSA: L’INVADENZA DELLE CORRENTI O LA LORO SCOMPARSA?
I mali del CSM: l’invadenza delle correnti o la loro scomparsa? di Eugenio Albamonte
* Testo della relazione presentata al Convegno Migliorare il Csm nella cornice istituzionale, Roma, 11 ottobre 2019pubblicato in Migliorare il CSM nella cornice costituzionale editore CEDAM, collana: Dialoghi di giustizia insieme.
Vi ringrazio per avermi invitato e coinvolto in questa Tavola Rotonda. Il suo titolo “L’invadenza delle correnti o la loro scomparsa” è molto attuale e ci pone di fronte al dubbio che la storia più recente e i fatti degli ultimi mesi hanno reso urgente: è possibile, a fronte dei fenomeni che abbiamo vissuto in queste ultime settimane , trovare una terza via dell'associazionismo che non porti inevitabilmente alla scomparsa delle correnti o ad una loro inevitabile invadenza degenerativa del sistema?
Il titolo postula che se le correnti ci sono, sono invadenti per natura e l’alternativa è che loro vengano meno. E quindi dobbiamo interrogarci se ci sia un’altra strada.
Per comprendere la situazione in cui ci troviamo sarebbe necessario, a mio parere fare un piccolo passo indietro.
La storia dei nostri gruppi associativi, di tutti i gruppi associativi, parte da grandi contrapposizioni culturali. La prima divisione nell’associazionismo giudiziario si basava sull’applicazione e interpretazione dell’art. 3 della Costituzione: questo ha creato la prima distinzione tra magistrati progressisti e magistrati conservatori. Facendo un rapido balzo in avanti nel tempo, abbiamo vissuto tutti quanti – e forse noi della nostra generazione l’abbiamo vissuta meglio e di più – una fase in cui le grandi contrapposizioni ideali all'interno della magistratura sono andate pian piano scemando. Forse perché alcune posizioni, alcune scelte erano diventate patrimonio comune dell’intera Magistratura, non c’era più bisogno di contrapporsi ad esse; molte di queste posizioni comuni erano originariamente posizioni della Magistratura progressista, e questo sicuramente può far vanto a molti di voi.
Il problema è che questo ha determinato un isterilimento dell’associazionismo – e devo dire, di alcuni gruppi, più che di altri.
Il fatto che alcuni gruppi associativi abbiano perso una forte componente di aggregazione culturale, ha determinato, in un sistema nel quale è necessario comunque – come nellapolitica generale – aggregare consensi, che si scivolasse progressivamente su un terreno diverso, quello dell'aggregazione per clientele; la stessa strada percorsa dalla politica in tempi diversi e forse precoci rispetto alla Magistratura. Quando non è più possibile aggregare consensi in base ad opzioni ideali, i sistemi rappresentativi degenerano ed iniziano ad aggregarsi attraverso altri fattori, per esempio aggregare per interessi.
La scelta di seguire politiche corporative – ma direi di più – politiche clientelari, è stata ed è ancora oggi – ed i risultati elettorali lo dimostrano – per alcuni gruppi una scelta di sopravvivenza.
Questo ovviamente deve essere un primo punto di riflessione, anche per chi cerca di mantenere in piedi una identità culturale e continuare a ragionare nel dare contenuti ideali, culturali, valoriali all’associazionismo.
Ovviamente questa tensione non è, non è stata priva di contraccolpi.
Noi abbiamo vissuto nella storia della Magistratura delle scissioni importanti, proprio per il rigetto, anche all’interno dei gruppi che si avviavano, verso logiche più corporative e clientelari; fenomeni di rigetto che hanno prodotto scissioni, svolte e creazioni di nuovi soggetti. La nascita del Movimento per la Giustizia è parte di questa storia: è il rigetto rispetto a logiche clientelari che avevano pervaso e che già molti anni fa erano considerate un di cancro sia in Unità per la Costituzione, che in Magistratura Indipendente. Ma se guardiamo più vicino a noi, tutto sommato anche la scissione di Magistratura Indipendente con la creazione di Autonomia e Indipendenza è una scelta che si fonda radicalmente sull’affermazione di una questione morale, e sul rigetto di un modello di fare associazionismo basato sulla gestione clientelare del potere e sul più opaco collateralismo alla politica.
In tutto questo, si inserisce poi la nuova (ormai vecchia) legge elettorale per il rinnovo del CSM.
La legge elettorale vigente ha determinato una ulteriore torsione di questo sistema, portando a due fenomeni.
Nel tentativo di ridurre la capacità e il potere delle correnti, il legislatore che fa? Crea un sistema elettorale con un collegio unico nazionale, maggioritario ed uninominale; riduce il numero di consiglieri; inconsapevolmente mette in mano alle correnti la possibilità di designare, di nominare ex ante rispetto alle elezioni quelli che saranno gli eletti al Consiglio Superiore della magistratura. Priva gli elettori di qualsiasi potere di scelta.
Questo determina – dicevo- due effetti distorsivi. Il primo: il fatto che gli eletti vengano, di fatto, sostanzialmente nominati, che vengono prescelti dalle correnti crea un forte rapporto di dipendenza tra il gruppo e il nominato. Talvolta, come abbiamo visto di recente il rapporto di dipendenza non è neanche nei confronti della corrente ma di chi, all'interno di essa esercita una posizione di potere reale controllando il consenso elettorale.
Il secondo effetto distorsivo, che pure non dobbiamo sottovalutare, va in senso opposto al primo, e si traduce nella totale autonomizzazione dell'eletto rispetto al gruppo che lo ha sostenuto, determinando l'eliminazione di ogni responsabilità politica che pure deve essere alla base di un sistema di rappresentanza realmente democratico. Ciò avviene in relazione alla candidatura del personaggio di grande prestigio personale, che si impone rispetto al gruppo. La scelta di candidature di grande prestigio personale porta ad una importante affermazione elettorale ma fatalmente, nel corso del mandato colloca questo tipo di candidato all'esterno del meccanismo di rappresentanza del gruppo che postula, appunta, la responsabilità politica. Quel meccanismo in base al quale le scelte di governo e di gestione, quando risultino errate o persino compromettenti si ripercuotono in una responsabilità politica che ricade sul gruppo. Se però il soggetto eletto, in virtù dei consensi prevalentemente personali, si rende completamente svincolato rispetto al gruppo e addirittura è soverchiante rispetto ai principi e ai valori del gruppo che dovrebbe rappresentare diventa completamente autoreferenziale e le sue scelte finiscono per essere determinate da logiche personalissime e talvolta opache.
Questo è – a mio parere- il quadro nel quale si inseriscono i fatti più recenti emerse dalle indagini della Procura della Repubblica di Perugia ed a noi noti tramite le cronache dei mezzi di informazione.
Tali recenti vicende rappresentano certamente una ulteriore involuzione del sistema. Perché, come premettevo, questa vicenda dimostra come non sono più neanche correnti a intervenire in modo deviante sulle decisioni del governo autonomo, sono soggetti che all’interno delle correnti assumono una posizione di potere.
Perché dico che non sono neanche più correnti? Perché secondo le ricostruzioni dell'informazione, intorno ad un tavolo, la sera, in un certo albergo a tessere le trame delle nomine di vertice in alcuni importati uffici giudiziari scopriamo che non ci sono i segretari delle correnti, quelli che avrebbero la rappresentanza statutaria del gruppo e ne potrebbero indirizzare le scelte. E non c’è neanche una sola corrente. Ci sono dei soggetti che hanno un potere reale – che si traduce nella disponibiltà dei consensi elettorali necessari per far eleggere i consiglieri superiori– e che sono esponenti di due differenti correnti che, per inciso, assumono spesso posizioni conflittuali tra di loro. Quello che viene in emersione è quindi, una cosa ancora ulteriore e diversa rispetto ai fenomeni già noti della degenerazione correntizia. Configura l’aggregazione di un sistema di potere, che a questo punto si stacca in modo apprezzabile dal sistema delle correnti.
E non si può sottacere, se si vuole ben comprendere il fenomeno, che a quel tavolo non c’erano soltanto magistrati. C’era anche la politica. Anche la politica gioca, in questa circostanza, un ruolo improprio e deviante rispetto alle dinamiche consigliari. Si tratta peraltro di una politica che porta le proprie istanze meno nobili nel luogo ove vengono presi segreti accordi anziché nella sede istituzionale propria, il CSM, nella quale quelle decisioni devono essere prese e dove, per dettato costituzionale la politica ha piena cittadinanza a partecipare in modo pubblico e trasparente.
Il contributo della politica a quel tavolo non è neanche più un contributo meramente clientelare; sembra essere, invece e ben più gravemente, il tentativo di orientare, attraverso le nomine ai vertici degli uffici giudiziari, le scelte giurisdizionali che in quegli uffici dovranno essere assunte.
Questo è il livello di torsione al quale siamo arrivati.
E allora, concludendo, e tornando alla domanda principale: c’è uno spazio nel quale l'associazionismo giudiziario può esercitare il suo ruolo senza diventare metastasi del sistema di autogoverno?
Credo che una soluzione adeguata non possa che imporre che il CSM rimanga una istituzione fondata sul principio di rappresentanza. Va quindi bandita e dichiarata inaccettabile ogni ipotesi di riforma che preveda la sua formazione attraverso strumenti differenti dalle elezioni. In particolare deve essere respinta l'ipotesi di sua composizione per sorteggio. Su questo, noi qui in questa sala siamo tutti d’accordo ma, devo dire, sono pochi quelli tra i giuristi, nel mondo dell’avvocatura, pochissimi nel mondo della Magistratura sostengono che il CSM possa essere un luogo dove non ci sia rappresentanza e sia formato tramite sorteggio dei soggetti che lo compongono. Vorrebbe dire nullificare il ruolo istituzionale. Se noi pensassimo ad una Corte Costituzionale di sorteggiati, ad un Parlamento di sorteggiati o ad una Authority di sorteggiati, avremmo un esempio ben nitido del decadimento del ruolo istituzionale che verrebbe subito dal Consiglio.
Se il Consiglio deve esistere non può che essere un Consiglio che si basa sulla rappresentanza. E la rappresentanza della magistratura non può che essere aggregata attraverso la competizione elettorale democratica tra diverse associazioni di magistrati, aperta alla partecipazione anche di candidati indipendenti. Ciò è tanto necessario ed inevitabile che “Se non ci fosse l’associazionismo giudiziario perchè vietato per legge – cito un paradosso di Giuseppe Cascini, in un suo intervento recente – si passerebbe all’associazionismo segreto, perché l’associazionismo dei magistrati è insopprimibile”.
E allora che fare? Mi permetto di sollecitare l'attenzione alcune necessità.
La prima: bisogna manutenere la tenuta democratica delle nostre associazioni. Le nostre associazioni devono essere delle strutture democratiche, trasparenti e quanti in esse militano devono impegnarsi e garantire che esse non siano un simulacro che viene agito dall’esterno o dall’interno attraverso logiche opache, che non vi abbiano più accoglienza centri di potere palesi od occulti che non coincidano con le rispettive dirigenze statutarie, democraticamente elette e perciò politicamente responsabili rispetto al proprio corpo sociale.
La seconda: modificare urgentemente il sistema elettorale del CSM. Noi dobbiamo arrivare ad un sistema elettorale che garantisca due risultati: la responsabilità politica delle aggregazioni che si presentano; una possibilità reale di scelta degli elettori tra più candidati, anche all’interno di una stessa lista o di una stessa coalizione.
Altro tema di centrale importanza: le regole consigliari sono state per lungo tempo concepite ed utilizzate per rafforzare la capacità di clientela dei gruppi associativi, anziché per ridurla. Ricordiamoci quello che era fino a pochi anni fa il monopolio dell’informazione: per avere semplicemente una notizia il magistrato doveva andare col cappello in mano da qualche esponente di corrente alimentando un sistema che scambiava il faore con il consenso e contrabbandava per favore l'esercizio di un diritto. La maggior trasparenza del CSM e regole chiare costituiscono uno strumento strategico per contrastare il clientelismo.
L’ultima considerazione: non possiamo pensare che il problema si risolva indicando una, due persone, per quanto con nomi altisonanti, celebri, celeberrimi e farne i capri espiatori del sistema clientelare della Magistratura. Ci sono delle persone che hanno delle specifiche responsabilità, ma non compete a noi sul piano giudiziario e disciplinare valutarle.
C’è però una questione morale che riguarda l'intera Magistratura, e ne abbiamo avuto dimostrazione nelle ultime elezioni: l’offerta di clientela si salda ad una domanda di clientela. Se c'è chi elargisce favori e ne fa sistema di gestione del potere c'è anche chi i favori li chiede ed alimenta questo potere.
Se il corpo della Magistratura in modo ipocrita indica nelle correnti, come fossero altro da se, o in alcuni all’interno delle correnti i soli responsabili di questa situazione, non compie in modo corretto il proprio dovere deontologico ed etico.
Tutti i magistrati si devono invece interrogare circa il livello etico dei propri comportamenti e se gli stessi siano adeguati a garantire un autogoverno corrispondente alle aspettative del legislatore costituzionale.
Sul Forum si rinvia alla lettura dei precedenti contributi :Introduzione di Alfonso Amatucci al forum I MALI DEL CSM E LA LORO SCOMPARSA: L’INVADENZA DELLE CORRENTI O LA LORO SCOMPARSA? ,
FORUM I MALI DEL CSM E LA LORO SCOMPARSA: L’INVADENZA DELLE CORRENTI O LA LORO SCOMPARSA?
Introduzione al forum* di Alfonso Amatucci
*Testo della relazione presentata al Convegno Migliorare il Csm nella cornice istituzionale, Roma, 11 ottobre 2019 pubblicato in Migliorare il CSM nella cornice costituzionale editore CEDAM, collana: Dialoghi di giustizia insieme.
Il titolo della tavola rotonda usa il mezzo lieve del quesito per affrontare un problema di straordinaria serietà. Ci si chiede in realtà, posto che l’invadenza nella gestione del CSM da parte delle correnti (per la verità, di alcune più di altre) è un dato certo, se non sia questa la prevalente funzione che esse hanno finito con l’assumere e, implicitamente, se quella funzione non sia diventata primaria per essere evaporate le ragioni che ne avevano determinato la nascita. Sicché potrebbe retoricamente domandarsi se le correnti non siano diventate intollerabilmente invadenti come strumento di gestione del potere d’apparato per essere quasi “scomparse” come centro di confronto e di elaborazione di idee. Nacquero - come è stato autorevolmente rilevato - “perché in magistratura non v’erano visioni coincidenti sulla funzione della giurisdizione e sui limiti dell’interpretazione, sulla scia di un dibattito culturale che prese le mosse dalla discussione sui limiti del giudice nel dare attuazione ai principi ed alle norme della costituzione che non avessero ancora trovato riscontro in disposizioni di legge ordinaria”.
Con un’eccezione, tuttavia, anzi con due, giacché fu proprio lo “strapotere” delle correnti manifestatosi in talune (mancate) nomine consiliari nel quadriennio 1986-1990 a determinare la fuoriuscita di molti magistrati (al CSM c’erano D’Ambrosio e Racheli) dalle rispettive correnti di appartenenza e poi la nascita del “Movimento per la giustizia”, che con MD ha poi costituito “Area”. Il germe del rifiuto della corrente come strumento di carriera è dunque presente in magistratura. E, tuttavia, anche ad Area s’è imputato di aver partecipato alle “spartizioni” (valga per tutte l’esempio delle nomine a pacchetto), senza le quali – è stato peraltro osservato da taluni – nessuno degli aderenti ad Area avrebbe mai, o avrebbe assai raramente, ottenuto nomine di prestigio. Sicché si sarebbe trattato di un “male necessario”, indotto dal sistema.
Sennonché, le inaudite vicende messe in luce dall’indagine della procura di Perugia impongono che si corra ai ripari. Non certo con l’apocalittico sistema del sorteggio in prima o seconda battuta per l’elezione (elezione?!) dei componenti togati del CSM, che forse addirittura aumenterebbe il peso delle correnti. Sarebbe come domandarsi – perdonate l’improprietà del paragone ma è il primo che mi viene in mente – se, essendo decaduta la forza aggregante delle ideologie che avevano caratterizzato i partiti nel secolo scorso, sarebbe bene che essi scomparissero. Ma chi lo sostenesse, non potrebbe non dire chi li sostituirebbe nel determinare la politica nazionale. E, allo stesso modo, chi pensasse che le correnti dovrebbero sparire, non potrebbe non dire in quale altro serio modo potrebbe chiedersi ai magistrati di eleggere la componente togata del CSM, che il prof. Silvestri (non l’ultimo arrivato) ritiene di indirizzo politico, se pur limitato alla materie dell’autogoverno. Non so se si miri – ma il sospetto ce l’ho – a limitare il potere delle correnti per sminuire il ruolo del CSM nell’assetto costituzionale improntato all’equilibrio tra i poteri. Sarei certo però che quello sarebbe l’effetto finale, come sempre accade quando si tende ad eliminare il peso dei corpi intermedi nella determinazione della composizione di un organo costituzionale.
Le correnti, dunque non solo possono esistere (libertà di associazione), ma non si può evitare che esistano ed è bene che ci siano, apparendo un corpo intermedio essenziale. Tutti certamente concordano nel ritenere che occorre incrementarne la funzione lato sensu culturale per recuperarne le nobili ragioni d’essere che il tempo ha corroso. Dire come fare è più complesso e comunque non potrà accadere in tempi brevi. Hic et nunc va proposto un sistema elettorale capace di portare al CSM i migliori sfruttando l’insopprimibile interesse di ogni corrente ad avere successo nelle elezioni: l’interesse è pur sempre, in ogni contesto ed a qualsiasi latitudine, il principale fattore di determinazione delle azioni.
L’ambizione del candidato o il desiderio di avvicinarsi alla spiaggia natia non è eliminabile. La tendenza di un gruppo a nominare ad un ufficio direttivo chi abbraccia lo stesso tipo di impostazione sulla funzione e la posizione della giurisdizione è scontata. Ma deve cedere il passo al rispetto delle regole, e questo dipende dal rinnovato peso che i gruppi sapranno dare alla questione morale, dalla trasparenza dell’attività consiliare e dall’abbassamento del livello di gratitudine che l’eletto nutrirà nei confronti del gruppo designante, che quasi sempre dipende dallo spessore dell’eletto: chi è eletto perché (soprattutto perché o soltanto perché) un gruppo lo ha candidato, avrà maggiori difficoltà a sottrarsi al vincolo instauratosi anche quando si trattasse del delicatissimo ambito di valutazioni discrezionali
Un’idea (nulla più che un’idea) del modo per attenuare i possibili effetti negativi di quel vincolo m’è nata pensando a quanto accaduto nelle elezioni suppletive svoltesi dopo le dimissioni conseguite alle intercettazioni disposte dalla Procura di Perugia. Se Area avesse presentato solo un candidato avrebbe certamente ottenuto un seggio, essendo la somma del numero dei voti singolarmente riportati da ciascun candidato di gran lunga superiore ai voti espressi per il candidato unico di ognuna delle altre correnti. Area non ha invece ottenuto alcun seggio perché l’attuale legge elettorale non contempla un momento proporzionale.
Ne discendono due corollari:
- se un gruppo organizzato vuole ottenere seggi, deve esso stesso (e non gli elettori) compiere delle scelte preventive; se non lo fa, quand’anche non lo faccia per nobili ragioni, soccombe;
- è del tutto irragionevole che un gruppo che dagli elettori ottenga più voti degli altri non abbia rappresentanti o che ne abbia in numero inferiore.
Sono discrasie che esaltano, e non diminuiscono, il potere delle correnti intese come organizzazioni capaci di fare eleggere candidati. Lo esaltano perché quasi tutto dipende dalla designazione, anche di chi, essendo di Trento, è del tutto sconosciuto a Caltanissetta, o viceversa. Con la conseguenza che gli elettori molto spesso non potranno che esprimersi per “fedeltà” e non per stima; e, ancora, che ne risulterà aumentato il livello di gratitudine dell’eletto per il gruppo che lo ha candidato.
Quegli effetti sarebbero fortemente attenuati se, con opportune previsioni per conseguire la parità di genere e con unica votazione ed unica preferenza in tanti collegi quanti sono i distretti di Corte d’appello, venissero eletti, previa ripartizione dei seggi tra liste concorrenti in misura proporzionale ai voti riportati su base nazionale, coloro che avessero riportato il miglior quoziente tra voti espressi e voti ottenuti. L’interesse delle correnti ad ottenere molti voti su base nazionale (che determinerebbe il numero dei seggi assegnati) le indurrebbe a candidare in ogni collegio i magistrati più stimati, attesa anche l’incertezza su quelli destinati ad ottenere il miglior quoziente in ogni distretto, anche se di contenute dimensioni. E si darebbe corpo all’idea che quanto più elevato è il prestigio di un magistrato, tanto minore è la sua “dipendenza” da orientamenti non fondati su ragioni cristalline.
Ma m’è stato affidato il compito di moderare il dibattito e dunque cedo la parola agli autorevolissimi interventori, scusandomi in anticipo se dopo solo 10 minuti dovrò avvertirli del limite di tempo a ciascun assegnato.
*seguiranno i contributi Le correnti un male necessario? di Carlo Guarnieri, I mali del Csm di Giorgio Spangher, I mali del CSM: invadenza delle correnti o la loro scomparsa? di Eugenio Albamonte
FORUM I MALI DEL CSM E LA LORO SCOMPARSA: L’INVADENZA DELLE CORRENTI O LA LORO SCOMPARSA?
I mali del CSM di Giorgio Spangher*
*Testo della relazione presentata al Convegno Migliorare il Csm nella cornice istituzionale, Roma, 11 ottobre 2019 pubblicato in Migliorare il CSM nella cornice costituzionale editore CEDAM, collana: Dialoghi di giustizia insieme.
Il Consiglio Superiore della Magistratura è un luogo dove si esercita una funzione e/o un potere. Come ogni luogo dove si esercita una funzione e/o un potere sottostà alle regole della funzione e/o del potere: chi è chiamato a svolgerle cerca di esercitarle nella “visione” personale o del gruppo di appartenenza cercando di prevalere sull’altro o sugli altri che anch’essi vogliono svolgere personalmente o nel gruppo di appartenenza la loro funzione e/o il potere.
È possibile che singoli o gruppi trovino dei compromessi, dei componimenti, delle mediazioni, ma tendenzialmente l’uno o l’altro, un gruppo o un altro cercherà di prevalere.
Come detto il Consiglio Superiore della Magistratura non si sottrae, forse non può sottrarsi a questa logica delle funzioni e del potere, non costituendo un ostacolo – in termini assoluti – la materia sulla quale la funzione e/o il potere si esercita (l’autorevolezza della Magistratura, la sua indipendenza).
Poiché il potere del singolo, inevitabilmente, è debole nascono i gruppi e nel contesto del Consiglio Superiore, le correnti che, certamente, hanno come substrato un elemento culturale ideologico, legato alla visione ed alla missione della giurisdizione, ma che da questo elemento di fondo, che permane, si strutturano anche come centro di “potere” con cui esercitare la funzione e/o il potere.
Peraltro, l’aggregazione che senza voler assumere connotazioni spregiative, continueremo a chiamare correnti, sono il volano per ulteriori manifestazioni di potere: le elezioni dell’Associazione Nazionale Magistrati, le nomine al direttivo della Scuola Superiore della Magistratura, gli incarichi direttivi, le nomine agli organismi europei, le varie designazioni del c.d. fuori ruolo, e via a seguire.
Del resto, in caso di nomine a grappolo o a pacchetto, si assiste ad una distribuzione delle stesse secondo la logica della proporzione della rappresentanza consiliare.
Si peccherebbe di onestà intellettuale ove si mancasse di sottolineare che anche le componenti laiche – i membri di nomina parlamentare – si strutturano ai gruppi, come del resto emerge dalla stessa distribuzione degli otto seggi che effettua il Parlamento (cinque alla maggioranza, tre all’opposizione) seppure i loro obiettivi siano diversi, ancorché tesi a favorire le opzioni culturali e politiche della magistratura, ritenute in qualche modo più contigue: il c.d. collateralismo.
Le componenti laiche, se sono coinvolte nelle scelte ideologiche e di distribuzione degli incarichi, restano estranee alla distribuzione delle posizioni di supporto del Consiglio (magistrati, segretari) e molto spesso alle logiche della sezione disciplinare e di quella definibile paradisciplinare.
Per cogliere il senso dell’organizzazione correntizia basta sottolineare come l’operazione di “reclutamento” inizi dalla formazione iniziale, dai gruppi di lavoro ed il proselitismo continui nelle sedi di assegnazione.
Per capire ancora meglio quanto si è detto basterà sottolineare come qualsiasi magistrato che abbia una pratica di un certo rilievo, per sé, davanti il Consiglio Superiore della Magistratura, sarà inevitabilmente portato ad interrogarsi sulla composizione della Commissione competente e sugli eventuali appoggi del suo competitor.
Il senso del proselitismo si alimenta attraverso i dibattiti nel plenum dove la loro prolissità è giustificata dall’esigenza di trasmettere ai magistrati l’impegno profuso dal gruppo di appartenenza (o che si vuole avvicinare) a testimonianza dell’impegno a tutela del candidato. Lo stesso discorso vale per il gruppo che si opponga alla decisione maggioritaria.
Il dato trova ulteriori conferme nella proliferazione, da parte di ogni gruppo, delle mailing-list, con le quali si cerca di spostare gli equilibri del potere a proprio vantaggio.
A conferma della logica dei gruppi, si sottolinea che i voti in dissenso sono rari, in quanto le questioni conflittuali vengono affrontate all’interno delle correnti, spesso con ritardi e paralisi dell’attività consiliare, che riprenderà quando un punto di equilibrio sarà stato raggiunto.
Ancora, posso riportare per esperienza personale, come il Consiglio usi con elasticità i criteri che stanno alla base delle scelte soggettive: la prima pratica che ho affrontato riguardava la nomina di un giudice minorile: doveva prevalere il criterio della specializzazione o quello della rotazione delle esperienze? Prevalse il primo criterio. Ho chiuso l’esperienza consiliare sempre su un caso di nomina di un giudice minorile; è prevalso l’altro criterio. Prevaleva la scelta della maggioranza legata al nome del candidato.
Quanto ai rapporti con la politica, questi si collocano su piani diversi. Il laico cerca la legittimazione da parte dei suoi referenti per il successivo sviluppo di carriera nelle istituzioni.
A volte il magistrato interessato ad una pratica cerca l’interlocuzione mediata con il politico del territorio, ma a volte non ha difficoltà a ricercare la condivisione con il componente laico.
I magistrati cercano e intrattengono interlocuzioni soprattutto in relazione a possibile posizioni istituzionali fuori ruolo.
Fermo restando che ogni consiliatura fa storia, a sé, non potendosi escludere che i laici agiscano in ordine sparso, ovvero come gruppo, superando le differenze e divergenze politiche, in modo più o meno compatto, cioè, scomponibile, le ultime vicende evidenziano, per un verso, l’emergere di figure individuali di magistrati connotate da una forte visibilità mediatica e, per un altro, la frantumazione delle correnti, di gruppi correntizi soggettivamente riconducibili ad una leadership personale.
A parte vanno considerate le frammentazioni interne, spesso prodromiche di scissione, e di protagonismi più o meno isolati e contingenti.
Resta consolidato che stante un corpus di magistrati numericamente non elevato, la capacità di controllo delle appartenenze, anche in sede distrettuale, non presenta particolari difficoltà di controllo, con conseguente scarsa incidenza sui sistemi elettorali che si volessero introdurre.
* Sul Forum si rinvia alla lettura dei precedenti contributi :Introduzione di Alfonso Amatucci al forum I MALI DEL CSM E LA LORO SCOMPARSA: L’INVADENZA DELLE CORRENTI O LA LORO SCOMPARSA? e FORUM I MALI DEL CSM E LA LORO SCOMPARSA: L’INVADENZA DELLE CORRENTI O LA LORO SCOMPARSA? Le correnti: un male necessario? di Carlo Guarnieri
Seguirà I mali del CSM: invadenza delle correnti o la loro scomparsa? di Eugenio Albamonte
Un errore procedurale nel labirinto delle questioni di costituzionalità, in tema di titolo esecutivo
di Giorgio Spangher
Un giudice dell’esecuzione deve decidere di una pena relativamente ad un soggetto al quale viene revocata la sospensione condizionale effetto di un patteggiamento applicato quando è stato ritenuto erroneamente maggiorenne e definito con sentenza passata in giudicato.
Ritenendo che l’ordinamento non prevede un adeguato strumento per rimediare all’errore, solleva una questione di legittimità costituzionale dell’art. 670 c.p.p., in riferimento agli artt. 3, 10, 13, 25 primo comma e 117 primo comma Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 5, § 1, lett. a e 4 della Cedu, nella parte in cui non consente al giudice dell’esecuzione di rilevare la nullità della sentenza di merito passata in giudicato derivante dalla violazione della competenza funzionale del Tribunale per i minorenni.
Con la sentenza n. 2 del 2022 la Corte costituzionale ha dichiarato la questione non fondata in relazione a tutti i profili sollevati dal giudice a quo, soprattutto in relazione alla dedotta questione di nullità assoluta per difetto di competenza funzionale, così da far dichiarare nullo il titolo esecutivo, per poi procedere ad un nuovo giudizio innanzi al competente tribunale per i minorenni.
Al di là della corretta prospettazione della tipologia di invalida, è evidente che un accoglimento di questo profilo avrebbe determinato in termini di sistema, come non manca di sottolineare la Corte, “gravi squilibri nei meccanismi della rilevazione delle nullità, così come disegnati dal Codice di procedura penale”.
Del resto, la Corte non manca di sottolineare come il giudice a quo espressamente ritenga, con motivazione più o meno ampia, che alcune ipotesi alternative, pur prospettate nel corso del processo, avesse ritenuto di non sollevarle. Il riferimento è alla possibile operativa della revisione ed all’inquadramento della questione nel novero dell’inesistenza (radicale).
Se in relazione al primo profilo, i giudici costituzionali non mancano di evidenziare che la questione avrebbe dovuto essere oggetto della prospettazione della Corte d’appello, quanto al secondo i giudici costituzionali evidenziano qualche possibile “apertura”, sottolineando la decisa opzione del giudice a quo per la questione di nullità dell’art. 670, comma 1, c.p.p.
A superare i riferiti limiti di rilevabilità, secondo la Corte, non potrebbero essere addotte neppure le nullità relative a diritti fondamentali, essendo queste già ricomprese tra le ipotesi di invalidità previste dalla disciplina codicistica.
In questa stessa prospettiva non potrebbero rilevare neppure le violazioni di garanzie costituzionali come quella, pur sostenuta dal giudice a quo, della lesione del principio del giudice naturale di cui all’art. 25 Cost., pur non mancando numerose decisioni costituzionali che collocano in questo ambito la posizione del giudice minorile.
Inoltre la Corte, pur essendo in questi ultimi tempi emersa una progressiva erosione del giudicato, in relazione al tema delle prove illegali, non manca di sottolineare come le decisioni in materia siano riconducibili ad interventi giurisprudenziali legati a situazioni di sopravvenienza costituzionalmente rilevata, con conseguente esclusione di “interventi a ritroso del giudice dell’esecuzione”.
Complessivamente, quindi, secondo la Corte deve ritenersi che l’irrevocabilità della res iudicata sia un fisiologico argine rispetto alla possibilità di interventi correttivi, una volta che siano intervenute le decisioni dei giudici chiamati anche a verificare su iniziativa delle parti eventuali errori procedurali.
Pur nella piena percezione dei termini della questione – senza evocare quanto previsto dal comma 4 dell’art. 24 Cost. – la Corte costituzionale, nella consapevolezza delle non secondarie ricadute che un’eventuale decisione di accoglimento potrebbe determinare, si muove nel solco dei termini nei quali il giudice a quo ha proposto la questione, secondo la logica delle rime obbligate o baciate, tenendo presenti i limiti che essa ed il diritto vivente hanno già fissato in punto di erosione del giudicato.
Sotto questo profilo, dalla lettura della motivazione sembrerebbe possibile affermare che ove la questione fosse stata prospettata nei termini dell’inesistenza (come sostenuto dalla difesa) l’esito avrebbe potuto essere diverso, ovvero, forse poteva lo stesso giudice di sorveglianza determinarsi in tal senso. È noto, infatti, che l’inesistenza, concepita ai tempi delle nullità relative, sanabili – perché non riconosciute – costituiva (1930) lo strumento per ovviare a gravi patologie processuali e come l’introduzione nel 1955 delle nullità assolute ne avesse ridimensionato la presenza,
Invero, la residualità delle situazioni di inesistenza - vizio di natura giurisprudenziale - non avrebbe messo in discussione l’esigenza per la Corte ed il sistema di preservare l’autorità del giudicato e l’assorbimento da parte della sentenza definitiva soprattutto delle cause di nullità ancorché assolute che, seppur insanabili, si afferma essere “coperte” dal giudicato.
Significativo, in tal senso, il passaggio della motivazione nella quale la Corte sottolinea come il giudice a quo sollecita questa Corte ad intervenire con una pronuncia additiva sul testo dell’art. 670, comma 1, c.p.p., che consenta al giudice dell’esecuzione di dichiarare (non già la “mancanza” o l’“inesistenza”, bensì) la nullità del titolo esecutivo, sulla base di un vizio esso stesso qualificato dal rimettente in termini di “nullità”.
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