ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
La crisi della magistratura: origine e possibili rimedi
di Aniello Nappi
1. La magistratura vive oggi la più grave crisi nella storia della Repubblica. E’ una crisi di credibilità, nel rapporto con la società e con le altre istituzioni. E’ una crisi di identità, che interpella ciascun magistrato sulle responsabilità individuali e collettive per linguaggi e comportamenti quantomeno imbarazzanti.
Tutti denunciano la degenerazione delle correnti in cui si articola l’Associazione nazionale magistrati, che da espressioni di autentico pluralismo culturale e professionale si sono ridotte a centri di potere clientelare. Ma non mi pare che siano adeguate le idee sulle cause di questa involuzione.
Vladimiro Zagreblesky ha scritto che «per un consigliere del Consiglio superiore della Magistratura clientelare vi sono decine di clienti»; sicché «il problema vero» sono i clienti, perché «il consigliere è persona di servizio, che passa le sue giornate a soddisfare coloro che lo hanno eletto». Analoga è in definitiva l’analisi di Magistratura democratica: «la degenerazione del sistema ha molti responsabili e protagonisti, ma alla radice vi è una straordinaria ripresa della carriera e del carrierismo»; perché «solo in questo modo si può … spiegare l’attenzione spasmodica di molti magistrati per gli incarichi direttivi e semi direttivi che emerge dai fatti di Perugia».
Ora queste diagnosi non sono certo inattendibili, perché non v’è dubbio che in prospettiva etica il problema vero sia la domanda, non l’offerta: senza lo scarso senso morale dei cittadini non vi sarebbe la degenerazione dei partiti e della democrazia; il ceto politico sarebbe di qualità se non vi fosse la disponibilità a scambi elettorali.
Ma qui si pone un problema politico, non una questione morale. Le individuali ambizioni di carriera c’erano forse ancor di più quando l’organizzazione della magistratura rispondeva a quei criteri verticistici contro i quali si batté l’ANM, pur con la diversità di accenti che ne determinò appunto l’articolazione in contrapposte correnti culturali. Da anni si assiste invece a una sostanziale omogeneizzazione dei gruppi associativi su posizioni corporative, frequentemente in palese e piena incoerenza con le proclamazioni valoriali e programmatiche. E la omologazione si aggrava ovviamente nell’imminenza delle scadenze elettorali, perché gli apparati dirigenti dei gruppi tendono a inseguire il consenso sul più facile terreno della tutela degli interessi corporativi piuttosto che su quello certamente più impegnativo della cultura istituzionale e della capacità progettuale.
Sempre più frequentemente i magistrati operano infatti in condizioni di lavoro molto difficili. Si tende perciò a garantire il magistrato come “lavoratore” piuttosto che come istituzione.
Se si scorrono gli ordini del giorno del CSM si può constatare che le delibere del plenum sono quasi sempre approvate all’unanimità della componente togata sulle questioni di “amministrazione della giurisdizione”: come le incompatibilità parentali, le coassegnazioni a più uffici giudiziari, il rispetto dei termini per l’esercizio dell’azione penale, i “carichi esigibili” e gli standard di rendimento, le valutazioni di professionalità.
Nulla autorizza certo alla qualunquistica conclusione che “sono tutti uguali”; ma le distinzioni non possono rimanere affidate al solo criterio dell’onestà, se si vuole ribadire la legittimazione culturale dell’articolazione in correnti.
Anche i gruppi tradizionalmente più impegnati in una prospettiva istituzionale, di tutela della funzione a garanzia del sistema democratico, hanno rinunciato ormai a contrastare la deriva della sindacalizzazione, perché temono di perdere consensi elettorali. Svuotate così di effettività le contrapposizioni culturali e programmatiche, la competizione per il consenso elettorale si riduce alla contesa per gli incarichi ambiti.
Ed è qui che nasce il carrierismo, anche perché per l’aggiudicazione degli incarichi più contesi non sempre è sufficiente l’appartenenza all’una o all’altra corrente. Sempre più frequentemente è il “merito sindacale” il titolo decisivo che premia l’ambizione dei concorrenti, nel rispetto di un peculiare cursus honorum.
Tappe fondamentali di queste carriere parallele sono frequentemente i collocamenti “fuori ruolo”, vale a dire la destinazione all’esercizio di funzioni non giudiziarie presso pubbliche amministrazioni, in particolare il Ministero della Giustizia ma non solo, o altre istituzioni di rilievo costituzionale, come lo stesso Consiglio superiore della magistratura, le commissioni parlamentari o la Corte costituzionale. Infatti sono i rappresentanti delle correnti che hanno occasione di incontri con il mondo della politica, dal quale provengono per lo più gli incarichi extragiudiziari. Vi sono poi anche gli esoneri parziali o totali dal lavoro giudiziario per circa quattrocentocinquanta magistrati, che vengono decisi per lo più dai gruppi consiliari. Un inventario completo di questi esoneri è stato tentato; ma pare che non sia possibile, perché le ragioni che li giustificano sono le più varie: dalla partecipazione ai consigli giudiziari, il ruolo istituzionale che maggiormente giustifica l’esonero, agli incarichi di referenti per l’informatica o di esperti internazionali di lungo periodo o di formatori decentrati.
In particolare dal fuori ruolo consiliare, come magistrati addetti alla Segreteria o all’Ufficio studi selezionati da ciascuna corrente in proporzione del rispettivo consenso elettorale, si passa alla Cassazione, con preferenza per la Procura generale, o si assume un incarico associativo o di corrente, per poi tornare in Consiglio come componenti. Tutto ciò avviene benché tutti i gruppi si dichiarino contrari alle “carriere parallele”.
In particolare il ruolo di esponente dell’associazione o di una corrente è la premessa migliore per ottenere la candidatura al CSM. E questo incide in misura significativa sulle caratteristiche personali e professionali di molti componenti del Consiglio.
L’esperienza al CSM costituisce poi titolo privilegiato per incarichi direttivi. La competitività tra magistrati si è così trasferita sul piano dell’impegno sindacale: è in questo contesto che si coltivano le speranze, se non i timori, vanificando l’ideale originario del magistrato sine spe ac metu. Anche perché si evita accuratamente che si diano occasioni per distinzioni e comparazioni sul piano del lavoro giudiziario, con la conseguenza di privare il CSM di dati e informazioni da valutare quando si tratta di conferire incarichi ambiti, lasciando che prevalgano appunto le possibili referenze sindacali e comunque le appartenenze.
Sarebbe in realtà del tutto ragionevole che ciascuno degli orientamenti culturali rappresentati in CSM potesse far valere il proprio modello di dirigente. Ma occorrerebbe tradurre questi diversi modelli in criteri di selezione, ordinandoli per priorità. E confrontarsi su questi criteri, senza che risultino determinanti l’appartenenza o il curriculum sindacale dei candidati.
Sarà casuale, e comunque di per sé non è certamente negativo, ma gli attuali vertici della Corte di cassazione vantano tutti esperienze al Consiglio superiore della magistratura.
2. Sono diverse le proposte di riforma avanzate per far fronte a questa situazione.
Dal mondo dell’avvocatura viene con insistenza riproposta la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, senza considerare che, a parte ogni altra implicazione, ne conseguirebbe una moltiplicazione dei centri di potere clientelare.
Dal mondo della politica viene la proposta di istituire una corte disciplinare esterna al CSM, comune a tutte le magistrature. Ma questa riforma, che presupporrebbe il riconoscimento di piena indipendenza interna anche ai magistrati amministrativi, non avrebbe influenza alcuna sul ruolo delle correnti all’interno del CSM, come non lo avrebbe il parziale prolungamento della durata del mandato consiliare o la nomina del vicepresidente da parte del Capo dello Stato.
Maggiore efficacia potrebbe avere una riforma del sistema elettorale del consiglio, resa peraltro necessaria dal totale fallimento del sistema attuale, che ha permesso agli apparati correntizi una preventiva spartizione dei seggi.
Esclusa l’adeguatezza di un sistema elettorale maggioritario, incompatibile con un collegio destinato a maggioranze variabili, sarebbe preferibile un sistema elettorale a doppio turno, che imponga di eleggere al primo turno un numero predeterminato di candidati per ciascuno dei distretti di corte d’appello: al secondo turno sarebbero così in competizione molti più candidati, con una selezione più aperta e non ingessata dagli apparati di corrente. Ma certamente ragionevole è anche la proposta del prof. Silvestri, per un sistema elettorale analogo a quello un tempo in vigore per il Senato.
Anche la riforma del sistema elettorale, benché certamente necessaria, sarebbe tuttavia insufficiente, se le correnti, o almeno taluna di esse, non recuperassero l’originaria ispirazione progettuale.
Si tratterebbe in definitiva di scommettere sulla sensibilità istituzionale dei magistrati, confidando che il loro voto non sia determinato solo dall’aspettativa di una tutela corporativa. Non è detto che un confronto aperto con la prospettiva sindacale, che risulterebbe comunque significativamente rappresentata, debba segnare necessariamente la sconfitta di una prospettiva istituzionale. Sarebbe così possibile affrancare dal vincolo di corrente gli uffici ausiliari del CSM, segreteria e ufficio studi, reclutandone per concorso il personale, come del resto avviene per i funzionari parlamentari.
Oggi occorre comunque il coraggio di immaginare il futuro, per proporre un modello professionale di magistratura, ragionevolmente alternativo al modello burocratico e impiegatizio imposto dalla sindacalizzazione.
Infatti è appunto la logica sindacale, della tutela a qualsiasi costo del lavoratore magistrato, a spingere il CSM verso un irrimediabile declino. E questo declino, dagli sbocchi imprevedibili anche per la tenuta dell’intero sistema democratico, non potrà essere arrestato se la magistratura non sarà in grado di acquisire nuovamente una prospettiva istituzionale, superando decisamente l’attuale autorappresentazione corporativa.
Aniello Nappi
Intervista alle correnti. Paola D’Ovidio, Magistratura Indipendente
di Riccardo Ionta
Deriva e scarroccio. L’imbarcazione subisce uno scostamento e la rotta effettiva non coincide più con quella necessaria. Deriva è l’effetto della corrente, massa in movimento verso una direzione sotto il filo dell’acqua, difficile da percepire in assenza di punti di riferimento. Scarroccio è l’effetto del vento, viene da una direzione battendo sulla superfice emersa, ed è sufficiente sentirne la forza. Correnti e venti possono perturbare la navigazione, sfavorirla. Possono anche, tuttavia, favorirla sospingendo l’imbarcazione nel giusto senso. Dipende dalla direzione delle forze, dal loro combinarsi, dalla consapevolezza di chi naviga.
Giustizia Insieme è un’endiadi, uno spazio di libertà per la giustizia e il pluralismo, e nel momento in cui la magistratura è trascinata dalle correnti e battuta da plurimi venti, ha posto delle domande a quattro magistrati, (al momento dell’intervista) componenti di vertice dell’A.N.M., eletti per Area (Luca Poniz), Unicost (Giuliano Caputo), Autonomia e Indipendenza (Cesare Bonamartini), Magistratura Indipendente (Paola D’Ovidio).
Venti e correnti, prima o dopo, passano. E in una lunga traversata, prima o dopo, altri e altre ne ritornano. In ogni caso, l’importante è aver ben chiara la destinazione, conoscere sia i venti, sia le correnti, ed avere comunque un buon governo del timone.
La terza intervista è a Paola D’Ovidio (Magistratura Indipendente).
La seconda intervista a Cesare Bonamartini (Autonomia e Indipendenza): https://www.giustiziainsieme.it/it/le-interviste-di-giustizia-insieme/1188-intervista-alle-correnti-cesare-bonamartini-autonomia-indipendenza
La prima intervista a Luca Poniz (Area): https://www.giustiziainsieme.it/it/le-interviste-di-giustizia-insieme/1182-intervista-alle-correnti-luca-poniz-area
Sommario: 1. Perugia; 2. Populismi; 3. Le correnti; 4. C.S.M.; 5. A.N.M. e C.S.M.; 6. Pesi e contrappesi; 7. Pubblici ministeri e A.N.M.; 8. Le elezioni del Comitato Direttivo Centrale; 9. Le elezioni dei Consigli Giudiziari; 10. Futuro Prossimo.
1. Perugia
L’indagine di Perugia è un’indagine su ipotesi di reato di un ex consigliere del C.S.M. sfociata in un’inchiesta sul “dietro le quinte” del C.S.M.? Perché L’A.N.M. ha chiesto la trasmissione integrale degli atti dell’indagine di Perugia?
A quanto si è appreso dalla lettura dei giornali (nessuno dei componenti del C.D.C. per il gruppo di Magistratura Indipendente ha avuto modo di leggere gli atti del procedimento penale in questione), l’indagine di Perugia ha ad oggetto una presunta condotta corruttiva posta in essere, tra gli altri, dal dott. Luca Palamara, ex consigliere del C.S.M.
Per accertare la fondatezza dell’ipotesi di reato gli inquirenti si sono avvalsi anche di un captatore informatico inserito nel telefono cellulare dell’indagato, che ha consentito di ascoltarne in presa diretta le conversazioni nonché di acquisire conoscenza del contenuto della memoria.
Da tali flussi informatici sembrano essere emersi, tra l’altro, fatti e circostanze relativi a numerose pratiche pendenti innanzi al C.S.M. e definite sia nel periodo in cui il dott. Palamara rivestiva il ruolo di consigliere, sia nel periodo successivo, fino alla data in cui il telefono cellulare a lui in uso veniva sottoposto a sequestro. In particolare, sono stati rivelati alcuni retroscena di talune pratiche consiliari (relative alle nomine per incarichi direttivi e semi-direttivi ovvero a pratiche disciplinari), che paiono dai giornali essere state valutate e orientate dal dottor Palamara con alcuni altri consiglieri del CSM sulla base di criteri non fondati esclusivamente sul merito, bensì su rapporti privilegiati basati sulla conoscenza personale ovvero sull’appartenenza correntizia o su altri interessi personali da accertare.
Dunque, l’indagine della Procura di Perugia, per quanto appreso dalle notizie di stampa, sembra aver portato alla luce prassi e condotte che, se confermate, disvelano l’estensione di un fenomeno gravissimo ed inacettabile, che deve assolutamente essere espunto dalla Magistratura, .la quale esercita una delle tre fondamentali funzioni dello Stato ed ha il dovere costituzionale di svolgere tale funzione in maniera autonoma ed indipendente nell’interesse preminente della collettività.
E non c’è dubbio che i valori della imparzialità, dell’equilibrio, della terzietà devono essere rispettati anche nell’esercizio dei poteri di autoregolamentazione interna della magistratura.
In tale prospettiva, la richiesta degli atti si è resa indispensabile per acquisire compiuta e completa conoscenza dei fatti (allo stato conosciuti solo tramite le notizie di stampa), onde accertare l’eventuale sussistenza di condotte rilevanti ai fini dello Statuto A.N.M., ossia tali da integrare possibili violazioni del codice deontologico da sottoporre a sanzione.
Va tuttavia precisato che l’A.N.M. ha chiesto la trasmissione degli atti processuali alla Procura di Perugia in due occasioni: dapprima nel giugno 2019, quando sono stati pubblicati sulla stampa stralci parziali di conversazioni relative ad incontri tra consiglieri del C.S.M. ed esponenti politici; di seguito nel maggio 2020, quando taluni giornali hanno pubblicato stralci di ulteriori conversazioni/comunicazioni che vedono coinvolti altri magistrati.
In proposito, non si può non evidenziare che si sono registrate dissonanti decisioni assunte dall’A.N.M. in occasione dei due snodi essenziali della vicenda, in contrasto con le più elementari regole di coerenza, oltre che di imparzialità e terzietà: infatti, nonostante in entrambi i frangenti l’A.N.M. avesse a disposizione per le proprie valutazioni solo parziali notizie giornalistiche relative a frammenti isolati di conversazioni, essa così provvedeva:
1) in data 5 giugno 2019, il C.D.C. votava all’unanimità una delibera con la quale deferiva ai probiviri gli associati coinvolti nei fatti all’epoca riportati dalla stampa e scriveva, fra l’altro: “In questa fase estremamente critica, il Comitato Direttivo Centrale dell'ANM chiede che gli ulteriori consiglieri direttamente coinvolti nella vicenda rassegnino le loro immediate dimissioni dall'incarico istituzionale per il quale, evidentemente, non appaiono degni”;
2) in data 18 maggio 2020, a fronte di ulteriori notizie giornalistiche che coinvolgevano altri associati, la G.E.C., per contro, non investiva i probiviri di alcun accertamento e scriveva: “L'A.N.M. è in attesa della trasmissione degli atti per operare una ricostruzione completa di ciò che è stato anticipato dalla stampa, sin da ora assicuriamo l'applicazione del medesimo rigore nella valutazione dei fatti che emergeranno”.
Gli atti del processo di Perugia non sono ad oggi arrivati ma, ciò nonostante, il 20 giugno 2020 il C.D.C. ha comunque irrogato le sanzioni disciplinari dell’espulsione e della sospensione per cinque anni rispettivamente nei confronti del dott. Palamara e di uno dei consiglieri coinvolti nei fatti emersi nella primavera del 2019. Per i fatti, altrettanto gravi, riportati dai media nel maggio 2020, e poi anche nella prima metà del giugno dello stesso anno, nessuna menzione, nessun interessamento dei probiviri, nessuna significativa iniziativa da parte dell’A.N.M., solo quella generica “assicurazione” del 18 maggio, priva di orizzonti temporali e di qualsiasi volontà di approfondimento.
2. Populismi
L’appello a un’immagine ideale del popolo, incitato a riprendere il ruolo che qualcuno gli ha indebitamente sottratto, è considerata una delle principali caratteristiche dei populismi. Esiste davvero un populismo giudiziario oppure esiste davvero una magistratura onesta e una magistratura disonesta?
Il populismo giudiziario è un grave errore culturale.
Il compito del magistrato non è inseguire o assecondare il consenso di una base elettorale, e la giurisdizione non può sostituirsi né affiancarsi alla politica in un corto circuito intriso di protagonismo e malintesa supplenza, che nei casi peggiori si trasforma finanche in contiguità, competizione o conflitto. Ciò vale anche e a maggior ragione nei casi di involuzione e arretramento della politica, laddove quest’ultima, incapace di fornire risposte ai problemi dei cittadini, spinge il proprio baricentro verso un panpenalismo di imperante aggressività spesso senza prove e con una certa stampa troppe volte a favore.
Purtroppo nel Paese si affacciano forme più o meno estreme di questa “dottrina”, che va respinta con decisione.
Questo clima si è nutrito della delusione per l’inefficiente funzionamento sia dell’ordinamento politico che del servizio giustizia, a cui occorre però reagire con proposte innovative ed efficaci.
La larghissima, stra-grande maggioranza dei magistrati non solo è moralmente onesta, ma è perfettamente in grado di cogliere questa distruttiva confusione di ruoli ed è professionalmente e culturalmente attrezzata per saper prendere le distanze da indebite pressioni interne ed esterne, isolando i colleghi disonesti, gli ambiziosi e gli avidi di potere.
3. Le correnti
Le correnti. Sono gruppi di pensiero organizzato, gruppi organizzati di potere o cosa sono?
Partiamo dalla memoria: nell’immediato dopo guerra, finché non fu istituito il Consiglio superiore della magistratura (1959) e la Corte costituzionale (1956), i magistrati dovettero interrogarsi sul modo di intendere la giurisdizione e l’applicazione delle leggi, alcune varate nel ventennio fascista, nel nuovo quadro di garanzie e di valori costituzionali di libertà. Questo impegno di elaborazione si è sviluppato, specie negli anni sessanta, con la nascita delle “correnti” (MI nel 1962, MD nel 1964, per parlare di quelle tuttora esistenti) che, in un periodo di rapide trasformazioni sociali, hanno declinato, ciascuna, un’idea della giurisdizione nell’ambito di una dialettica, anche aspra, interna all’A.N.M. dove, nel quadro di valori condivisi, si perveniva a un sintesi, spesso alta.
Con il riconoscimento della valenza politico-costituzionale dell’esercizio della giurisdizione (Congresso A.N.M. di Gardone nel 1965) e di un sistema di guarentigie professionali strettamente attinenti al modello di giudice necessario in una società democratica e pluralista, le correnti hanno pian piano visto attenuarsi, sul piano fenomenologico, l’originaria spinta ideale. Si sono trasformate, negli anni (e sarebbe utile, avendo lo spazio per sviluppare il ragionamento, indagarne le ragioni) in luoghi di formazione del consenso per il raggiungimento di obiettivi di potere. Questa deriva del sistema, che trova plastica evidenza nella captazioni relative alla vicenda del dr. Palamara, ha suscitato grave sconcerto e generale riprovazione, e va ora drasticamente interrotta con un processo culturale all’interno della magistratura e con una radicale rigenerazione dei gruppi associativi.
Se il pluralismo che tutt’oggi connota l’A.N.M. rappresenta un valore da custodire, perché costituisce luogo di confronto e di crescita professionale e culturale di coloro che prendono parte al dibattito sui temi più vari, occorre, allora, chiedersi quale debba essere il ruolo e quali siano le prerogative delle correnti della magistratura.
Il confronto effettivo delle idee, delle proposte e di programmi, invero ampiamente possibile, almeno in astratto, in seno alle libere associazioni ovvero alle correnti, costituisce la più splendida forma di democrazia; già solo per questo le correnti meritano d’essere sostenute, tutelate e, soprattutto in questo momento storico, rinnovate; ad esse occorre guardare come consessi in cui germogliano le riflessioni più nobili, le proposte più valide volte a tutelare lo status del magistrato; lo scopo precipuo delle riflessioni deve essere sempre e soprattutto l’elaborazione di proposte sulle condizioni in cui ciascun magistrato è chiamato a operare.
E’ innegabile che il continuo aumento della domanda di giustizia abbia reso il magistrato l’anello debole della catena, quello cioè sul quale si incentrano le critiche della collettività, che ritiene la magistratura tutta responsabile dell’incapacità di fornire adeguata e tempestiva risposta alle istanze della collettività. Orbene, in quest’ottica ea a mero titolo esemplificativo, non può che rimarcarsi l’impegno profuso da un’ampia porzione della magistratura volto ad individuare standard concreti e tangibili di produttività, non piegati a meri schemi previsionali dei singoli Uffici giudiziari, ma finalizzati a tracciare una forte linea di demarcazione tra la responsabilità della magistratura e la responsabilità politica di chi amministra la giustizia; siffatto impegno, nato in seno ad una delle libere associazioni di magistrati, oggi costituisce un progetto ampiamente condiviso da una larga parte della magistratura. Sicché l’idea che il confronto su detti temi possa essere frenato, impedito, oppure condizionato, regolamentato o ancor peggio orientato e perimetrato in un’unica sede è impraticabile ed eversiva.
La corrente come luogo di confronto e di conflitto delle idee è un patrimonio al quale la magistratura non può e non deve rinunziare; il conflitto delle proposte, delle idee, delle argomentazioni è la forma più alta di democrazia, come tale va alimentata non regolata, va valorizzata non mortificata, va esaltata non demonizzata.
Per converso occorre dotarsi di poderosi anticorpi avverso l’inadeguatezza, l’ambizione, l’improvvisazione di coloro che hanno provato nel passato anche non recente a trasformare le correnti da fucine di idee a centri (oligarchici) di potere. Le correnti devono tornare a veicolare costantemente ed esclusivamente proposte concrete di riforma del sistema giustizia (ancor meglio se volte ad una riduzione della relativa domanda), necessarie a risolvere la grave crisi di efficienza in cui versa il sistema giudiziario italiano, astenendosi al contempo da sollecitazioni in ambiti diversi da quello giudiziario al fine di non alimentare uno scontro tra Istituzioni tutt’altro che auspicabile e del quale noi magistrati saremmo così responsabili.
Non ci sarà nessun recupero di dignità dell’associazionismo giudiziario in tutte le sue articolazioni, della fiducia dei magistrati nelle aggregazioni associative e dei cittadini nei magistrati senza un sussulto di autorinnovamento che avrebbe dovuto (forse) alimentarsi prepotentemente dall’interno e non essere imposto dagli accadimenti esterni e che, se autentico, netto e deciso, potrà finanche sterilizzare le più nefaste proposte di riforma della magistratura. Preoccupa alquanto la celerità con cui si stanno elaborando, senza il contributo della magistratura tutta, di tutte le sue sensibilità, i progetti di riforma dell’Organo di Autogoverno, del suo sistema elettorale, e più in generale dell’ordinamento giudiziario. Sembra si sia imposto un modello di repentino intervento sul piano ordinamentale in cui alla tempestività dell’azione corrisponde una inaccettabile mortificazione del dibattito interno alla magistratura, del più genuino dipanarsi del conflitto delle idee prima all’interno delle singole libere associazioni di magistrati e poi in seno all’Associazione Nazionale Magistrati; la causa di ciò sembra albergare nella scarsa fiducia della collettività e della politica nella capacità della magistratura di elaborare proposte credibili nelle sedi naturali e di veicolarle all’esterno in maniera unitaria.
A siffatta scarsa fiducia occorre replicare valorizzando il dato del necessario rinnovamento dei consessi associativi, rendendo più fecondo e proficuo il confronto e la dialettica interna attraverso il coinvolgimento del più cospicuo numero di magistrati.
E’ il “banco di prova” dell’associazionismo giudiziario: se saremo capaci di fare autocritica e immaginare nuovi scenari, diversi dal passato, l’associazionismo avrà un futuro. Non bisogna avere paura di proporre e sperimentare percorsi nuovi, di innovare sul piano ordinamentale e associativo. Ma, per percorrere nuove strade, occorre maturare prima, con sincera autocritica, la consapevolezza della necessità di cambiamento, ed avere “nuovi occhi”. La frase più pericolosa in assoluto è, come diceva la matematica Grace Murray Hopper, “si è sempre fatto così”.
4. C.S.M.
Il C.S.M. è titolare di molteplici poteri discrezionali - non solo riguardo alle nomine - nelle cui sfuggenti dinamiche si insinuano le derive correntizie, anche perché i magistrati interessati non godono di forme di partecipazione. E’ necessario ridurre i poteri, la discrezionalità? E’ sufficiente implementare la trasparenza del potere e le forme di partecipazione?
Il C.S.M. è un organo al quale, nelle varie scelte, è stata affidata una discrezionalità che si è cercato di autolimitare attraverso la predeterminazione di criteri volti a rendere trasparente le proprie decisioni e ciò attraverso l’emanazione di delibere sui diversi aspetti su cui è chiamato a decidere.
Per fare un esempio concreto, per la nomina dei direttivi e semi direttivi, è stato varato il Testo Unico sulla dirigenza in cui sono stati elencati diversi criteri di valutazione dei profili professionali dei canditati che, correttamente applicati, dovrebbero portare ad una decisione trasparente che dia conto del percorso motivazionale del Consiglio basati su elementi di merito (i cd. titoli), ove però non sono indicate -in maniera netta e chiara- le priorità di un criterio rispetto ad un altro e, conseguentemente, basta valorizzarne uno al posto di un altro, per posizioni simili se non identiche, potendo giungere a decisioni opposte sulla base del rapporto di forza (rectius: voti) che i gruppi consiliari hanno all’interno del Consiglio.
Quindi, il primo problema da risolvere è stabilire in maniera netta e chiara quali siano i criteri prioritari tra quelli menzionati nel T.U. e non lasciarli tutti in un unico calderone che possa portare la discrezionalità del Consiglio a sfociare nell’arbitrio.
Poi, il secondo problema è quello della trasparenza, in quanto le delibere del Consiglio, che formalmente possano apparire ben motivate, non rendono palesi gli elementi fattuali sulla base dei quali vengono elaborate: occorre, quindi, che tutti gli atti (curriculum, titoli, documenti, pareri, progetti organizzativi, etc. etc.) che delineano i profili professionali dei candidati vengano resi pubblici sul sito del C.S.M. a pena d’inammissibilità della domanda per un posto dirigenziale.
D’altronde si tratta di posti pubblici e di grande responsabilità e, per tale ragione, ogni candidato che aspiri a diventare un dirigente non può invocare la privacy, atteso che va a svolgere un ruolo di rappresentanza dello Stato ed è diritto di tutti i cittadini conoscere chi dirigerà gli uffici che amministrano la Giustizia in nome loro.
Allo stesso modo, tale ragione di trasparenza, rappresenta l’assunzione pubblica di responsabilità da parte dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura per le decisioni che devono prendere ove dovranno rendere conto a tutti se le loro motivazioni siano aderenti o meno agli elementi fattuali dei profili professionali esaminati.
Infine, per eliminare in radice qualsiasi dubbio sugli abusi delle decisioni consiliari (se orientate ad una appartenenza correntizia rispetto al merito), occorre abolire l’art. 5 della legge 3 gennaio 1981 attinente alla non punibilità dei componenti del Consiglio superiore per le opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni.
Questa è una norma che non ha ragione d’essere, atteso che nelle decisioni sul conferimento di un incarico direttivo o semidirettivo, trattandosi di un concorso pubblico per “titoli”, l’organo consiliare non svolge alcuna funzione “politica”, e per tale ragione al pari di qualsiasi concorso pubblico, se si commettono degli abusi occorre risponderne.
5. A.N.M. e C.S.M.
A.N.M. e C.S.M. rappresentano la stessa sostanza sotto forme diverse?
No, A.N.M. e C.S.M. hanno forma e soprattutto sostanza ben diverse: associazione privata l’una e organo istituzionale l’altro.
L'A.n.m. è un organo rappresentativo di gran parte dei magistrati italiani che tutela gli interessi morali ed economici dei magistrati, il prestigio ed il rispetto della funzione giudiziaria. Svolge la sua attività attraverso documenti, proposte di riforma legislativa, convegni, seminari, in relazione alle riforme necessarie ad assicurare un migliore servizio giustizia.
Il C.S.M. è l'organo di rilievo costituzionale che assicura il rispetto dei principi costituzionali di autonomia e indipendenza della magistratura. È un organo di governo autonomo rispetto agli altri poteri dello Stato.
Soltanto coloro che hanno dismesso le vesti e quindi i valori di magistrati per elargire incarichi giudiziari con grezze trattative fondate su alleanze correntizie hanno snaturato entrambi gli organismi determinando quella commistione patologica che è stata di recente disvelata in tutta la sua gravità. D’altra parte, chi ha inteso gestire l’A.N.M. imitando malamente metodi della più bassa politica per meri fini elettorali di bottega, chi ha rifiutato il dialogo culturale tra le varie componenti, chi ha dimostrato di essere fortemente parziale non censurando in alcun modo comportamenti di incontestabile evidenza, ha in tal modo tradito gli stessi scopi originari dell’organismo associativo, ossia garantire le funzioni e le prerogative dell’ordine giudiziario, tutelare gli interessi morali dei magistrati, il prestigio e il rispetto della funzione giudiziaria,
Questi sono gli scopi in cui crediamo e che vogliamo tornino a segnare l’azione di una rinnovata Associazione Nazionale Magistrati, che si riappropri del ruolo di vera anima rappresentativa della maggior parte della Magistratura, fatta di persone che hanno scelto questo percorso professionale perché si sentono partecipi e garanti dei valori di indipendenza, integrità e giustizia, che attuano nel loro lavoro quotidiano, lontano da ogni clamore, e che desiderano siano rispettati anche nei loro confronti dai colleghi che li rappresentano ad ogni livello, sia nell’Associazione Nazionale Magistrati che nel Consiglio Superiore della Magistratura. Ed è per questo che Magistratura Indipendente aveva proposto all’attuale C.D.C., e poi all’assemblea degli associati del settembre 2019, di arginare la deriva dell’associazionismo quale sicuro trampolino di lancio per ottenere l’elezione al Consiglio Superiore della Magistratura, ponendo la non candidabilità dei componenti del C.D.C. dell’ANM alle prime elezioni del C.S.M. successive al termine del loro mandato, ricevendone un pervicace rifiuto per le ragioni che sono ora sotto gli occhi di tutti.
6. Pubblici ministeri e A.N.M
Perché i vertici dell’A.N.M. sono quasi sempre ricoperti da pubblici ministeri?
E’ effettivamente un dato che balza agli occhi e che può spiegarsi sia con una maggior dimestichezza del Pubblico Ministero a interloquire oralmente, a prendere la parola nell’attività giudiziaria e segnatamente nel processo, sia con la maggiore facilità di combinare l’impegno lavorativo con quello associativo - che si aggiunge al primo non essendo previsti distacchi sindacali – essendo la Procura un ufficio impersonale.
Incide anche, sicuramente, una forte preponderanza nel dibattito pubblico dei temi legati alla giustizia penale, con una continua enfatizzazione delle notizie legate ad atti di indagine che, a sua volta, rischia di determinare un anomalo circuito mediatico-giudiziario. Sovrapponendosi causa ed effetto, i Pubblici Ministeri si trovano perciò più portati a proporsi per incarichi di vertice ovvero comunque di rappresentanza dell’A.N.M. per continuità con l’impegno lavotrativo; vi è però il rischio di privilegiare, quantomeno nella percezione pubblica, la trattazione di tali temi a scapito di quelli più generali ed anche più complessi del funzionamento della giustizia civile e di quelli assolutamente centrali relativi al funzionamento degli uffici giudiziari che devono invece essere al centro dell’azione associativa.
7. Pesi e contrappesi
La realizzazione degli scopi statutari sembra richiedere all’A.N.M. di attivarsi anche, e forse soprattutto, nel controllo dell’organo di autogoverno. E’ mancato questo controllo?
Non condivido l'idea che l'A.N.M. abbia tra le sue funzioni quella di attivare forme di controllo del C.S.M.
Il Consiglio Superiore della Magistratura adempie la funzione assegnatagli dall'art. 105 della Costituzione: esso si pone come organismo costituzionale che assicura il rispetto del principio di autonomia ed indipendenza dell'Ordine giudiziario. Proprio in ragione di tale funzione è prevista una sua composizione mista di laici e togati ed è stabilita, per la legittimità delle sue deliberazioni, una presenza numerica minima sia di laici sia di togati.
La rilevanza dei compiti assegnati dalla Costituzione al Consiglio comporta di per sé che il suo corretto e tempestivo funzionamento sia assicurato anche dalla piena consapevolezza, da parte di ogni singolo consigliere, della rilevanza della funzione svolta e quindi dall'adozione, da parte sua, di regole di comportamento coerenti col ruolo affidatogli.
Attribuire ad un organismo associativo, come l’A.N.M., un potere di controllo verso il C.S.M., presieduto dal Presidente della Repubblica, mal si concilia con lo svolgimento delle funzioni istituzionali demandato ai consiglieri.
La magistratura associata, però, per il miglioramento del sistema giudiziario, deve mantenere e consolidare quelle forme di dialogo propositivo già avviate da tempo con l’istituzione consiliare attraverso la partecipazione a tavoli tecnici, commissioni di studio, audizioni, sulle principali tematiche inerenti l'ordinamento giudiziario e l'attività di normazione secondaria dell’organo di governo autonomo della Magistratura, ed in particolare: i criteri di nomina dei dirigenti degli Uffici, i carichi di lavoro, le valutazioni di professionalità, ma anche le criticità dell’organico e la carenza di personale amministrativo.
8. Le elezioni del Comitato Direttivo Centrale
La mancanza di condizioni per l’azione politica - diversamente argomentata da ogni corrente - ha portato al ritiro “politico” dalla G.E.C di praticamente tutti i componenti. Perché, viste anche le annunciate riforme, ciò non ha condotto allo svolgimento immediato delle elezioni del Comitato Direttivo Centrale?
La mancata indizione di una data ravvicinata per la elezione di una nuova compagine associativa è stata la motivazione che ha determinato l’allontanamento anticipato di Magistratura Indipendente dal C.D.C. E’ stata una scelta dolorosa ma meditata: non ci siamo più riconosciuti nei valori fondativi della A.N.M.
Sarebbe stata necessaria una maggiore e diversa sensibilità, ma gli altri gruppi si sono coalizzati votando per un rinvio di oltre 5 mesi, a nostro giudizio non giustificato in virtù sia della condizione già in essere in prorogatio dei poteri sia per la assoluta straordinarietà del momento.
Nell’ultima riunione del 23 maggio a cui abbiamo partecipato (la registrazione è disponibile su radio radicale) abbiamo assistito nostro malgrado a un susseguirsi di accuse e contro accuse tra Area e Upc, di dimissioni di singoli componenti dalla G.E.C. a cui ne sono seguite altre dal C.D.C. nei giorni successivi, frutti avvelenati dello stillicidio giornaliero messo in atto dagli organi di stampa che pubblicano i messaggi tratti dal telefono del dott. Palamara.
Un fiume di fango trasversale che avrebbe dovuto suggerire una accelerazione verso il rinnovo dell’associazione e non già l’opzione di auto-conservazione. Ci siamo chiesti con quale credibilità e autorevolezza l’attuale C.D.C. possa essere rappresentativo dell’intera magistratura italiana e sedersi ad un ipotetico tavolo di riforme quando la stampa si spinge finanche ad additare addirittura la A.N.M. come la vera loggia eversiva che mina la democrazia, equiparando la vicenda “magistropoli” alla P2 .
Non abbiamo mai chiesto e non chiediamo, in questa pur terribile fase, di esprimere giudizi sommari su singole responsabilità individuali, come invece avvenne da parte di altri un anno fa con spregiudicata e impudente ferocia. Abbiamo piuttosto semplicemente ritenuto che la via del voto fosse quella più lineare, corretta e, in qualche modo, auspicabilmente riparatrice dei gravi errori commessi.
Non potevamo rimanere indifferenti di fronte al rifiuto di una rapida svolta: occorreva al più presto cambiare il volto della rappresentanza dell’A.N.M., con proposte concrete e credibili per intraprendere un incisivo percorso di recupero della dignità e della autorevolezza della Magistratura.
Questo C.D.C. è in regime di “prorogatio”, situazione che già di per sé è del tutto anomala, ancorché determinata dall’emergenza sanitaria.
Oggi tale regime di proroga non è più giustificato, sia perché è urgente porre fine al più presto alle delegittimazioni che stanno vedendo come protagonisti alcuni rappresentanti, anche autorevoli, della G.E.C., sia perché non sono ravvisabili ostacoli per organizzare le elezioni attraverso il voto telematico (sarebbe stato sufficiente pagare un sovraprezzo alla società incaricata perchè concludesse le sue attività tecniche in tempo utile per svolgere le elezioni entro luglio, lavorando anche nei giorni festivi), sia perchè il voto telematico, comunque, è stato pensato per facilitare ed accelerare le operazioni di voto e non certo quale alibi per allontanarle il più possibile, sicchè, se necessario, ben poteva rinviarsi il voto telematico a tempi più consoni ed andare alle urne a luglio con le modalità consuete, essendo ripresa anche l’attività giudiziaria ed essendo venuti meno dunque gli impedimenti legati alla emergenza sanitaria .
Ci è stato però risposto laconicamente che occorre tempo per mettere a punto i profili tecnici della nuova piattaforma di voto. Ci è sembrato un modo surrettizio di argomentare, irrispettoso degli associati che stanno vivendo un periodo di grave sconcerto ed incertezza e che hanno il diritto di esprimersi con il voto; insomma una opzione miope ed egocentrica, che ci ha visti in totale disaccordo.
Voltare al più presto pagina, ricominciare un nuovo corso, è un dovere che va al di là degli interessi dei singoli gruppi, è un dovere superiore che tutti noi abbiamo verso la nostra associazione, verso i nostri associati, verso la Magistratura.
Nel quadro di delegittimazione emerso, protrarre questo C.D.C. sino ad ottobre inoltrato significa sottrarsi alle nostre responsabilità, significa rinunciare ad ogni credibilità dell’Associazione, significa ritardare - per quanto ingiustificatamente possibile – di sottoporsi al giudizio dei magistrati che rappresentiamo.
La A.N.M aveva (ed ha) tutte le necessarie capacità e risorse umane, economiche e tecnologiche per proporre il voto, se non a luglio, quantomeno entro il mese di settembre, e anche questa mediazione era stata del resto offerta da Magistratura Indipendente, ma invano. Non c’era la volontà politica e di questo abbiamo preso atto e ne è conseguito un gesto di responsabilità verso tutti gli associati e verso la stessa A.N.M. quale luogo di autentico e genuino confronto e di rappresentanza anche esterna della Magistratura nel suo complesso.
9. Le elezioni dei Consigli giudiziari
In occasione delle elezioni suppletive per il C.S.M., l’A.N.M. ha cercato di favorire un metodo di candidatura svincolato dalle correnti. E per le elezioni dei Consigli giudiziari?
Il punto critico dell’attuale sistema elettorale del C.S.M. con collegio unico nazionale non è nel momento di individuazione delle candidature poiché ciascun magistrato, previa raccolta di sole 25 firme di presentazione, può proporre autonomamente e individualmente la propria candidatura.
La vera questione è la difficoltà per il candidato di farsi conoscere al di fuori del distretto di appartenenza, svolgendosi come detto la competizione elettorale in un collegio unico nazionale, ed è qui che il supporto delle correnti diventa decisivo e fortemente condizionante il risultato finale.
Le elezioni dei consigli giudiziari si svolgono nel più limitato ambito del distretto di ciascuna Corte d’Appello che consente un più diretto rapporto fra elettore ed eletto. In questo caso l’A.N.M. non deve occuparsi né rivendicare un proprio ruolo dell’individuazione delle candidature; deve, invece, soprattutto in un momento come questo, lasciare tutto lo spazio ai singoli magistrati limitandosi ad organizzare momenti di informazione e di confronto distrettuale per far conoscere le candidature.
10. Futuro prossimo
Quale futuro si prospetta per le correnti e l’A.N.M.?
Le correnti, come luogo di confronto su diversi modelli di magistrato e modi di intendere la giurisdizione, sono espressione della libertà di associazione e di manifestazione del pensiero, garantite a tutti i cittadini ed anche ai magistrati, in quanto tali; esse sono, in certa misura, ineliminabili.
Questo non vuol dire non accorgersi, e non combattere gli elementi di degenerazione del sistema, tra cui il carrierismo che si è sviluppato, dal 2006 in poi, con la riforma del T.U della dirigenza giudiziaria.
I recenti avvenimenti hanno disvelato un malcostume intollerabile. Un’ondata di sdegno attraversa la magistratura ma anche l’opinione pubblica.
Secondo l’ultimo studio condotto da Euromedia Research l’indice di fiducia nella magistratura è crollato di 12,3 punti, scendendo fino al 26,4%, e ben 7 italiani su 10 non credono nell’imparzialità e nel funzionamento dell’ordine giudiziario.
E’ un fatto grave, atteso che la giustizia viene amministrata in nome del popolo.
Mai come ora dobbiamo però avere speranza in un rilancio dell’associativismo giudiziario. Scriveva Pablo Neruda “La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiarle”.
Ci troviamo dinanzi ad un bivio e dobbiamo decidere se cambiare il sistema nell’interesse, prima ancora che dei magistrati, dei cittadini che guardano attoniti agli avvenimenti di questi mesi.
O se, come vediamo in alcuni contesti associativi, fingere di cambiare, fare opera di maquillage, per lasciare “gattopardescamente” tutto come prima.
Non basta interrogarsi sulle ragioni di fondo che hanno portato all’attuale degenerazione e formulare, come si legge in certi interventi sulle mailing list, dotte dissertazioni e analisi acute. Serve una reazione morale, un moto d’orgoglio delle diverse componenti associative e dell’A.N.M. nel suo complesso. La A.N.M. che verrà dovrà farsi portatrice autorevole, senza i compromessi e i conflitti di interesse che imbrigliano purtroppo gli attuali suoi dirigenti dimissionari, di proposte concrete e realmente praticabili nell’immediatezza.
Magistratura Indipendente ha indicato alcuni punti fermi del processo di rinnovamento, come la riforma del sistema elettorale del C.S.M. in modo da valorizzare il rapporto di conoscenza diretto tra candidato/elettore, le modifiche di legge e dei regolamenti interni sul versante degli incarichi direttivi onde ridurre gli spazi di discrezionalità consiliari, l’attuazione di un sistema di incompatibilità tra cariche nell’A.N.M. e nel C.S.M. per evitare l’osmosi impropria tra le due istituzioni e il meccanismo delle c.d. “porte girevoli”.
Specificità dei motivi e motivi aggiunti in materia elettorale:
effettività della tutela versus celerità processuale?
(nota a CGARS, 3 giugno 2020, n. 380)
di Giuseppe Andrea Primerano
Sommario: 1. Premessa. – 2. La vicenda. – 3. Specificità dei motivi e interpretazione giurisprudenziale. – 4. Requisiti di contenuto del ricorso e motivi aggiunti in materia elettorale. – 5. Conclusioni.
1. Premessa
La sentenza del CGARS n. 380 del 2020, nell’occuparsi di alcune questioni concernenti i presupposti di validità dei voti espressi in occasione di elezioni comunali, offre preziosi spunti per riflettere sulla specialità del rito elettorale.
È bene anzitutto ricostruire la vicenda nei suoi due gradi giudizio, che, pur conducendo ad esiti analoghi, si fondano su presupposti parzialmente differenti. Ciò in ragione di un supplemento di istruttoria ordinato dal giudice d’appello da cui è discesa la proposizione di motivi aggiunti e, secondo la difesa di parte appellata, un’alterazione della struttura processuale idonea a ledere gli artt. 24 e 125 Cost.
In disparte (l’irrilevanza e) l’infondatezza di un simile dubbio di legittimità costituzionale, argomentata dal Collegio in base alla considerazione per cui “non esiste una regola di diritto vivente che consenta ai motivi aggiunti nel contenzioso elettorale di andare oltre il perimetro circoscritto dal ricorso introduttivo”, il tema della loro ammissibilità, correlato al problema dell’onere di specificità dei motivi di ricorso, non solo depone nel senso della specialità sopra accennata, ma intercetta il rapporto tra declinazioni funzionali del giusto processo[1], in particolare effettività e ragionevole durata dei giudizi, che presenta sfumature peculiari in materia elettorale.
2. La vicenda
Nel 2018 si svolgeva, in provincia di Enna, una competizione per l’elezione di Sindaco e componenti il Consiglio comunale, all’esito della quale risultava escluso dal turno di ballottaggio il ricorrente (terzo classificato) in primo grado. Le censure, giudicate infondate dal T.A.R. Catania[2] per evidenziata impossibilità di risalire all’effettiva volontà degli elettori in questione, venivano riproposte nel giudizio di appello, nell’ambito del quale si rilevava la necessità di disporre una verificazione, al fine di avere piena contezza delle schede elettorali in contestazione.
Discendeva da ciò la proposizione di motivi aggiunti “propri” da parte del ricorrente in appello, che infine limitavano le doglianze ad un numero inferiore di schede, purtuttavia suscettibile di sostenere l’ammissibilità del gravame, viceversa, contestata in relazione all’assolvimento dell’onere di specificazione delle censure e in virtù dell’orientamento in base al quale, in conseguenza di una verificazione, non è possibile contestare tramite motivi aggiunti schede ulteriori o per motivi diversi.
Il CGARS ha respinto dette eccezioni di inammissibilità.
In primo luogo ha affermato che, ai fini dell’ammissibilità dei motivi di ricorso, è sufficiente specificare le questioni “in modo da permettere l’identificazione dei vizi del provvedimento che si vuole denunciare e l’individuazione delle norme ritenute violate”, pure alla luce dell’art. 156 c.p.c. sul raggiungimento dello scopo di un atto processuale idoneo a dimostrare il titolo e la causa delle richieste e delle norme che le giustificano[3]. A tale stregua è stata esclusa la natura meramente esplorativa del ricorso, in quanto, in entrambi i gradi di giudizio, è stata indicata la natura dei vizi, il numero delle schede e le sezioni di riferimento[4].
Quanto all’ammissibilità dei motivi aggiunti, poi, si è evidenziato che il numero di schede così contestate non supera il numero di quelle censurate con il ricorso introduttivo, in tal modo sviluppandosi vizi di legittimità, in precedenza articolati, riguardanti talune invalidazioni determinate da errori di scrittura del nome del candidato o di apposizione del crocesegno. Infatti, non può considerarsi “nuovo” il motivo finalizzato a una migliore specificazione del vizio o della scheda visionata successivamente a verificazione[5].
Tramite detto strumento il giudice amministrativo ha avuto la possibilità di accedere al “fatto storico” oggetto della controversia, ossia le schede elettorali, e quindi esercitare correttamente la propria giurisdizione, pur confermando nella sostanza la pronuncia del T.A.R. In altri termini, il CGARS si è avvalso del potere che l’art. 104, comma 2, c.p.a. riconosce al giudice di secondo grado ove nuove prove appaiano indispensabili per la decisione della causa, e lo ha fatto in una di quelle materie in cui storicamente al giudice amministrativo non è stata preclusa la cognizione della quaestio facti[6].
Tutto ciò allo scopo di emettere una sentenza “giusta”, cioè in grado di realizzare il fine della giurisdizione[7], essendo di comprensione più immediata censure poste in collegamento diretto con le schede in contestazione, con evidenti ripercussioni, inoltre, sul potere di azione della parte a mezzo di motivi aggiunti. Non risultano difatti violate le regole sul divieto di nova in appello, né quelle desumibili dal diritto vivente rappresentato dalla giurisprudenza amministrativa stratificatasi in materia elettorale sotto il profilo (dell’attenuazione) dell’onere di specificità dei motivi e successivo ricorso per motivi aggiunti.
Per comprendere la portata di simili affermazioni, e coglierne le peculiarità rispetto alla disciplina generale, è opportuno muovere dall’analisi di quest’ultima. Ciò consentirà di valutare in concreto l’idea secondo cui il contenzioso in argomento, data la presenza di “barriere” all’effettivo esercizio della tutela giurisdizionale[8] giustificabili – si suole affermare – in ragione del principio di democraticità e regolare funzionamento delle istituzioni, che a sua volta legittima una significativa contrazione della tempistica processuale, è essenzialmente preordinato al soddisfacimento di preminenti interessi pubblici[9] che collocano il “microsistema”[10] elettorale ai margini di una giurisdizione di tipo soggettivo.
3. Specificità dei motivi e interpretazione giurisprudenziale
L’articolazione dei motivi su cui si fonda il ricorso, ossia delle ragioni della domanda (causa petendi), ha valenza cruciale, in quanto è su essi che il giudice è chiamato a pronunciarsi. In un processo di parti improntato al principio della domanda, allora, sono del tutto comprensibili norme come quelle delineate dall’art. 40, comma 1, lett. d), e comma 2, c.p.a., dove la specificità dei motivi di ricorso è richiesta a pena di inammissibilità, ovvero dell’art. 101, comma 1, c.p.a., dove il riferimento è operato alle “specifiche censure contro i capi della sentenza gravata”.
Attraverso i motivi di ricorso si cristallizza il thema decidendum; il che presuppone un’adeguata consistenza delle censure dedotte in giudizio[11], non risultando di regola ammissibili ragioni formulate in via ipotetica o, comunque, incentrate su mere supposizioni. In altri termini, il ricorso non può possedere natura meramente esplorativa[12], o propagandistica[13], e l’analiticità delle contestazioni diviene essa stessa indizio di attendibilità della ricostruzione che sorregge le doglianze[14].
In presenza di motivi generici, non potrebbe neppure essere invocato il principio iura novit curia. La conoscenza del giudice delle norme ordinamentali, infatti, non incide sull’onere delle parti di specificare adeguatamente le proprie richieste, in quanto il giudice non è tenuto ad ovviare, con la sua attività, all’incapacità delle parti di reperire il fondamento delle rispettive pretese[15].
Se così fosse, problemi di effettività del contraddittorio a parte, risulterebbe irrimediabilmente compromesso il canone della corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., applicabile in sede di giudizio amministrativo in base alla norma sul rinvio esterno (art. 39 c.p.a.), materializzandosi un vizio di ultrapetizione ogniqualvolta il giudice dovesse giungere all’accoglimento del ricorso alla stregua di un motivo non prospettato[16].
In tale apparato concettuale, è appena il caso di osservare come lo stesso potere del giudice amministrativo di qualificare l’azione in base ai suoi elementi sostanziali, da cui consegue quello di conversione ex art. 32 c.p.a.[17], è soggetto a limitazioni, anzitutto, percepibili sul piano squisitamente processuale, ma rilevanti, altresì, dal punto di vista del rapporto tra azioni. Sotto il primo profilo, può essere utile richiamare l’esempio del ricorrente che si veda convertire l’azione avverso il silenzio in un’azione di ottemperanza[18]. Sotto il secondo, invece, può brevemente accennarsi alla sentenza n. 4/2015 con cui l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, occupandosi dei rapporti tra tutela costitutiva e tutela risarcitoria, ha fornito importanti chiarimenti in merito al principio della domanda.
La prima forma di tutela presuppone una domanda che si caratterizza per i seguenti elementi identificativi: una causa petendi consistente nella illegittimità e un petitum di annullamento dei provvedimenti impugnati; con riguardo alla seconda, la causa petendi è rappresentata dalla illiceità e il petitum dalla richiesta di condanna al risarcimento in forma generica o specifica. L’Adunanza Plenaria ha escluso la possibilità di addivenire a una sentenza di condanna a fronte di un’azione di annullamento, a prescindere dagli inconvenienti, nel caso di specie, legati al tempo trascorso dall’adozione dei provvedimenti impugnati e ai pregiudizi per i controinteressati. Una simile conclusione si fonda sul presupposto che il giudice amministrativo non può “modulare” le forme di tutela a scapito di quanto richiesto dalle parti, ma solo determinarne la portata in ragione dei motivi di ricorso e dell’interesse del ricorrente.
Il generale onere di specificità della domanda si traduce, in un giudizio di annullamento, in quello di specificità, in primo grado, dei motivi di impugnazione del provvedimento. Ne discende, sul piano logico-giuridico, il divieto di nova in appello, riferibile sia agli atti impugnati, sia alle doglianze proposte[19], giacchè è il ricorso introduttivo a delineare il perimetro della controversia[20].
4. Requisiti di contenuto del ricorso e motivi aggiunti in materia elettorale
Si tratta, a questo punto, di comprendere in che modo simili regole si atteggiano nel contenzioso elettorale e, per farlo, è necessario considerare il ruolo della giurisprudenza sovente chiamata a conciliare interessi in gioco contrapposti: da un lato l’effettività della tutela giurisdizionale, dall’altro la celerità che, in ogni caso, il giudizio elettorale deve assicurare[21].
Ancorché si richieda sempre, ai fini dell’ammissibilità del ricorso o delle singole doglianze, che l’atto introduttivo, come già accennato, indichi natura dei vizi denunziati, numero delle schede contestate e sezioni cui esse si riferiscono, è stato a più riprese affermato che nei giudizi elettorali “il principio della specificità dei motivi di censura e dell’onere della prova è da considerarsi attenuato […] in considerazione della peculiare situazione di (obiettiva) difficoltà in cui si trova il soggetto che ha interesse ad aggredire le operazioni elettorali illegittime, sulla base di semplici informazioni, pur formalmente dichiarate e acquisite agli atti del giudizio, ma necessariamente indiziarie” e, a tale stregua, si è concluso che “possono ritenersi ammissibili censure anche parzialmente generiche o che risultino poi affette da errata individuazione del fatto che ha provocato la determinazione illegittima”[22]. In sostanza, resterebbe preclusa la sola proposizione di ricorsi con finalità esplorative o, comunque, diretti a stimolare l’esercizio dei poteri istruttori da parte del giudice.
In realtà, non è sempre facile valutare se il ricorso elettorale intenda, o meno, perseguire simili finalità, tanto più che lo svolgimento dell’attività istruttoria – come dimostra il primo grado di giudizio della vicenda in esame – spesso si rivela incompleto, impedendo all’organo giudicante un pieno accesso al fatto. Tale considerazione resta valida, ad avviso di chi scrive, sebbene la disciplina del procedimento elettorale, nel prevedere particolari forme di pubblicità delle operazioni, attribuisca un ruolo di controllo e di partecipazione ai candidati, ai rappresentanti di lista e, sia pure in forma più attenuata, agli elettori. Le contestazioni incentrate sulla deduzione a verbale delle pretese irregolarità nella valutazione delle espressioni di voto, in particolare, dovrebbero assicurare una forma di contraddittorio durante le operazioni elettorali e agevolare l’individuazione del materiale istruttorio nell’ottica di un eventuale ricorso giurisdizionale[23].
Il problema, a tacer d’altro, può essere in primo luogo rappresentato dall’ubicazione della competizione elettorale. Non si può infatti prescindere dalle connotazioni culturali, sociali ed economiche locali per valutare effettivamente la regolarità delle espressioni di voto. È questo, d’altro canto, il criterio impiegato dalla giurisprudenza per interpretare le disposizioni (v. in particolare l’art. 64 del d.P.R. n. 570/1960) concernenti la nullità dei voti contenuti in schede recanti scritture o segni idonei a rivelare la volontà dell’elettore di farsi riconoscere poiché “estranei alle esigenze di espressione del voto”, non trovando “ragionevoli spiegazioni nelle modalità con cui l’elettore ha inteso esprimere il voto stesso”[24].
Si deve, inoltre, considerare che la libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta dei propri rappresentanti – di cui si rinviene traccia sia nell’art. 48 Cost.[25], sia negli artt. 39 della Carta di Nizza e 3 del I Protocollo addizionale alla Cedu[26] – ha reso dirimente, come criterio esegetico, il favor voti “che restringe l’applicazione della sanzione di nullità in limiti rigorosi, trovando la propria ratio nella necessità di garantire il rispetto della volontà espressa dal corpo elettorale e di assicurare a tutti gli elettori di effettuare le loro scelte e, quindi, anche a coloro che non siano in grado di apprendere e di osservare appieno le istruzioni ai fini dell’espressione di voto”[27].
Il sistema mira a preservare le manifestazioni di volontà del corpo elettorale ed è proprio in tale ottica che bisogna intendere statuizioni come quella per cui “le modifiche o il sovvertimento del risultato elettorale non possono dipendere dalla effettiva conoscibilità dei vizi eventualmente sussistenti”[28]. Infatti, da un lato l’interesse di ogni candidato è quello di partecipare alla consultazione in un definito contesto politico e ambientale[29], dall’altro tale speditezza custodisce l’interesse della comunità territoriale allo svolgimento delle elezioni nei tempi designati, alla stabilità e alla certezza dei risultati elettorali.
In tale prospettiva, la giurisprudenza suole subordinare l’ammissibilità del ricorso per motivi aggiunti al fatto che essi rappresentino un sostanziale sviluppo logico delle prime doglianze[30], cosicchè la loro proposizione è circoscritta ai casi in cui le censure originarie possano trovare ragioni di esplicitazione e puntualizzazione nelle risultanze degli accertamenti istruttori disposti dal giudice[31]. In base a tali premesse, nel caso di specie, il CGARS ha escluso che i motivi aggiunti proposti a seguito della verificazione abbiano determinato un ampliamento del thema decidendum, essendo piuttosto deputati a specificare le censure originarie.
La regola secondo cui il ricorrente, in ragione della disparità in cui può concretamente trovarsi al cospetto dell’amministrazione, è legittimato a produrre un principio di prova, a maggior ragione, si applica al contenzioso elettorale e si correla all’attenuazione del rigore richiesto ai fini della specificità dei motivi di ricorso[32]. La parte è quindi legittimata a proporre motivi aggiunti ogniqualvolta gli stessi non denuncino schede ulteriori o per motivi diversi, in conseguenza di attività istruttoria, ma si collochino nel perimetro circoscritto dal ricorso.
L’interesse pubblico allo svolgimento delle elezioni nei tempi prestabiliti e alla certezza dei risultati, in sostanza, può realmente incidere sull’effettività della tutela giurisdizionale, e le regole del rito elettorale, a parte quanto si è finora osservato circa contenuto del ricorso e ammissibilità (limitata) di motivi aggiunti, si rivelano tuttora idonee a qualificarlo come “microsistema rimasto pressochè indenne ai profondi cambiamenti subiti dal processo amministrativo”[33]. Si rifletta, solo per fare qualche esempio, sulle norme concernenti la difesa personale nel primo grado di giudizio (art. 23 c.p.a.), l’esenzione dagli oneri fiscali (art. 127 c.p.a.), la sottoposizione del ricorso ex art. 129 c.p.a. al termine di tre giorni dalla pubblicazione o, se prevista, dalla comunicazione degli atti impugnati, ovvero sull’azione popolare di cui all’art. 130, comma 1, c.p.a., alla quale si accompagna l’inversione della classica sequenza notifica-deposito del ricorso per consentire al presidente del tribunale di fissare l’udienza di discussione della causa “in via di urgenza”[34].
5. Conclusioni
La ratio acceleratoria cui risulta improntato il contenzioso elettorale, in definitiva, emerge sia dal punto di vista normativo che dell’interpretazione giurisprudenziale, ma non sempre si accompagna alla valorizzazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale. Ciò in ragione di preminenti interessi pubblici – allo svolgimento delle elezioni nei tempi designati, alla stabilità e alla certezza dei risultati elettorali – i quali richiedono che il giudizio sia organizzato e celebrato in tempi adeguati a garantirli in concreto[35].
Merita ricordare che, in base a tali presupposti e all’ampliamento dei poteri istruttori del giudice amministrativo, il Consiglio di Stato aveva sollevato una questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto “la riserva al giudice ordinario dei giudizi di accertamento della falsità di atti pubblici attraverso la speciale procedura della querela di falso e la preclusione per il giudice amministrativo dell’accertamento, anche solo incidentale, di tali falsità”[36]. Una simile evenienza, infatti, in considerazione dei tempi necessari per la definizione della causa pregiudiziale di falso dinanzi al giudice ordinario, è suscettibile di vanificare la suddetta ratio.
Invero, solo se la struttura processuale è adeguata il giudizio può realizzare il fine della giurisdizione. Se ne trae implicita conferma nelle soluzioni adottate dalla giurisprudenza chiamata a conciliare effettività della tutela giurisdizionale e celerità che, in ogni caso, i giudizi elettorali devono assicurare.
Il rapporto tra attenuazione dell’onere di specificità dei motivi di ricorso e ammissibilità dei motivi aggiunti, analizzato alla luce della sentenza n. 380/2020 del CGARS, conferma tale assetto e contribuisce alla rappresentazione della specialità del contenzioso elettorale.
[1] Cfr. F.G. Scoca, I principi del giusto processo, in Id. (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino, 2017, 164. Si vedano, inoltre, F. Merusi, Il codice del giusto processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2011, 9, che riconosce al giusto processo il “ruolo” di principio guida; E. Picozza, Il “giusto” processo amministrativo, in Cons. Stato, II, 2000, 1061 ss., successivamente alla novella recata all’art. 111 Cost. dalla l. cost. n. 2 del 1999.
[2] Tar Sicilia, Catania, sez. II, 12 dicembre 2018, n. 2366.
[3] V. ex multis Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 2011, n. 1792, secondo cui “ai fini della regolarità e ammissibilità dei motivi del ricorso, basta quindi che siano sufficientemente specificate le questioni che si intendono proporre al Giudice, in modo da permettere l’identificazione dei vizi del provvedimento che si vuole denunciare e l’individuazione delle norme ritenute violate, ancorché gli uni e le altre non siano precisamente ed espressamente specificati, poiché la formulazione alquanto sintetica dei motivi non impedisce al Giudice ed alle parti resistenti di coglierne il contenuto, considerato anche che l’art 156 c.p.c. esclude la dichiarazione della nullità per inosservanza di forme di un atto processuale che abbia raggiunto il suo scopo”.
[4] Cfr. Cons. Stato, ad. plen., 20 novembre 2014, n. 32.
[5] Come noto, la verificazione consiste in un incombente a natura illustrativa volto a completare la conoscenza di fatti non immediatamente desumibili dalle produzioni documentali (v. Cons. Stato, sez. VI, 12 novembre 2014, n. 5552), in nessun caso adoperabile come strumento di valutazione diretta delle censure oggetto di ricorso (Cons. Stato, sez. V, 25 febbraio 2016, n. 785).
[6] Ad avviso di P.G. Ponticelli, La giurisdizione di merito del Consiglio di Stato. Indagini storiche, Milano, 1958, 161, quella di merito è “una giurisdizione più ampia creata ad analogia del giudice ordinario di merito e costituente essenzialmente un giudizio completo in fatto, oltreché in diritto”. Su questa linea, si veda già A. Amorth, Il merito dell’atto amministrativo, Milano, 1939, 112 ss., e, più di recente, A. Police, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al giudice amministrativo, I, Padova, 2000, 35 ss. Si concentrano sui maggiori poteri del giudice amministrativo in sede di giurisdizione di merito, fra i molti, M.S. Giannini - A. Piras, Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria nei confronti della pubblica amministrazione, in Enc. dir., XIX, Milano, 1970, 261.
[7] Sul punto cfr. G. Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, Napoli, 1923, 81.
[8] Cfr. F. Cintioli, L’azione popolare nel contenzioso elettorale amministrativo, in Dir. amm., 2008, spec. 346 e 356.
[9] Così, infatti, Cons. Stato, ad. plen., 24 novembre 2005, n. 10, con nota di C.E. Gallo, L’ambito del giudizio elettorale nella decisione dell’adunanza plenaria n. 10 del 2005, in Foro amm. - C.d.S., 2005, 3244 ss.
[10] P.M. Vipiana, Contenzioso elettorale amministrativo, in Dig. disc. pubbl., IV, Torino, 1989, 14.
[11] Come si legge nella stessa sentenza del CGARS n. 380 del 2020, “i motivi di ricorso devono considerarsi muniti di adeguata consistenza e specificazione (che ne impone l’esame da parte del giudice) non già quando descrivono le conclusioni cui essi sono indirizzati, ma se e quando indicano pure le ragioni che vengono poste a base di siffatte conclusioni e danno dimostrazione, secondo l’intendimento del ricorrente, del titolo e della causa delle richieste e delle norme che le giustificano”.
[12] Sul punto cfr. Cons. Stato, ad. plen., n. 32 del 2014. In tale prospettiva, merita ricordare che la giurisprudenza amministrativa si è espressa in diverse occasioni sul principio della c.d. prova di resistenza, ponendolo in collegamento diretto col principio del favor voti e con il “canone antiformalistico positivamente scolpito all’art. 21-octies della l. n. 241/1990”: così Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 28 novembre 2012, n. 1163. Più di recente v. Tar Umbria, sez. I, 29 gennaio 2020, n. 37; Tar Basilicata, sez. I, 3 ottobre 2019, n. 733; Tar Toscana, sez. II, 24 settembre 2019, n. 1283.
[13] Cons. Stato, ad. plen., n. 10 del 2005.
[14] Cfr. Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 2 ottobre 2019, n. 860; Tar Campania, Salerno, sez. I, 3 dicembre 2012, n. 2186; Tar Lazio, Roma, sez. II, 10 febbraio 2010, n. 1860.
[15] Cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 2012, n. 551; Cons. Stato, sez. V, 22 settembre 2011, n. 5345; Cons. Stato, sez. V, 8 febbraio 2011, n. 854; Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2006, n. 4419; Cons. Stato, sez. IV, 22 novembre 2004, n. 7621; Tar Campania, Salerno, sez. I, 5 novembre 2018, n. 1550; Tar Lazio, Roma, sez. II, 25 novembre 2014, n. 11768; Tar Sicilia, Catania, sez. III, 7 marzo 2012, n. 581. Sulla portata applicativa del principio iura novit curia, da ultimo, si veda Cass. civ., sez. III, ord. 13 maggio 2020, n. 8883.
[16] Per un inquadramento teorico della tematica, si veda M. Nigro, Domanda (principio della) (dir. proc. amm.), in Enc. giur., XII, Roma, 1989. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (ex multis, Cons. Stato, sez. V, 6 giugno 2012, n. 3337), la regola della corrispondenza tra chiesto e pronunciato costituisce espressione del potere dispositivo delle parti: il giudice non può pronunciare oltre i limiti della concreta ed effettiva questione che le parti hanno sottoposto al suo esame, ossia eccedendo i limiti del petitum e della causa petendi. A tale stregua, il vizio di ultrapetizione sussiste qualora il giudice abbia attribuito alla parte un bene della vita non richiesto, ovvero abbia esaminato e accolto il ricorso per un motivo non prospettato dalle parti. La dottrina (cfr. F. Benvenuti, L’istruzione nel processo amministrativo, Padova, 1953, 50 ss.) ha rilevato da tempo che l’esercizio di poteri officiosi non può comunque comportare il governo del giudice sulle affermazioni del ricorrente. Sul rapporto tra principio dispositivo e poteri del giudice amministrativo, si veda A. Romano Tassone, Poteri del giudice e poteri delle parti nel nuovo processo amministrativo, in Scritti in onore di Paolo Stella Richter, I, Napoli, 461 ss.
[17] Sul punto cfr. G. Corso, Art. 32, in A. Quaranta - V. Lopilato (a cura di), Il processo amministrativo, Milano, 2011, 325.
[18] Cfr. Tar Campania, Napoli, sez. V, 15 ottobre 2012, n. 4119.
[19] In tal senso v. Cons. Stato, sez. V, 10 aprile 2018, n. 2168. Si veda, inoltre, Cons. Stato, sez. VI, 28 dicembre 2017, n. 6142.
[20] Cons. Stato, sez. V, 23 marzo 2018, n. 1859.
[21] Cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. III, 26 ottobre 2018, n. 6126.
[22] Così la sentenza in nota.
[23] Cfr. Tar Sicilia, Catania, sez. III, 9 luglio 2003, n. 1110, cui adde F. Saitta, Giudizio in materia di operazioni elettorali ed onere della prova: attenuazione o… aggravamento?, in Foro amm. - Tar, 2003, 2825 ss.
[24] Cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 18 gennaio 2016, n. 142; Cons. Stato, sez. V, 7 gennaio 2013, n. 12; Cons. Stato, sez. V, 21 dicembre 2012, n. 6608; Cons. Stato, sez. V, 18 novembre 2011, n. 6070. Pertanto, le mere anomalie del tratto, le incertezze grafiche, le indicazioni di incerta identificazione della volontà o suscettibili di spiegazioni diverse non invalidano di per sé il voto espresso.
[25] Sulla natura fondamentale del diritto di voto v. Corte Cost., 13 gennaio 2014, n. 1.
[26] In tema v. F. Goisis, Pretesa sostanziale del cittadino elettore nel contenzioso elettorale avanti al giudice amministrativo e profili di incostituzionalità dell’art. 129 c.p.a., in Dir. proc. amm., 2013, 160.
[27] Cons. Stato, sez. V, 22 febbraio 2001, n. 1020.
[28] Cons. Stato, sez. V, 17 febbraio 2014, n. 755.
[29] In questi termini Corte Cost., 7 luglio 2010, n. 236, in Giur. cost., IV, 2010, con note di R. Chieppa, Riflessi della sent. 236 del 2010 sulla tutela degli atti di procedimento preparatorio alle elezioni (codice del processo amministrativo e procedimento elettorale politico), 2905 ss., e E. Lehner, Finalmente sancita l’immediata impugnabilità degli atti preliminari alle elezioni locali e regionali, 2908 ss. La Corte era stata investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 83-undecies del d.P.R. n. 570/1960 nella parte in cui risultava esclusa la possibilità di un’autonoma impugnazione degli atti endoprocedimentali elettorali, ancorché immediatamente lesivi, anteriormente alla proclamazione degli eletti: cfr. Tar Liguria, sez. II, ord. 28 maggio 2009, n. 90, con nota di C.E. Gallo, Nuovamente alla Corte Costituzionale l’impugnabilità immediata dei provvedimenti di esclusione dalla competizione elettorale, in Giust. amm., 2009, 151 ss.
[30] Cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. III, 21 novembre 2016, n. 4863.
[31] In tal senso v. Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 2002, n. 3902.
[32] L’osservanza dell’onere di specificità dei motivi, chiaramente, non assorbe l’onere della prova. Un ricorso recante l’esplicazione dettagliata delle irregolarità in cui sia incorsa la sezione elettorale, infatti, dovrebbe comunque essere sorretto “da allegazioni ulteriori rispetto alle affermazioni del ricorrente” (Cons. Stato, ad. plen., n. 32 del 2014).
[33] P.M. Vipiana, Contenzioso elettorale amministrativo, cit., 14.
[34] Per approfondimenti ulteriori, sia consentito rinviare a G.A. Primerano, Il contenzioso elettorale davanti al giudice amministrativo nella recente evoluzione normativa e giurisprudenziale (a margine di Adunanza Plenaria n. 22 del 2013), in Dir. proc. amm., 2014, 927 ss.
[35] Sul punto cfr. A. Pajno, Fase preparatoria delle elezioni politiche e contenzioso elettorale. Verifica dei poteri, regolazione della giurisdizione e transizione italiana, in Corr. giur., 2008, 1693.
[36] Cons. Stato, sez. V, ord. 16 febbraio 2011, n. 1000. La questione di legittimità costituzionale è stata, tuttavia, dichiarata infondata da Corte Cost., 11 novembre 2011, n. 304. Per una rivisitazione critica di tale sentenza, e per ulteriori sviluppi, cfr. G.A. Primerano, La pregiudizialità civile nel processo amministrativo, Torino, 2017, spec. 275 ss.
Intervista alle correnti. Cesare Bonamartini, Autonomia & Indipendenza
di Riccardo Ionta
Deriva e scarroccio. L’imbarcazione subisce uno scostamento e la rotta effettiva non coincide più con quella necessaria. Deriva è l’effetto della corrente, massa in movimento verso una direzione sotto il filo dell’acqua, difficile da percepire in assenza di punti di riferimento. Scarroccio è l’effetto del vento, viene da una direzione battendo sulla superfice emersa, ed è sufficiente sentirne la forza. Correnti e venti possono perturbare la navigazione, sfavorirla. Possono anche, tuttavia, favorirla sospingendo l’imbarcazione nel giusto senso. Dipende dalla direzione delle forze, dal loro combinarsi, dalla consapevolezza di chi naviga.
Giustizia Insieme è un’endiadi, uno spazio di libertà per la giustizia e il pluralismo, e nel momento in cui la magistratura è trascinata dalle correnti e battuta da plurimi venti, ha posto delle domande a quattro magistrati, (al momento dell’intervista) componenti di vertice dell’A.N.M., eletti per Area (Luca Poniz), Unicost (Giuliano Caputo), Autonomia e Indipendenza (Cesare Bonamartini), Magistratura Indipendente (Paola D’Ovidio).
Venti e correnti, prima o dopo, passano. E in una lunga traversata, prima o dopo, altri e altre ne ritornano. In ogni caso, l’importante è aver ben chiara la destinazione, conoscere sia i venti, sia le correnti, ed avere comunque un buon governo del timone.
La seconda intervista è a Cesare Bonamartini (Autonomia e Indipendenza).
La prima intervista a Luca Poniz (Area) è raggiungibile al link https://www.giustiziainsieme.it/it/le-interviste-di-giustizia-insieme/1182-intervista-alle-correnti-luca-poniz-area
Sommario: 1. Perugia; 2. Populismi; 3. Le correnti; 4. C.S.M.; 5. A.N.M. e C.S.M.; 6. Pesi e contrappesi; 7. Pubblici ministeri e A.N.M.; 8. Le elezioni del Comitato Direttivo Centrale; 9. Le elezione dei Consigli Giudiziari; 10. Futuro Prossimo.
1. Perugia
L’indagine di Perugia è un’indagine su ipotesi di reato di un ex consigliere del C.S.M. sfociata in un’inchiesta sul “dietro le quinte” del C.S.M.? Perché L’A.N.M. ha chiesto la trasmissione integrale degli atti dell’indagine di Perugia?
L’indagine di Perugia ha, in primo luogo, reso manifesta la degenerazione correntizia ormai radicatasi all’interno del C.S.M., fondando, purtroppo, i più foschi timori ormai da tempo manifestati da vari voci critiche all’interno della Magistratura, tra cui il gruppo di A&I.
Tuttavia, l’indagine di Perugia ha evidenziato anche una preoccupante tendenza dei componenti dell’organo di Autogoverno a consentire alla politica – o meglio a quella parte della politica che al confronto istituzionale aperto e leale preferisce contatti paralleli per lo più non conoscibili dalla collettività – di intromettersi in scelte riservate al C.S.M., rispetto alle quali ogni soggetto politico dovrebbe essere rigorosamente escluso.
La circostanza che alcuni dei politici fossero magistrati in aspettativa per mandato parlamentare, come Cosimo Ferri o Donatella Ferranti (comparsa nelle chat da ultimo pubblicate dalla stampa), non consente di ritenere in alcun modo legittimo, né opportuno il loro interessamento alle decisioni riservate al Consiglio Superiore, concretando tale ingerenza un vulnus al principio fondamentale della separazione dei poteri.
Personalmente, trovo stupefacente che non tutti i colleghi provino un sentimento di profondo sdegno di fronte a tali intromissioni, accettandole in virtù dello status di magistrati dei parlamentari coinvolti, perché in questo modo si verifica una lesione inaccettabile al governo autonomo della magistratura, che è presidio dell’indipendenza dell’Ordine Giudiziario.
L’immagine della magistratura che è stata restituita dalle notizie di stampa relative all’indagine di Perugia ha gravemente incrinato la credibilità dell’ordine giudiziario anche se, all’evidenza, i fatti riguardano solo una parte non cospicua di magistrati e non afferiscono strettamente all’attività giurisdizionale. Anzi, l’esercizio della giurisdizione resta sostanzialmente preservato anche se temo che questa campagna di stampa rischi di ingenerare nei cittadini una sfiducia, in realtà ingiustificata, nella giustizia.
Considerato che l’ANM rappresenta oltre il 90% dei magistrati italiani, è evidente l’assoluto interesse ad avere compiuta conoscenza del contenuto delle indagini, anche, a mio avviso, in un’ottica risarcitoria per il danno arrecato all’immagine della magistratura intera mediante costituzione di parte civile nell’eventuale processo che dovesse essere celebrato.
La disponibilità degli atti di indagine consentirà poi di valutare eventuali illeciti disciplinari ascrivibili agli associati che abbiano posto in essere condotte contrarie alle finalità dell’ANM o che abbiano gettato discredito sull’ordine giudiziario o violato il codice etico della magistratura.
2. Populismi
L’appello a un’immagine ideale del popolo, incitato a riprendere il ruolo che qualcuno gli ha indebitamente sottratto, è considerata una delle principali caratteristiche dei populismi. Esiste davvero un populismo giudiziario oppure esiste davvero una magistratura onesta e una magistratura disonesta?
Faccio fatica a calare la nozione di populismo sia nell’ambito dell’attività giurisdizionale che in quello della politica associativa. Il magistrato deve applicare la legge e, in quanto tale, l’attività giudiziaria non può essere populista.
Quanto all’attività associativa nelle proposte di riforma della magistratura, anche quelle che personalmente non condivido, quale l’introduzione del sorteggio per i componenti del CSM, è sempre presente una rivisitazione critica del sistema istituzionale per superarne i difetti visibili a tutti.
Non credo neppure in una distinzione tra magistratura onesta e disonesta, anche se, allargando lo sguardo, l’adozione di decisioni secondo logiche di appartenenza correntizia finisce per minare l’onestà intellettuale delle scelte adottate.
Tuttavia, credo sia necessario segnalare che anche nell’attività di alta amministrazione riservata al Consiglio Superiore della Magistratura gli ambiti in cui tali logiche correntizie hanno operato sono, tendenzialmente, limitati a pochi posti, più ambiti e spesso localizzati geograficamente.
Al di là degli inaccettabili casi di fatti criminali commessi da magistrati, credo necessario che l’onestà si esplichi quotidianamente nell’attività giudiziaria, avendo ben chiaro – in punto di impegno - che i procedimenti trattati corrispondono ad interessi nella vita delle persone e tenendo sempre presente, come detto da Papa Francesco proprio in occasione di un incontro con l’ANM, “la superiorità della realtà sull’idea” ad evitare che la nostra chiave di lettura deformi quanto abbiamo di fronte, adeguandolo al nostro pensiero.
3. Le correnti
Le correnti. Sono gruppi di pensiero organizzato, gruppi organizzati di potere o cosa sono?
A mio avviso attualmente le correnti hanno perso, in gran parte, la loro connotazione di gruppi di pensiero organizzato anche perché gran parte dell’elaborazione culturale offerta riguarda non tanto la giurisdizione, ma si rivolge essenzialmente verso l’attività consiliare e la sua organizzazione.
Credo che tale dato sia il presupposto logico che ha condotto le correnti a perdere l’originaria vocazione culturale e a dedicarsi soprattutto alla gestione della discrezionalità propria dell’attività del C.S.M..
Così ridefinito l’ambito principale di operatività delle correnti, su di esso si è innestata la degenerazione spartitoria resa evidente dall’indagine di Perugia, dovendosi rimarcare come non sempre i colleghi si siano avvicinati ad un gruppo associativo perché ne condividevano le impostazioni culturali o i programmi ma, piuttosto, perché pensavano che il sostegno di una corrente fosse l’unico modo per poter coltivare con successo eventuali domande per i posti ambiti (di solito direttivi, semi direttivi o di legittimità).
4. C.S.M.
Il C.S.M. è titolare di molteplici poteri discrezionali - non solo riguardo alle nomine - nelle cui sfuggenti dinamiche si insinuano le derive correntizie, anche perché i magistrati interessati non godono di forme di partecipazione. E’ necessario ridurre i poteri, la discrezionalità? E’ sufficiente implementare la trasparenza del potere e le forme di partecipazione?
Credo che certamente la previsione di forme di pubblicità (penso alla pubblicazione dei curricula dei candidati ad incarichi direttivi) e di partecipazione (con audizioni degli interessati, come già ora avviene più di frequente), possa dare un ausilio nella direzione del buon andamento dell’amministrazione consiliare.
Tuttavia, non posso non notare che, quando sono entrato in magistratura, nel 1998, il funzionamento del C.S.M. era sostanzialmente oscuro ai più, mentre a partire dal 2006 hanno avuto inizio una serie di comunicazioni volte a consentire di seguire i lavori consiliari, con una rincorsa che degenera, non di rado, in una vera e propria gara da parte delle correnti per fornire per primi le informazioni ai colleghi così ingenerando l’idea, invero non corretta, di “monopolio” delle correnti medesime di accesso alle fonti di conoscenza privilegiate e influenti.
Tale pubblicità, tuttavia, non ha in alcun modo inciso sulle trasparenza delle nomine per i posti direttivi e semi-direttivi, rispetto ai quali il testo unico licenziato nella passata consiliatura ha consentito di fare uso di una discrezionalità prossima all’arbitrio.
Credo che sia indispensabile, pertanto, che il Consiglio introduca criteri chiari di valutazione dei magistrati al fine di limitare gli eccessi di discrezionalità.
Mi permetto, peraltro, di segnalare la necessità che tutti coloro che operano a livelli diversi nella redazione dei profili dei magistrati abbiano maggiore attenzione a restituire un quadro fedele della professionalità dei colleghi, perché la redazione di rapporti e pareri in chiave costantemente elogiativa non consente di apprezzare le differenze che indubbiamente sussistono tra i magistrati, finendo per condurre ad una palude di opacità in cui è pressoché indistinguibile – in virtù dei dati formali - il magistrato che è punto di riferimento di un ufficio giudiziario da quello che “vivacchia”, magari collezionando incarichi apparentemente indicativi di grande professionalità.
Essenziale è, poi, la valorizzazione dei pre-requisiti di equilibrio, indipendenza ed imparzialità che costituiscono l’essenza del magistrato ed in assenza dei quali l’esercizio della giurisdizione non può mai essere apprezzabile.
Peraltro, a mio avviso è essenziale una preliminare opera “culturale” che chiarisca nuovamente ai colleghi che i magistrati si distinguono solo per funzioni, in modo da ridurre la corsa sfrenata ai posti direttivi e semidirettivi, cui è sottesa l’idea che l’esercizio della giurisdizione svincolato da tali incarichi sia “minore”, quando dovrebbe essere chiaro a tutti che abbiamo superato il concorso per fare i giudici e i pubblici ministeri e non gli “organizzatori”.
5. A.N.M. e C.S.M.
A.N.M. e C.S.M. rappresentano la stessa sostanza sotto forme diverse?
Nonostante la sostanziale identità degli aventi diritto al voto e la presenza di gruppi corrispondenti in seno ad ANM ed al C.S.M., con ovvia possibilità di comunicazione, non credo possa affermarsi l’identità di linea “politica” tra le due realtà.
Credo, però, che sia auspicabile un allentamento del collegamento tra correnti, e loro interessi, rispetto alle dinamiche di costituzione e funzionamento del C.S.M., che consentirebbe anche all’Associazione un dibattito “politico” sulle generali direttive di azione e decisione di quest’ultimo, non più tarpato da patti tacitamente rispettati, nell’osservanza del principio di reciprocità, per non disturbare il manovratore.
6. Pubblici ministeri e A.N.M
Perché i vertici dell’A.N.M. sono quasi sempre ricoperti da pubblici ministeri?
Ho imparato sulla mia pelle, durante l’anno passato in GEC, che l’attività associativa richiede, oltre che impegno, assidua presenza fisica.
Alla luce di tale esperienza credo che la relativa maggiore rappresentanza dei magistrati requirenti abbia due ragioni, una delle quali, assai banalmente, è di carattere “logistico”, in quanto non è prevista, neppure per i vertici nazionali della A.N.M., esenzione alcuna dal lavoro giudiziario. I requirenti sono in generale più liberi di organizzare i propri impegni di servizio, essendo il pubblico mistero un ufficio impersonale, mentre i giudicanti hanno vincoli tabellari rigidi in termini di calendari di udienze, composizione dei collegi, immutabilità del giudice: ciò è difficilmente compatibile con impegni associativi a livello nazionale che, per i vertici, richiedono gravosi, frequenti e a volte repentini impegni istituzionali e trasferte.
È poi vero che, sempre in generale, il dibattito su temi ordinamentali e processuali di interesse associativo involge maggiormente quelli relativi alla giurisdizione penale e, dunque, la sensibilità e l’impegno dei penalisti in A.N.M. può essere statisticamente più frequente di quello dei civilisti.
7. Pesi e contrappesi
La realizzazione degli scopi statutari sembra richiedere all’A.N.M. di attivarsi anche, e forse soprattutto, nel controllo dell’organo di autogoverno. E’ mancato questo controllo?
Francamente credo che questa sia una delle principali critiche che si può muovere all’attività dell’A.N.M..
In seno alla A.N.M. si sono spontaneamente strutturati i diversi gruppi, o correnti, sulla base delle diverse sensibilità e visioni culturali - e latamente politiche - dei magistrati. Sul versante dell’elezione dei componenti togati del C.S.M., secondo il modello costituzionale, è stato fisiologico il ruolo di corpi intermedi tra rappresentanti e rappresentati che, naturalmente, è stato svolto da quegli stessi gruppi associativi, anche per la sostanziale coincidenza dei due corpi elettorali. La corrente tradizionale è così divenuta un “Giano bifronte”, che si manifesta sia come gruppo associativo, che come gruppo consiliare.
Ciò ha, spesso fatto, impedito alla A.N.M. di assumere posizioni realmente ed efficacemente critiche di fronte a prassi e decisioni (o mancate decisioni) consiliari censurabili: ricordo distintamente, a fronte di una delibera consiliare relativa a ricollocamento in ruolo dopo mandato parlamentare, un comunicato del C.D.C. che si esprimeva in termini di auspicio rivolto verso i colleghi ad usare “misura” nelle proprie aspirazioni, a mio avviso con ben poca incisività.
Orbene, la A.N.M non può essere certo una sorta di controllore delle singole decisioni dell’organo di governo autonomo, per la semplice ragione che non è quello il suo compito, ma certamente deve avere una attenzione critica verso i provvedimenti consiliari, con una sorta di “monitoraggio culturale” della relativa attività per essere pronta – e libera – per denunciare eventuali situazioni scarsamente comprensibili alla luce della normazione secondaria vigente.
8. Le elezioni del Comitato Direttivo Centrale
La mancanza di condizioni per l’azione politica - diversamente argomentata da ogni corrente - ha portato al ritiro “politico” dalla G.E.C di praticamente tutti i componenti. Perché, viste anche le annunciate riforme, ciò non ha condotto allo svolgimento immediato delle elezioni del Comitato Direttivo Centrale?
Devo precisare che, quale componente di GEC di A&I, non ho mai inteso revocare la disponibilità del mio gruppo a comporre la giunta esecutiva centrale perché, in un momento in cui la politica, anche fondando la propria determinazione sulle notizie di stampa comparse, manifestava le prime intenzioni di procedere a riforme dell’ordinamento giudiziario, ritenevo necessario avere una A.N.M. forte e pienamente rappresentativa.
Ciò premesso e dato atto delle decisioni altrui, a me – invero - parse scarsamente intellegibili durante la seduta, osservo che l’individuazione della data di ottobre per il voto discende dalla delibera, adottata nel corso della medesima seduta del CDC all’unanimità, compresa Magistratura Indipendente, che ha previsto lo svolgimento delle elezioni con modalità telematica e con spoglio a livello nazionale.
Tale modalità di voto, prescelta per i noti motivi di ordine sanitario e, comunque, essenziale per eliminare – finalmente - qualsiasi possibilità di controllo del voto (che era possibile soprattutto in distretti piccoli), richiede la costituzione dell’elenco degli aventi diritto al suffragio, comprensivo dei loro recapiti telefonici (di cui ANM non dispone al momento) cui dovranno essere inviate le credenziali e l’OTP (come per le operazioni di home banking) necessario per garantire che il voto telematico sia personale e segreto.
Considerato che la costituzione dell’elenco dipende anche dalla diligenza e tempestività nella risposta da parte degli iscritti all’A.N.M. e che si tratta del primo esperimento di voto telematico, pertanto da costruire ex novo e con maggiore attenzione, e tenuto conto delle indicazioni “cronologiche” ricevute dalla società cui è stata affidate parte delle operazioni materiali di organizzazione era materialmente impossibile svolgere le elezioni prima dell’estate.
Né appare possibile, ora, prevedere lo svolgimento delle elezioni in forma tradizionale a fine luglio, considerando che tale cadenza temporale non consente di disporre di un periodo congruo per un effettivo confronto sui progetti che devono costituire “l’azione di governo dell’A.N.M” proposti dai candidati, circostanza che, inevitabilmente, consegnerebbe l’espressione del voto alla mera vicinanza correntizia, a prescindere dalle idee concretamente espresse.
9. Le elezioni dei Consigli giudiziari
In occasione delle elezioni suppletive per il C.S.M., l’A.N.M. ha cercato di favorire un metodo di candidatura svincolato dalle correnti. E per le elezioni dei Consigli giudiziari?
La attuale legge elettorale dei Consigli Giudiziari prevede un sistema proporzionale a liste contrapposte: è naturale conseguenza che esse rispecchino quei “corpi intermedi” che, anche a livello locale, sono i diversi gruppi associativi, o correnti. Tuttavia, in una dimensione distrettuale, la conoscenza diretta personale e professionale dei candidati, da parte degli elettori, e successivamente il controllo immediato dell’attività degli eletti in C.G., consentono già non solo un suffragio meno vincolato alla appartenenza, ma anche l’elezione di candidati “indipendenti”, e a volte anche la presentazione di liste indipendenti. A livello locale e almeno in certe realtà, insomma, questo relativo svincolo tra candidature e correnti che la A.N.M. oggi persegue anche a livello nazionale è già lo stato delle cose.
10. Futuro prossimo
Quale futuro si prospetta per le correnti e l’A.N.M.?
Personalmente ritengo che il pluralismo dell’associazionismo giudiziario sia un bene da preservare, ma è necessario che venga abbandonata la logica del correntismo, quale conseguenza patologica, fine a se stesso ed espressione di potere, e che le correnti tornino ad essere centri di elaborazione culturale maggiormente orientati verso la giurisdizione.
Il modello di giurisdizione, la sua evoluzione, la sua attualità, efficienza e adeguatezza rispetto alle trasformazioni sociali, oggi sempre più veloci, che ci pongono di fronte a sfide anche estremamente complesse in ordine alla tenuta del sistema e alla relativa necessità di attrezzarsi, dovrebbe essere il tema centrale d’interesse e di confronto di tutti i magistrati come singoli e come gruppi strutturati.
Credo che in questo modo anche l’ANM potrebbe realmente dare un supporto ai magistrati nello svolgimento delle funzioni, che deve essere sempre considerato il profilo essenziale dell’attività di magistrato.
Intervista alle correnti. Luca Poniz, Area
di Riccardo Ionta
Deriva e scarroccio. L’imbarcazione subisce uno scostamento e la rotta effettiva non coincide più con quella necessaria. Deriva è l’effetto della corrente, massa in movimento verso una direzione sotto il filo dell’acqua, difficile da percepire in assenza di punti di riferimento. Scarroccio è l’effetto del vento, viene da una direzione battendo sulla superfice emersa, ed è sufficiente sentirne la forza. Correnti e venti possono perturbare la navigazione, sfavorirla. Possono anche, tuttavia, favorirla sospingendo l’imbarcazione nel giusto senso. Dipende dalla direzione delle forze, dal loro combinarsi, dalla consapevolezza di chi naviga.
Giustizia Insieme è un’endiadi, uno spazio di libertà per la giustizia e il pluralismo, e nel momento in cui la magistratura è trascinata dalle correnti e battuta da plurimi venti, ha posto delle domande a quattro magistrati, (al momento dell’intervista) componenti di vertice dell’A.N.M., eletti per Area (Luca Poniz), Unicost (Giuliano Caputo), Autonomia e Indipendenza (Cesare Bonamartini), Magistratura Indipendente (Paola D’Ovidio).
Venti e correnti, prima o dopo, passano. E in una lunga traversata, prima o dopo, altri e altre ne ritornano. In ogni caso, l’importante è aver ben chiara la destinazione, conoscere sia i venti, sia le correnti ed avere comunque un buon governo del timone.
La prima intervista è a Luca Poniz.
Sommario: 1. Perugia; 2. Populismi; 3. Le correnti; 4. C.S.M.; 5. A.N.M. e C.S.M.; 6. Pesi e contrappesi; 7. Pubblici ministeri e A.N.M.; 8. Le elezioni del Comitato Direttivo Centrale; 9. Le elezione dei Consigli Giudiziari; 10. Futuro Prossimo
1. Perugia
L’indagine di Perugia è un’indagine su ipotesi di reato di un ex consigliere del C.S.M. sfociata in un’inchiesta sul “dietro le quinte” del C.S.M.? Perché L’A.N.M. ha chiesto la trasmissione integrale degli atti dell’indagine di Perugia?
Tra fine maggio ed inizio giugno di un anno fa, dalla cronaca giudiziaria si apprese che, nell’ambito di un’indagine aperta dalla Procura della Repubblica di Perugia nei confronti di un ex consigliere del C.S.M., erano emersi – da intercettazioni telefoniche disposte in relazione alle ipotesi di reato oggetto dell’indagine - incontri tra l’ex consigliere stesso, cinque componenti in carica del C.S.M., e due deputati (uno imputato in un procedimento penale pendente a Roma, un magistrato in aspettativa per mandato parlamentare), volti a “discutere” dell’imminente nomina del Procuratore della Repubblica di Roma. L’indagine di Perugia è stata dunque un’involontaria scoperta di una serie di condotte immediatamente percepite e valutate come gravi in relazione alla possibile interferenza esterna sulla vita del Consiglio Superiore; vi è stata una conseguente reazione dell’A.N.M. (con un duro comunicato unanime del C.D.C. del 5 giugno 2019), e dello stesso C.S.M., dopo un intervento del Presidente della Repubblica.
L’A.N.M. chiese già in quel momento, nel giugno del 2019, la copia integrale degli atti, sul presupposto dell’essere (quantomeno) “soggetto interessato” alla loro conoscenza, sia in relazione alla valutazione della potenziale veste di persona offesa (da valutare naturalmente in concreto, una volta conosciute le incolpazioni formulate) sia, e soprattutto, alla necessità di fornire gli atti stessi al proprio organismo disciplinare (il Collegio dei Probiviri), al fine di valutare la rilevanza delle condotte, tanto quelle penali quanto quelle che, pur non rientranti nelle condotte penalmente illecite, appaiano violare il codice etico adottato dall’A.N.M. Lo scorso anno l’istanza – rivolta alla Procura di Perugia, C.S.M., Procura Generale della Corte di Cassazione, Ministro della Giustizia, in quel momento depositari a vario titolo degli atti – fu rigettata con diverse motivazioni; dalla Procura di Perugia, in ragione del “segreto” in quella fase opponibile a soggetti terzi. A maggio di quest’anno, avuta notizia della formale conclusione dell’indagine, l’A.N.M. ha avanzato nuova istanza, ribadendo il proprio interesse qualificato – in ragione delle proprie finalità statutarie – alla conoscenza degli atti, sul presupposto che gli atti depositati non sono più “segreti” per coloro che processualmente hanno titolo per conoscerli (rimanendo, comunque, non pubblicabili: circostanza smentita dalla cronaca…). Si è anche proceduto alla nomina di un difensore, per coltivare, oltre che tale richiesta, ogni altra iniziativa.
E’ evidente che la richiesta di atti oggi ha un’utilità ulteriore ed evidente, al fine di conoscere e valutare – senza filtri informativi più o meno interessati – quelle che appaiono diffuse ed in alcuni casi gravi condotte, interne ad un “sistema” che esige profonde riforme, oltrechè adeguate risposte disciplinari.
2. Populismi
L’appello a un’immagine ideale del popolo, incitato a riprendere il ruolo che qualcuno gli ha indebitamente sottratto, è considerata una delle principali caratteristiche dei populismi. Esiste davvero un populismo giudiziario oppure esiste davvero una magistratura onesta e una magistratura disonesta?
Il tema è oggi più che mai attuale, ed ha molteplici ricadute. Nel rapporto tra la politica e la magistratura, o forse per meglio dire la giurisdizione, una delle tendenze più ricorrenti, e dei pericoli, è la “rappresentazione” di una magistratura (naturalmente dipinta come “elite”, in quanto tributaria di privilegi non solo ordinamentali…) che “decide” in contrapposizione al sentire comune, al “popolo”. Frequenti, e violente, le campagne di delegittimazione di questo o quel Magistrato che, osando indagare o processare “un eletto del popolo” violerebbe per ciò stesso la sovranità popolare, dimentichi naturalmente che la norma fondamentale della Costituzione – l’art. 1 – prevede che “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” . La sovranità “si organizza con il diritto”, secondo una felice espressione di Esposito; ed alla magistratura è costituzionalmente attribuito un essenziale ruolo di presidio della legalità, che non incontra naturalmente limiti nell’investitura popolare, se non quelli espressamente previsti dalle procedure costituzionali. In altre parole, il “consenso” popolare viene invocato come fonte di investitura di un potere che spesso invoca per sé l’ingiudicabilità, ed utilizzato, all’opposto, per delegittimare quello giudiziario, proprio perché di esso privo. Naturalmente è una pretesa fuori dalla Costituzione, con dei rischi altissimi, che investono la fiducia di cui deve godere la magistratura ed il potere giurisdizionale che amministra: si potrebbe dire, in breve, fiducia versus consenso.
Esiste anche il rischio opposto, ma non certo privo di implicazioni meno problematiche: l’aspettativa di un ruolo “moralizzatore” della magistratura, che in non pochi casi è stato delineato, teorizzato, o esplicitamente richiesto da gruppi sociali, movimenti di opinione, organi di informazione, e che ha trovato alcuni convinti sostenitori, ed interpreti, anche nella magistratura. E’ tema troppo complesso per essere riassunto in poche parole: però a me pare indiscutibile che alla magistratura non sia affidato quel ruolo, per l’evidente ragione che l’indagine ed il processo penale non hanno intrinsecamente l’attitudine a giudicare fenomeni, ma fatti. Qui il rischio è che sia la giurisdizione a cercare quel “consenso” che può essere contingentemente consolatorio – specie negli anni degli attacchi esterni, anche violentissimi - ma che è elemento estraneo al fondamento del proprio potere. La magistratura ha bisogno di fiducia, non di consenso; ed ovviamente la può ottenere con un esercizio equilibrato del proprio potere, in ogni momento in cui esso si estrinseca, ad iniziare dalla comunicazione e dall’intervento nel dibattito pubblico. Escludo che oggi il tema sia la contrapposizione tra una magistratura onesta ed una disonesta, se per disonesta si intende proclive all’illecito, magari penale; il tema è piuttosto quello di una magistratura in cui sembrano essersi diffusi - difficile dire con quale dimensione - costumi difformi dal modello di magistrato innamorato della legge, e non del potere, che vorrei che fosse il modello di magistrato “costituzionale”.
3. Le correnti
Le correnti. Sono gruppi di pensiero organizzato, gruppi organizzati di potere o cosa sono?
Le correnti sono state, e sono, libere associazioni di magistrati, che hanno svolto e svolgono una funzione essenziale nell’elaborazione culturale e nel dibattito interno alla magistratura. Credo che il riconoscimento più autorevole del ruolo e dell’importanza delle correnti si trovi nelle parole che il Presidente della Repubblica ha rivolto ai Magistrati in tirocinio, il 23 luglio 2018: “Il dibattito culturale all’interno della magistratura costituisce un necessario strumento per favorire l’interpretazione e l’applicabilità delle norme vigenti alla mutevole realtà sociale e, dunque, un utile mezzo per promuovere l’elaborazione di risposte legittime alle pressanti istanze di tutela giudiziaria. Non è certo la riduzione del dibattito culturale, attento e plurale, a poter rendere migliore la magistratura. Va affermato, con chiarezza, che questo diritto ad associarsi liberamente costituisce condizione preziosa, da difendere contro ogni tentativo di indebita intromissione. Occorre, naturalmente, evitare che l’aggregazione associativa, basata su autentiche opzioni culturali e valoriali, possa trasformarsi in corporativismo o - peggio ancora - in forme di indebita tutela, se non di ingiustificato favore, basate sul mero – mortificante - criterio di appartenenza”. Si tratta del riconoscimento di un ruolo essenziale nell’attuazione del modello di giurisdizione costituzione, in quanto coerente con il pluralismo ideale e valoriale garantito nella stessa provenienza dei magistrati, selezionati con il “solo” concorso, e dunque espressione delle diverse sensibilità culturali. Indubbiamente nel tempo hanno assunto una progressiva connotazione di “gruppi organizzati”, dove il problema non è, naturalmente, l’assetto dell’organizzazione, quanto le finalità, gli “obiettivi”, per cosi dire, dell’azione. La storia dell’associazionismo giudiziario – dei singoli gruppi, o correnti, e dell’Associazione Nazionale Magistrati, che è stata importante ed autorevole luogo di sintesi – si è intrecciata virtuosamente a quella della magistratura e della giurisdizione, segnandone in modo incontestabile l’evoluzione, in conformità ai valori costituzionali. La difesa dell’autonomia e dell’indipendenza; la mutata consapevolezza del ruolo della giurisdizione; l’apertura ai temi di diretta derivazione costituzionale, ai nuovi diritti; ma anche la delineazione di un modello di magistratura aperta e non corporativa, forse il segno della “rottura” più evidente determinata dall’impatto del pluralismo ideale sul mondo della magistratura di derivazione pre-costituzionale. Potrei continuare ancora, ad indicare il senso e la virtuosità dell’associazionismo. Naturalmente, oggi non sfugge certo che in esso, e all’ombra di esso, si sono alimentati anche gruppi di potere, ove il consenso sembra ricercato nella logica dello scambio, con la promessa, implicita o esplicita (come pezzi dell’indagine perugina sembrano rivelare chiaramente) di una “protezione”, fondata sul criterio dell’appartenenza. Difficile negare che una simile mutazione, e direi deriva, non sia addebitabile unicamente a chi ha responsabilità politiche nella linea e direzione delle correnti, e non riguardi anche chi, nella “base” dei magistrati, sembra guardare alle correnti stesse con l’aspettativa del vantaggio personale… Si comprende, allora, che la soluzione del problema è complessa, e postula interventi che non riguardano certo solo le correnti e l’associazionismo.
4. C.S.M.
Il C.S.M. è titolare di molteplici poteri discrezionali - non solo riguardo alle nomine - nelle cui sfuggenti dinamiche si insinuano le derive correntizie, anche perché i magistrati interessati non godono di forme di partecipazione. E’ necessario ridurre i poteri, la discrezionalità? E’ sufficiente implementare la trasparenza del potere e le forme di partecipazione?
Il C.S.M. è organo di rilievo costituzionale, posto a presidio degli essenziali beni dell’indipendenza ed autonomia della magistratura. E’ singolare che da ormai molto tempo esso sia al centro del dibattito, e di critiche violente – che ne mettono in discussione il ruolo, dopo averne messo in discussione composizione e criteri di elezione - in relazione ad una parte delle sue attribuzioni, quali la nomina dei dirigenti degli uffici direttivi, nel quale esercizio sono emerse – non solo di recente – le pratiche più deteriori, e dunque il cattivo uso di questa discrezionalità. Ciò rende evidenti (almeno) tre problemi: la centralità che nelle aspettative dei magistrati (e nel conseguente dibattito) assume il problema della carriera; la latitudine del potere discrezionale del C.S..M. concesso, e non sufficientemente regolato, che il legislatore del 2006 ha concesso – sia pure con le migliori intenzioni … - superando il previgente, e criticatissimo, criterio della mera anzianità; l’intersecarsi delle aspettative dei singoli – aumentate a dismisura, anche per effetto del moltiplicarsi dei “posti” direttivi e semidirettivi – con le “promesse” dei rispettivi gruppi di appartenenza. E’ evidente che la soluzione del problema – diventato gigantesco, per portata sistemica - non passa solo per la “trasparenza” e la “partecipazione”, pur essenziali, ma postula una necessaria rimodulazione della stessa carriera, e una serie di altri punti essenziali. Naturalmente, esige anche meccanismi di elezione diversi, e una rigida regolamentazione dei rapporti tra eletti ed elettori, per spezzare logiche purtroppo diffuse. Bisogna difendere con forza il governo autonomo della magistratura, la sua centralità nel sistema dei rapporti tra i poteri dello Stato, e per farlo bisogna renderlo immune da ogni patologia che ne infici la piena credibilità.
5. A.N.M. e C.S.M.
A.N.M. e C.S.M. rappresentano la stessa sostanza sotto forme diverse?
AN.M. e C.S.M sono due ambiti nettamente distinti, non solo per evidente diversità di natura, di assetti e di poteri: l’A.N.M. è un’associazione privata, a partecipazione libera e volontaria, alla quale si iscrivono individualmente i magistrati, senza alcun altro requisito che essere magistrati vincitori di concorso, senza alcun rapporto di “appartenenza” con gruppi o correnti… Le finalità statutarie sono molteplici, e di alto profilo: le prime due, indicate nell’art. 1 dello Statuto, sono quelle di “dare opera affinché il carattere, le funzioni e le prerogative del potere giudiziario, rispetto agli altri poteri dello Stato, siano definiti e garantiti secondo le norme costituzionali; propugnare l’attuazione di un Ordinamento Giudiziario che realizzi l’organizzazione autonoma della magistratura in conformità delle esigenze dello Stato di diritto in un regime democratico”. Si tratta dell’impegno a tutelare valori di rango costituzionale, ciò che ha determinato l’assunzione di un ruolo “istituzionale” da parte dell’A.N.M., ed il costante suo riconoscimento come interlocutore delle istituzioni, dell’accademia, dell’avvocatura, della politica. Nella percezione comune, si spiega forse così quella “similitudine” di almeno una parte del ruolo dell’Associazione con il C.S.M. cui sembra riferirsi la domanda; che però si riferisce, anche, se non di più, alla “composizione” dell’una e dell’altro, alludendo alla comune presenza, con ruoli dominanti, delle correnti e dei loro rappresentanti. Sarebbe agevole replicare che, soprattutto in seno all’A.N.M., il sistema elettorale vigente – che prevede liste contrapposte, e sistema elettorale proporzionale puro, con la presentazione libera di liste, con il solo onere della loro presentazione da parte di 100 soci.. – consente la più ampia e libera partecipazione e dunque offerta di rappresentanza e rappresentatività; e dunque ogni gruppo, ancorchè non organizzato o strutturato, può candidarsi alla guida dell’Associazione, con una propria offerta di valori culturali, opzioni ideali, programmi di azione politica-sindacale. Sicchè se ciò non avviene non è certo per un blocco del “sistema”, ma per quanto fino ad oggi sono stati complessivamente rappresentativi, nel loro insieme, i vari gruppic
6. Pesi e contrappesi
La realizzazione degli scopi statutari sembra richiedere all’A.N.M. di attivarsi anche, e forse soprattutto, nel controllo dell’organo di autogoverno. E’ mancato questo controllo?
E’ vero che una certa “osmosi” tra le carriere associative e quelle consigliari, verificatasi anche nella più recente esperienza, rende più difficile l’esercizio di un potere di iniziativa e anche di critica dell’A.N.M. verso il Consiglio, che io reputo essenziale nella fisiologia stessa della vita di un organo rappresentativo. Non credo però che possa parlarsi correttamente di un “controllo”, trattandosi di un organo elettivo, ed essendo i suoi atti – diversi da quelli della sezione disciplinare, che sono giurisdizionali – sottoponibili al controllo della giurisdizione amministrativa. Parlerei invece di un’azione di impulso, di sollecitazione e certamente anche di critica delle sue linee di azione, se necessario, con un’autonomia che, quanto più forte sappia essere, tanto più rafforzerà la credibilità sia dell’azione associativa, sia dello stesso organo consigliare.
7. Pubblici ministeri e A.N.M
Perché i vertici dell’A.N.M. sono quasi sempre ricoperti da pubblici ministeri?
Credo si tratti in buona parte di una ragione legata alla modalità del lavoro del Pubblico Ministero, in ufficio caratterizzato da “impersonalità” delle funzioni, ciò che consente una più agile e snella “organizzazione” degli impegni professionali con quelli legati all’incarico, spesso imprevedibili. Un Pubblico Ministero può essere sostituito in un impegno d’ufficio senza che ciò comporti alterazioni, e dunque disfunzioni, della giurisdizione, diversamente da un giudice, la cui assenza –non programmabile – determina inevitabilmente rinvii. Aggiungo alla domanda che il più delle volte si è trattato di colleghi operanti in uffici romani, ciò che completa la valutazione sulla maggiore compatibilità con impegni politico- associativi, il più delle volte concentrati nella Capitale (dove peraltro ha sede l’Associazione). Non esistendo una previsione che “dispensi” dal lavoro giudiziario, è facile comprendere, dunque, il perché sia più agevole svolgere ruoli associativi apicali in uffici requirenti, soprattutto se nella Capitale. Innegabile, poi, che in alcuni casi, si sia trattato di colleghi che hanno goduto di una maggiore visibilità, anche quando transitati a funzioni diverse: questo ha, ovviamente, a che fare con il consenso che, anche da ciò, si è acquisito tra i colleghi, che, non si dimentichi, votano e dunque “scelgono”. La politica associativa è però determinata da organi collegiali, il Comitato Direttivo Centrale e la Giunta Esecutiva Centrale, che hanno ampia rappresentatività territoriale, professionale, e di genere, e come tale pienamente capaci di esprimere posizioni in ogni ambito, con equilibrio tra le varie funzioni.
8. Le elezioni del Comitato Direttivo Centrale
La mancanza di condizioni per l’azione politica - diversamente argomentata da ogni corrente - ha portato al ritiro “politico” dalla G.E.C di praticamente tutti i componenti. Perché, viste anche le annunciate riforme, non ha condotto allo svolgimento immediato delle elezioni del Comitato Direttivo Centrale?
Come noto, le elezioni per il rinnovo del C.D.C. erano state fissate, per scadenza naturale del mandato, il 22, 23 e 24 marzo del 2020; la presentazione delle liste era stata chiusa e convocati i comizi elettorali. Purtroppo la grave emergenza sanitaria, sopravvenuta con la pandemia, ha portato il C.D.C. del 7 marzo, l’ultimo previsto prima del rinnovo, a deliberare unanimemente un primo rinvio delle elezioni, fissandole al 24, 25 e 26 maggio, nella convinzione – e speranza, in quel momento – che l’emergenza sarebbe terminata. Purtroppo non è accaduto, ed anzi la situazione ha presentato una così grave evoluzione da aver imposto il rinvio di ogni appuntamento elettorale istituzionale, incluso quello dei Consigli Giudiziari. Così, nella seduta del C.D.C. del 9 maggio, convocata per valutare la perdurante situazione emergenziale, è stato unanimemente votato un ulteriore rinvio (anche se con diverse indicazioni sulle date, oscillanti tra settembre ed ottobre) e, sempre all’unanimità, deciso di organizzare – per la prima volta nella storia dell’A.N.M. – il voto telematico, immediatamente avviando una complessa ed impegnativa procedura tecnico-organizzativa per realizzarlo, nei tempi i più brevi possibili, ma certo non compatibili – come più volte evidenziato in ogni sede – con un voto anticipato rispetto a quello già stabilito. Anzi, solo un serrato impegno organizzativo, ovviamente in essere, può consentire la riuscita del voto con la nuova, e rivoluzionaria, modalità (che sarà, così, pronta per ogni appuntamento futuro) dopo l’estate: evidenziando che la riuscita del voto, che postula la certezza di aver “raggiunto” per l’accreditamento al voto ogni singolo associato, significa assoluto rispetto delle regole di partecipazione e democrazia, senza dimenticare lo scrupolo che deve accompagnare la verifica di ogni passaggio tecnico della procedura. Dunque, nessuna valutazione “libera” sulla data del voto, ma solo irrinunciabili passaggi tecnici.
9. Le elezioni dei Consigli giudiziari
In occasione delle elezioni suppletive per il C.S.M., l’A.N.M. ha cercato di favorire un metodo di candidatura svincolato dalle correnti. E per le elezioni dei Consigli giudiziari?
In occasione della crisi conseguente alle dimissioni di alcuni componenti del C.S.M, l’A.N.M. ha ritenuto di fare una “proposta” politica all’interno di un sistema elettorale - da sempre criticato – di cui si era notata la formidabile idoneità a consentire “blocchi organizzati”, candidature pilotate; il collegio unico nazionale, nella categoria dei P.M. aveva portato all’intollerabile candidatura di quattro P.M. per quattro posti. L’idea è stata quella di “aprire” e dunque favorire candidature plurime nel numero, e plurali nella provenienza, al fine di consentire una opposta dinamica nell’elettorato passivo, e in quello attivo, cercando di restituire all’elezione il suo senso vero. E’ evidente che nelle elezioni nazionali l’organizzazione delle correnti ha avuto e ha un peso – con questo sistema – decisivo, nella scelta e “selezione” di candidati che, in tal modo, saranno eletti (in tal senso sono apprezzabili gli sforzi fatti in senso a taluni gruppi di procedere almeno con elezioni primarie); nelle elezioni dei C.G. il problema ha caratteristiche del tutto diverse, trattandosi di voto locale, dove peraltro ogni magistrato può candidarsi con modesto sforzo organizzativo, e cercare di valorizzare, da sé, il proprio percorso professionale, su cui richiedere più facilmente il voto.
10. Futuro prossimo
Quale futuro si prospetta per le correnti e l’A.N.M.?
Più facile dire ciò che vorrei: correnti che si fanno portatrici di idee e proposte, e che lavorano nell’interesse della giurisdizione, funzione essenziale dello Stato, e della democrazia. Che mettono le proprie idee, ed i propri progetti, al servizio del diritto. Che respingono l’idea dell’appartenenza interessata, in cui si annida il pericolo anche del corporativismo, malattia mortale della magistratura. L’A.N.M. deve essere il luogo in cui la progettualità e le idee trovano la sintesi più alta, e pressoche’ tutta la magistratura si riconosce pienamente nel suo ruolo, e nella sua imprescindibile funzione, come fino ad oggi è stato.
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