ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
TED BUNDY – Fascino Criminale di Franco Caroleo
La storia di un serial killer, la vicenda giudiziale, il processo mediatico e la spasmodica accettazione della verità.
Vi prego, non chiamatelo legal thriller.
Ted Bundy – Fascino Criminale (titolo originale: Extremely Wicked, Shockingly Evil and Vile, dannatamente più evocativo) è il racconto nudo e crudo della vita di Ted Bundy, serial killer statunitense autore di decine di efferati omicidi (almeno 30 confessati) ai danni di giovani ragazze negli anni Settanta.
Dopo aver girato l’intrigante serie Netflix Conversations with a Killer: The Ted Bundy Tapes (un po’ documentario un po’ Un giorno in pretura in salsa a stelle e strisce), Joe Berlinger ritorna sullo stesso soggetto per confezionare una pellicola di tagliente inquietudine.
La storia è tratta dal libro di memorie di Elizabeth Kendall, pseudonimo della donna che visse un’intensa e controversa relazione sentimentale con Ted Bundy e che per lungo tempo ha confidato nella sua innocenza.
Ma la visceralità della relazione tra i due (interpretati dal sorprendente Zac Efron, che ricordavamo dolce e disneyano in High School Musical e ora ritroviamo freddo, brillante e spietato, e dall’impeccabile Lily Collins, che già con Fino all’osso aveva regalato una bella prova di maturità, lasciandosi alle spalle le voci sulle raccomandazioni di papà Phil) è solo uno dei fili che si intrecciano e si tendono nel corso del film.
C’è la vicenda giudiziale, che si sviluppa quasi per inerzia e che lascia per strada dubbi (sempre meno ragionevoli) e supposizioni suggestive, che portano centinaia di donne ad innamorarsi dell’imputato, così attraente e così lontano dal profilo del folle omicida descritto negli atti di causa.
C’è la potenza dei media, perché il processo in Florida di Ted Bundy è stato il primo processo penale ad essere stato trasmesso in tv negli Stati Uniti, quando ancora (siamo nel 1979) non esistevano i reality: un processo che si fa spettacolo (Bundy, cogliendo l’efficacia del mezzo, arriverà perfino a sposare in diretta tv una testimone) e lo spettacolo che dimentica il processo per scavare nell’umanità del mostro e accalorarsi nell’esibizione dialettica e muscolare di accusa e difesa.
C’è la verità processuale, c’è la verità storica; c’è la verità reclamata e quella che non si vuole accettare, perché a fianco c’era una persona che non era (affatto) quella che sembrava.
C’è un’intera vita di bugie o, forse, di verità in incognito. Vi prego, non chiamatelo legal thriller.
Il dibattito sulla Cannabis è tornato in questi giorni al centro delle cronache per la contrarietà del Ministro dell’Interno alla vendita della Cannabis light e per l’approvazione a Torino di una mozione consiliare sulla coltivazione di Cannabis ad uso medico sui terreni comunali.
Dietro alla confusione mediatica e politica sull’uso della Cannabis si nasconde una disciplina frammentata, al confine tra diritto penale e diritto amministrativo. L’attualità del tema dellaCannabis ad uso medico è evidentemente collegata all’interesse pubblico alla produzione e alla ricerca sull’efficacia terapeutica di questo prodotto, per la risposta che esso può dare alla richiesta di tutela della salute delle persone.
Sommario: la disciplina della cannabis ad uso medico. -l’intervento pubblico come programmazione della ricerca e produzione. - la cooperazione amministrativa.
1. La disciplina della Cannabis ad uso medico.
L’uso medico della Cannabis non è considerato una terapia, ma un trattamento sintomatico in grado di supportare i trattamenti standard laddove non producano gli effetti desiderati o qualora non siano tollerati o necessitino di incrementi posologici che potrebbero determinare la comparsa di effetti collaterali [FB1] [1].
La disciplina dell’uso medico della Cannabis trova riferimento nel quadro normativo frammentato in materia di: autorizzazioni[2], accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore[3], medicinali[4], prescrizioni delle preparazioni magistrali[5].
La potenziale offensività della circolazione di sostanze stupefacenti spiega la rilevanza penale dell’uso della Cannabis.
Non stupisce che la giurisprudenza penale abbia chiarito che per il perfezionarsi del reato di coltivazione abusiva “non rilevano le quantità e qualità delle piante, la loro effettiva tossicità o la quantità di sostanza drogante da esse estraibili, poiché la previsione incriminatrice è rivolta a vietare la produzione di specie vegetali idonee a produrre l’agente psicotropo, indipendentemente dal principio attivo estraibile”[6]; la fattispecie viene inquadrata come “reato di pericolo perfezionato con la posa dei semi idonei a produrre una potenziale germinazione ad effetti stupefacenti senza che si renda necessario attendere l’esaurirsi del ciclo di maturazione e successiva essiccazione delle foglie”[7].
La rilevanza penale che il nostro ordinamento assegna all’uso della Cannabis in ragione dei sui effetti stupefacenti condiziona le diverse attività soggette ad autorizzazione[8].
Per le varietà di canapa che non rientrano [FB2] nel Testo Unico sugli stupefacenti il legislatore consente, invece, senza necessità di autorizzazione, “coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative nonché di ricerca da parte di istituti pubblici e privati” della canapa”[9].
2. L’intervento pubblico come programmazione della ricerca e produzione.
L’offerta di mercato della Cannabis ad uso medico è oggi insufficiente a soddisfare interamente la domanda farmaceutica nazionale e la crescita del fabbisogno[10].
Accanto ad un intervento pubblico nella produzione, finalizzato alla garanzia della continuità terapeutica per gli usi già consentiti, vi è un intervento pubblico finalizzato alla ricerca di nuovi impieghi medici e alla valutazione dell’effettiva efficacia di quelli già riconosciuti.
In questa prospettiva ricerca e produzione vanno intese congiuntamente.
Sicché non stupisce che il Ministero della salute, in qualità di Organismo statale della cannabis[11], eserciti altre funzioni oltre a quelle direttamente legate alla tutala della salute nell’ambito del Ssn, provvedendo ad autorizzare e individuare le aree destinate alla coltivazione di piante di Cannabis, autorizzare l’importazione e l’esportazione, determinare le quote di fabbricazione [12].
Recenti disposizioni normative sulla produzione e trasformazione della Cannabis ad uso medico[13] disciplinano l’autorizzazione alla produzione dello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze (SCFM), ai fini della fabbricazione di infiorescenze di Cannabis, della coltivazione e della trasformazione della Cannabis in sostanze e preparazioni vegetali per la successiva distribuzione alle farmacie[14].
Nella programmazione[15] dell’approvigionamento non è coinvolto solo l’Organismo statale per la Cannabis che può “autorizzare l’importazione di quote da conferire allo Stabilimento chimico militare di Firenze, ai fini di soddisfare il fabbisogno nazionale di tali preparazioni e per la conduzione di studi clinici”[16], ma anche direttamente Regioni e Province autonome che predispongono le richieste “sulla base della stima dei fabbisogni dei pazienti in trattamento e di eventuali incrementi per nuove esigenze di trattamento”[17].
L’autorizzazione dell’importazione di quote di Cannabis si giustifica con la necessità di “assicurare la disponibilità di Cannabis ad uso medico sul territorio nazionale, anche al fine di garantire la continuità terapeutica dei pazienti già in trattamento”[18].
Al fine di “soddisfare il fabbisogno nazionale di tali preparazioni e per la conduzione di studi clinici”, lo stabilimento fiorentino è autorizzato alla “coltivazione e alla trasformazione della Cannabis in sostanze e preparazioni vegetali per la successiva distribuzione alle farmacie”[19].
Oltre allo stabilimento autorizzato, il Ministero della Salute può individuare con decreto anche “uno o più enti o imprese da autorizzare alla coltivazione nonché alla trasformazione”[20]; soluzione già individuata dalla giurisprudenza amministrativa che ha affermato la possibilità che l’autorizzazione alla coltivazione sia conferita anche ad altri soggetti[21].
Sicché la possibilità di concedere altre autorizzati alla coltivazione per uso medico[22] è stata ritenuta idonea ad escludere l’esistenza di un monopolio statale[23].
In ogni caso i coltivatori autorizzati debbono consegnare “il materiale vegetale a base di cannabis, nei tempi e nei modi definiti nel provvedimento di autorizzazione alla coltivazione, al Ministro della salute, Direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico – Ufficio centrale stupefacenti [n.d.r. Organismo statale per la cannabis] che provvede alla destinazione del materiale stesso alle officine farmaceutiche autorizzate per la successiva trasformazione in sostanza attiva o preparazione vegetale, entro quattro mesi dalla raccolta”[24].
L’autorizzabilità di altri soggetti, subordinata alla necessità di soddisfare il fabbisogno nazionale, è estesa oggi anche all’attività di trasformazione della cannabis; le disposizioni urgenti in materia di finanza e per esigenze indifferibili hanno infatti esteso l’autorizzazione anche alla “trasformazione della Cannabis in sostanze e preparazioni vegetali per la successiva distribuzione alle farmacie”[25].
La disposizione normativa sulla “produzione e trasformazione della Cannabis ad uso medico”[26] richiama le attività di produzione, fabbricazione di infiorescenze, di trasformazione e di coltivazione di Cannabis in sostanze e preparazioni vegetali per la successiva distribuzione nelle farmacie.
La disciplina della Cannabis ad uso medico coinvolge perciò diverse attività per le quali è richiesta l’autorizzazione di cui al Testo Unico in materia di stupefacenti quali: coltivazione, trasformazione, fabbricazione e produzione, uso.
3. La cooperazione amministrativa.
Le attività di coltivazione e trasformazione della Cannabis in sostanze e preparazioni vegetali, per la successiva distribuzione alle farmacie, non sono finalizzate solo “a soddisfare il fabbisogno nazionale di tali preparazioni”, ma anche alla “conduzione di studi clinici”[27].
Perciò se le attività di produzione e di ricerca non sono scindibili, appare difficilmente comprensibile - alla luce del dettato costituzionale di riferimento (artt. 3, 9[28], 32, 41 Cost) - la scelta di condizionare l‘autorizzabilità di altri soggetti al solo caso di carenza di quote di Cannabis.
In tale prospettiva si comprende il tentativo del legislatore della XVII legislatura di definire l’aspetto promozionale della ricerca universitaria, legato alla produzione della Cannabis ad uso medico, disponendo che “nell’ambito delle attività di ricerca, le università e le società medico-scientifiche possono promuovere studi preclinici, clinici, osservazionali ed epidemiologici sull’uso appropriato dei medicinali di origine vegetale a base di cannabis, condotti secondo la normativa vigente in materia di sperimentazione”.[29]
Nell’intervento pubblico di produzione della Cannabis ad uso medico il ruolo universitario[30] nella promozione della ricerca non può essere inteso separatamente dalla programmazione dell’attività di produzione.
L’attività di ricerca e produzione della Cannabis ad uso medico si presenta come attività di cooperazione amministrativa, anche europea[31].
La cooperazione interessa diversi livelli di amministrazione: l’Unione europea, nella sua competenza di sostegno, coordinamento e completamento (art. 6 TFUE), lo Stato, nella garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, co. 2, lett. m); le Regioni, in virtù della loro competenza legislativa concorrente in materia di tutela della salute (art. 117 co. 3); nonché i Comuni in via sussidiaria e come enti di prossimità nella cura della persona (art. 118 Cost.).
La cooperazione amministrativa nella ricerca e produzione di Cannabis ad uso medico coinvolge, inoltre, tutte le Amministrazioni preposte alla tutela della salute: l’amministrazione sanitaria (Ministero della Salute, Aziende ospedaliere, Aziende sanitarie locali, etc.) e l’amministrazione per la ricerca scientifica (Università).
In tale contesto l’amministrazione universitaria assume uno spiccato rilievo nell’innovazione scientifica per la ricerca e la produzione di Cannabis ad uso medico, nonché un ruolo centrale nella cooperazione amministrativa.
Se le Università, che “da almeno un millennio sono depositarie dei più alti livelli di conoscenza in ogni ramo del sapere, possono innovare se stesse, aprendo alla trasformazione delle altre pubbliche amministrazioni”[32], l’amministrazione della Cannabis ad uso medico può configurarsi come modello di cooperazione amministrativa dove l’innovazione universitaria trasforma tutte le altre amministrazioni.
[1] L’art. 4.1. dell’Allegato tecnico per la produzione nazionale di sostanze e preparazioni di origine vegetale a base di cannabis al Decreto 9 novembre 2015, Ministero della Salute, definisce la Cannabis ad uso medico come un “trattamento sintomatico di supporto ai trattamenti standard, quando questi ultimi non hanno prodotto gli effetti desiderati, o hanno provocato effetti secondari non tollerabili, o necessitano di incrementi posologici che potrebbero determinare la comparsa di effetti collaterali”; “esistono diverse linee genetiche di Cannabis che contengono concentrazioni differenti dei principi farmacologicamente attivi e, conseguentemente, producono effetti diversi; pertanto, gli impieghi ad uso medico verranno specificati dal Ministero della salute, sentiti l’Istituto superiore di sanità e l’AIFA per ciascuna linea genetica di cannabis”. Lo stesso decreto afferma, inoltre, che i risultati delle evidenze scientifiche sono ancora oggi contraddittori e non conclusivi. Il D.d.l. recante disposizioni concernenti la coltivazione e la somministrazione della cannabis a uso medico, all’art. 2, nel testo approvato alla Camera il 19 ottobre 2017 nel corso della XVII legislatura, chiariva che per uso medico della Cannabis si deve intendere “l’assunzione di medicinali a base di cannabis che il medico curante prescrive dopo la valutazione del paziente e la diagnosi, per una opportuna terapia”. Alla Cannabis, nella varie fasi della produzione - dalla coltivazione alla trasformazione - si riferiscono le definizioni di: “sostanze vegetali”, con la quale si intendono “tutte le piante, le parti di piante, le alghe, i funghi e i licheni, interi, a pezzi o tagliati, in forma non trattata, di solito essiccata, ma talvolta anche allo stato fresco”, e di “preparazione vegetale”, con la quale si intendono le “preparazioni ottenute sottoponendo le sostanze vegetali a trattamenti quali estrazione, distillazione, spremitura, frazionamento, purificazione, concentrazione o fermentazione. In tale definizione rientrano anche sostanze vegetali triturate o polverizzate, tinture, estratti, olii essenziali, succhi ottenuti per spremitura ed essudati lavorati” (D. Lgs. 24 aprile 2006, n. 219, art. 1). Il prodotto può essere ricondotto alla definizione di medicinale per presentazione, quale “sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane”, come anche a quella di medicinale per funzione, quale “sostanza o associazione di sostanze che può essere utilizzata sull’uomo o somministrata all’uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica” (D. Lgs. 24 aprile 2006, n. 219, art. 1). Per l’analisi dell’accezione formale e sostanziale della definizione di medicinale si rinvia a M. P. Genesin, La disciplina dei farmaci, in Salute e sanità, a cura di R. Ferrara, in Trattato di biodiritto, diretto da S. Rodotà, P. Zatti, Milano, 2010, 631. Sul punto sia consentito rinviare a A. Cauduro, L’accesso al farmaco, Milano, 2017, 15 ss. Sulla disciplina dei farmaci si veda, inoltre, G.F. Ferrari, F. Massimino, Diritto del farmaco. Medicinali, diritto alla salute, politiche sanitarie, Bari, 2015, Si ricorda che “in caso di dubbio, se un prodotto, tenuto conto delle sue caratteristiche, può rientrare contemporaneamente nella definizione di “medicinale” e nella definizione di un prodotto disciplinato da un’altra normativa comunitaria”, trova sempre applicazione la disciplina dei medicinali (Direttiva 2001/83/CE, art. 2).
[2] D. P. R. 9 ottobre 1990, n. 309, Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza e successive modifiche e integrazioni (d’ora in avanti Testo Unico).
[3] Legge 15 marzo 2010, n. 38 recante disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore come richiamata dal Decreto 9 novembre 2015 del Ministero della salute.
[4] D. Lgs. 24 aprile 2006, n. 219, di recepimento della Direttiva 2001/83/CE.
[5] Legge 8 aprile 1998, n. 94 recante disposizioni sulla prescrizione di preparazioni medicinali, come richiamata dal decreto 9 novembre 2015 del Ministero della salute. In specie viene richiamato l’art. 5 della l. n. 94/1998 rubricato prescrizioni di preparazioni magistrali che stabilisce la possibilità “per i medici di prescrivere preparazioni magistrali esclusivamente a base di principi attivi descritti nelle farmacopee dei Paesi dell’Unione europea o contenuti in medicinali prodotti industrialmente di cui è autorizzato il commercio in Italia o in altro Paese dell’Unione europea”.
[6] Cass. Pen., Sezioni Unite 24 aprile – 10 luglio 2008, n. 28605. La decisione muoveva dalla questione se “la condotta di coltivazione di piante, dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti sia penalmente rilevante anche quando sia realizzata per destinazione del prodotto ad uso personale”.
[7] Cass. Pen., Sezioni Unite 24 aprile – 10 luglio 2008, n. 28605.
[8] Sulle autorizzazioni si vedano per tutti: A. Orsi Battaglini, voce Autorizzazione amministrativa, in Dig. disc. pubbl., 1987, Torino, 58 ss.; F. Fracchia, Autorizzazioni amministrative, in Diz. Dir.Pubbl., (diretto da) S. Cassese, Milano, 2006, 598 ss.; G. Vignocchi, La natura giuridica dell’autorizzazione amministrativa, Padova, 1944.
[9] Legge 2 dicembre 2016, n. 242, art. 2, lett. f.
[10] Per l’indicazione delle patologie per le quali sono riconosciuti “gli impieghi di cannabis ad uso medico” cfr. punto 4.1, dell’Allegato tecnico per la produzione nazionale di sostanze e preparazioni di origine vegetale a base di cannabis, del Decreto 9 novembre 2015 del Ministero della Salute. Sul punto cfr. Corte cost. 20 giugno 2013, n. 141 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1 e 1, della legge della Regione Liguria n. 26/2012, per violazione dell’art. 117, co. 3, Cost. perché “indicando i medici specialisti a prescrivere i farmaci cannabinoidi e definendo le relative indicazioni terapeutiche, interferisce con la competenza dello Stato a individuare, con norme di principio, tese a garantire l’uniformità delle modalità di prescrizione dei medicinali nel territorio nazionale, gli specialisti abilitati alla prescrizione del farmaco o principio attivo, nonché i relativi impieghi terapeutici”. Il riferimento è al contrasto delle norme regionali con la successiva determinazione AIFA n. 387 del 9 aprile 2013 con la quale l’Agenzia ha autorizzato l’immissione in commercio dell’unico medicinale cannabinoide presente sul mercato italiano.
[11] L’art. 1 del decreto 9 novembre 2015 del Ministero della salute, rubricato Funzioni del Ministero della salute in qualità di Organismo statale per la cannabis, richiama la Direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico – l'Ufficio centrale stupefacenti.
[12] Il Ministero della Salute provvede: a) ad autorizzare la coltivazione di piante di Cannabis da utilizzare per la produzione di medicinali di origine vegetale a base di Cannabis, sostanze e preparazioni vegetali; b) individua le aree da destinare alla coltivazione di piante di Cannabis per la produzione delle relative sostanze e preparazioni di origine vegetale e la superficie dei terreni su cui la coltivazione è consentita; c) importa, esporta e distribuisce sul territorio nazionale, ovvero autorizza l’importazione, l’esportazione, la distribuzione all’ingrosso e il mantenimento di scorte delle piante e materiale vegetale a base di Cannabis, ad eccezione delle giacenze in possesso dei fabbricanti di medicinali autorizzati; d) provvede alla determinazione delle quote di fabbricazione di sostanza attiva di origine vegetale a base di Cannabis sulla base delle richieste delle Regioni e delle Province autonome; b) individua le aree da destinare alla coltivazione di piante di Cannabis per la produzione delle relative sostanze e preparazioni di origine vegetale e la superficie dei terreni su cui la coltivazione è consentita; c) importa, esporta e distribuisce sul territorio nazionale, ovvero autorizza l’importazione, l’esportazione, la distribuzione all’ingrosso e il mantenimento di scorte delle piante e materiale vegetale a base di Cannabis, ad eccezione delle giacenze in possesso dei fabbricanti di medicinali autorizzati; d) provvede alla determinazione delle quote di fabbricazione di sostanza attiva di origine vegetale a base di cannabis sulla base delle richieste delle Regioni e delle Province autonome […]” Art. 1 decreto 9 novembre 2015 del Ministero della salute.
[13] D. L. 16 ottobre 2017, n. 148, conv. in Legge 4 dicembre 2017, n. 172, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili, Titolo III, Fondi ed ulteriori misure per esigenze indifferibili. Produzione e trasformazione di cannabis per uso medico (art. 18 quater).
[14] A copertura del fabbisogno nazionale, in data 30 marzo 2012, l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e l’Agenzia delle industrie difesa sottoscrivevano un accordo con il quale lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze (SCFM) veniva individuato come sito di produzione di medicinali carenti sul mercato nazionale o europeo. Il 18 settembre 2014 il Ministero della salute e il Ministero della difesa sottoscrivevano, poi, un accordo per l’avvio di un Progetto Pilota per la produzione nazionale di sostanze e preparazioni di origine vegetale a base di cannabis presso lo stabilimento fiorentino.
[15] Sulla programmazione si veda per tutti: M. Carabba, voce Programmazione, in Dig. disc. pubbl., vol. XII, Torino, 1990, 35 ss.; ID, Programmazione economica, in Enc. dir., vol. XXXVI, Milano, 1113 ss.; M. Luciani, Economia nel diritto costituzionale, in Dig. disc. pubbl., vol. V, Torino, 382. Si veda inoltre A. Predieri, Pianificazione e costituzione, Milano, 1963.
[16] Art. 18 quater D. L. 16 ottobre 2017, n. 148.
[17] Art. 3 Decreto 9 novembre 2015 del Ministero della salute.
[19] L’art. 18 quater, co. 1. L’art. 18 quater rubricato produzione e trasformazione di cannabis per uso medico del D. L. 16 ottobre 2017, n. 148 recante disposizioni urgenti in materia di finanza e per esigenze indifferibili contiene una disposizione normativa analoga a quella dell’art. 6 del d.d.l. richiamato.
[20] Art. 18 quater, comma 3.
[21] T.A.R. Lazio, Roma, 3 marzo 2017, n. 3074.
[22] D. P. R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 27 (autorizzazioni alla coltivazione).
[23] “Il decreto in questione in realtà non si limita ad attribuire al solo Stabilimento farmaceutico militare la competenza alla produzione di sostanze a base di cannabis, atteso che esso si affianca ad altri soggetti che siano autorizzati ai sensi dell’art. 27 del Testo Unico di cui al D. P. R. n. 309 del 1990 a coltivare tale pianta per uso medico, i quali, se in possesso dell’autorizzazione, possono altresì procedere alla raccolta e alla detenzione, e che nello specifico, come precisato dall’art. 1 del decreto «consegnano il materiale vegetale a base di cannabis nei tempi e nei modi definiti nel provvedimento di autorizzazione alla coltivazione all’Ufficio centrale stupefacenti, che provvede alla destinazione del materiale stesso alle officine farmaceutiche autorizzate per la successiva trasformazione in sostanza attiva o preparazione vegetale, entro 4 mesi dalla raccolta”, (T.A.R. Lazio, Roma, 3 marzo 2017, n. 3074).
[24] Art. 1 decreto 9 novembre 2015 del Ministero della salute.
[25] Art. 18 quater, co. 1 D. L. 16 ottobre 2017, n. 148.
[26] Art. 18-quater d.l. 16 ottobre 2017, n. 148.
[27] Art. 18 quater, co. 1 D. L. 16 ottobre 2017, n. 148. Alle finalità di promozione della ricerca il legislatore aveva dedicato una disposizione nel d.d.l. richiamato.
[28] Sulla ricerca scientifica, senza pretesa di esaustività, per tutti: F. Merusi, Art. 9., in Comm. Cost., a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1975, 445 ss.; F. Merloni, voce Ricerca scientifica (organizzazione ministeriale), in Enc. dir [agg. 2001], specie dove osserva che “le soluzioni organizzative possono essere ricostruite nel senso del progressivo spostamento delle funzioni di programmazione e coordinamento in capo a soggetti con forte ruolo di indirizzo politico, mente le funzioni «operative» (legate allo svolgimento diretto delle attività di ricerca) sono affidate a soggetti pubblici, università e enti di ricerca dotati di autonomia nei confronti dell’indirizzo politico e caratterizzati, più o meno ampiamente, dal principio dell’autogoverno delle comunità scientifiche che vi operano”; ID, Autonomie e libertà della ricerca scientifica, Milano, 1990.
[29] L’art. 9 d.d.l. recante disposizioni concernenti la coltivazione e la somministrazione della cannabis a uso medico, prevedeva che “allo stesso fine possono essere promossi studi di tecnica farmaceutica presso le università e studi di genetica delle varietà vegetali di cannabis presso gli istituti di ricerca. Con decreto del Ministro della salute, sentito il Consiglio superiore di sanità, sono definiti ulteriori impieghi della cannabis a uso medico, sulla base delle evidenze scientifiche”.
[30]U. Pototschnig, L’Università come società, in Rivista giuridica della scuola, 1976, 819, poi in Scritti scelti, Padova, 1999; U. Pototschnig,, L’autonomia universitaria: strutture di governo e di autogoverno, in Giur. cost., 1988, II, c. 2305 ss.; F. Merloni, L’autonomia delle Università e degli enti di ricerca (articoli 6-9), in F. Merloni (a cura di), Il Ministero e l'autonomia delle Università, Bologna, 1989, 81.
[31] ”La cooperazione amministrativa – sia come cooperazione verticale tra livello sovranazionale e livello statale, sia orizzontale, tra amministrazioni nazionali – costituisce una nuova competenza dell’Unione Europea che non esclude la responsabilità degli Stati Membri, ma che si configura come politica interna”, R. Cavallo Perin, G. M. Racca, voce Cooperazione amministrativa europea, in Dig. Disc. Pubbl., 2017, 193.
[32]G. Ajani, R. Cavallo Perin, B. Gagliardi, L’Università: un’amministrazione pubblica particolare, in Federalismi.it, p. 8.
Per noi anche questo è importante
E’ stato annunciato un nuovo decreto legge in materia di “ordine e sicurezza pubblica”. Il testo, che ha iniziato a circolare ancor prima dell’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, ha un chiaro sapore elettorale. Ancor una volta non sono note le ragioni di urgenza che potrebbero legittimare la procedura, ma quel che è più grave è che con la sua introduzione si compirebbero scelte strumentali, palesemente incostituzionali e gravemente lesive di diritti fondamentali.
Già con i “pacchetti sicurezza” degli anni 2008/2009 della maggioranza Popolo della Libertà – Lega, l’Italia sembrò aver cambiato pelle: il tema della sicurezza, calato sulla paura e insofferenza della gente, era diventato la priorità del nuovo governo, favorendo, come oggi, l’estendersi di sentimenti di odio ed intolleranza. “Famiglia Cristiana”, in uno storico editoriale del 15 febbraio 2009, denunciò il clima che si diffondeva nel Paese, definendolo “soffio ringhioso di una politica miope e xenofoba”.
Ma oggi, se possibile, con quest’altro “decreto spazza-diritti”, si profila qualcosa di peggio: si insiste sulla declamata politica dei “porti chiusi” (in sé impraticabile se non in presenza di gravi e specifici rischi per la sicurezza e l’ordine pubblico dello Stato di approdo) e, in base al concetto di “soccorso illegale” (una definizione illogica e lessicalmente contraddittoria, che avrebbe senso giuridico solo in caso di provato accordo criminale tra le ONG ed i trafficanti di migranti), si arriva a prevedere assurde sanzioni pecuniarie al solo scopo di paralizzare l’azione di soccorso dei migranti che coraggiosamente continuano a svolgere le poche organizzazioni non governative ancora in grado di operare in un Mediterraneo sempre più plumbeo.
Si ignora, in tal modo, che proprio sulla base di precisi obblighi internazionali (oltre che di doveri etico-sociali), quelle navi cercano lodevolmente di soccorrere coloro che rischiano la propria vita per sfuggire a guerre e a disperanti condizioni di vita.
Ci troviamo di fronte, invece, ad un progetto di norma che sembra prevedere un divieto di salvataggio con conseguente accettazione del rischio di un maggior numero di morti per annegamento: forse l’anticamera per analoghe sanzioni a carico di chi ospita o sfama i disperati stranieri anche sulla terraferma?
Viene attribuita alle Procure distrettuali la competenza per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: una scelta irragionevole che accentua la centralizzazione del pubblico ministero e sembra scommettere su una sorta di maggiore prevedibilità di decisioni conformi allo spirito di tempi così bui.
Limitando le competenze del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti alle sole finalità di sicurezza della navigazione e di protezione dell’ambiente marino si realizza un’anomala concentrazione di poteri in capo al Ministro dell’Interno (cui viene attribuita la competenza a limitare o vietare il transito e/o la sosta nel mare territoriale qualora sussistano ragioni di ordine e sicurezza pubblica), turbando gravemente i delicati equilibri istituzionali che presidiano le competenze statuali in materia di difesa e sicurezza.
Nella stessa scia, si pone la scelta di commissariare il Ministero della Giustizia, prevedendo la istituzione di un Commissario straordinario nominato su proposta del Ministro dell’Interno per gestire l'assunzione a termine di 800 persone destinate alla notifica delle migliaia di sentenze oggi ineseguite per la nota carenza di personale amministrativo, in particolare nelle Corti di Appello. Un problema reale, ma sfruttato politicamente per alimentare paure e soffiare sul fuoco dell’insicurezza collettiva. Per di più violando le prerogative costituzionali del Ministro della Giustizia e sostituendosi ai poteri di organizzazione degli uffici giudiziari spettanti ai loro dirigenti, talvolta dimentichi che prima di invocare nuove risorse, avrebbero il dovere di dimostrare che quelle disponibili sono state utilizzate al meglio.
Non abbiamo alcun bisogno di alterare l'ordinamento giudiziario con simili pericolosissimi vulnus privi di qualsiasi giustificazione
E’ auspicabile che il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro della Giustizia, entrambi
E’ auspicabile che il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro della Giustizia, entrambi avvocati, così come tutti i componenti del Governo, sappiano respingere questa ennesima deriva populista che si presta a plurime censure di incostituzionalità, privilegiando il rispetto dei diritti fondamentali delle persone, la divisione dei poteri ed il riparto di competenze nell’ambito dell’Esecutivo.
(dal quotidiano “La Repubblica” del 13.5.2019)
E’ dal 17 aprile del 2011, dalla messa in onda del primo episodio della prima stagione del Trono di Spade (siamo quasi alla fine dell’ottava ed ultima) che assistiamo, pubblico sempre più vasto negli anni, al racconto violento, romantico, fantastico e magico della infinita guerra per la conquista della corona dei Sette Regni e del Trono di Spade.
A contendersi il trono sono oggi due Regine, Cersei Lannister e Daenaerys Targaryen, anche se oramai il Regno del Nord è principale preoccupazione di una terza, Lady Sansa e la tremenda battaglia contro il Re della notte ed i suoi guerrieri zombie è stata conclusa dal colpo letale della adolescente guerriera Lady Arya Stark.
Non è andata sempre così. Ai suoi esordi la storia ruotava attorno a troni e principati saldamente in mano a re e cavalieri, e molte presenze femminili parevano solo un bellissimo contorno; ma poi negli anni, ben otto anni, la trama ha valorizzato quelle ed anche altre figure femminili, estreme ma dominanti; ora si preparano alla resa dei conti finale. Quel mondo in questi anni è cambiato.
Non vado oltre, per quanto sia irresistibile l’attrazione per queste storie e soprattutto per questi personaggi, ma ho voluto iniziare da questo per parlare con un po’ di leggerezza di un argomento, genere e rappresentanza, quote e percentuali, che con il suo prevedibile andamento carsico si è riaffacciato in queste settimane sulla scena dei nostri gruppi associati.
Curiosamente, parliamo di quote di genere, di chance e/o di risultato ogni volta che ci avviciniamo a qualche appuntamento elettorale e non c’è dubbio che chi ha portato avanti per anni questi temi all’interno della magistratura associata debba rivendicare con orgoglio gli effetti positivi che l’inserimento delle quote di genere nello statuto dell’A.N.M. e di alcuni dei gruppi ha prodotto proprio in occasione della scelta delle nuove rappresentanze.
Basta questo per dirci soddisfatti? E’ questa l’unica strada da proseguire e percorrere in questi tempi? Siamo in grado di adattare la trama della nostra presenza maschile/femminile nelle sedi della rappresentanza associata a come è diventata la magistratura oggi?
E’ scontato che io non sia qui a dare risposte, anzi sono la prima a farmi molte domande quando mi rendo conto, con qualche preoccupazione, che il modo ed i tempi con i quali noi magistrate riusciamo ad intervenire nelle realtà associative, in ANM e nei gruppi che la compongono, non sembrano risentire positivamente del rovesciamento di percentuali di presenza femminile in magistratura[1] e non sembrano, diversamente da quanto accade nelle storie di fantasy, recepire e valorizzare un cambiamento che da ben più di soli otto anni caratterizza la nostra realtà lavorativa.
La composizione della magistratura, oggi, vede una base costituita, nelle prime fasce di anzianità, da prevalente presenza femminile. L’età media delle donne magistrato, entrate in numero sempre maggiore negli ultimi anni, è più bassa di quella degli uomini.
Eppure nel dibattito che in pochi giorni si è acceso su alcune mailing list e che vedeva rifiorire l’interesse al rispetto di quote di genere e rappresentanza abbiamo registrato gli interventi di magistrati, uomini e donne, che anche nel contrapporsi delle idee avevano un preciso tratto comune: una certa anzianità, di ruolo ed anagrafica.
Abbiamo rivolto, negli anni passati, grande impegno e sforzo innovativo per raggiungere il risultato di cui ancora adesso discutiamo, lamentando ancora effetti insoddisfacenti, ma possiamo dire, come singoli e come gruppi, d’aver messo la stessa volontà e una reale capacità d’ideazione per superare gli ostacoli che oggi come anni fa rendono più accidentato, rispetto ai loro coetanei, l’accesso delle giovani magistrate, seppur ormai maggioranza, ai luoghi ed alle esperienze che formano un percorso di crescita in un gruppo associato?
Se scrivo queste righe è perché sono convinta che sia il momento di pensare laicamente alle quote di genere così come inserite nello statuto dell'ANM e dei nostri gruppi[2] come ad un traguardo acquisito che ci consente di rivolgere ora la nostra piena attenzione ad altri più sostanziosi argomenti anticipando, se possibile, una evoluzione della magistratura che già è in atto ma che, ora più che mai, ha bisogno di trovare nuovi motivi di coesione piuttosto che di contrasto.
Potremmo, in primo luogo, superare il pregiudizio di chi tuttora vede nelle quote di genere una sorta di compensazione per tutte quelle volte che, per fare altro, abbiamo lasciato un po’ prima della fine un convegno, abbiamo rinunciato ad una bella iniziativa fuori sede e ci siamo fatte da parte. Dovremmo superare l’idea che con i numeri e la percentuale di candidate ed elette si esaurisca il tema della rappresentanza a prescindere da specifici contenuti e scopi, conoscenze e ruoli, realistica valutazione delle esigenze della comunità che rappresentiamo.
Potremmo occuparci, ad esempio, delle ragioni per le quali per molte donne, fin dai primi anni di lavoro, è così difficile farsi avanti, autopromuoversi ma anche aiutarsi e creare legami costruttivi in un contesto associativo e quindi chiederci se gli argomenti che trattiamo o il modo in cui amministriamo i nostri uffici possano essere strumenti per facilitare una migliore partecipazione di tutti.
Potremmo poi concentrarci maggiormente su proposte e temi sui quali una nuova base della magistratura sia spinta a dare il proprio contributo ideale e di impegno con un sostanziale superamento delle contrapposizioni di genere ed una reale condivisione delle scelte più efficaci in relazione al risultato da raggiungere. Anche a Westeros alleanze e primi cavalieri cambiano secondo la necessità, del resto..
Potremmo cominciare a pensarci e confrontarci davvero come uguali.
[1] Di facile consultazione, anche se non aggiornatissimi, alcuni documenti nella sezione Comitato Pari opportunità in magistratura sulla pagina web del CSM al link che segue:
[2] In realtà non ne ho trovato traccia nello statuto di Magistratura Indipendente e nell’atto costitutivo di Autonomia ed Indipendenza mentre nello statuto di UNICOST si trova – art.8 – l’impegno del Comitato di Coordinamento a designare almeno il 40% per genere quanto a candidature al CDC e promuovere candidature di entrambi i generi al CSM
di Andrea Apollonio
Caro Giuseppe,
Mi suscita una velata inquietudine sapere che da oggi non sei più parte del nostro mondo. Una sensazione strana e del tutto inspiegabile, perché non ti ho mai conosciuto. Non c'è stata occasione di incontrarti, e d'altronde non poteva esserci: faccio il tuo stesso lavoro - il pubblico ministero - da un mese appena, nella piccola (ma non lontana dalla tua Palermo) procura di Patti - e, per inciso: in Sicilia ci sono venuto con le mie gambe, non a causa di contingenze legate a punteggi e graduatorie. E' un giovane pm a scriverti, l'avrai capito, che ha scelto questa funzione perché ci ha visto dentro un portato idealistico, nonostante tutto; nonostante i tempi che corrono.
Non ci siamo mai incontrati ma, entrato in magistratura, m'è parso di conoscerti fin dall'inizio (della tua lunga e della mia micrometrica carriera). Perchè è da quando guidi la procura di Roma - correva l'anno 2012, ed io neanche immaginavo di diventare magistrato - che seguo con interesse e curiosità, dalla semplice lettura delle notizie di giornale, l'evoluzione delle "politiche" giudiziarie di quell'ufficio: centralissimo, che pure nel corso degli anni, o dei decenni precedenti, si era conquistato la triste fama di "porto delle nebbie", perché nulla si muoveva, le inchieste non andavano avanti, come se la politica - la vera regina di Roma, da sempre - avesse chiesto e ottenuto di non essere disturbata: non disturbare il manovratore, recitava il cartello affisso sui tram.
Se la percezione collettiva dell'ufficio requirente capitolino è radicalmente mutata, il merito è tuo, e della squadra che hai saputo guidare col tuo tipico fare felpato e netto al contempo.
Ti dobbiamo - noi cittadini - l'avere messo a nudo sistemi corruttivi di proporzioni inimmaginabili, che prolificavano indisturbati sotto i nostri occhi, radicati nella Capitale con l'intento di inquinare le basi stesse della vita economica e produttiva del Paese. Ti dobbiamo - noi italiani - l'avere rappresentato lo Stato (questo è accaduto, nella sostanza) con credibilità e autorevolezza nei due momenti in cui la nostra coscienza nazionale ha pericolosamente vacillato: e mi riferisco al caso Regeni e, più di recente, al caso Cucchi, momenti in cui il Paese era stranamente unito perché chiedeva, unanimemente, che si facesse giustizia. Al di là di quello che si è potuto fare, e che si farà, ci hai messo la faccia, trasmettendo l'idea che lo Stato fosse, comunque, dalla parte giusta. Ti dobbiamo - noi giuristi - un nuovo modo di concepire i fenomeni mafiosi, che prescinde dall'intimidazione violenta per edulcorarsi, trasformarsi in un amalgama relazionale che, al Paese, può nuocere più dei morti ammazzati per strada. Le indagini contro Carminati e la sua banda hanno contribuito a lanciare un messaggio fortissimo e dirompente alla comunità giuridica, alla quale adesso si chiede di non trincerarsi più dietro i vecchi schemi interpretativi (talvota assurti a veri e propri alibi), ma di verificare quale effetto produca, in termini di diffusività e profondità, ed in concreto, il fenomeno delinquenziale da colpire con le indagini, i processi, le sentenze. Un messaggio che per questa via, un pò attutito e semplificato, è arrivato al comune cittadino, il quale oggi sa bene, ed era tempo che lo sapesse, che il metodo mafioso può annidarsi anche nelle mazzette; e ciò forse aiuta il lento percorso di moralizzazione della vita pubblica intrapreso - dalla politica, seguita dagli altri ceti dirigenti - da qualche anno a questa parte.
"Moralizzazione" è un termine che tu, probabilmente, disdegneresti, anche perché evoca altre epoche, per certi aspetti non edificanti, della nostra vita pubblica. Ma lasciamelo dire: i risultati che la tua squadra - tu, i tuoi aggiunti, i tuoi sostituti - ha conseguito in questi sette anni sono, sotto l'aspetto sistemico, paragonabili soltanto a quelli della procura di Milano dei tempi di Tangentopoli, con una sostanziale differenza: il tuo stile moderato e, diremmo nell'accezione migliore, democristiano ha prodotto effetti ben più incisivi e duraturi di quelli raggiunti con i toni accesi, i gesti plateali nei corridoi a favore delle telecamere, gli scontri frontali con il legislatore. Tanto che oggi i modelli investigativi coniati da Tangentopoli, problematici sotto l'aspetto delle garanzie degli indagati, sono considerati recessivi, anche perché ampiamente superati - in primo luogo, da interventi legislativi ad hoc, che non mi sento di definire sbagliati - mentre, sono sicuro, tra dieci o venti anni continueremo a indagare e a ragionare sulla scorta dell'inchiesta "apripista": Mafia Capitale, appunto, ma è solo un esempio tra i tanti.
Scrivendoti di getto, mi rendo conto di aver consumato lo spazio di questa lettera richiamando soltanto i tuoi ultimi anni, senza neppure citare i decenni di impegno - legati a sacrifici personali incalcolabili - trascorsi tra Palermo e Reggio Calabria; ma del resto, neanche tu, che conosci la tua storia meglio di chiunque altro, hai saputo trarre un bilancio analitico, se a precisa domanda di Giovanni Bianconi, nell'intervista dell'altro ieri sul Corriere della Sera, hai piuttosto voluto chiudere così: "E voglio sottolineare che risultati importanti sono per un pm non solo arresti e condanne, ma anche assoluzioni e archiviazioni, anche se proprio queste a volte sono oggetto di critiche violente quanto infondate".
E' una frase lapidaria perchè controcorrente, che certifica la statura del magistrato, reclinandola nel verso più corretto, quello garantista. Credo che noi, (tuoi) giovani colleghi, ed in particolare noi, giovani pm, dovremmo raccogliere dalla tua esperienza sopratutto questo tuo modo ponderato di fare e di pensare, che guarda ai fenomeni criminali come qualcosa da analizzare nel loro insieme per colpirli più efficacemente, che guarda al pubblico ministero come portatore di un interesse collettivo ineludibile, con funzioni talvolta rappresentative del comune sentire; che guarda all'indagato come soggetto da accusare e da tutelare allo stesso tempo.
Non posso che tramutare la velata inquietudine con la quale oggi so che ti congedi dal mondo in cui sono appena entrato in un rinnovato impegno; rendendo omaggio alla tua storia, e a quella della magistratura italiana migliore, passata e presente, semplicemente con il mio incondizionato impegno, nei palazzi di giustizia e fuori.
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