ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Sommario: 1. Il caso di specie. – 2. La normativa di riferimento in materia di inclusione scolastica. – 2.1. Il quadro costituzionale. – 2.2. Un excursus sul piano normativo dall’integrazione all’inclusione scolastica dello studente con disabilità. – 3. Lo strumento del P.E.I.: competenze e alterne vicende sul piano normativo e nella giurisprudenza. – 4. La questione dell’assegnazione delle ore di sostegno. – 5. Il caso di specie: istituti scolastici statali e comunali e relative competenze in materia di inclusione alla luce della normativa vigente. – 6. Brevi considerazioni conclusive.
1. Il caso di specie
La pronuncia in esame concerne l’ambito delle concrete misure di attuazione del principio di inclusione scolastica degli alunni con disabilità, il quale – come nel caso di specie – si sostanzia nella adozione di un piano educativo individualizzato (di seguito P.E.I.) rispondente alle esigenze del singolo alunno in relazione al grado ed alla tipologia di disabilità presentata; quest’ultimo documento annovera, in particolare, le ore di sostegno settimanali e di assistenza specialistica delle quali il soggetto necessita, secondo quanto descritto nello stesso documento propedeutico rispetto al P.E.I. e – alla luce della più recente normativa – definito “Profilo di funzionamento”[i].
Nel caso in questione, in dettaglio, un’amministrazione comunale propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale, pronunciatosi sul ricorso presentato dai genitori di alunno con disabilità certificate per l’annullamento dei provvedimenti dell’amministrazione locale appellante di assegnazione al figlio minore delle ore settimanali di sostegno spettanti per l’anno scolastico 2020-2021, presso la scuola dell’infanzia comunale frequentata, oltre che ai fini dell’accertamento in sede giudiziale del diritto ad ottenere per l’anno scolastico 2021-2022 l’assegnazione di 33 ore settimanali di sostegno, di cui 8 di assistenza specialistica, secondo il rapporto 1 a 1 con le ore scolastiche.
Peraltro, occorre porre in evidenza come i provvedimenti amministrativi di cui trattasi, che i coniugi impugnano, erano stati adottati dalla c.d. «Commissione Inclusione», organo istituito dall’ente locale coinvolto mediante proprio regolamento di settore (nello specifico, regolamento per le scuole dell’infanzia comunali), nell’ambito del procedimento di formazione del P.E.I., ai sensi della normativa vigente e così, in particolare, ex artt. 14 della legge 8 novembre 2000, n. 328 (meglio nota quale “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”), e 12 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, c.d. “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”.
In aggiunta, i genitori dell’alunno disabile impugnano lo stesso decreto del Ministro dell’istruzione, adottato di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze del 29 dicembre 2020, n. 182, recante Adozione del modello nazionale di piano educativo individualizzato e delle correlate linee guida, nonché modalità di assegnazione delle misure di sostegno agli alunni con disabilità, ai sensi dell’articolo 7, comma 2-ter del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66”, nella parte in cui aveva previsto limiti quantitativi di ore di sostegno[ii].
L’adito Tribunale amministrativo – nella fattispecie il T.A.R. Lazio, sede di Roma, davanti al quale il giudizio veniva riassunto a seguito di declinatoria di competenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte – in parziale accoglimento dell’impugnazione, ravvisava nell’ambito della sentenza la violazione procedimentale consistente nel fatto che il piano educativo contestato erano stati predisposto senza l’intervento degli organi statali, istituiti in base alle norme di legge nazionale finalizzata all’inclusione scolastica, ovvero il «Gruppo per l’inclusione territoriale (G.I.T.)» e il «Gruppo di lavoro operativo per l’inclusione» (di seguito G.L.O.), ai sensi dell’art. 15, commi 4 e 10, della citata legge 5 febbraio 1992, n. 104, come modificato dall’art. 9 del d.lgs. 13 aprile 2017, n. 66[iii].
Nella predetta sentenza, pertanto, si chiariva come il G.L.O. dovesse essere considerato l’«unico organo competente» per la redazione del piano individualizzato e si statuiva che la normativa di legge statale sul punto non potesse essere derogata da disposizioni interne dell’amministrazione comunale resistente, con la sostituzione di propri organi rispetto a quelli previsti a livello nazionale.
Ebbene, nello stesso senso si pronuncia il Consiglio di Stato, nell’ambito della pronuncia in esame, laddove espressamente dispone che le norme volte alla concreta inclusione scolastica, anche con specifico riguardo agli organi quali gruppi di lavoro “multilivello” aventi competenze specifiche nella redazione del piano educativo individualizzato dello studente con disabilità, debbano essere applicate anche alle istituzioni scolastiche degli enti locali.
2. La normativa di riferimento in materia di inclusione scolastica
Nel nostro ordinamento, negli ultimi decenni, si può osservare un evidente processo di adeguamento sul piano interno rispetto alle previsioni sovranazionali[iv], oltre che costituzionali, che ha condotto dalla sostanziale emarginazione dello studente con disabilità, ad una progressiva integrazione del medesimo nel gruppo classe, sino – negli anni più recenti – ad una sostanziale inclusione[v].
In particolare, per ciò che concerne la normativa internazionale in materia, di estrema rilevanza appare l’elaborazione ad opera dell’Organizzazione Mondiale della Sanità della Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, o ICF (“International Classification of Functioning, Disability and Health”), la quale nel revisionare i due precedenti sistemi (ICDC del 1970 e ICIDH del 1980) definisce il grado di disabilità di un soggetto prendendo in esame le dimensioni positive, ovvero le capacità residue della persona e propone un modello concettuale teso ad enfatizzare la nozione universale di “funzionamento” quale fondamento della comprensione dello stato di salute.
Ancora, in ambito internazionale, riveste rilevanza la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 2006, ratificata in Italia per mezzo della legge 3 marzo 2009, n. 18.
Del pari, in ambito europeo, non si può non menzionare la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (meglio nota quale “Carta di Nizza”), del 18 dicembre 2001, che statuisce all’art. 26 come «l’Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità».
L’art. 19 della Convenzione, in particolare, sancisce poi il diritto dei soggetti disabili ad una vita indipendente ed alla piena inclusione nell’ambito della comunità in senso generale; alla lett. b) del medesimo articolo si evidenzia come gli Stati parti della Convenzione debbano garantire alle persone con disabilità l’accesso «ad una serie di servizi di sostegno domiciliare, residenziale o di co- munità, compresa l’assistenza personale necessaria per permettere loro di vivere all’interno della comunità e di inserirvisi e impedire che esse siano isolate o vittime di segregazione»[vi].
2.1. Il quadro costituzionale
Trattando di inclusione scolastica non si può non fare riferimento, pensando al dettato della Costituzione, anzitutto all’art. 34 Cost., il quale – come noto – esplicita che “la scuola è aperta a tutti”; in tal senso, individua cioè un diritto-dovere di frequentare la scuola “obbligatoria e gratuita” che concerne soprattutto i primi anni di vita del minore. Tale diritto all’istruzione interessa indifferentemente tutti i bambini e così anche coloro che presentano una disabilità di qualsivoglia grado e tipologia[vii].
La suddetta previsione, peraltro, deve essere letta in stretta connessione con l’articolo precedente della Carta costituzionale nella misura in cui, ai sensi dell’art. 33 Cost., è la Repubblica che deve farsi carico di assicurare il predetto diritto-dovere alla frequenza scolastica, anche con riferimento allo studente disabile e, in senso generale, l’istruzione e l’educazione dei giovani, intesa anche quale servizio pubblico garantito mediante l’istituzione di scuole statali per tutti gli ordini e i gradi[viii].
Ai sensi del medesimo articolo 33 Cost., peraltro, è riconosciuto anche a enti privati il diritto di creare e istituire scuole conformemente ad un principio generale di democrazia pluralista che informa la nostra Costituzione[ix]. La norma in questione, in altri termini, riconosce la possibilità di istituire scuole pubbliche (statali, bensì anche paritarie istituite da enti pubblici diversi dallo Stato), oltre che private (private od anche private paritarie) secondo un sistema “misto” volto a garantire, come accennato, pluralismo e uguaglianza (ai sensi dell’art. 3 Cost.)[x].
Quest’ultimo profilo, disciplinato anche dalla legge n.62/2000[xi], pare foriero di questioni problematiche laddove in relazione a talune fattispecie, quale quella concreta alla base della decisione in commento, si sono generati dubbi interpretativi circa le specifiche competenze sul piano dell’attuazione del principio dell’inclusione scolastica nell’ambito della scuola istituita non dallo Stato, ma dall’ente locale.
Le stesse previsioni costituzionali appena prese in esame concernenti il diritto all’istruzione, annoverato tra gli altri diritti sociali presi in esame specificamente dal testo costituzionale, debbono altresì essere analizzate in connessione con l’art. 2 Cost., ritenuto che la scuola deve essere annoverata tra le altre formazioni sociali considerate dalla Costituzione e nell’ambito della quale si sviluppa la personalità dell’alunno, indispensabile al fine del godimento degli altri diritti tutelati dalla Costituzione.
L’inclusione scolastica trova poi ulteriore tutela e riconoscimento nell’ambito della Carta costituzionale laddove all’art. 3 comma 1, si pone un generale divieto di discriminazione dei soggetti, secondo un’accezione formale del principio di uguaglianza, ma soprattutto all’art. 3 comma 2, ove – al fine del raggiungimento di un’effettiva uguaglianza tra individui, anche sul piano scolastico, lo Stato è chiamato a rimuovere tutti gli ostacoli che lo studente con disabilità possa incontrare nel suo percorso, mediante appositi interventi concreti, valutazioni differenziate, risorse umane ad hoc (così assistenti, facilitatori, educatori e, soprattutto docenti di sostegno), oltre che per mezzo di specifici strumenti quali accertamenti della condizione di disabilità, piani di valutazione della disabilità e piani educativi individualizzati (oggetto della pronuncia in commento).
Si noti, peraltro, che i padri costituenti, ben consci della necessità di un trattamento differenziato nei confronti di alunni affetti da handicap, hanno in tal senso predisposto un’apposita norma nell’ambito della sezione della Carta costituzione dedicata ai diritti sociali: in tal senso l’art. 38 Cost. individua espressamente nei confronti degli inabili e dei minorati un indifferenziato “diritto all’educazione ed all’avviamento professionale”. Disposizione quest’ultima che, letta in combinato disposto con le altre previsioni predette di rilevanza costituzionale, ha dato avvio ad un percorso verso l’integrazione scolastica degli studenti con disabilità anche sul piano normativo.
Di rilievo in materia appare la stessa celebre pronuncia della Corte costituzionale 3 giugno 1987, n. 215, la quale ha espressamente riconosciuto il pieno ed incondizionato diritto di tutti gli alunni con disabilità, in qualsivoglia caso di minorazione ed a prescindere dal grado di complessità della stessa, alla frequenza nelle scuole di ogni ordine e grado[xii].
Sempre in argomento non si può non menzionare la successiva pronuncia del Giudice costituzionale n. 275/2016 nell’ambito della quale la Corte ha ulteriormente esplicitato che «il diritto all’istruzione del disabile è consacrato nell’art. 38 Cost., e spetta al legislatore predisporre gli strumenti idonei alla realizzazione ed attuazione di esso, affinché la sua affermazione non si traduca in una mera previsione programmatica, ma venga riempita di contenuto concreto e reale. (...) La natura fondamentale del diritto, che è tutelato anche a livello internazionale dall’art. 24 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva con l. 3 marzo 2009, n. 18, impone alla discrezionalità del legislatore un limite invalicabile nel «rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati» (...), tra le quali rientra il servizio di trasporto scolastico e di assistenza poiché, per lo studente disabile, esso costituisce una componente essenziale ad assicurare l’ef- fettività del medesimo diritto»[xiii].
2.2. Un excursus sul piano normativo dall’integrazione all’inclusione scolastica dello studente con disabilità
In ambito nazionale, il testo legislativo di riferimento appare senza dubbio la legge 5 febbraio 1992, n. 104, c.d. «Legge- quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate» la quale, all’art. 3, definisce la persona disabile come «colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione».
La legge in questione riporta in particolare agli artt. 12 ss. specifiche disposizioni concernenti il diritto all'educazione e all'istruzione del soggetto con disabilità concretizzando in primo luogo i principi generali di uguaglianza e inclusione aventi rilevanza costituzionale.
Peraltro, la stessa legge giunge all’esito di un travagliato percorso che si riscontra nel nostro ordinamento rispetto all’attuazione dell’inclusione scolastica dell’alunno con disabilità, anche sul piano della concretizzazione del principio stesso mediante precise statuizioni nell’ambito della normativa nazionale.
Infatti, sebbene – come accennato – la Costituzione Repubblicana nel 1948 abbia esplicitato, tra gli altri, il principio di uguaglianza e la conseguente necessità di garantire a tutti – dunque anche ai soggetti più deboli e così ai disabili – i medesimi diritti civili, di fatto, tuttavia, nell’ambito della legislazione ordinaria statale, quantomeno sino agli anni Settanta del secolo scorso, le misure in favore dei soggetti disabili si sono sostanziate esclusivamente in provvidenze economiche e risarcimenti. In altri termini, sino alla metà degli anni Settanta, non si è registrata un’attenzione del legislatore nazionale a sostegno dei soggetti aventi problematiche di disabilità; tale fenomeno si è peraltro verificato, verosimilmente, anche in ragione della frammentazione delle competenze assistenziali, attribuite sino a quel momento a Comuni e Province[xiv].
In ottica generale, può dunque affermarsi che la questione della disabilità in ambito scolastico ha attraversato diverse fasi: una prima fase di tendenziale esclusione dei soggetti disabili, posto il sostegno prestato dallo Stato in favore di tali soggetti perlopiù in ottica assistenziale; una prima apertura nel senso dell’“inserimento” degli stessi, principalmente grazie ai principi posti dalla l. n. 118/1971; una successiva fase di integrazione ben espressa nella l. n. 104/1992, sino alla più recente ed attuale fase orientata ad una vera e propria inclusione dello studente con disabilità[xv].
Nel dettaglio, ad opera della nota “riforma Gentile”, nel 1923, sono introdotte le prime generali previsioni specifiche a proposito dell’istruzione scolastica in favore dei minori disabili; con ulteriori successive disposizioni, nel 1928, sono di seguito introdotte le c.d. classi differenziali e le scuole speciali: agli alunni con disabilità, di fatto, è garantito il diritto all’istruzione, sebbene nell’ambito di classi e scuole “speciali”, in un sostanziale regime di separazione rispetto alle classi ordinarie.
Mediante il d.l. 30 gennaio 1971, n. 5, convertito nella legge 30 marzo 1971, n. 118, recante «Provvidenze in favore dei mutilati ed invalidi civili», lo Stato approva un primo compendio normativo che prevede un iniziale sistema di interventi in favore dei soggetti mutilati e invalidi. La legge in questione si rivolge espressamente ai «cittadini affetti da minorazioni congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo o, se minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età».
Il provvedimento legislativo in questione, concretamente, dispone misure di assistenza economica, quali pensioni di inabilità, ovvero assegni, ma altresì concrete misure ed interventi in termini di assistenza sanitaria (così riabilitazione, protesi ed ausili), assistenza sociale (come l’accompagnamento della famiglia), speciali misure di inserimento scolastico, formazione professionale e inserimento lavorativo (lavoro protetto, congedi per cure), oltre che provvedimenti al fine dell’eliminazione delle barriere architettoniche in relazione ad edifici ad uso pubblico e mezzi di trasporto. Per tale ragione, si è affermato che la l. n. 118/1971 possa essere intesa come la prima legge volta a favorire concretamente l’integrazione a tutto campo delle persone disabili, attuando in tal modo i summenzionati principi di rango costituzionale[xvi]
Sul finire degli anni Settanta del secolo scorso, con l’approvazione della l. n. 517/1977, si scorgono le prime previsioni innovative in materia, con il superamento del mero principio dell’inserimento scolastico. L’art. 2 della legge in parola stabilisce che «la scuola attua forme di integrazione a favore degli alunni portatori di handicap con la prestazione di insegnanti specializzati». Inoltre, si precisa che «devono inoltre essere assicurati la necessaria integrazione specialistica, il servizio socio-psicopedagogico e forme particolari di sostegno secondo le rispettive, competenze dello Stato e degli enti locali preposti, nei limiti delle relative disponibilità di bilancio e sulla base del programma predisposto dal consiglio scolastico distrettuale».
Sul piano delle competenze legislative, peraltro, si registra con la nascita delle Regioni un’attribuzione alle medesime di poteri di programmazione anche nell’ambito assistenziale; mediante il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 si attua un concreto decentramento, con il trasferimento delle competenze in materia di assistenza e beneficenza pubblica in favore delle Regioni; in capo ai Comuni residua, inoltre, la competenza circa l’organizzazione e la gestione dei servizi nelle materie predette. Spettano invece allo Stato, secondo quanto previsto all’art. 5, «la funzione di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative delle regioni in materia sanitaria», oltre che le ulteriori funzioni di cui all’art. 6.
Ai soggetti disabili è poi specificamente dedicato l’art. 26 della successiva l. n. 833/1978, ove è espressamente previsto che «le prestazioni sanitarie dirette al recupero funzionale e sociale dei soggetti affetti da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali, dipendenti da qualunque causa, sono erogate dalle unità sanitarie loca- li attraverso i propri servizi. L’unità sanitaria locale, quando non sia in grado di fornire il servizio direttamente, vi provvede mediante convenzioni con istituti esistenti nella regione in cui abita l’utente o anche in altre regioni, aventi i requisiti indicati dalla legge, stipulate in conformità ad uno schema tipo approvato dal Ministro della sanità, sentito il Consiglio sanitario nazionale».
In conseguenza di tali previsioni ed in presenza di un’evidente frammentazione delle competenze tra Province, Comuni e Asl, si è pertanto registrata una palese difformità nell’attribuzione degli specifici compiti alle Asl in sede di legislazione regionale. Si noti altresì che talune Regioni, negli anni successivi, in assenza di un’organica riforma sul punto, hanno approvato proprie leggi nella materia della assistenza sociale e, in specifici casi, anche a proposito della tutela dei soggetti disabili.
Alla luce delle diverse legislazioni regionali approvate, pertanto, il legislatore nazionale giunge alla definizione di una regolamentazione organica in materia di disabilità, allo scopo di favorire una concreta integrazione del soggetto disabile nell’ambito familiare, scolastico, lavorativo e, in termini generali, nella società, mediante la suddetta legge 5 febbraio 1992, n. 104.
Ulteriore imprescindibile riferimento normativo in materia è rappresentato dalla l. 8 novembre 2000, n. 328, «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali» mediante la quale il legislatore ha dettato una disciplina uniforme sul piano nazionale, dando avvio al Piano sociale nazionale, al fondo sociale nazionale, alla programmazione mediante Piani regionali e Piani di zona e, da ultimo, ha rinviato ad una serie di successivi atti la riorganizzazione globale del sistema dei servizi sociali.
La legge in questione, di seguito, pur in presenza dell’intervenuta riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001 e, dunque, in virtù delle rilevanti modifiche occorse in tema di riparto di competenze tra Stato e Regioni e della sua c.d. “cedevolezza”, è stata ripresa dalle diverse legislazioni regionali, anche nella materia della disabilità, soprattutto per quel che concerne l’art. 14 della medesima disciplinante i «progetti individuali per le persone disabili», predisposti dai Comuni, d’intesa con le aziende unità sanitarie locali (oggi Asl), sulla scia di quanto già previsto dall’art. 39 della l. n. 104/1992 (di seguito integrato ad opera della l. n. 162/1998) in termini di «piani personalizzati». Il progetto individuale di cui all’art. 14, come da espressa previsione legislativa, «comprende, oltre alla valutazione diagnostico-funzionale, le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale, i servizi alla persona a cui provvede il comune in forma diretta o accreditata, con partico- lare riferimento al recupero e all’integrazione sociale, nonché le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale».
3. Lo strumento del P.E.I.: competenze e alterne vicende sul piano normativo e nella giurisprudenza
Come anticipato, il testo normativo di riferimento nella materia dell’inclusione scolastica appare ancora oggi la legge n. 104/1992, sebbene interessata nel tempo da successivi e frequenti interventi di modifica, tra i quali non si possono non menzionare quelli recentemente disposti dal d.lgs. n. 66/2017 e dal d.lgs. n. 96/2019, recante disposizioni integrative e correttive al precedente d.lgs. 13 aprile 2017, n. 66, in materia di promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, a norma dell’art. 1, commi 180 e 181, lett. c), della l. 13 luglio 2015, n. 107, c.d. legge “Buona Scuola”.
In dettaglio, la legge quadro n. 104/1992 dedica gli articoli da 12 a 16 all’istruzione e alla formazione degli alunni con disabilità.
All’art. 12, in particolare, si trova esplicitato il diritto all’educazione e all’istruzione del soggetto disabile, a partire dalla scuola dell’infanzia, sino alle istituzioni universitarie.
All’art. 12, comma 5, poi si prevede che, contestualmente all’accertamento della disabilità di cui all’art. 4 della legge quadro, i genitori del minore con disabilità possano richiedere l’accertamento della condizione di disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica: «tale accertamento è propedeutico alla redazione del profilo di funzionamento, predisposto secondo i criteri del modello bio-psico-sociale della Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF) dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), ai fini della formulazione del Piano educativo individualizzato (Pei) facente parte del progetto individuale di cui all’articolo 14 della legge 8 novembre 2000, n. 328».
Sul piano delle competenze nell’attuazione delle concrete misure di inclusione, inoltre, il provvedimento normativo del governo del 2017, sostituendo integralmente l’art. 15 della legge n. 104/1992, ha istituito un nuovo sistema di governancestrutturato su diversi livelli chiamati ad operare in maniera coordinata: così, a livello regionale, presso ogni Ufficio scolastico (USR) è stato istituito il Gruppo di Lavoro Interistituzionale Regionale (G.L.I.R.); per ciascun ambito territoriale è, inoltre, stato impostato il Gruppo per l’inclusione territoriale (G.I.T.), peraltro integrato dalle associazioni rappresentative delle persone con disabilità, oltre che dagli Enti locali e dalle Aziende sanitarie lo- cali. In aggiunta, presso ciascuna istituzione scolastica è stato istituito il Gruppo di lavoro per l’inclusione (G.L.I.), composto da docenti curricolari, docenti di sostegno e, eventualmente, da personale Ata, nonché da specialisti dell’Asl del territorio di riferimento dell’istituzione scolastica.
Da ultimo, con le modifiche disposte dal d.lgs. 96/2019 al testo del d.lgs. del 2017 si è introdotto all’art. 9, comma 10, il Gruppo di Lavoro Operativo (G.L.O.), quale raggruppamento del team dei docenti contitolari (per la scuola primaria) e dei membri del consiglio di classe (per la scuola secondaria), compreso l’insegnante di sostegno, e presieduto dal dirigente scolastico o da un suo delegato, aperto alla partecipazione dei genitori dell’alunno con disabilità, nonché alle figure professionali specifiche, interne ed esterne all’istituzione scolastica che interagiscono con la classe e con l’alunno disabile e con “il necessario supporto dell’unità di valutazione multidisciplinare”, competente nella stesura del Profilo di funzionamento.
Ebbene, in termini di specifiche competenze del gruppo in questione, la normativa predetta a livello nazionale statuisce, con specifico riferimento alla “proposta” delle ore di sostegno in favore dell’alunno con disabilità, che compete al G.L.O. l’elaborazione ed approvazione dello strumento del P.E.I.[xvii]; lo stesso art. 7, comma 2, lett. d) del d.lgs. n. 66/2017, inoltre, precisa che il G.L.O. è altresì chiamato ad esplicitare “le modalità di sostegno didattico, compresa la proposta del numero di ore di sostegno alla classe”; il P.E.I. va poi redatto in via provvisoria entro giugno e in via definitiva entro ottobre (lett. g)).
Lo stesso art. 9, comma 10 ribadisce che il P.E.I. comprende “la proposta di quantificazione di ore di sostegno e delle altre misure di sostegno, tenuto conto del profilo di funzionamento”.
Dunque, alla luce della suddetta normativa, occorre considerare che il Gruppo di lavoro operativo deve essere concepito quale organo facente capo all’istituzione scolastica, dotato di autonomia rispetto alle stesse istituzioni da cui trae le proprie componenti (scuola, famiglia, ambito sanitario, ente territoriale).
Ebbene, in aggiunta rispetto alle previsioni anzidette il d.lgs. n.66/2017 all’art. 7, comma 2-ter, ha demandato ad un apposito decreto del Ministero dell’Istruzione (di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze) la definizione del nuovo modello di P.E.I. per le istituzioni scolastiche. Così, qualche anno più tardi, il decreto interministeriale 29 dicembre 2020, n. 182, ha individuato: un nuovo modello di Piano Educativo Individualizzato (P.E.I.), unico per tutte le scuole, diversificato per ordine e grado (con allegati quattro modelli di P.E.I., rispettivamente per la scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di primo e secondo grado); Linee guida finalizzate alla stesura del PEI; una scheda per l’individuazione del “debito di funzionamento”, cioè per l’individuazione delle principali dimensioni interessate dal bisogno di supporto per l’alunno ed una tabella per l’individuazione dei fabbisogni di risorse professionali per il sostegno e l’assistenza[xviii].
Al decreto in questione, tuttavia, hanno fatto seguito una serie di ricorsi presentati da associazioni di genitori di alunni disabili, sfociati in particolare nella nota pronuncia del T.A.R. Lazio, 14 settembre 2021, n. 9795, mediante la quale si è disposto di fatto l’annullamento del D.M. n. 182/2020 e degli atti connessi al medesimo, sulla base della principale argomentazione per cui le prescrizioni del d.i. avrebbero travalicato il perimetro delle deleghe predeterminate per legge sul punto[xix].
Il Ministero, conseguentemente, ha emanato la nota n. 2044 del 17 settembre 2021 mediante la quale ha evidenziato la necessità di dare continuità all’azione educativa e didattica a favore degli alunni con disabilità, rammentando la vigenza del d.lgs. n. 66/2017, come modificato dal d.lgs. 96/2019, laddove si ritrovano indicazioni dettagliate al fine di assicurare la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti nel progetto di inclusione[xx].
La vicenda si è arricchita, di seguito, di una ulteriore fase sul piano giurisprudenziale, con la sentenza del Consiglio di Stato del 26 aprile 2022 n. 3196, di accoglimento del ricorso presentato dai Ministeri dell’Istruzione e dell’Economia che, in contrasto con le statuizioni del T.A.R. Lazio del 2021 anzidette, ha confermato la vigenza del citato decreto interministeriale n.182/2020, oltre alle connesse Linee guida e ai modelli di P.E.I.[xxi].
Di fatto, dunque, all’esito di tale recente pronuncia, hanno riassunto una valenza per le istituzioni scolastiche il decreto recante “Adozione del modello nazionale di Piano educativo individualizzato e delle correlate Linee guida, nonché modalità di assegnazione delle misure di sostegno agli alunni con disabilità” ed i relativi allegati modelli di P.E.I.[xxii].
4. La questione dell’assegnazione delle ore di sostegno
Alla luce della richiamata normativa vigente in materia, le singole proposte approvate dai G.L.O. per ogni singolo alunno vengono dunque acquisite e valutate dai dirigenti scolastici al fine della formulazione della complessiva richiesta del personale di sostegno da assegnare all’istituto rivolta all’ufficio scolastico regionale. Le risorse professionali, peraltro, sono attribuite dagli enti preposti, tenuto conto dei principi di “accomodamento ragionevole”, sulla base della totalità delle richieste, secondo gli standard qualitativi previsti per legge[xxiii].
Sulla specifica questione, peraltro, è intervenuto il Consiglio di Stato mediante l’articolata pronuncia n. 2023/2017 nell’ambito della quale, rispetto alle ore di sostegno in favore dell’alunno disabile, si è rammentato il procedimento per cui anzitutto il G.L.O. rappresenta l’organo preposto all’elaborazione dei singoli P.E.I. all'interno degli scolastici, al termine delle ulteriori fasi – essenzialmente di accertamento della disabilità, valutazione della singola situazione e condizione di disabilità, elaborazione di un profilo di funzionamento – previste dall'art. 12, comma 5, l. n. 104/1992; di seguito il dirigente scolastico trasmette le relative risultanze agli Uffici scolastici e questi ultimi, a seguito dell'acquisizione dei dati, sono chiamati ad attribuire ai singoli istituti un numero di insegnanti di sostegno necessario al fine di coprire tutte le ore oggetto delle «proposte», salva la possibilità di esercitare un potere meramente correttivo, sulla base di riscontri oggettivi (come nell’ipotesi di errori materiali, ovvero laddove singoli alunni non risultino più iscritti presso un dato istituto, perché trasferitisi altrove)[xxiv].
In altri termini, il dirigente scolastico è inteso nell’ambito del procedimento di cui trattasi quale organo monocratico chiamato ad attribuire a ciascun alunno disabile un numero di ore di sostegno corrispondente a quello oggetto della singola proposta del G.L.O., dalla quale pertanto non si può discostare[xxv].
Nella stessa pronuncia del Consiglio di Stato, il supremo giudice amministrativo ha ritenuto dovesse essere considerato condivisibile l'orientamento della giurisprudenza amministrativa in base al quale sarebbe fondata la pretesa dei genitori a vedere attribuite ai propri figli disabili le ore di sostegno nella misura determinata dai G.L.O., con la conseguenza per cui, proprio per tale ragione, i dirigenti scolastici, dovendo evitare di emanare atti illegittimi, dovrebbero disporre l'attribuzione delle ore nella medesima misura, anche laddove gli Uffici scolastici non abbiano assegnato le risorse indispensabili.
Nella stessa sentenza si è altresì posto in evidenza l’interessante aspetto per cui emergerebbe dalla manifesta presenza di un contenzioso seriale posto all'esame dei T.A.R. e del Consiglio di Stato, in relazione a casi di attribuzione di ore di sostegno in numero inferiore rispetto a quelle indicate nelle «proposte» dei gruppi di lavoro, come solo i genitori in grado di proporre il ricorso giurisdizionale e soprattutto dotati dei mezzi anche economici per farlo, possano di fatto ottenere una pronuncia che ordini all'Amministrazione scolastica di consentire la fruizione delle ore nel numero determinato dal G.L.O., mentre lo stesso non possa dirsi per i genitori che di tali mezzi siano privi. Tale sistema tuttavia si porrebbe in evidente contrasto con quello desumibile dai principi costituzionali e dalle previsioni normative che, prima e dopo la nota sentenza della Corte costituzionale n. 80/2010, hanno attribuito agli alunni disabili il diritto di ottenere le ore di sostegno, nell’esatta misura individuata dal G.L.O.[xxvi].
In definitiva, la proposta circa le ore di sostegno spettanti all’alunno con disabilità, anche in relazione al livello ed alla gravità della disabilità, assumerebbe la natura di un potere attribuito all’organo, derivante dalla sua competenza di merito, in quanto organo collegiale composto sia da una componente scolastica, sia da una componente “medico-psichiatrica”, in particolare alla luce del “necessario supporto dell’unità di valutazione multidisciplinare” (ex art.9, comma 10 d.lgs. 66/2017)[xxvii].
5. Il caso di specie: istituti scolastici statali e comunali e relative competenze in materia di inclusione alla luce della normativa vigente
Nella vicenda in commento i genitori dell’alunno disabile impugnano, in primo luogo, i provvedimenti adottati dalla «Commissione Inclusione» (istituita dal Comune di Torino), lamentando una lesione al loro interesse legittimo con riferimento al sostegno scolastico per il figlio disabile e richiedendo l’assegnazione di 33 ore settimanali di sostegno, di cui 8 di assistenza specialistica; in secondo luogo il decreto del Ministro dell’istruzione, adottato di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze n. 182/2020, nella parte in cui ha previsto limiti quantitativi di ore di sostegno.
In primo grado, il T.A.R. Lazio riconosce la violazione procedimentale per cui il P.E.I. nel caso di specie era stato redatto senza l’intervento degli organi statali competenti (G.I.T. e G.L.O.), come statuito dalla normativa in materia di inclusione scolastica di rango primario e, in particolare, ai sensi dell’art. 15, commi 4 e 10, della legge n. 104/1992, come modificata dall’art. 9 del d.lgs. n. 66/2017 come da ultimo riformulato.
La sentenza di primo grado, in altri termini, già individua nello specifico il G.L.O. quale unico organo competente ai fini della stesura del P.E.I., precisando come la normativa statale non possa essere derogata da previsioni proprie della singola amministrazione comunale. La medesima pronuncia di primo grado contestualmente dichiarava inammissibile l’ulteriore richiesta dei coniugi di ottenere ore di sostegno didattico in rapporto 1 a 1.
L’ente territoriale, nel caso in esame, propone dunque appello avverso la sentenza del T.A.R. Lazio sostenendo che nell’assegnazione delle ore di sostegno nell’ambito di una scuola scuola comunale non sarebbero chiamati ad intervenire gli organi previsti per le istituzioni scolastiche statali (nella fattispecie il G.L.O.), ma opererebbero invece quelli individuati dall’ente locale (nel caso in questione la commissione di inclusione istituita dall’amministrazione comunale, in aderenza al principio posto dall’art.118 Cost.
Quest’ultima commissione sostituirebbe cioè il gruppo di lavoro operativo e potrebbe svolgere le funzioni attribuite dalla normativa statale al medesimo in ragione della concreta “potestà autorganizzatoria che, per ragionevole simmetria con la scuola statale, affida alla Commissione di inclusione il compito di fornire al dirigente amministrativo delle scuole dell’infanzia comunali il supporto tecnico necessario per garantire l’inclusione dei bambini disabili”.
Sul punto, si esprime il supremo consesso della giustizia amministrativa nell’ambito della pronuncia in esame precisando come la “Commissione di inclusione” facente capo all’ente territoriale non possa operare in sostituzione degli organi ministeriali.
A tale conclusione giunge peraltro il Collegio rilevando come le norme sull’inclusione scolastica degli studenti affetti da disabilità debbano considerarsi sempre applicabili, indipendentemente dalla tipologia di scuola che tale alunno frequenta; in altri termini, le previsioni – e nello specifico anche quelle concernenti gli organi competenti rispetto alla redazione dei piani propedeutici e del P.E.I. medesimo – risultano applicabili sia alle scuole statali, sia a quelle non statali, ovvero anche degli enti locali, come nel caso concreto in esame, sulla base di quanto disposto sul piano normativo dal d.lgs. n.66/2017 nella sua più recente formulazione[xxviii].
Infatti, la medesima esclusione delle scuole non statali dall’applicazione delle norme statali sull’inclusione scolastica non troverebbe fondamento in alcun testo legislativo ed anzi risulterebbe smentita dal dettato dell’articolo 2, comma 1 del d.lgs. 66/2017, laddove è garantito alla persona con disabilità certificata il diritto all’educazione, all’istruzione ed alla formazione; sul piano testuale non sarebbe possibile individuare alcun limite di applicabilità della normativa recente – di ridefinizione del sistema organizzativo preposto all’integrazione nel sistema di istruzione scolastica di soggetti con disabilità, attraverso l’istituzione dei gruppi di lavoro “multilivello” – riferibile a profili di carattere soggettivo, ovvero all’ente pubblico, Stato o altro livello di governo territoriale, nella cui organizzazione amministrativa è inserito l’istituto scolastico[xxix].
In definitiva, rispetto ai principi di sussidiarietà e di autonomia dell’ente locale (ai sensi dell’art. 118 Cost.) occorre dare prevalenza all’esigenza di garantire un trattamento uniforme da parte di tutte le istituzioni su base nazionale, circa la tutela della disabilità e l’inclusione del disabile, anche sul piano scolastico[xxx]. La predetta esigenza appare ad ogni modo riconducibile ai principi costituzionali “di uguaglianza, tutela della famiglia e dell’assolvimento dei compiti ad essa relativi, della salute, diritto allo studio e apertura della scuola a tutti, enunciati dagli artt. 3, 30, 31, 32, 33 e 34 della Carta fondamentale e richiamati nel preambolo del più volte richiamato decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66”[xxxi].
6. Brevi considerazioni conclusive
Negli anni più recenti si è registrata una proliferazione di pronunce dei giudici amministrativi e ordinari sulla tematica dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, con particolare riferimento alle concrete misure di concretizzazione e implementazione della logica inclusiva, sancita sul piano dei principi anche nella Carta costituzionale.
In particolar modo, si sono registrate numerosissime sentenze sul tema della concreta assegnazione delle ore di sostegno spettanti all’alunno disabile come risultanti dai piani educativi individualizzati elaborati dai singoli gruppi operativi per l’inclusione a ciò preposti ai sensi della normativa nazionale in materia.
Peraltro, la stessa materia e le specifiche questioni concernenti il P.E.I. (la sua struttura e formulazione; le competenze rispetto alla redazione dei piani individualizzati e alla assegnazione delle ore di sostegno) sono state oggetto di successive e frenetiche rivisitazioni anche in ambito normativo, sulla scorta delle stesse pronunce giurisprudenziali di segno opposto rese sul tema[xxxii].
In senso generale, il quadro che ne risulta appare, ancora oggi, estremamente frammentario e disarmonico e, evidentemente, di difficile interpretazione per gli operatori del settore: in particolare, talune previsioni in materia di inclusione sono riportate nell’ambito della l. 104/1992, mentre altre concernenti l’assegnazione delle risorse professionali per il sostegno si trovano nell’ambito di provvedimenti legislativi sul contenimento della spesa pubblica[xxxiii].
In una materia strettamente legata a diritti fondamentali di rango costituzionale occorrerebbero di contro meccanismi e procedure in grado di garantire sul piano amministrativo la concretizzazione di tali diritti senza necessità di presentare ricorsi giurisdizionali volti al riconoscimento di misure e strumenti di fatto individuati e garantiti dalla legge[xxxiv].
[i] In tema cfr. gli artt. 12 e ss. della legge 5 febbraio 1992, n. 104, recante “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”. In materia sia consentito un rinvio a I. Genuessi, Gli interventi e le prestazioni a sostegno dei disabili, in F. Manganaro, R. Morzenti Pellegrini, V. Molaschi, D. Siclari, Manuale di legislazione dei servizi sociali. Estratto, Torino, 2022, pp. 467-496. Cfr. altresì F. Magni, Dall’integrazione all’inclusione. Il nuovo profilo del docente di sostegno, Roma, 2018; l. buscema, r. caridà, g. de luca, r. di maria, a. morelli, v. pupo, Lineamenti di legislazione scolastica per l’inclusione, Torino, 2022; M. Interlandi (a cura di), Funzione amministrativa e diritti delle persone con disabilità, Napoli, 2022; S. Baroncelli (a cura di), Diritto all’istruzione e inclusione nelle scuole dopo la pandemia. quali diseguaglianze, quale autonomia?, in Federalismi.it, 32/2022; R. Rolli, C. De Benetti, G. Festa, C. Aquino, Legislazione scolastica. Dalla riforma Gentile alla legge sulla Buona Scuola, Amon, 2023.
[ii] In merito a tale decreto occorre rilevare come le previsioni dello stesso concernenti la struttura e modelli di P.E.I. per i diversi gradi scolastici si siano posti al centro di una querelle sul piano giurisprudenziale, a proposito della stessa natura dell’atto impiegato dal governo al fine di dettare i riferimenti in materia di P.E.I. Si v. sul punto, in particolare il § 3.
[iii] Recente decreto legislativo in materia recante “Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera c), della legge 13 luglio 2015, n. 107”.
[iv] Diversi documenti e strumenti sul piano internazionale hanno favorito il processo predetto nel senso di una sempre maggiore integrazione. In tal senso, non si può non fare riferimento alla ratifica nel 2009 della “Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità”, laddove all’art. 24 è previsto che “Gli Stati Parti riconoscono il diritto all’istruzione delle persone con disabilità. Allo scopo di realizzare tale diritto senza discriminazioni e su base di pari opportunità, gli Stati Parti garantiscono un sistema di istruzione inclusivo a tutti i livelli ed un apprendimento continuo lungo tutto l’arco della vita”.
[v] Cfr. sul tema A. Canevaro-M. Mandato, L’integrazione e la prospettiva inclusiva, Roma, 2004; A. Canevaro (a cura di), L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Trent’anni di inclusione nella scuola italiana, Trento, 2007; L. D’alonzo, In- tegrazione del disabile. Radici e prospettive educative, Brescia, 2008; A. Canevaro-L. D’alonzo- D. Ianes, L’integrazione scolastica degli alunni disabili in Italia dal 1977 al 2007, Bolzano, 2009.
[vi] Sul tema della disabilità e inclusione nel diritto internazionale e eurounitario si v. V. Pupo Il diritto internazionale e ID., Il diritto euro-unitario, in l. buscema, r. caridà, g. de luca, r. di maria, a. morelli, v. pupo, Lineamenti di legislazione scolastica per l’inclusione, Torino, 2022, 67 ss.
[vii] V. sul dettato dell’art. 34 Cost..: A. Poggi, Art. 34, in AA. VV., Commentario alla Costituzione, a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Torino, 2006, 699 ss.; F. Fracchia, Il sistema nazionale di istruzione e formazione, Torino, 2008; M. Benvenuti, L’istruzione come diritto sociale, in AA. VV., Le dimensioni costituzionali dell’istruzione, a cura di F. Angelini e M. Benvenuti, Napoli, 2014, 147 ss.
[viii] In proposito cfr. tra gli altri contributi sul tema: U. Pototschnig, Istruzione (diritto alla), in Enc. dir., XXIII, Milano, 1973; S. Cassese – A. Mura, Artt. 33 e 34, in Commentario alla Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1976; C. Marzuoli, Istruzione e servizio pubblico, Urbino, 2003.
[ix] Cfr. in argomento S. Baronchelli, Diritto alle Diversità e inclusione nelle scuole. Disabilità, condizioni economico-sociali, background migratorio, genere, e minoranze linguistiche, in Federalismi.it, n. 32/2022, XI.
[x] V. in merito R. Rolli – M. Maggiolini, Il diritto all’istruzione nella Carta costituzionale e riferimenti comunitari, in R. Rolli – C. De Benetti – G. Festa, C. Aquino, Legislazione scolastica. Dalla riforma Gentile alla legge sulla Buona Scuola, Amon, 2023, 52 ss.
[xi] Si fa riferimento alla legge 10 marzo 2000, n. 62, recante “Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all'istruzione”, laddove all’art. 1 si definiscono scuole paritarie abilitate a rilasciare titoli di studio aventi valore legale, tutte le istituzioni scolastiche non statali, comprese quelle degli enti locali, coerenti con la domanda formativa delle famiglie e caratterizzate da requisiti di qualità ed efficacia esplicitati dalla medesima legge.
[xii] Corte cost., 3 giugno 1987, n. 215, in Giur. it. 1988, I,1,148.
[xiii] Corte cost. 16 dicembre 2016, n. 275, in Foro it. 2017, 9, I, 2591.
[xiv] In merito si v. E. Balboni- B. Baroni-A. Mattioni-G. Pastori (a cura di), Il sistema integrato dei servizi sociali. Commento alla legge n. 328 del 2000 e ai provvedimenti attuativi dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, Milano, II ed., 2007.
[xv] V. Franchi Scarselli, Gli alunni e gli studenti con disabilità, DSA e BES, in E. Codini-A. Fossati-S. A. Frego Luppi, Manuale di diritto dei servizi sociali, Torino, 2019, in partic. 194 ss.
[xvi] In proposito cfr. S. Dugone-S. Silvestri, Riferimenti normativi ed epidemiologia, in G. De Polo-M. Pradal-S. Bortolot (a cura di), ICF-CY nei servizi per la disabilità. Indicazioni di metodo e prassi per l’inclusione, Milano, 2011, 49 ss.
[xvii] Sul contenuto dei PEI nella giurisprudenza più recente si v., tra le altre: T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 27 gennaio 2022, n. 217; T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 10 giugno 2021, n. 6920; T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 9 novembre 2020, n. 402; T.A.R. Lazio Roma, sez. III bis, 3 settembre 2020, n. 9316.
[xviii] Cfr. Decreto interministeriale n. 182/2020 rubricato “Adozione del modello nazionale di piano educativo individualizzato e delle correlate linee guida, nonché modalità di assegnazione delle misure di sostegno agli alunni con disabilità”.
[xix] Cfr. T.A.R. Lazio, Roma Sez. III bis, 14 settembre 2021, n. 9795, in Famiglia e Diritto, 2022, 2, 180, con nota di GELLI. Il T.A.R. Lazio, nel dettaglio, nella pronuncia in questione, ha annullato il decreto interministeriale n. 182/2020, perché illegittimo, trattandosi di un provvedimento che presenta tutti i caratteri (generalità, astrattezza e innovatività) propri di una fonte normativa di secondo grado, sub specie di regolamento, adottata in violazione delle disposizioni procedimentali dettate dall’art. 17, L. 23 agosto 1988, n. 400. In tal senso, in aggiunta, il decreto si porrebbe in contrasto con i principi e criteri direttivi che promanano dalle norme nazionali ed internazionali, in materia di inclusione di soggetti affetti da disabilità.
[xx] Nota ministeriale n. 2044, del 17 settembre 2021, a margine della sentenza del TAR Lazio n. 9795/2021, recante “Indicazioni operative per la redazione dei PEI per l’a.s.2021/2022”.
[xxi] Cfr. Cons. Stato, sez. VII, 26 aprile 2022, n. 3196. La pronuncia si fonda sulla duplice argomentazione per cui, da un lato, il D.I. 182/2020 non sarebbe un atto regolamentare, ma avrebbe natura di atto amministrativo generale e, dall’altro, il T.A.R. Lazio avrebbe svolto una funzione impropria di controllo oggettivo sulla legittimità dell’atto generale in assenza della dimostrazione di lesioni concrete e attuali di interessi legittimi, travalicando di conseguenza il perimetro designato dall’art. 7 del Codice del processo amministrativo.
[xxii] Si noti, peraltro, come il decreto in questione pare abbia drasticamente ridotto i margini di discrezionalità valutativa del gruppo di lavoro operativo, prevedendo un meccanismo di rigida predeterminazione delle risorse professionali destinate al sostegno didattico, fondato sul c.d. “debito di funzionamento”. Come precisato nell’ambito degli allegati al decreto interministeriale, infatti, il fabbisogno dell’alunno deve essere commisurato sulla base di precisi range che definiscono la forbice minima e massima delle ore di sostegno necessarie per ripristinare condizioni di funzionamento accettabili, in relazione alle sue capacità, secondo cinque livelli che indicano l’entità delle difficoltà riscontrate, su una scala che va da assente sino a molto elevata. Di conseguenza, sul piano generale, si determina una rimodulazione delle risorse messe a disposizione del disabile, scardinando il c.d. “rapporto 1:1” tra gravità dell’handicap e entità del sostegno.
In argomento si v. R. Gelli, Piano educativo individualizzato e sostegno all’alunno disabile, in Famiglia e Diritto, 2022, 2, 177.
[xxiii] In merito, occorre rammentare che al fine di concretizzare l’inserimento in classe di alunni con handicap, la legge n. 517/1977 aveva istituito i c.d. “posti di sostegno”, da assegnare a docenti specializzati. Di seguito, sempre sul piano normativo, nel 1982, il contingente organico degli insegnanti di sostegno veniva determinato nella misura di un posto ogni 4 alunni con certificazione di handicap (ai sensi dell’art. 12 della legge n. 270; di seguito art. 139 del d.lgs. n. 297/1997). Da ultimo, alla luce degli ingenti e crescenti costi, individuati diversi meccanismi di assegnazione nell’ambito delle leggi finanziarie, si è approdati alle previsioni di cui alla legge n. 107/2015 (art. 1, comma 75) la quale ha disposto che “l’organico dei posti di sostegno è determinato nel limite previsto dall’articolo 2, comma 414, secondo periodo, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni, e dall’articolo 15, comma 2-bis, del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, ferma restando la possibilità di istituire posti in deroga ai sensi dell’articolo 35, comma 7, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e dell’articolo 1, comma 605, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296.” La norma, di difficile lettura quantomeno nel richiamo ad una serie di ulteriori previsioni di cui a precedenti leggi di bilancio, ha ad ogni modo disposto un organico dei posti di sostegno pari al 100/100 del numero dei posti complessivamente attivati nell’anno scolastico 2006/2007, oltre alla possibilità di istituire posti in deroga mediante il ricorso alle supplenze annuali.
[xxiv] V. Cons. Stato, sez. VI, 3 maggio 2017, n. 2023, in Diritto & Giustizia, 79, 2017, 16 ss., con nota di Bombi.
Nell’ambito della nota pronuncia in parola i giudici hanno, in particolare, posto in evidenza che “l’art. 10, comma 5, ha attribuito il nomen iuris di «proposte» agli atti del G.L.O.H. sulla determinazione delle ore, non perché altre autorità – peraltro non aventi specifiche competenze di natura medica o didattica sulle esigenze degli alunni disabili – possano esercitare un ‘potere riduttivo di merito, ovvero ridurre le ore assegnate, ma per la semplice ragione che tali «proposte» sono atti interni al procedimento, e cioè sono redatte quando non sono ancora state rilevate le effettive esigenze e non sono stati assegnati gli insegnanti di sostegno. Le proposte hanno invece la funzione di attivare dapprima la fase di competenza degli Uffici scolastici e poi la fase finale, di attribuzione delle ore da parte del dirigente scolastico. Poiché nessuna disposizione ha attribuito agli Uffici scolastici il potere di sottoporre a un riesame di merito quanto proposto dal G.L.O.H., l’art. 4 del d.P.C.M. n. 185 del 2006, che definisce «autorizzazione» l’atto del dirigente preposto dell’Ufficio scolastico regionale, va allora interpretato nel senso di prevedere un atto meramente ricognitivo, il quale constata che sussistono i relativi presupposti di spesa, senza poterli modificare, e giustifica l’impegno e il pagamento delle relative somme. (...) gli Uffici scolastici, a seguito dell’acquisizione dei dati, devono attribuire ai singoli Istituti tanti insegnanti di sostegno, quanti ne sono necessari per coprire tutte le ore che sono risultate oggetto delle «proposte», salva la possibilità di esercitare un potere meramente correttivo, sulla base di riscontri oggettivi”.
Sempre in argomento si v. Cass. civ., sez. un., 8 ottobre 2019, n. 25101, in Guida al diritto, 2019, 44, 36, la quale ha ripreso integralmente le argomentazioni del Consiglio di Stato suddette. Nel dettaglio, le sezioni unite hanno posto in evidenza, rispetto ad una fattispecie analoga a quella in commento (si trattava del caso di un Comune che contravvenendo a quanto previsto dal piano dinamico funzionale di un minore disabile, disponeva l'assistenza nei suoi confronti per un massimo dì dieci ore settimanali al posto delle 22 stabilite), come una volta che il piano educativo individualizzato del minore disabile abbia fissato il numero di ore ritenute necessarie per il sostegno, l'amministrazione scolastica non possa assegnare un monte ore inferiore, non sussistendo in tal caso alcun potere discrezionale. La mancata assegnazione delle ore di sostegno corrispondenti al piano individuale contrasterebbe, infatti, con il diritto fondamentale del minore che versa in una situazione di handicap ad una pari opportunità nella fruizione del servizio scolastico.
[xxv] Peraltro nella sentenza si pone in luce il principio già individuato dalla sentenza della Corte costituzione (Corte cost. 22 febbraio 2010 n. 80), per cui “le posizioni degli alunni disabili devono prevalere sulle esigenze di natura finanziaria” e, dunque, “ad un maggiore livello di disabilità deve corrispondere un maggior grado di assistenza”.
In dottrina si v. m. lottini, Scuola e disabilità. I riflessi della sentenza n. 80 del 2010 della Corte Costituzionale sulla giurisprudenza del giudice amministrativo, in Foro amm. T.A.R., 2011, 2403 ss.
[xxvi] V. in argomento M. Bombi, Diritto allo studio, disabilità e competenze, in Diritto & Giustizia, 79, 2017, p. 16.
[xxvii] Cfr., tra le altre pronunce della giurisprudenza amministrativa, T.A.R. Lazio, Roma, sez. III bis, n. 2270/2021 e Cons. Stato, sez. VI, n. 3393/2017; v. altresì sul punto Trib. Rieti, 12 febbraio 2020.
[xxviii] Nell’ambito della pronuncia in commento si trova testualmente scritto che “le norme sull’inclusione scolastica di studenti affetti da disabilità introdotte con il citato decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66, sono di generale applicazione, senza distinzione tra scuole statali e scuole non statali”.
[xxix] È la stessa sentenza in esame che rammenta come si presenta il sistema dei gruppi di lavoro su vari livelli concretamente volto all’inclusione dello studente disabile e così con la presenza: di un gruppo interistituzionale regionale, con funzioni di consulenza e proposta e di supporto agli organi territoriali; per ogni ambito provinciale di un gruppo di inclusione territoriale, con funzioni di supporto delle istituzioni scolastiche nella definizione dei programmi educativi individualizzati; quindi di un gruppo di lavoro per l’inclusione presso ogni istituto scolastico, con il compito di supportare il collegio dei docenti nella definizione e realizzazione del piano per l’inclusione e i docenti preposti alla relativa attuazione e, infine, del gruppo di lavoro operativo per il singolo alunno, al quale ha fatto riferimento la stessa sentenza di primo grado.
[xxx] In argomento si v. R. Morzenti Pellegrini, L’autonomia scolastica tra sussidiarietà, differenziazione e pluralismi, Torino, 2006.
[xxxi] Cfr. Cons. Stato, sez. VII, 3 maggio 2023, n. 4473.
[xxxii] Così, anche in dottrina si è rammentato come nell’ambito di recente giurisprudenza amministrativa sia stato ribadito il pieno diritto all’inclusione degli studenti con disabilità, peraltro sulla scia di un pacifico orientamento in base al quale allo studente disabile devono essere riconosciute tutte le ore di sostegno individuate dal P.E.I. Si v., in tal senso, T.A.R. Lazio Sez. III bis, 10 giugno 2021, n. 6920.
A seguito dell’entrata in vigore del decreto interministeriale n. 182/2020 e della sostanziale modifica dell’iter di approvazione, oltre che dell’effettivo contenuto dello stesso piano educativo individualizzato, si sono, tuttavia, registrate anche sentenze di orientamento differente con specifico riferimento alla questione della assegnazione delle ore di sostegno. Cfr. anche, sul punto, T.A.R. Lazio Roma Sez. III bis, 14 settembre 2021, n. 9795. In dottrina si v. R. Gelli, Piano educativo individualizzato e sostegno all’alunno disabile, cit.; R. Caridà, Il Progetto individuale, il Piano Educativo Individualizzato, il Piano Didattico Personalizzato, in l. buscema, r. caridà, g. de luca, r. di maria, a. morelli, v. pupo, Lineamenti di legislazione scolastica per l’inclusione, cit., p. 179 ss.
[xxxiii] V., in argomento, R. Cabazzi, Diritti incomprimibili degli studenti con disabilità ed equilibrio di bilancio nella finanza locale secondo Corte costituzionale n. 275/2016, in Le Regioni, 2017, 3, pp. 593-607; F. Gambardella, Diritto all’istruzione dei disabili e vincoli di bilancio nella recente giurisprudenza della Corte Costituzionale, in Nomos, 2017, 1, pp. 1-14; M. Franzini, La difficile conciliazione tra finanza pubblica e welfare state, in RDSS, 2019, 4, pp. 681-702; L. Giani, Disabilità e diritto all’istruzione: alla ricerca di un difficile equilibrio tra persona e valore economico della prestazione (pubblica), in M. Interlandi (a cura di), Funzione amministrativa e diritti delle persone con disabilità, Napoli, 2022, p. 139 ss.
[xxxiv] In merito, in dottrina, si è posto in evidenza, rispetto al ruolo del gruppo di lavoro operativo nella redazione del PEI e nella formulazione della concreta proposta di assegnazione delle adeguate misure di sostegno, come “guardando al reale funzionamento degli ingranaggi del sistema scolastico, molte perplessità sorgono anche per una sorta di impermeabilità manifestata nel corso degli anni alla implementazione di principi, quelli ad esempio del procedimento amministrativo, nonostante il loro riconoscimento come livelli essenziali delle prestazioni. Si pensi ad esempio al funzionamento degli organi collegiali, e in particolare quelli deputati alla formulazione del PEI o del PDP, alla composizione degli stessi, ottimamente delineata nella disposizione normativa, ma non sempre garantita in concreto, sebbene la presenza di diverse componenti professionali dovrebbe far riflettere sulla «natura del collegio» e sulla (in)fungibilità delle professionalità in esso presenti”. Così L. Giani, Disabilità e diritto all’istruzione: alla ricerca di un difficile equilibrio tra persona e valore economico della prestazione (pubblica), cit., p. 159.
Il ruolo dei princìpi nel diritto amministrativo. Introduzione a Princìpi e regole dell’azione amministrativa – Quarta edizione 2023 di Maria Alessandra Sandulli
Sommario: 1. Premessa. — 2. La complessità delle fonti. — 3. Cenni alle più recenti tendenze del sistema e al difficile equilibrio tra celerità e certezza. —4. Il ruolo dei princìpi. — 5. Osservazioni conclusive.
1. Premessa.
“Principi e regole dell’azione amministrativa” è giunto ormai alla quarta edizione e il successo delle precedenti (2015, 2017 e 2020) dimostra la validità della formula e l’utilità di una riflessione sistematica sulle “regole” fonda- mentali di esercizio del potere amministrativo, quali delineate dalla legge n. 241 del 1990 s.m.i., inquadrandole nell’ambito dei “principi”, costituzionali ed euro- pei, di garanzia della sua correttezza.
L’emergenza pandemica da SARS-Covid19 che ha stravolto il mondo intero all’inizio del 2020 ha dato a tutti chiara e immediata evidenza del rapporto della nostra esistenza con il potere amministrativo e dell’importanza dei principi e delle regole che ne informano l’esercizio, sul piano dell’organizzazione e delle modalità di azione. Sin dalla nascita, in realtà, con l’iscrizione all’anagrafe, abbiamo un contatto con il diritto amministrativo. Poi lo abbiamo con le vaccinazioni, con l’uso dei mezzi di trasporto pubblico, con l’iscrizione a scuola, con le regole sulla circolazione stradale, ecc.. La lettura del codice della strada è ex se sufficiente per avere un’idea della nostra materia: vi ritroviamo le fonti (di livello primario e secondario), le autorizzazioni, i divieti, le sanzioni, ecc.. Sappiamo che la pubblica amministrazione, con i suoi provvedimenti (e, oramai, addirittura, con i suoi comportamenti), può concedere beni o diritti, rimuovere limiti all’esercizio di nostre libertà (pensiamo per tutte alle libertà di circolazione o di espatrio, che richiedono il possesso di appositi documenti, o alla libertà di avviare un’attività professionale o imprenditoriale, che richiede la verifica del possesso di determinati requisiti), ma anche imporre prestazioni (pensiamo per tutti agli obblighi tributari e scolastici) o privare di diritti o di beni in nome di prevalenti finalità pubbliche (come accade con l’espropriazione o la requisizione di beni per ragioni di pubblica utilità).
Ma la pandemia ci ha dato immediata percezione anche di molto altro: la complessità del quadro normativo, aggravata dal susseguirsi e intrecciarsi di ordinanze e decreti (governativi, ministeriali, regionali, locali), la difficoltà del bilanciamento degli interessi, pubblici e privati (l’esigenza di evitare o almeno ridurre il rischio del contagio ha imposto pesantissimi periodi di lock down, che hanno fortemente inciso sulle libertà personali ed economiche, oltre che sullo stesso diritto alle cure per altre malattie),l’incertezza delle autodichiarazioni, e, ancora, i problemi legati al delicato rapporto tra tutela dei dati personali ed esercizio dell’attività amministrativa (su questi temi, inter aliis, G. TROPEA, Biopolitica e diritto amministrativo del tempo pandemico, Napoli,2023).
L’impatto con l’emergenza COVID-19 ha portato anche a una valorizzazione del ruolo del diritto amministrativo, non soltanto perché ha messo in evidenza la gravità delle conseguenze che possono derivare dai deficit organizzativi degli apparati pubblici e dei gestori privati di servizi pubblici, ma anche perché la ripresa economica è strettamente condizionata dalla buona gestione del potere e dei compiti delle pubbliche amministrazioni. Da qui anche l’accento posto dalle più recenti riforme sulla “formazione”.
L’importanza del diritto amministrativo è stata peraltro recentemente rimarcata anche nell’ambito di una ricerca di diritto comparato, che ha messo in luce come esso sia a ben vedere presente in quasi tutti i Paesi e risponda a un’esigenza comune, che induce a superare la vecchia, netta, distinzione tra ordinamenti di civil law e ordinamenti di common law (G. DELLA CANANEA, Il nucleo comune dei diritti amministrativi in Europa. Un’introduzione, Napoli 2019).
È noto che l’indirizzo politico è tradotto in norme di legge, ma gli obiettivi fissati dal legislatore devono trovare concreta ed efficace attuazione da parte del c.d. potere esecutivo, il quale, a sua volta, per non sconfinare in arbitrio, deve essere soggetto a un adeguato sistema di controlli, interni e giurisdizionali.
Certezza delle regole, buon andamento dell’amministrazione ed effettività della tutela contro i suoi errori ed eccessi sono glielementi fondanti e imprescin- dibili dello Stato di diritto.
Torneremo diffusamente e insistentemente su questi concetti nei vari contributi del volume — destinato a chi si approccia a uno studio impegnato del diritto (a partire dagli studenti degli ultimi anni delle nostre Università) — che è appunto dedicato ai “principi e regole dell’azione amministrativa”, nella convinzione che sia essenziale alla formazione di un giurista — e tanto più di un giuramministrativista — averne chiara contezza e, soprattutto, riuscire ad approcciare in modo critico ai loro contenuti e alla loro applicazione.
Merita preliminarmente fare alcuni brevissimi cenni all’evoluzione del diritto amministrativo.
Come ricordato nell’introdurre le precedenti edizioni, il diritto amministrativo è una branca del diritto pubblico sorta per disciplinare i compiti, l’azione e l’organizzazione della pubblica amministrazione, essenzialmente individuata nel c.d. “Stato-apparato”.
G.D. ROMAGNOSI, nel 1814, definiva l’amministrazione pubblica come “l’attività di amministrare, intesa come serie di azioni interessanti tutta una società politica, eseguite per autorità sovrana o delegata, sopra le materie appartenenti o interessanti tutto il corpo politico o la sovranità medesima”. Il Manuale di diritto amministrativo di A.M. SANDULLI (prima ed. 1952, ult. ed. 1989), si apre con l’affermazione che “La definizione del diritto amministrativo presuppone il concetto di pubblica amministrazione” e che “Per giungere a questo occorre partire dalla nozione di Stato”. L’amministrazione veniva infatti inqua- drata tra i compiti dello Stato e definita “l’attività mediante la quale gli organi statali a ciò preposti (Stato-soggetto o Stato-apparato amministrativo o Stato-amministrazione) provvedono alla cura degli interessi a essi affidati”.
Dalla prima edizione del “Manuale”, sul quale si sono formate generazioni di studiosi e che non ha per comune opinione mai più trovato uguali, sono ormai passati oltre 70 anni.
Oggi, il diritto amministrativo può essere definito come il complesso di regole che disciplinano i compiti, l’azione e l’organizzazione delle pubbliche amministra- zioni (Stato, regioni, province, comuni, città metropolitane, ma anche tutti gli altri enti pubblici) e, nei casi prestabiliti dalla legge, degli altri soggetti che perseguono fini di pubblico interesse.
Più aumentano i compiti delle pp.aa. e i fini di pubblico interesse, maggiori saranno i controlli e i poteri di intervento e di condizionamento sulle attività private: pensiamo soltanto a quanto hanno cambiato e cambiano la nostra vita l’attenzione alla tutela dell’ambiente e la preoccupazione per le nuove genera- zioni, ma anche la promozione della parità di genere, della digitalizzazione,ecc.
La scelta degli ordinamenti di elaborare un sistema di “diritto amministra- tivo” è legata al riconoscimento dell’esigenza di un diritto speciale per la disciplina delle attività di interesse pubblico, inteso sempre più come interesse generale (della collettività).
L’esistenza di un “diritto amministrativo” in un determinato sistema giuridico presuppone pertanto che:
La ragione di un diritto speciale per l’attività di interesse pubblico è di facile intuizione.
Per poter perseguire in modo effettivo ed efficace tale interesse, i soggetti ai quali ne è affidata la cura devono poter imporre le proprie determinazioni senza necessità del consenso dei relativi destinatari (si pensi così, con riferimento alle prime esigenze di uno Stato, all’imposizione tributaria o alla chiamata alle armi; ma anche, con riferimento alla graduale evoluzione dei suoi compiti, agli obblighi scolastici o sanitari, ecc.) e, spesso, portarle coattivamente ad esecuzione (si pensi, inter alia, agli ordini di demolizione degli edifici abusivi o di abbattimento degli animali infetti).
L’esigenza di un diritto amministrativo come diritto speciale trova origine nell’evoluzione storica dallo Stato assoluto (in cui il Sovrano accentrava in sé ogni potere) allo Stato liberale, che, attraverso la Rivoluzione francese, ha visto nascere e svilupparsi la contrapposizione tra autorità e libertà e la conseguente necessità di riconoscere e al tempo stesso arginare il “privilegio del potere”, legato alla stretta correlazione tra “amministrare” e “governare” e caratterizzato dall’autoritatività (giustificata dalla prevalenza dell’interesse pubblico su quello individuale: O. MAYER; V.E. ORLANDO).
In uno Stato costituzionale di diritto, il potere di interferire in modo autori- tativo nella sfera giuridica altrui deve essere evidentemente definito e delimitato da un contesto normativo chiaro e certo (principio di certezza del diritto, declinato nel principio di legalità), ovvero da regole giuridiche previe, generali e astratte, più o meno stringenti (cui corrisponde la graduazione del potere amministrativo da vincolato a discrezionale (su cui si veda l’apposito contributo subito infra), di natura sostanziale (fissazione di obiettivi per rispondere a specifiche finalità di interesse pubblico) e procedimentale (competenza, modalità e tempistiche di azione, effetti, ecc.), che assicurino l’imparzialità dell’azione pubblica (su cui v. infra il contributo di L. ANTONINI) e il miglior bilanciamento dei diversi interessi (pubblici e privati) coinvolti (principio di buona amministrazione, nei suoi molte-plici corollari, su cui v. infra ilcontributo di M.R. SPASIANO).
Il rispetto di queste regole deve essere peraltro garantito attraverso appositi sistemi di controllo (interno ed esterno) e, soprattutto, attraverso adeguate moda- lità di tutela giurisdizionale (principio di effettività della tutela), che, tendenzial-mente, giustificano un apposito sistema di giustizia amministrativa (che può o meno prevedere l’istituzione di un apparato giurisdizionale diverso e autonomo da quello ordinario).
Il nostro ordinamento giuridico conosce un complesso sistema di diritto amministrativo sostanziale e un apposito sistema giurisdizionale per la tutela delle posizioni soggettive confliggenti con l’esercizio dei pubblici poteri (nato dal combinato disposto della l. n. 2248 del 1865, all. D ed E, con la l. n. 5992 del 1889 e ora retto dai principi costituzionali e disciplinato dal combinato disposto della mede- sima legge del 1865 con il codice del processo amministrativo, approvato, in forza della delega conferita dalla l. n 69 del 2009, con il d.lg. n. 104 del 2010 e s.m.i., integrato dal d.P.R. n. 1199 del 1971).
Più di ogni altra branca del diritto, il diritto amministrativo è fortemente influenzato dal diritto costituzionale e, per effetto delle espresse limitazioni di sovranità disposte dalla Costituzione (artt. 10, 11 e 117, comma 1), dal diritto europeo (diritto UE e CEDU:su cui v. infra il contributo di D.-U. GALETTA). L’entrata in vigore della Costituzione democratica, che ha posto la persona umanaal centro del sistema, ha segnato quindi una svolta fondamentale nell’evoluzione del nostro sistema di diritto amministrativo. Le regole costituzionali si pongono come barriera dello Stato democratico pluriclasse all’arbitrio dell’amministra- zione. La migliore dottrina ha posto in luce la funzione “servente” assunta dall’amministrazione rispetto alla società invece che rispetto al Governo (M. NIGRO): nella Costituzione, l’amministrazione è vista come potere autonomo, che deve attuare l’indirizzo politico, ma operando spesso in un ambito di discrezionalità e non più come mera esecutrice delle decisioni governative (su cui v. infra, il con- tributo che segue). E l’interesse pubblico non si identifica più soltanto con quello di cui sono portatrici le singole pubbliche amministrazioni, ma è anche e soprattutto quello, più generale, della collettività: l’evoluzione del sistema costituzionale ha visto prevalere nel tempo valori come quello della salute, della sicurezza, della giustizia, della concorrenza, dell’ambiente ecc.; e i principi di certezza del diritto, di “buona amministrazione” e del legittimo affidamento hanno acquistato una valenza sempre maggiore come limite al potere autoritativo.
Al tempo stesso, la nozione di pubblica amministrazione si è progressivamente allargata, dapprima attraverso una estensione del numero dei soggetti pubblici (con una vera e propria proliferazione di enti ausiliari o strumentali agli enti territoriali e di enti pubblici indipendenti) e poi, in esito ai più recenti fenomeni di privatizzazione, attraverso il progressivo ampliamento dei soggetti privati affidatari di funzioni e servizi pubblici. Autorevole dottrina ha significativamente pro- posto una nozione “oggettivo-funzionale” di amministrazione, sottolineando che ciò che rileva è la “funzione amministrativa”, in relazione al vincolo di scopo che l’operatore (pubblico o privato) deve perseguire: il nuovo diritto amministrativo è quindi il “diritto dell’amministrare”, nel senso di “agire per uno scopo dato a fini di interesse sociale” (G. PASTORI). Anche la giurisprudenza, del resto, condivide ormai la conclusione che “[a]llo stato attuale non esiste una nozione univoca di pubblica amministrazione in senso soggettivo. Infatti, i tradizionali criteri distintivi degli enti pubblici sono stati superati, lasciando spazio, sotto l’influsso dell’ordinamento eurounitario, ad un nuovo concetto di pubblica amministrazione c.d. « a geometrie variabili », che non solo prescinde da omologazioni rigide ma che soprattutto consente di tracciare il perimetro degli enti pubblici in maniera elastica, attraverso la valorizzazione dell’aspetto funzionale, cioè delle finalità perseguite. Non essendo riscontrabile una definizione legislativa di pubblica amministra- zione alla quale sia collegata l’operatività di un corpus omogeneo di regole e principi, sopperiscono le molteplici normative amministrative settoriali che definiscono il loro campo d’applicazione rispetto ad un novero di enti, talvolta indicati tassativamente” (Cons. St.,Sez. I, parere n. 309 del 4 febbraio 2020).
Pur segnalando un’opportuna prudenza nell’allargare il concetto di “pubbli- che amministrazioni o soggetti ad esse equiparati”, è indubbio che l’esercizio di funzioni e poteri pubblici implichi l’assoggettamento dei soggetti privati cui essi sono affidati quantomeno ai principi generali dell’azione amministrativa (su cui v. infra il contributo di R. DIPACE).
2. La complessità delle fonti.
Diversamente dal diritto civile e dal diritto penale, la materia, che si caratterizza per una forte storicità (legata agli obiettivi che, anche in relazione al variare delle esigenze economiche e sociali, il legislatore si prefigge di realizzare: basti, per tutti, pensare all’evoluzione dei servizi pubblici e del ruolo dello Stato nell’economia), non ha un codice di diritto sostanziale.
Le regole dell’organizzazione e dell’azione amministrativa sono pertanto tradizionalmente affidate a leggi particolari e/o di settore, talvolta più organicamente raccolte in testi unici o rielaborate in appositi “codici di settore”. Si ricordano, in particolare, il testo unico delle leggi sugli enti locali(d.lg. n. 267 del 2000), il testo unico delle disposizioni sullo statuto degli impiegati civili dello Stato (approvato con d.P.R. n. 3 del 1957), il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, particolarmente rilevante per quanto attiene ai controlli sulle autodichiarazioni e alle conseguenze della loro non veridicità (d.P.R. n. 445 del 2000), i testi unici delle leggi in materia di edilizia e in materia di espropriazione (approvati rispettivamente con d.P.R. n. 380 e d.P.R. n. 327 del 2001), il testo unico sulle società partecipate (d.lg. n. 175 del 2016, modificato in sede correttiva con d.lg. n. 100 del2017) e il più recente d.lg. n. 201 del 2022, di riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, e, tra i codici, il codice dell’amministrazione digitale (d.lg. n. 82 del 2005, modificato dai dd.lg. nn. 179 del 2016 e 217 del 2017), il codice dell’ambiente(d.lg. n. 152 del 2006), il codice dei contratti pubblici (d.lg. n. 50 del 2016, in via di sostituzione dal d.lg. n. 36 del 2023), il codice dei beni culturali e ambientali (d.lg. n. 42 del 2004).
Il sistema è reso ancora più complesso dalla molteplicità dei livelli normativi, interni (fonti primarie statali, regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano, fonti secondarie statali, regionali, locali e speciali delle diverse ammini- strazioni) e sovranazionali (in particolare, come ricordato, il diritto dell’Unione europea e, in via indiretta, come fonte normativa interposta, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo), oltre che dall’intreccio delle regole di successione temporale, gerarchia, competenza e specialità per l’individuazione delle disposi- zioni specificamente applicabili.
Dopo una lunga gestazione e un ampio dibattito dottrinario, nel 1990 è stata approvata una legge breve di disciplina dell’azione amministrativa: la l. 7 agosto 1990, n. 241, riformata e ampiamente integrata nel 2005 (ll. nn. 15 e 80) e ripetutamente modificata fino ai giorni nostri (un importante intervento riformativo a carattere generale è stato operato dalla l. 7 agosto 2015, n. 124, c.d. “legge Madia”). In tale corpo normativo sono enunciati, tra l’altro, i principi generali cui devono attenersi le amministrazioni statali e i soggetti ad esse equiparati quando operano nell’esercizio delle funzioni amministrative (artt. 1, 22, 29), precisando che leregioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, devono riconoscere analoghe garanzie nelle materie da essa disciplinate (art. 29) — e dai relativi decreti delegati di attuazione (su cui v. infra). Ulteriori rilevanti modifiche sono state apportatenell’ambito delle misure urgenti per far fronte alla crisi economica e sociale conseguente all’impatto della pandemia da Covid-19 eper attuare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (il noto e famigerato PNRR, approvato dal Consiglio UE il 13 luglio 2021), che traduce ed esplicita gli impegni assunti dall’Italia nei confronti dell’Unione europea per accedere alle risorse del Next Generation EU, il programma di sostegno di 750 miliardi di euro stanziati da quest’ultima per attenuare gli effetti di tale impatto, stimolando investimenti che spingano alla ripresa (recovery) e riforme che aumentino la sostenibilità delle singole economie europee, rendendole più « resilienti » ai cambiamenti che incombono negli anni di ripresa dalla crisi (resiliency), anche attraverso essenziali politiche di tutela ambientale e di sviluppo digitale. Le fonti più importanti ai nostri fini sono il d.l. n. 76 del 16 luglio2020 (recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”, c.d. “Decreto Semplificazioni 2020”, convertito nella l. n. 120 del 14 settembre, il d.l. n. 77 del 31 maggio 2021, c.d. “Decreto Semplificazioni 2021” o, meglio, “Decreto Governance”, convertito nella l. n. 108 del 29 luglio 2021 e il recentissimo d.l. n. 13 del 24 febbraio 2023, convertito nella l. n. 41 del 21 aprile 2023 c.d. “Decreto Semplificazioni PNRR”, recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale degli investimenti complementari al PNRR (PNC), nonché per l’attuazione delle politiche di coesione e della politica agricola comune” e funzionale al conseguimento, previsto per il 31 dicembre 2024, della Missione M1C1-60 del PNRR, con parti- colare riguardo alla Riforma 1.9, relativa della pubblica amministrazione, che richiede l’attuazione della semplificazione e digitalizzazione di 200 procedure critiche, che interessano direttamente cittadini e imprese.
Tra le leggi “generali” di disciplina di specifici ambiti e profili del diritto amministrativo, un ruolo di primo piano spetta anche, senza pretesa di esaustività, al d.lg. n. 165 del 2001, sull’organizzazione degli uffici e sui rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (che ha sancito il principio di separazione tra politica e amministrazione e reca importanti disposizioni in tema di incompatibilità degli impiegati pubblici), alla l. n. 400 del 1988 (sull’attività di Governo dell’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), che regola il potere normativo del Governo, alla l. n. 689 del 1981, sulle sanzioni amministrative pecuniarie, alle ll. nn. 19 e 20 del 1994 sulle funzioni giurisdizionali e di controllo della Corte dei conti, al ricordato t.u. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, particolarmente rilevante per quanto attiene ai controlli sulle autodichiarazioni e alle conseguenze della loro non veridicità (d.P.R. n. 445 del 2000), al codice dell’amministrazione digitale, approvato con d.lg. 7 marzo 2005, n. 82, nonché alle leggi sull’organizzazione e sulle competenze degli enti locali (oltre al richiamato t.u. n. 267 del 2000, la l. n. 131 del 2003, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento alla riforma costituzio-nale del 2001 e la l. n. 56 del 2014 sulle città metropolitane, sulle province e sulle unioni e fusioni di comuni) e alle varie leggi che, in questi ultimi anni, si susseguono vertiginosamente, e talvolta contraddittoriamente, per regolare la gestione dei ser- vizi pubblici e le società a partecipazione pubblica, nonché, ultime, ma non ultime, le norme in tema di trasparenza e di misure anti-corruzione (l. n. 190 del 2012 e dd.lg. nn. 33 del 2013 e 97 del 2016).
Il sistema aveva subìto, come detto, importanti modifiche per effetto delle varie normative di attuazione della già citata l. 7 agosto 2015, n. 124, che, come anticipato e come sarà meglio illustrato nei singoli contributi, aveva comunque direttamente introdotto o indirettamente determinato (attraverso i primi decreti attuativi) numerose e significative variazioni alla l. n. 241.
Sul fronte dell’attività amministrativa, la riforma si è mossa ancora una volta sulla linea della semplificazione (si pensi alle norme sull’amministrazione digitale, sulla conferenza di servizi, sul silenzio assenso e sulla s.c.i.a., ulteriormente modi- ficate, nellamedesima direzione, dai richiamati decreti annuali di semplificazione) e della trasparenza (significativa, con il d.lg. n. 97 del 2016, la generalizzazione del diritto di accesso civico, come strumento di controllo diffuso a prescindere da un interesse particolare alla conoscenza). Le deleghe della l. n. 124 hanno investito inoltre la riorganizzazione delle amministrazioni statali (riduzione degli uffici e del personale, interventi sulla dirigenza e sui rapporti di lavoro, riordino delle forze di polizia, ecc.), la complessa — ed eternamente dibattuta — tematica delle modalità di affidamento dei servizi di interesse economico generale e del relativo esercizio con organismi c.d. “in house” (affrontata dal citato t.u. sulle società a partecipazione pubblica, approvato con d.lg. n. 175 del 2016) e il riordino delle procedure davanti alla Corte dei conti (attuato per la parte giurisdizionale dal nuovo codice di giustizia contabile, approvato con d.lg. n. 174 dello stesso anno). Come anticipato, un fortissimo impatto per la nostra materia è però derivato, su più fronti, dalle riforme di settore previste dal PNRR: tra esse, sicuramente, i già richiamati d.lg. n. 201 del 2022, di riordino dei servizi pubblici locali e d.l. n. 13 del 2023 sulle semplificazioni per il PNRR e il PNC, e, soprattutto, il nuovissimo Codice dei contratti pubblici, approvato con il richiamato d.lg. n. 36 del 2023, non solo perché l’affidamento dei contratti pubblici di appalto e di concessione, che esso disciplina, costituiscono una fetta significativa del nostro PIL (si parla di ca 200 mld euro/anno, corrispondenti all’11-12%: in un anno quanto si spende per il PNRR in 6 anni), ma anche perché esso ha impresso una forte spinta innovativa sul piano della discrezionalità amministrativa, oltre che su quelli della trasparenza e della digitalizzazione, costruendo, peraltro, un modello speciale di delegificazione (in deroga a quello generale concepito dall’art. 17 della l. n. 400 del 1988).
Anche il processo amministrativo, fino al 2010, non aveva un codice, appro- vato con il d.lg. n. 104 del 2010, oggetto di duedecreti “correttivi” e di altre modifiche puntuali, le più significative delle quali sono state e continuano ad essere introdotte proprio dalle disposizioni in materia di affidamento dei di con- tratti pubblici per le controversie relative a tale settore, cui si aggiungono quelle legate all’attuazione degli obiettivi fissati dal PNRR (in particolare, quelle intro- dotte dall’art. 3 del citato d.l. n. 85 del2022, trasposto poi, con un sistema che desta evidenti perplessità sul piano costituzionale, nell’art. 12-bis del d.l. n. 68 del 2022, in sede di conversione nella l. n. n. 108 del 5 agosto scorso, recante criticabili “norme di accelerazione dei giudizi amministrativi in materia di PNRR”), al cui interno (libro primo, titolo III), proprio in ragione della mancanza di un codice di diritto sostanziale, sono individuate le diverse tipologie di azioni esperibili nei confronti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati.
In termini più generali, occorre segnalare che, nonostante gli sforzi di “riordino” e di “sistematizzazione”, il contesto normativo della nostra materia è continuamente modificato anche dalle puntiformi, ma importanti, “novità” introdotte dalle molteplici leggi “omnibus”, come le cd “leggi finanziarie”, gli ormai classici “decreti milleproroghe” e le “leggi annuali concorrenza” (che, dopo anni di stallo, sembrano essere “ripartite”) e, da ultime, le leggi annuali di “semplificazione”.
A ciò si aggiunge che molte leggi sono state con norme secondarie di attua- zione (regolamenti governativi e ministeriali) e sono oggetto di un vero e proprio dedalo di atti interpretativi e di “indirizzo”.
3. Cenni alle più recenti tendenze del sistema e al difficile equilibrio tra celerità e certezza.
Come detto, l’intero sistema ha subito ed è verosimilmente destinato a subire nell’immediato futuro ulteriori importanti modifiche per effetto delle nuove misure di semplificazione e di liberalizzazione tese a reagire alla grave crisi
economica determinata dalla straordinaria emergenza da COVID-19, a rispettare gli impegni assunti con il PNRR e a fronteggiare le forti problematiche determinate, soprattutto in campo energetico e alimentare, dal conflitto Russia-Ucraina. Il tutto, mentre, con tutto il mondo, si deve combattere contro il devastante cambio climatico e i rischi della siccità e ci si deve confrontare anche con l’avvento delle nuove tecnologie digitali, che impattano evidentemente anche sulle modalità di esercizio del potere amministrativo e sulle garanzie procedimentali e sulla tutela giurisdizionale (L. TORCHIA, Lo stato digitale, Bologna, 2023).
Il titolo II del d.l. n. 76 del 16 luglio 2020 (c.d. “Decreto Semplificazioni”) è intervenuto in modo significativo su diverse disposizioni della l. n. 241, a partire da quelle sui principi, cui ha aggiunto il richiamo ai principi della buona fede e della leale collaborazione. Ha poi introdotto rilevanti modifiche con riferimento all’obbligo di provvedere (prescrivendo la misurazione e la pubblicità dei “tempi effettivi di conclusione dei procedimenti di maggiore impatto per i cittadini e per le imprese”) e agli effetti della sua violazione (anche in termini di stabilizzazione dei titoli e di maggior rigore ai fini della responsabilità erariale rispetto a quella per i comportamenti attivi); all’uso degli strumenti informatici e telematici; all’accesso agli atti del procedimento; alla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento del- l’istanza e ai limiti al potere di integrarli in progress; alle conseguenze della mancata adozione dei pareri obbligatori e facoltativi; agli effetti del silenzio e dell’inerzia nei rapporti tra amministrazioni; alla conferenza di servizi; alle autodichiarazioni e alle acquisizioni di dati e documenti ai sensi dell’art. 18.Sotto quest’ultimo profilo merita peraltro particolare attenzione il menzionato t.u. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documenta zione amministrativa (d.P.R. n. 445 del 2000, oggetto di importanti modificazioni nel 2020),che, agli artt. 46 e ss., disciplina le dichiarazioni sostitutive di certificazioni e di atti di notorietà, progressivamente chiamate, in modo sempre più esteso, unitamente alle attestazioni e asseverazioni dei tecnici abilitati, a sostituire la documentazione comprovante gli stati, le qualità personali, i fatti e, in genere, i requisiti soggettivi e oggettivi richiesti dalla normativa vigente, non soltanto per l’ottenimento di benefici economici, comunque denominati, da parte di pubbliche amministrazioni, ma anche per l’esercizio “autocertificato” di attività (s.c.i.a. e c.i.l.a.) e “per il rilascio di autorizzazioni e nulla osta comunque denominati” (cfr., da ultimo,l’art. 12 del d.l. n. 76 del 2020, convertito nella l. n. 120 dello stesso anno). Sotto l’egida delle “semplificazioni”, anche a causa di alcune posizioni assunte dalla giurisprudenza, si realizza in tal modo un graduale trasferimento di respon- sabilità dalle amministrazioni ai privati, che inevitabilmente incide (come meglio si vedrà negli specifici contributi sulle autodichiarazioni, sulla s.c.i.a. e sul silenzio assenso provvedimentale e in quelli sulla sospensione e sull’annullamento d’uffi- cio) sulla spendibilità e sullastessa stabilità dei titoli e, soprattutto, dei “benefici”. In relazione a questi ultimi (particolarmente estesi per far fronte alle gravi conse-guenze economiche determinate dall’emergenza COVID-19), le ultime riforme (art. 264, comma 2, d.l. n. 34 del 2020, c.d. “Decreto Rilancio”, convertito, senza modificazioni in parte qua, nella l. n. 77 del 17 luglio 2020) hanno invero forte- mente inasprito il regime sanzionatorio dettato dal capo VI del suddetto t.u. a fronte dell’eventuale riscontro della falsità o mendacia della dichiarazione, creando problemi di coordinamento con il nuovo paradigma dell’autotutela caducatoria per vizi originari del provvedimento concepito dall’art. 21-nonies l. n. 241 (richiamato dall’art. 19 per il controllo tardivo sulla s.c.i.a.) per garantire la stabilità dei titoli; e conseguentemente aggravando la ricostruzione di un sistema già oggetto di varie questioni interpretative.
Nel rinviare agli appositi contributi (in particolare quelli di M.A. SANDULLI, G. MARI, M. SINISI e A.G. PIETROSANTI), si segnala al riguardo la distonia di un modello che, mentre tende a responsabilizzare i privati (cui le amministrazioni e la giuri-giurisprudenza imputano come “false dichiarazioni” e “false rappresentazioni della realtà” anche gli errori di ricostruzione e valutazione di un quadro normativo oggettivamente complesso e contraddittorio), si muove in direzione opposta nei confronti degli amministratori pubblici. Per ovviare al diffuso fenomeno della “paura della firma”, determinata dalla preoccupazione degli agenti pubblici di incorrere in responsabilità amministrative e penali per possibili errori interpreta- tivi e valutativi derivanti dall’oggettiva difficoltà di tale ricostruzione, il d.l. n. 76 del 2020 (di fatto coevo alla legge di conversione del riportato art. 264 d.l. n. 34) ha, per un verso, disposto la (formalmente temporanea, ma già ripetutamente prorogata fino, da ultimo, al 31 dicembre 2024) limitazione della “responsabilità erariale” (responsabilità amministrativa dei dipendenti pubblici e dei soggetti equi- parati per danni all’erario) per atti e comportamenti “commissivi” ai casi di dolo (da comprovare attraverso la dimostrazione della “volontà dell’evento dannoso”),mantenendo la responsabilità per colpa (già in ogni caso circoscritta alla “colpa grave”) soltanto per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente, e, per l’altro verso, rigorosamente ridefinito (a regime) l’ipotesi di reato per c.d. “abuso d’ufficio”. L’art. 23 del decreto è infatti intervenuto direttamente sull’art. 323 c.p. limitando la configurabilità di tale reato alla violazione (affatto difficil mente ravvisabile) “di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dallequali non residuino margini di discrezionalità”.
Il d.l. n. 77 del 2021 è poi nuovamente tornato sulla c.d. semplificazione, riducendo a dodici mesi il termine per l’esercizio delpotere di autoannullamento e del potere di controllo tardivo sulla s.c.i.a. e prevedendo un sistema di “attesta- zione” della formazionedel silenzio-assenso che si traduce però, ancora una volta, in una “autoresponsabilizzazione” dell’istante, chiamato, nel presumibile caso di inerzia dell’amministrazione, ad effettuare una “autodichiarazione sostitutiva dell’at testazione”.
E numerose forme di semplificazione sono state introdotte anche dal d.l. n. 13 del 2023, conv. con modificazioni, nella l. 21aprile 2023, n. 41 e dai vari dPCM che vi hanno dato seguito.
Mentre il nuovissimo codice dei contratti pubblici, nel riconoscere, come anticipato, più ampi margini di discrezionalità agli enticommittenti e alle stazioni appaltanti e concedenti, enuncia sintomaticamente, accanto al “principio del risul- tato” (che valorizza la tempestività e il miglior rapporto qualità-prezzo, nel rispetto della legalità della trasparenza e della concorrenza: in tema cfr. leconsiderazioni critiche di S. PERONGINI, Il principio del risultato e il principio di concorrenza nello schema definitivo di codice deicontratti pubblici in Scritti in onore di F. Salvia Napoli 2023 e in D SOC, 3/2022, 551 ss. e, infra, il contributo di M.R. SPASIANO, nonché l’ampio saggio dello stesso A., Codificazione di principi e rilevanza del risultato, in C. CONTESSA, P. DEL VECCHIO (a cura di), Codice dei contratti pubblici, Napoli, 2023), il “principio della fiducia” (dichiaratamente diretto a “tranquillizzare” i funzionari pubblici sul superamento di un pregiudiziale “sospetto” nei loro confronti, ma che, come contraltare, chiama in gioco la responsabilità sull’aggiudicatario che i primi abbiano illegittimamente individuato).
4. Il ruolo dei prinicìpi.
Le precedenti considerazioni rendono facile comprendere l’importanza che assumono, nel nostro sistema di diritto amministrativo, i “princìpi” che informano la materia e la rilevanza, tanto sul piano teorico che sul piano pratico, del relativo approfondimento. A fronte di un quadro normativo estremamente complesso e mutevole, oltre che spesso oscuro e contraddittorio (come dimostrano anche i frequenti contrasti giurisprudenziali), i principi costituiscono un essenziale collante della legislazione di settore e un faro indispensabile per un logico e coerente orientamento tra le diverse disposizioni e per una consapevole ed efficace contestazione dei vizi che, a vario titolo, possono inficiare l’operato dei pubblici poteri e, a livello più alto, le stesse regole che dovrebbero disciplinarlo.
L’art. 12 delle preleggi richiama del resto significativamente i principi gene- rali dell’ordinamento giuridico come criterio per decidere una controversia in assenza di disposizioni specifiche o analoghe.
Anche la Costituzione si apre con l’enunciazione dei “principi fondamentali”, che, in molti casi, coincidono con valori (si pensi,alla democrazia, all’eguaglianza, alla pace).
I “princìpi” assumono poi una fondamentale rilevanza nei rapporti tra le fonti: si ricorda che l’art. 76 Cost. consente la delega al governo della funzione legislativa soltanto “con la determinazione di principi e criteri direttivi” e che l’art. 117, comma 3, della stessa Carta, nel riconoscere alle regioni la potestà legislativa concorrente nelle materie ivi indicate, fa comunque salva “la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”. Mentre il comma 1 dello stesso articolo, nell’imporre al legislatore (statale e regionale) il rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (oggi, più cor-rettamente, “eurounitario”) e dagli obblighi internazionali, fa implicitamente ri- chiamo al rispetto dei principi espressi o ricavabili da tali fonti sovraordinate (su cui v. infra il richiamato contributo di D.-U. GALETTA).
Anche le leggi ordinarie fanno ormai sempre più spesso esplicito riferimento ai princìpi: ad essi sono significativamente dedicati i primi articoli della l. n. 241 del 1990 e del codice del processo amministrativo e, da ultimo, quelli del codice dei contratti pubblici.
Già nel 1961 l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nella sentenza n. 3, rilevava del resto che “il diritto amministrativo risulta appunto non soltanto da norme, ma anche da principi che dottrina e giurisprudenza hanno elaborato e ridotto ad unità e dignità di sistema”.
Da ciò l’importanza di fermare l’attenzione di chi si accosta alla nostra materia sui principi che informano l’azione e l’organizzazione dei pubblici poteri, fermo restando che essi hanno bisogno dell’interpolazione della legge e che l’interprete non può farne diretta applicazione, in spregio a quest’ultima (sui rischi di un uso abusivo dei principi, si vedano in termini generali, G. ALPA, Iprincipi generali. Una lettura giusrealistica, in RGC COMM, 2014, 1 ss.; A. CATAUDELLA, L’uso abusivo dei principi, in RIV DC, 2014, 749 ss.).
5. Osservazioni conclusive.
Ho sottolineato in apertura che la pandemia e il PNRR hanno riportato l’accento sul ruolo dell’amministrazione e, di conseguenza, confermano e accrescono l’importanza del diritto amministrativo, che non può essere cancellato da una malintesa superiorità del “diritto globale”.
Le norme per la ripresa e la resilienza valorizzano giustamente la formazione dei funzionari pubblici, non soltanto in vista del migliore esercizio dell’attività amministrativa, nelle sue molteplici espressioni, ma anche in vista della migliore redazione dei testi delle prossime riforme.
Ed ecco, di nuovo, il senso di questo volume.
Il primo passo per una buona formazione è indirizzare gli operatori ad agire nel rispetto della nostra Costituzione e dei principi e delle regole del nostro diritto amministrativo: regole che vanno scritte, riscritte, corrette, ricontestualizzate, ma sempre nel rispetto e nell’attenzione a un equilibrio tra i diversi principi contenuti nella Costituzione, in primis quelli enunciati dall’art. 97.Bisogna dunque rispettare, in un equo temperamento, tutti tali principi — di legalità, di trasparenza, di efficienza e di economicità della pubblica amministrazione — e non soltanto garantire l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico, come pure disposto dal nuovo comma dello stesso articolo introdotto dalla l. cost. n. 1 del 2012. Bisogna cioè rispettare, nelle sue varie espressioni, il più classico e generale “principio di buon andamento”, che è poi strettamente (anche se non esclusivamente) correlato a quello di “buona amministrazione”, sancito dall’art. 41 della Carta Fondamentale dei Diritti dell’Unione (c.d. Carta di Nizza).
Il principio di buon andamento, peraltro, non può essere effettivamente garantito se non c’è un effettivo controllo sull’operato delle pubbliche Amministrazioni: quindi le riforme avranno bisogno di controllori e, soprattutto, di un giudice che le faccia effettivamente rispettare. Si discute della tutela del cittadino nei confronti dell’amministrazione inadempiente, della posizione del terzo controinteressato all’esercizio delle attività avviate in base ad autodichiarazioni di conformità, delle cooperazioni e dei conflitti tra Amministrazioni. E, di conseguenza, delle difficoltà di gestire il contenzioso.
Ma, contraddittoriamente, si insiste sulla riduzione dei tempi del processo. Limitando, evidentemente, le mie riflessioni alla giustizia amministrativa, gli ul- timi interventi in questo senso si devono ai dd. ll. nn. 77 e 80 del 2021 e rispettive leggi di conversione e al più recente art. 12-bis del d.l. n. 68 del 2022, introdotto (con una tecnica di dubbia costituzionalità), in sede di conversione, al. n. 108 del 5 agosto 2022) che sono, ancora una volta, intervenuti sul c.p.a. e sui termini processuali.
A questo proposito non posso che ripetere quanto già osservato in varie occasioni.
Abbiamo bisogno di una giustizia efficiente, non di una giustizia con le gambe tagliate, non di una decisione qualsiasi, purché arrivi al più presto e dia “l’impressione” che vi sia una giustizia efficiente, ma di una decisione attenta, chiara, ponderata, e, soprattutto, giusta ed efficace, che intervenga sull’atto o comportamento amministrativo illegittimo e gli impedisca di produrre effetti. Se il provvedimento illegittimo non viene eliminato — e, se occorre, sospeso — la collettività rischia di essere esposta a ulteriori inefficienze e ulteriori spese; e, comunque, perde la fiducia nelle istituzioni, cosa che evidentemente non aiuta la ripresa economica.
Analogo discorso vale per il reclutamento e la formazione dei pubblici funzio- nari. Se essi non vengono adeguatamente reclutati, con sistemi che privilegiano la ricerca della capacità e della professionalità, avremo inevitabilmente ulteriori aggravi anche per l’economia. Ci sarà pure, nell’immediato, una crescita dell’occupazione e un apparente miglioramento del Paese, perché la riduzione del tasso di disoccupazione implicherà un aumento dei consumi da parte da parte dei nuovi assunti, ma questo non varrà a coprire e a bilanciare la spesa derivante da tali assunzioni. Bisogna allora fare in modo che queste assunzioni siano, a loro volta, “produttive”, in termini di reale implemento dell’efficienza della macchina pubblica, e, per l’effetto, di rilancio dell’economia.
Queste — elementari — considerazioni, svolte già in sede di primo commento all’approvazione del PNRR (in un intervento al webinar organizzato dall’Associa- zione italiana dei professori di diritto amministrativo-AIPDA il 28 aprile 2021, leggibile su Federalismi.it, Osservatorio di Diritto sanitario), valgono per tutte le ri- forme previste dal Piano: se esse non riescono a produrre nuove, reali, risorse, nuovo movimento dell’economia, si risolveranno in mere spese e ci costringe- ranno a tornare alle misure di riduzione della spesa pubblica e a nuovi oneri fiscali.
Sommario: 1. L’analisi dei progetti organizzativi del triennio 2020/2022 (oggi quadriennio 2020/2023) - 1.1. Gli aspetti valutati dal Consiglio - 1.2. Gli esiti della valutazione in generale - 1.3. Gli esiti della valutazione in dettaglio: le criticità più significative e gli orientamenti del Consiglio - 1.3.a. La valutazione dei flussi di lavoro, l’analisi della realtà criminale e l’individuazione degli obiettivi - 1.3.b. L’assegnazione dei sostituti ai gruppi di lavoro - 1.3.c. La riserva esclusiva al Procuratore della trattazione di alcuni affari - 1.3.d. L’autoassegnazione e la coassegnazione- 1.3.e. Gli incarichi di coordinamento dei gruppi di lavoro conferiti ai sostituti - 1.3.f. Gli incarichi di collaborazione - 1.3.g. L’indicazione dei supplenti - 1.3.h. Il visto e l’obbligo di riferire- 1.3.i. La revoca dell’assegnazione e l’assenso sulle misure cautelari - 1.3.j. La nomina del vicario - 1.3.k. Le previsioni inerenti alla DDA e all’Antiterrorismo- 1.4. Un cenno ad alcune pratiche di particolare rilevanza - -2. La Riforma Cartabia: la legge n. 71/2022 - 2.1. Le norme riguardanti i progetti organizzativi - 2.2. Le principali novità in tema di progetti organizzativi - 2.2.1. Gli aspetti innovativi in generale2.2.2. Le novità sul contenuto del progetto organizzativo e i criteri di priorità - 2.2.3. Le novità in tema di efficacia e di approvazione del progetto organizzativo - 2.3. Una valutazione complessiva della Riforma Cartabia.
1. L’analisi dei progetti organizzativi del triennio 2020/2022 (oggi quadriennio 2020/2023)
1.1. Gli aspetti valutati dal Consiglio
La circolare del 16.12.2020 ha trovato la sua prima applicazione nei progetti organizzativi del triennio 2020/2022 (oggi quadriennio 2020/2023), che i procuratori avevano l’onere di adeguare entro 3 mesi dall’entrata in vigore del nuovo articolato, dunque entro il 16.3.21 (art. 47).
L’analisi dei predetti progetti, iniziata dalla Settima Commissione del CSM nel gennaio 2022, ha riguardato molteplici aspetti, anche di dettaglio, riepilogati in delibere redatte secondo un modulo standard.
La valutazione, in particolare, ha interessato i seguenti aspetti:
a) l’organico dell’ufficio, avendo cura di verificare che il progetto fosse elaborato tenendo conto dell’organico complessivo, comprensivo dei posti vacanti (essendo un documento programmatico destinato a valere per un triennio, oggi quadriennio), non solo dei magistrati effettivamente presenti;
b) ai sensi dell’art. 7, comma 1, circ. proc., il rispetto dei termini entro cui il dirigente deve confermare, con provvedimento motivato, il progetto organizzativo previgente (introducendo modifiche conformative) ovvero redigere un nuovo progetto organizzativo[1];
c) ai sensi dell’art. 7, comma 2, circ. proc., la presenza: di una espressa valutazione dei flussi di lavoro e dello stato delle pendenze; di una analisi dettagliata ed esplicita della realtà criminale nel territorio di competenza; delle indicazioni riguardanti gli obiettivi che l’ufficio è riuscito a conseguire e di quelli che non è riuscito a conseguire nel precedente periodo, gli obiettivi organizzativi, di repressione criminale e di produttività che l’ufficio intende perseguire e gli obiettivi di smaltimento dell'arretrato;
d) ai sensi dell’art. 7, comma 2, circ. proc., l’individuazione dei gruppi di lavoro (ove le dimensioni dell’ufficio lo consentano e, in ogni caso, negli uffici dotati della funzione semi-direttiva), con l'indicazione dei magistrati designati a comporli e dei magistrati designati a coordinarli[2], nel rispetto dell’art. 4 comma 1 lett. b) circ. proc.[3];
e) ai sensi dell’art. 7, commi 3 e 4, circ. proc., con particolare riferimento al contenuto “necessario” o “obbligatorio” del progetto, la valutazione si è concentrata sui seguenti aspetti:
- il rispetto della disciplina della permanenza temporanea dei sostituti nei gruppi di lavoro[4];
- la previsione dell’interpello per la designazione dei sostituti procuratori ai gruppi di lavoro, con indicazione delle regole per lo svolgimento e dei criteri da applicare (idonei a garantire le esigenze di funzionalità dell’ufficio e a valorizzare le specifiche attitudini dei magistrati);
- la previsione dei criteri per la provvisoria assegnazione dei magistrati di nuova destinazione;
- le ulteriori previsioni riguardanti: i criteri di assegnazione e di co-assegnazione degli affari e dei procedimenti, nel rispetto dell’art. 10 circ. proc.; le tipologie di reati per i quali i meccanismi di assegnazione del procedimento sono di natura automatica; i criteri di assegnazione degli affari ai magistrati di prima assegnazione;
- la “riserva” al procuratore della trattazione di procedimenti e affari, distinguendo la riserva di tipologie di procedimenti (purché non fondata su categorie soggettive di autore e non destinata a sottrarre ai sostituiti interi settori di affari), dall’autoassegnazione (ammessa se preventiva ed esclusa se successiva alla prima assegnazione, implicando una revoca implicita di quella originaria);
- i compiti di coordinamento e direzione dei Procuratori Aggiunti, ove previsti (art. 5 commi 1 e 6);
- i criteri per l’assegnazione di singoli atti nei procedimenti assegnati al Procuratore e al Procuratore aggiunto (art. 11);
- i compiti e le attività delegate ai V.P.O.;
- l’indicazione del procedimento di esercizio delle funzioni di assenso sulle misure cautelari (art. 13);
- la previsione: dei visti informativi (art. 14); delle ipotesi in cui è fatto obbligo al sostituto assegnatario di riferire; delle ipotesi e del procedimento di revoca dell’assegnazione (art. 15); dei criteri generali ai quali i magistrati addetti all'ufficio devono attenersi nell'impiego della polizia giudiziaria, nell'uso delle risorse tecnologiche assegnate e nella utilizzazione delle risorse finanziarie delle quali l'ufficio può disporre (art. 17);
- le previsioni relative al rispetto del termine massimo di permanenza nell’incarico presso lo stesso ufficio, per i soli uffici con più di 8 unità compreso il Procuratore (regolamento di cui alla delibera 13.3.2008 e successive modifiche[5]);
f) per le sole Procure distrettuali[6],
f.1) quanto alle Direzioni Distrettuali Antimafia (parte VI artt. 18/25 circ. proc.), sono state analiticamente valutate le previsioni riguardanti:
- il numero dei sostituti (con almeno la prima valutazione di professionalità) chiamati a farne parte, pari a un quarto dei sostituti in organico, salvo motivata deroga in aumento o in diminuzione (art. 19);
- lo svolgimento esclusivo dell’attività propria della Direzione distrettuale (salvo comprovate e motivate esigenze di servizio dell’ufficio di Procura a sostegno della deroga);
- i criteri per la designazione dei sostituti alla Direzione Distrettuale Antimafia (art. 20);
- l’indicazione dei Procuratori Aggiunti designati quali componenti, con funzioni di collaborazione nella direzione e nel coordinamento, ove la D.D.A. sia articolata in più unità di lavoro (art. 21);
- l’assegnazione delle funzioni di preposto alla D.D.A. al Procuratore ovvero ad uno o più Procuratori Aggiunti ovvero ancora (in ipotesi di mancanza del Procuratore Aggiunto, o per eccezionali esigenze, adeguatamente motivate nel provvedimento di delega), ad altro magistrato dell’ufficio (art. 23);
- i criteri di assegnazione degli affari ai magistrati della D.D.A. e i criteri di co-assegnazione (art. 25)[7];
f.2) quanto alle Sezioni Antiterrorismo (Risoluzione del 16 marzo 2016), le previsioni riguardanti:
- l’individuazione di un’articolazione, comunque denominata, competente per la trattazione di indagini in materia[8] e le relative modalità di accesso[9];
- i rapporti di collaborazione e coordinamento tra i sostituti distrettuali competenti e la D.N.A.A.;
g) ai sensi dell’art. 7, comma 6, circ. proc., i criteri di assegnazione dei procedimenti ed i protocolli organizzativi e procedimentali degli affari civili, nel rispetto, in quanto compatibili, delle previsioni della “Risoluzione sulla organizzazione degli uffici requirenti presso i Tribunali per i minorenni” (delibera del 18 giugno 2018), nonché le modalità per una costante interlocuzione con la Procura per i minorenni, sia in materia penale che in materia civile.;
h) a norma dell’art. 46 circ. proc.:
- le previsioni riguardanti gli esoneri e il benessere organizzativo (ossia le forme di tutela della genitorialità, delle esigenze familiari, dei doveri di assistenza e della malattia), nel rispetto, in quanto compatibili, delle disposizioni della circolare sulla formazione delle tabelle degli uffici giudicanti;
- l’indicazione dei magistrati destinati a svolgere compiti di supplenza nelle ipotesi di mancanza o temporaneo impedimento di quelli previsti quali titolari delle funzioni[10];
i) ai sensi dell’art. 7, comma 5, circ. proc., con riferimento al contenuto “eventuale” del progetto, l’esame ha riguardato, ove indicati:
i criteri di priorità nella trattazione degli affari;
i criteri generali di funzionamento dell’unità organizzativa deputata all’attività di intercettazione e le modalità di accesso e di funzionamento dell’archivio digitale;
l'individuazione del Procuratore Aggiunto designato come vicario (art. 1, comma 3, D. Lgs. n. 106/2006), con la specificazione dei criteri che ne hanno determinato la scelta[11];
i criteri ai quali i Procuratori Aggiunti e i magistrati dell'ufficio devono attenersi nell'esercizio delle funzioni vicarie o di coordinamento o comunque loro delegate dal capo dell'ufficio;
i protocolli investigativi interni in relazione a settori omogenei di procedimenti;
j) da ultimo, il Consiglio ha prestato attenzione al rispetto dell’iter procedimentale disciplinato dall’art. 8 comma 1 circ. proc.[12].
1.2. Gli esiti della valutazione in generale
L’analisi dei progetti organizzativi del triennio 2020/2022 (oggi quadriennio 2020/2023) si è rivelata particolarmente rigorosa, concludendosi spesso con la formulazione di rilievi e/o osservazioni, non sempre graditi ai dirigenti.
In realtà, proprio le prospettate riforme nella direzione della “tabellarizzazione” dei progetti organizzativi (con il ritorno al meccanismo dell’approvazione in luogo della mera presa d’atto, a gennaio 2022 ancora in fase di approvazione) hanno reso doverosa una valutazione analitica che, per quanto non da tutti condivisa, sarà certamente un’ottima base di partenza per gli uffici, i procuratori e tutto il circuito dell’autogoverno nella prospettiva del più pregnante esame inevitabilmente richiesto dal nuovo sistema dell’approvazione nel frattempo entrata in vigore.
Con la legge n. 71/2022 (in vigore dal 21.6.2022), infatti, si è introdotta l’approvazione dei progetti organizzativi da parte del Consiglio (esattamente come per le tabelle degli uffici giudicanti) ed è ragionevolmente prevedibile, oltre che auspicabile, che i rilievi e/o le osservazioni formulati in relazione ai precedenti progetti organizzativi siano utili ad evitare analoghe criticità nei documenti di nuova elaborazione per il quadriennio 2024/2027.
Le osservazioni e/o rilievi hanno riguardato diversi aspetti, che vengono a seguire indicati, secondo un ordine decrescente, partendo da quelli interessati dal maggior numero di rilievi a quelli con numero inferiore (sulla base di dati approssimativi e non definitivi):
l’omessa previsione dei criteri di assegnazione degli affari ai magistrati di prima assegnazione;
la mancata indicazione dei magistrati destinati a svolgere compiti di supplenza;
l’omessa previsione dei criteri di assegnazione di singoli atti nei procedimenti assegnati al Procuratore e all’aggiunto;
la mancata indicazione delle regole dell’interpello per la designazione dei sostituti ai gruppi d lavoro;
l’omessa previsione dei criteri per la provvisoria assegnazione dei magistrati di nuova destinazione;
l’omessa previsione dei criteri e delle regole per l’individuazione dei sostituti quali coordinatori dei gruppi di lavoro;
l’omessa previsione delle modalità di interlocuzione e scambio con la Procura per i Minorenni;
l’omessa previsione dei criteri per la designazione e composizione dei gruppi di lavoro;
l’omessa previsione dei criteri di coassegnazione dei procedimenti;
la mancata indicazione delle ipotesi e del procedimento di revoca dell’assegnazione;
la mancata indicazione degli obiettivi organizzativi, di repressione criminale e produttività;
la mancata indicazione degli esoneri e delle previsioni a tutela del benessere organizzativo, della genitorialità e della malattia:
la mancata esplicitazione della valutazione dei flussi e dello stato pendenze, posta alla base delle soluzioni organizzative adottate;
la mancata indicazione degli obiettivi di smaltimento dell’arretrato;
gli incarichi di collaborazione con il Procuratore;
la mancata individuazione dei protocolli organizzativi e procedimentali degli affari civili;
la violazione del termine entro il quale elaborare il progetto organizzativo;
la violazione delle previsioni sugli incarichi di coordinamento dei gruppi di lavoro ai sostituti (interpello, assenza aggiunti e/o indispensabilità, criteri di designazione, temporaneità);
omissioni e/o criticità in tema di visti informativi e obblighi di riferire;
la “riserva esclusiva” al Procuratore dei reati commessi da determinate categorie di autori;
la violazione della normativa in tema di criteri di priorità nella trattazione degli affari;
criticità sulla disciplina della DDA e dell’Antiterrorismo;
il mancato rispetto della disciplina sull’assenso sulle misure cautelari;
la mancanza di previsioni inerenti all’impiego della p.g., delle risorse tecnologiche e di quelle finanziarie;
le diverse criticità sul rispetto della procedura di approvazione del progetto, di cui all’art. 8 circ. tab.[13];
dopo le modifiche apportate all’art. 7, comma 4, lettere a) e b), circ. proc., tutti i Procuratori sono stati invitati ad adeguarsi alle novità introdotte con la delibera del 16.6.22 (cfr paragrafo 4.2).
1.3. Gli esiti della valutazione in dettaglio: le criticità più significative e gli orientamenti del Consiglio
Alcuni dei sopra indicati rilievi e/o osservazioni hanno avuto ad oggetto tematiche particolarmente sensibili, in cui il Consiglio ha avuto modo di esprimere o consolidare orientamenti che meritano di essere, seppur in sintesi, riepilogati.
1.3.a. La valutazione dei flussi di lavoro, l’analisi della realtà criminale e l’individuazione degli obiettivi
In non pochi progetti si è rilevata la mancanza, totale o parziale, dei dati relativi ai flussi degli affari, all’analisi della realtà criminale nel territorio e alla individuazione degli obiettivi, di diverso tipo, cui fa rifermento la circolare.
In proposito il Consiglio ha più volte chiarito che tali carenze appaiono, innanzitutto, in contrasto con l’art. 7, comma 2, della circolare, secondo il quale “i criteri di organizzazione dell’ufficio sono stabiliti sulla base di una valutazione dei flussi di lavoro e dello stato delle pendenze, nonché di una analisi dettagliata ed esplicita della realtà criminale nel territorio di competenza individuando – ove le dimensioni dell’ufficio lo consentano ed in ogni caso negli uffici dotati della funzione semidirettiva – le articolazioni interne in gruppi di lavoro … nonché gli eventuali criteri di priorità nella trattazione dei procedimenti e gli obiettivi di smaltimento dell'arretrato. Con il progetto organizzativo il Procuratore della Repubblica individua gli obiettivi organizzativi, di repressione criminale e di produttività che l’ufficio intende perseguire, dando conto degli obiettivi che l’ufficio è riuscito a conseguire e di quelli che non è riuscito a conseguire nel precedente periodo”.
Ha, inoltre, precisato che la mancanza di tali indicazioni si espone ad ulteriori profili di criticità, in quanto, da un lato, non si tiene conto che solo l’insieme di tali dati (pendenze, sopravvenienze, definizioni, realtà criminale, obiettivi) è idoneo a riflettersi coerentemente sulle scelte organizzative compiute; dall’altro, non si considera che soltanto la effettiva esplicitazione di essi consente al Consiglio di valutare sia la ratio generale dei moduli gestionali adottati, sia la portata e la funzionalità delle specifiche articolazioni in cui l’ufficio è strutturato.
La mancata enunciazione in forma chiara dei predetti presupposti, infine, preclude al Consiglio di comprendere e valutare le scelte effettuate anche sotto il profilo del rispetto di alcuni irrinunciabili principi costituzionali, quali l’uniformità di trattamento dei magistrati in servizio, che impone una distribuzione degli affari equa e funzionale; l’obbligatorietà dell’azione penale, l’autonomia e l’indipendenza dei sostituti, la gestione trasparente ed efficiente dell’ufficio giudiziario, la ragionevolezza e trasparenza dell’azione organizzativa più in generale.
1.3.b. L’assegnazione dei sostituti ai gruppi di lavoro
Spesso è stata rilevata l’assegnazione dei magistrati ai gruppi di lavoro in difformità dagli artt. 4, comma 1, lettera f), e 7, comma 4, lett. b), della circolare. Si è, quindi, ripetutamente segnalato che tale assegnazione “deve avvenire, previo interpello, secondo quanto previsto nel progetto organizzativo in vigore ed adottando in ogni caso criteri diretti a garantire le esigenze di funzionalità dell’ufficio nonché la valorizzazione delle specifiche attitudini dei sostituti e la loro completa formazione professionale, anche attraverso la rotazione periodica nei gruppi di lavoro; l’interpello per l’assegnazione ai gruppi di lavoro dev’essere esteso – previa comunicazione anche in via telematica – ai magistrati destinati all’ufficio con delibera del C.S.M. che non abbiano ancora preso possesso, assegnando un congruo termine per presentare la domanda”.
1.3.c. La riserva esclusiva al Procuratore della trattazione di alcuni affari: i reati c.d. d’autore
La circolare del 16.12.2020 ha preteso che i Dirigenti si riservassero una quota di lavoro giudiziario, proporzionata agli impegni organizzativi connessi alle dimensioni e alle complessità dell’ufficio (art. 4, comma 1, lett. a, circ. proc.), distinguendo la “riserva” dall’”autoassegnazione” (la prima sottrae a monte i procedimenti “riservati” da quelli rimessi alla trattazione dei sostituti; la seconda interviene sui procedimenti che dovrebbero essere assegnati ai sostituti, derogando ai criteri individuati per la loro distribuzione).
Si è constatato che, di rado, i Procuratori si sono riservati una “quota di lavoro giudiziario” partecipando alle assegnazioni dei procedimenti in misura percentualmente ridotta rispetto ai sostituti: raramente, dunque, si è fatto ricorso al meccanismo che sarebbe stato il più apprezzato sia dai magistrati dell’ufficio, sia dal Consiglio in sede di valutazione dei progetti.
E’ accaduto, spesso, che il Procuratore abbia riservato a sé la trattazione di tipologie di reato individuate non con riferimento a “specifici settori di affari, … aree omogenee di procedimenti ovvero ad ambiti di attività dell’ufficio che necessitano di uniforme indirizzo” (art. 1 comma 4 del D.lvo 106/06)[14], bensì esclusivamente con riguardo al dato meramente soggettivo dell’appartenenza degli autori, di qualsivoglia reato, ad una determinata categoria (pubblici amministratori, polizia giudiziaria, avvocati, dipendenti degli uffici giudiziari, magistrati).
Siffatte previsioni sono state ritenute dal Consiglio suscettibili di osservazioni critiche sul piano della ragionevolezza, pur in assenza di diretto contrasto con la normativa primaria o secondaria.
In particolare, il Consiglio ha rilevato che tali “riserve” risultano indifferenti a ragioni di specializzazione, delicatezza e tecnica investigativa che ne suggeriscono la trattazione unitaria, essendo peraltro “obiettivamente in grado di fondare una sostanziale disparità di trattamento tra fattispecie analoghe, visto che, per esempio, un reato contro la pubblica amministrazione commesso, a causa del servizio, da un appartenente alla polizia giudiziaria o da un dipendente della Procura o del Tribunale non risulta diverso dall’analogo reato commesso da altra categoria di pubblico ufficiale, così come una violazione di domicilio, un reato contro la persona o un furto commessi dall’agente o ufficiale di p.g. o dal dipendente dell’ufficio giudiziario di riferimento semplicemente in occasione del servizio, non appaiono in alcun modo diversi dal medesimo reato ascritto al quivis de populo”.
L’organo di autogoverno centrale ha anche chiarito che “la necessità di garantire un’uniformità di trattamento o una particolare attenzione nello svolgimento delle indagini, ben potrebbero essere soddisfatte attraverso la predisposizione di un dovere di informazione da parte del singolo sostituto (ad esempio in termini di apposizione del visto di conoscenza o dell’obbligo di riferire), ferma restando l’attribuzione dei procedimenti iscritti secondo le generali regole di assegnazione previste nel progetto organizzativo.”.
1.3.d. L’autoassegnazione e la coassegnazione
Il Consiglio, innanzitutto, ha ribadito il divieto per i sostituti di autoassegnarsi procedimenti, essendo l’assegnazione degli affari prerogativa che la normativa primaria riserva al Procuratore che può, al più, esercitarla mediante delega agli aggiunti.
Ha poi avuto modo di soffermarsi sulle criticità più ricorrenti che hanno riguardato la c.d. autoassegnazione successiva alla prima iscrizione.
Il procuratore, infatti, ben può, con provvedimento motivato, autoassegnarsi un fascicolo, in deroga ai criteri di assegnazione ordinari (art. 10 circ. proc.), ma può farlo soltanto all’atto dell’scrizione e giammai dopo di essa, quindi, mai dopo che il sostituto ne abbia acquisito la titolarità, magari anche avviando le indagini.
Diversamente, opinando, infatti, si ammetterebbe una revoca implicita dell’originaria assegnazione al sostituto, che si porrebbe in contrasto con la normativa, primaria e secondaria, che disciplina tassativamente i casi e la procedura per la revoca dell’assegnazione di un fascicolo (art. 2 d.lvo 106/2006 e art. 15 circ. proc.).
In alcuni progetti sono stati anche indicati i casi in cui il dirigente può procedere all’autoassegnazione: si tratta di previsioni certamente apprezzabili perché rispondenti a logiche di trasparenza, a fronte della circolare che richiede l’indicazione nei progetti dei soli criteri che governano l’assegnazione degli affari ai gruppi e ai magistrati nonché di quelli utilizzati per la coassegnazione.
Per l’autoassegnazione, infatti, la circolare esige esclusivamente il provvedimento motivato (che viene analizzato dal Consiglio una volta pervenuto) e non anche specifiche previsioni nel progetto organizzativo inerenti ai casi o ai criteri; naturalmente, sono stati mossi rilievi ove nei progetti organizzativi si sia prevista l’autoassegnazione senza esplicitare la necessità del provvedimento motivato.
Quanto alla coassegnazione, sia essa preventiva o successiva rispetto alla prima iscrizione del fascicolo, la circolare (art. 10) stabilisce che i relativi criteri devono essere indicati nel progetto organizzativo e, in concreto, essa deve avvenire con provvedimento motivato, dal quale emerga quella che è la ratio dell’istituto della co-assegnazione. Essa, invero, risponde, a seconda dei casi, all’esigenza di alleggerire il carico di lavoro del magistrato primo assegnatario, ovvero di affiancare al primo assegnatario un altro magistrato dotato di competenze specifiche in relazione al procedimento o al reato in rilievo (cfr § 1. della relazione illustrativa della vigente circolare).
In proposito, di frequente, si è rilevata nei progetti la esplicitazione dei casi (tipologie di procedimenti) in cui poter procedere alla coassegnazione ma non anche l’indicazione dei criteri volti a individuare il sostituto coassegnatario (nell’ipotesi di coassegnazione tra sostituti); sul punto si è mosso il rilievo, trattandosi di carenza riguardante proprio quei criteri che la circolare pretende confluiscano nel documento organizzativo, in quanto volti ad assicurare trasparenza e, soprattutto, ad evitare ingiustificate disparità di trattamento.
1.3.e. Gli incarichi di coordinamento dei gruppi di lavoro conferiti ai sostituti
Sul tema, il Consiglio ha ripetutamente rilevato la violazione dell’art. 4 circ. proc., ribadendo la necessità dello svolgimento dell’interpello, della predeterminazione dei criteri da seguire per la selezione, della durata massima dell’incarico (pari a due anni, prorogabile di ulteriori sei mesi per specifiche ed imprescindibili esigenze di servizio), della esplicitazione delle ragioni che rendono il conferimento “indispensabile per il buon funzionamento dell’Ufficio” e delle esigenze organizzative sottese a tale scelta.
Ha, altresì, ricordato, richiamando una risposta a quesito del procuratore di Catania (pratica n. 169/VV/21 – delibera del 17.11.2021), quali siano le attività riconducibili al coordinamento dei gruppi di lavoro (“…. – sebbene la circolare non individui tutti gli specifici compiti in cui si possono estrinsecare le funzioni di coordinamento - dagli artt. 4 e 5 è possibile ricavarne il contenuto essenziale. Tali funzioni, invero, consistono, a titolo esemplificativo – oltre che in tutte le attività tese a promuovere e garantire l’efficace coordinamento fra i componenti dei gruppi di lavoro, l’eventuale elaborazione di protocolli investigativi ed organizzativi, lo svolgimento di riunioni periodiche tra i magistrati dei singoli gruppi di lavoro, al fine di realizzare lo scambio di informazioni sull’andamento dell’ufficio e sui fenomeni criminali, sulle novità giurisprudenziali e le innovazioni legislative, sull’andamento del servizio - nei compiti di assegnazione e/o coassegnazione degli affari; di risoluzione dei contrasti in ordine all’assegnazione degli affari all’interno del gruppo di lavoro o tra differenti gruppi; di apposizione del visto e/o dell’assenso; di direzione, indirizzo e coordinamento investigativo; di verifica periodica della distribuzione dei carichi di lavoro, al fine di assicurarne la costante equità nel rispetto degli obiettivi di funzionalità ed efficienza dell’ufficio; di convocazione di riunioni periodiche di coordinamento tra i sostituti e con la polizia giudiziaria, finalizzate alla omogeneità delle soluzioni investigative ed interpretative; di istituzione di specifici obblighi di riferire e fornire informazioni; di cura del rispetto dei criteri di assegnazione degli affari e della loro distribuzione in modo equo e funzionale ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. a) e dell’art. 7, comma 3.”).
Ha, infine, specificato, sempre sulla base della richiamata risposta a quesito, il divieto di subdelega, anche parziale, delle funzioni di coordinamento (“il coordinatore del gruppo di lavoro non potrà che essere il magistrato – l’aggiunto o, nei limiti in cui consentito dalla circolare, il sostituto - deputato allo svolgimento di tutti i predetti compiti (o anche solo parte di essi), senza possibilità di ipotizzare l’ulteriore sub delega, anche parziale, di tali compiti di coordinamento organizzativo a figure alternative sottratte alla disciplina del coordinatore delineata dalla normazione secondaria (quali, ad esempio, magistrati collaboratori, magistrati di riferimento, referenti e simili)”.
1.3.f. Gli incarichi di collaborazione
Benché tali incarichi non costituiscano parte del progetto organizzativo (non essendo previsti dall’art. 7 circ. proc.), in non pochi documenti organizzativi se n’è riscontrata la previsione, spesso però risultata in contrasto con gli artt. 5, comma 9[15], e 8, comma 11[16], della vigente circolare.
Relativamente a tali incarichi, il Consiglio ha ripetutamente sottolineato la differenza rispetto al coordinamento dei gruppi di lavoro (art. 4, comma 1, lett. b), specificando come attività rientranti nel coordinamento non possano, neppure in parte (per quanto esposto al paragrafo precedente), essere sub delegate sotto forma di collaborazione, come invece avvenuto in non pochi casi analizzati.
Il Consiglio, in altre parole, allo scopo di impedire il proliferare di incarichi (spesso connessi all’esercizio di funzioni tipicamente semidirettive), anche per preservare le proprie prerogative in materia di nomina dei procuratori aggiunti, ha voluto evitare che gli incarichi di collaborazione (che non hanno limiti di durata e le cui attività non sono specificatamente regolamentate nella circolare) potessero riguardare, anche solo in parte, attività proprie del coordinamento ovvero compiti propri del Dirigente o del procuratore aggiunto.
Il Consiglio ha, altresì, chiarito che l’incarico di collaborazione, organizzativa o amministrativa, deve rispondere ai requisiti di cui agli artt. 5 comma 9 e 8 comma 11 della circolare stessa e, pertanto, il conferimento deve avvenire, previo interpello, nel rispetto della procedura di cui all’art. 8, comma 2, e con provvedimento motivato, dal quale risultino i criteri della scelta del magistrato designato, l’oggetto dell’attività delegata, le esigenze organizzative sottese alla delega.
1.3.g. L’indicazione dei supplenti
L’articolo 46 della circolare, al comma 2, lettera b), prevede che agli uffici requirenti si applicano, altresì, le specifiche disposizioni contenute nella circolare in materia di supplenze, assegnazioni, applicazioni e magistrati delle piante organiche flessibili distrettuali (delibera del 20.6.2018 e s.m. al 18.5.2022). Tale circolare, all’art. 22 (Indicazione dei supplenti nelle proposte tabellari e nei progetti organizzativi), prevede:
1. Le proposte tabellari e i progetti organizzativi devono indicare i magistrati destinati a svolgere compiti di supplenza nelle ipotesi di mancanza o temporaneo impedimento di quelli previsti quali titolari delle funzioni, in modo da permettere l’automatica identificazione del supplente per ciascun magistrato.
2. A tal fine, ove manchi l’indicazione nominativa specifica, vanno indicati i criteri oggettivi da osservare nell’adozione del provvedimento di supplenza, con specifico riguardo alle modalità di scelta del supplente.
Il Consiglio, pertanto, nell’esame dei progetti organizzativi del triennio 2020/2022 (oggi quadriennio 2020/2023), ha rigorosamente applicato tale disposizione, introdotta, per la prima volta, nella circolare del 16.12.2020: ha, così, avuto modo di riscontrare, frequentemente, previsioni parziali, limitate per lo più alle sostituzioni nella trattazione degli affari urgenti e, quindi, inidonee a soddisfare il rispetto della norma richiamata. Raramente, infatti, si sono rilevate disposizioni organizzative volte all’automatica identificazione del supplente per ciascun magistrato o contenenti i criteri oggettivi per l’automatica individuazione del supplente.
1.3.h. Il visto e l’obbligo di riferire
In numerosi progetti organizzativi sono state rilevate criticità inerenti alla disciplina del visto e dell’obbligo di riferire.
Va premesso che, ai sensi dell’art. 7, comma 4, lettera h, circ. proc., il progetto deve contenere sia la previsione dei visti informativi, di cui all’art. 14 della presente circolare, sia delle ipotesi in cui è fatto obbligo al sostituto assegnatario di riferire (obbligo che non trova nella circolare una sua esplicita regolamentazione).
Le criticità riscontrate hanno riguardato, essenzialmente: a) previsioni eccessivamente onerose per i sostituti, sia per la quantità delle ipotesi, che per la eterogeneità delle tipologie di affari sopposti ad onere informativo; b) casi di “visto”, connessi al preventivo ”riferire” annotato dal Dirigente in sede di prima assegnazione del fascicolo, in assenza di indicazioni nel progetto che esplicitassero i presupposti per la legittima pretesa del dirigente di essere informato (dunque visti correlati a preventivi e generici “obblighi di riferire”).
Sul punto, il Consiglio ha reiteratamente ricordato che tali oneri informativi, come illustrato nella relazione introduttiva della vigente circolare:
- devono riguardare “determinati atti o categorie di atti” (il visto) e le ipotesi (del riferire) devono essere indicate nel progetto organizzativo;
- devono essere tesi a garantire “il corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale”, come richiesto dal citato articolo 14;
- non devono mai pregiudicare “lo svolgimento fluido dell’attività investigativa” ovvero arrecare “nocumento alla speditezza del procedimento” o “nuocere all’autonomia e indipendenza dei magistrati”;
- giammai possono risolversi di fatto in una sorta di “controllo” o addirittura di “coassegnazione” del procedimento.
1.3.i. La revoca dell’assegnazione e l’assenso sulle misure cautelari
Preliminarmente, occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 7, comma 4, circ. proc., il progetto organizzativo deve contenere:
il procedimento di esercizio delle funzioni di assenso sulle misure cautelari, in ossequio a quanto disposto dall’art. 13 (art. 7, comma 4, lett. g);
le ipotesi ed il procedimento di revoca dell’assegnazione, in ossequio a quanto disposto dall’art. 15 della presente circolare (art. 7, comma 4, lett. i).
Le criticità riscontrate hanno rappresentato l’occasione per consentire al Consiglio di ribadire che il potere di assenso trova il suo limite nella norma primaria (art. 3, commi 1 e 2, d.lvo n. 106/2006), sicché non sono ammesse previsioni che estendono le ipotesi in cui è richiesto l’assenso scritto al di là della disposizione legislativa.
Analogamente, il potere di revoca dell’assegnazione del procedimento al sostituto, trova il suo limite nella norma primaria (art. 2, comma 2, d.lvo n. 106/2006)[17]; pertanto, è ammissibile soltanto nei seguenti casi:
ove il sostituto non si attenga ai principi e ai criteri generali relativi all’attività d’indagine, predeterminati dal procuratore nel progetto organizzativo
ove il sostituto non si attenga ai principi e ai criteri generali relativi all’attività d’indagine, predeterminati dal procuratore nell’atto di assegnazione del procedimento;
ove sorga contrasto circa le modalità di applicazione dei suddetti criteri;
ove sorga contrasto nell’ambito dell’assenso sulle misure cautelari; nella materia cautelare, infatti, in caso di contrasto tra Procuratore della Repubblica e sostituto, ai fini della revoca dell’assegnazione, la mera difformità nella valutazione del merito delle scelte da adottare è stata ritenuta di per sé idonea a legittimare la revoca del fascicolo e la sua assegnazione ad altro magistrato; tale scelta trova giustificazione sia nel fatto che, in materia cautelare, l’assenso del procuratore è necessario e indeclinabile per espressa volontà legislativa (art. 3 d.lvo n. 106/2006)[18]; sia “nella finalità del corretto perseguimento di linee uniformi di indirizzo e di condotta dell'ufficio di procura, rispetto a quella (la materia cautelare) che ben può dirsi intrinsecamente la più rilevante delle attività affidate all'organo dell'investigazione e dell'accusa[19].”
Al di fuori di queste ipotesi, il mero contrasto sul merito delle determinazioni da assumere dopo la chiusura delle indagini preliminari, condotte in conformità ai criteri tipizzati nel documento organizzativo o individuati con l’atto di assegnazione, non può ritenersi fatto costitutivo idoneo alla revoca esulando dal perimetro di applicazione così come delineato dalla normativa primaria[20].
1.3.j. La nomina del vicario
In alcuni progetti s’è rilevata la nomina del vicario in persona del sostituto.
Sul punto il Consiglio ha precisato che – sebbene la circolare, all’art. 7 comma 5 lett. c), preveda “equivocamente” la possibilità di individuare il vicario in un magistrato che non sia l’aggiunto – la normativa primaria (art. 1, comma 3, del D.lvo 106/2006)[21] non lascia dubbi sul fatto che il Vicario possa essere designato esclusivamente tra i procuratori aggiunti.
D’altra parte lo stesso art. 6, comma 1, circ. proc. prescrive che il vicario può essere nominato “solo tra i procuratori aggiunti”, aggiungendo che “Quando non è presente in pianta organica un Procuratore Aggiunto, trova applicazione il comma 5 del presente articolo”, comma che a sua volta stabilisce che “Negli uffici in cui non è nominato il Vicario, in caso di assenza o impedimento del Procuratore, la reggenza o supplenza nella direzione dell’ufficio appartiene al Procuratore aggiunto o, in mancanza, al magistrato più anziano nel ruolo”.
Sia la normativa primaria (art. 1, comma 3, D.lvo 106/2006), che quella secondaria (art. 6 comma 1 circ. proc.), pertanto, prevedono che negli uffici in cui non è presente l’aggiunto, soltanto il magistrato più anziano (in ruolo) possa sostituire il Procuratore in caso di assenza o impedimento, come previsto dall’art. 109 dell’ordinamento giudiziario (cfr nota 36).
1.3.k. Le previsioni inerenti alla DDA e all’Antiterrorismo[22]
In relazione alla D.D.A. non sono state riscontrate significative criticità.
Tendenzialmente, nella maggior parte dei progetti organizzativi degli uffici distrettuali sono state sostanzialmente rispettate (salvo pochi casi) le previsioni della circolare (parte VI artt. 18/25 circ. proc.) riguardanti:
- i criteri per la formazione delle D.D.A. di cui all’art. 19 circ. proc. (il numero dei sostituti chiamati a farne parte determinato nella misura di un quarto dei sostituti in organico presso la procura distrettuale, salvo motivata deroga in aumento o in diminuzione; i magistrati non sono stati destinati a svolgere attività ulteriore rispetto a quella propria della DDA, ovvero, sono state indicate comprovate e motivate esigenze di servizio dell’ufficio a sostegno della deroga; sono stati designati componenti della D.D.A. soltanto i sostituti che hanno conseguito almeno la prima valutazione di professionalità);
- i criteri per la designazione dei sostituti alla Direzione Distrettuale Antimafia nel rispetto dell’art. 20 circ. proc.;
- i Procuratori Aggiunti sono stati designati quali componenti (negli uffici in cui la D.D.A. è articolata in più unità di lavoro), con funzioni di collaborazione nella direzione e nel coordinamento, ai sensi dell’art. 21 circ. proc.;
- raramente sono state conferite agli aggiunti (mai ai sostituti) le funzioni di direzione, di regola trattenute dai dirigenti;
- i criteri di assegnazione degli affari ai magistrati della D.D.A.;
- i criteri di co-assegnazione secondo quanto espressamente richiesto all’art. 25 circ. proc.[23].
Con riferimento alle Sezioni Antiterrorismo (Risoluzione del 16 marzo 2016), pressoché tutte le procure distrettuali hanno previsto l’individuazione di un gruppo di lavoro competente per la trattazione di indagini in materia[24] e, ai fini dell’accesso, l’interpello, il provvedimento motivato contenente la valutazione comparativa per la designazione e i limiti temporali di permanenza.
Sono, invece, mancate le previsioni, previste dalla Risoluzione del 2016, inerenti alla verifica periodica del contributo individuale offerto e dei risultati conseguiti dal magistrato; alla comunicazione al CSM delle nomine, delle variazioni e delle verifiche periodiche; alla disciplina dei rapporti di collaborazione e coordinamento tra i sostituti distrettuali competenti e la D.N.A.A..
1.4. Un cenno ad alcune pratiche di particolare rilevanza
Per completezza di esposizione, meritano di essere ricordate alcune pratiche, non inerenti ai documenti organizzativi degli uffici, ma significative per l’impatto delle questioni trattate sui sostituti procuratori e per la rilevanza delle conclusioni cui è pervenuto il Consiglio.
Si tratta delle pratiche a seguire menzionate (per la cui motivazione si rinvia al contenuto della relativa delibera, facilmente reperibile su Cosmag):
-la pratica concernente la non conformità della designazione alla DDA di un magistrato gravato da un procedimento disciplinare per rivelazione di segreti d’ufficio (n. 601/OP/2020 – delibera del 3.9.2021), in cui il Consiglio di Stato ha peraltro avallato l’orientamento consiliare;
-la pratica concernente la non conformità della designazione alla DDA avvenuta in violazione dei criteri attitudinali indicati dall’art. 20 della circolare (n. 269/OP/2020 – n. 3 delibere), in cui si è registrata la destinazione alla DDA di sostituti a scapito di altri che avevano maturato una più solida ed ampia esperienza nella trattazione di procedimenti di cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p., che è il primo degli indicatori di cui all’art. 20 circ. proc.; in proposito occorre chiedersi se non sia opportuno valorizzare le esperienze specifiche nella trattazione di procedimenti di competenza DDA, ma senza arrivare ad un automatismo per cui chi ha già maturato pregressa esperienza nella DDA prevarrà comunque sugli aspiranti che non la abbiano, con la conseguente necessità di considerare anche altri fattori rilevanti, soprattutto per le DDA collocate in regioni diverse da quelle dove operano le mafie storiche, quali la conoscenza della criminalità del territorio, le esperienze in materia di reati economici, riciclaggio e pubblica amministrazione;
-la pratica concernente un provvedimento di revoca di assegnazione, qualificato dal Consiglio in termini di “sostituzione” del sostituto (artt. 53 c.p.p. e 12 circ. proc.), che il Consiglio ha ammesso, anche in fase di indagini, ove ricorrano i presupposti di cui all’art. 53 c.p.p. (n. 481/OP/2018 – delibera del 22.2.2023)[25];
- la pratica riguardante un provvedimento di revoca di assegnazione, adottato a seguito di contrasto circa l’assenso sulla richiesta di misura cautelare (n. 184/OP/2021 – delibera del 29.3.2023)[26].
2. La Riforma Cartabia: la legge n. 71/2022
2.1. Le norme riguardanti i progetti organizzativi
In data 21 giugno 2022, è entrata in vigore la legge n. 71 del 17 giugno 2022 (di seguito: Riforma) contenente “Deleghe al Governo per la Riforma dell’ordinamento giudiziario e per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare, nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura”.
In particolare, l’articolo 1, comma 1, stabilisce che “Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni finalizzate alla trasparenza e all’efficienza dell’ordinamento giudiziario, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi previsti dal presente capo, in relazione” ad una serie di ambiti, tra cui, alla lettera a), per quanto in questa sede rileva, “alla revisione dell’assetto ordinamentale della magistratura, con specifico riferimento alla .... Riforma del procedimento di approvazione delle tabelle organizzative degli uffici giudicanti”.
Il successivo articolo 2, comma 2, precisa i “principi e criteri direttivi” da rispettare “Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1 ….”, in relazione “alla disciplina della formazione e approvazione delle tabelle di organizzazione degli uffici previste dagli articoli 7-bis e 7-ter dell’ordinamento giudiziario”, declinandoli alle successive lettere a), b) e c).
Orbene, se la lettera a) riguarda esclusivamente le tabelle degli uffici giudicanti, le lettere b) e c), rispettivamente riguardanti i moduli standard e le procedure di approvazione (con il rivoluzionario sistema del “silenzio assenso”), menzionano anche i progetti organizzativi degli uffici requirenti:
b) prevedere che i documenti organizzativi generali degli uffici, le tabelle e i progetti organizzativi siano elaborati secondo modelli standard stabiliti con deliberazione del Consiglio superiore della magistratura e trasmessi per via telematica; prevedere altresì che i pareri dei consigli giudiziari siano redatti secondo modelli standard, contenenti i soli dati concernenti le criticità, stabiliti con deliberazione del Consiglio superiore della magistratura;
c) semplificare le procedure di approvazione delle tabelle di organizzazione degli uffici previste dall’articolo 7-bis dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e dei progetti organizzativi dell’ufficio del pubblico ministero, prevedendo che le proposte delle tabelle di organizzazione degli uffici e dei progetti organizzativi dell’ufficio del pubblico ministero e delle relative modifiche si intendano approvate, ove il Consiglio superiore della magistratura non si esprima in senso contrario entro un termine stabilito in base alla data di invio del parere del consiglio giudiziario, salvo che siano state presentate osservazioni dai magistrati dell’ufficio o che il parere del consiglio giudiziario sia a maggioranza”.
Ed ancora, se l’articolo 6 della legge n. 71/2022 rimette ai decreti legislativi attuativi della delega il “coordinamento delle disposizioni vigenti con le disposizioni introdotte in attuazione della medesima delega, anche modificando la formulazione e la collocazione delle disposizioni” tra le altre, “del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106”, che riguarda la riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero, l’articolo 13, comma 1, interviene direttamente nelle modifiche formalmente rimesse ai decreti delegati.
Tale norma, infatti, sostituisce i commi 6 e 7 dell’articolo 1 del d.lgs 20 febbraio 2006, n. 106, con le seguenti previsioni:
“6. Il procuratore della Repubblica predispone, in conformità ai princìpi generali definiti dal Consiglio superiore della magistratura, il progetto organizzativo dell’ufficio, con il quale determina:
le misure organizzative finalizzate a garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, tenendo conto dei criteri di priorità di cui alla lettera b);
i criteri di priorità finalizzati a selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre e definiti, nell’ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, tenendo conto del numero degli affari da trattare, della specifica realtà criminale e territoriale e dell’utilizzo efficiente delle risorse tecnologiche, umane e finanziarie disponibili;
i compiti di coordinamento e di direzione dei procuratori aggiunti;
i criteri di assegnazione e di coassegnazione dei procedimenti e le tipologie di reato per le quali i meccanismi di assegnazione dei procedimenti sono di natura automatica;
i criteri e le modalità di revoca dell’assegnazione dei procedimenti;
i criteri per l’individuazione del procuratore aggiunto o comunque del magistrato designato come vicario, ai sensi del comma 3 (in realtà, il comma 3 prevede che solo il procuratore aggiunto possa essere nominato vicario);
i gruppi di lavoro, salvo che la disponibilità di risorse umane sia tale da non consentirne la costituzione, e i criteri di assegnazione dei sostituti procuratori a tali gruppi, che devono valorizzare il buon funzionamento dell’ufficio e le attitudini dei magistrati, nel rispetto della disciplina della permanenza temporanea nelle funzioni, fermo restando che ai componenti dei medesimi gruppi di lavoro non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati.
7. Il progetto organizzativo dell’ufficio è adottato ogni quattro anni, sentiti il dirigente dell’ufficio giudicante corrispondente e il presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati, ed è approvato dal Consiglio superiore della magistratura, previo parere del consiglio giudiziario e valutate le eventuali osservazioni formulate dal Ministro della giustizia ai sensi dell’articolo 11 della legge 24 marzo 1958, n. 195. Decorso il quadriennio, l’efficacia del progetto è prorogata fino a che non sopravvenga il nuovo. Con le medesime modalità di cui al primo periodo, il progetto organizzativo può essere variato nel corso del quadriennio per sopravvenute esigenze dell’ufficio.”.
A ben guardare, dunque, la delega di riforma, formalmente prevista per le tabelle degli uffici giudicanti, riguarda, invece, ed incisivamente, anche i progetti organizzativi degli uffici requirenti.
Va, da ultimo, segnalato che la legge n. 71/2022 ha, altresì, introdotto rilevanti modifiche in materia di illeciti disciplinari, aggiungendo, all’art. 2 d.lvo 109/2006 (Illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni), tra gli altri, l’illecito consistente nella “reiterata o grave inosservanza delle direttive”, illecito che, prima della novella, riguardava soltanto la “reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario o sui servizi organizzativi e informatici adottate dagli organi competenti”.
In proposito, non si è ancora registrato un orientamento del Consiglio, sicché resta da chiarire il significato del termine “direttiva” e, soprattutto, l’ambito cui essa inerisce: sarà importante, invero, capire se essa riguardi esclusivamente aspetti organizzativi dell’ufficio ovvero anche profili più strettamente collegati all’esercizio dell’attività giudiziaria.
2.2. Le principali novità in tema di progetti organizzativi
2.2.1. Gli aspetti innovativi in generale
Le novità introdotte dalla legge n. 71/2022, dunque, riguardano essenzialmente 5 aspetti:
1) l’attribuzione al Consiglio della prerogativa di definire i “principi generali” cui devono conformarsi i procuratori nella predisposizione del progetto organizzativo; prerogativa che il Consiglio riacquista dopo averla persa con le riforme ordinamentali del 2006, sicché oggi esso è espressamente (nuovamente) chiamato ad elaborare, come per le tabelle degli uffici giudicanti, la circolare in materia di organizzazione degli uffici requirenti, che deve indirizzare la predisposizione dei prossimi progetti organizzativi[27];
2) la normativa primaria interviene sulle modalità di elaborazione del progetto organizzativo: il procuratore vi provvede, sulla base dei moduli standard predisposti dal Consiglio[28], “sentiti il dirigente dell’ufficio giudicante corrispondente e il presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati” (come peraltro, già previsto dalla vigente circolare che, tuttavia, coinvolge il consiglio dell’ordine degli avvocati e non solo il Presidente);
3) la normativa primaria interviene, altresì, sul contenuto del progetto organizzativo, indicando gli aspetti che i dirigenti devono in esso necessariamente disciplinare (art. 1, comma 6, d.lvo n. 106/2006);
4) i criteri di priorità, che devono essere determinati dal Procuratore, nel progetto organizzativo, “nell’ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge”;
5) la durata e l’approvazione del progetto organizzativo: oltre alla previsione della durata quadriennale, i progetti, come le relative modifiche, vengono espressamente sottoposti all’approvazione del Consiglio (secondo la procedura semplificata di cui all’art. 2, comma 2, legge n. 71/2022, per cui si attende l’esercizio della delega); anche in questo caso, il Consiglio si riappropria di un compito sottrattogli dalla riforma del 2006[29], chiarendosi che debba procedere “previo parere del consiglio giudiziario, valutate le eventuali osservazioni formulate dal Ministro della giustizia ai sensi dell’articolo 11 della legge 24 marzo 1958, n. 195.”.
2.2.2. Le novità sul contenuto del progetto organizzativo e i criteri di priorità
Sul piano del contenuto, le novità introdotte dal nuovo comma 6 dell’art. 1 d.lvo 106/2006 sono, per la gran parte, la ripetizione di previsioni contenute nella vigente circolare[30]:
la lettera a), ricalca l’art. 2, commi 1 e 2, circ. proc.;
la lettera c), ricalca l’art. 7, comma 4, lett. d), circ. proc.;
la lettera d), ricalca l’art. 7, comma 4, lett. c), circ. proc.;
la lettera e), ricalca l’art. 7, comma 4, lett. i), circ. proc.;
la lettera f), ricalca l’art. 7, comma 5, lett. c), circ. proc. (l’individuazione del Vicario diviene previsione obbligatoria mentre oggi è facoltativa);
la lettera g), ricalca l’art. 7, comma 4, lett. a) e b), circ. proc. (la circolare prevede anche l’assegnazione degli aggiunti ai gruppi di lavoro, non solo l’assegnazione dei sostituti).
Altre previsioni della vigente circolare sul contenuto del progetto organizzativo[31] non sono confluite nella normativa primaria sicché il Consiglio, in sede di elaborazione della nuova circolare, dovrà valutarne la compatibilità (che, si anticipa, non sembra esclusa) con il rinnovato comma 6, dell’art. 1, del d.lvo n. 106/2006.
In altra parte, le novità introdotte hanno portata rivoluzionaria; ci si riferisce ai criteri di priorità di cui alla lettera g) del nuovo comma 6 d.lvo 106/2006:
i criteri di priorità degli uffici requirenti trovano la loro fonte nella normativa primaria (che prima si era occupata dei soli criteri di priorità degli uffici giudicanti)[32];
divengono parte del contenuto “necessario” del progetto organizzativo (mentre la circolare li aveva previsti quale contenuto “eventuale”), che deve essere predisposto “in conformità ai principi generali definiti dal Consiglio superiore della magistratura”;
devono essere determinati dal procuratore “nell’ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge”.
Attendiamo, dunque, il legislatore, tenendo conto che anche il d.lvo 150/2022 (c.d. riforma penale) contiene espressi riferimenti ai “criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo”, peraltro, prevedendo l’obbligo del pubblico ministero di conformarvisi[33].
I criteri di priorità degli uffici requirenti, quindi, dovranno muoversi nell’ambito di una duplice normativa: quella primaria (criteri generali stabiliti dal Parlamento) e, nel rispetto di questa, quella consiliare (principi generali definiti dal Consiglio per i progetti organizzativi), con la quale sarà necessario provvedere alla totale rivisitazione dell’attuale assetto di normazione secondaria in materia di criteri di priorità, che può dirsi ormai superato[34].
I pubblici ministeri, a loro volta, “Nella trattazione delle notizie di reato e nell'esercizio dell'azione penale”, dovranno fare i conti con l’obbligo di rispettare i criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo (art. 3, d.att. cpp) e, pertanto, con un assetto normativo e organizzativo completamente diverso da quello vigente. Attualmente, infatti, i criteri di priorità “sono efficaci nei confronti dei magistrati dell’ufficio requirente come necessario criterio di riferimento, nella parte in cui indicano le priorità, ferma la possibilità per il singolo sostituto di valutare, con prudente apprezzamento, se le peculiarità del caso concreto giustifichino la deroga a tale criterio di riferimento, informando in tal caso il Procuratore della Repubblica nei casi più rilevanti, nell’ambito dei rapporti di leale collaborazione con la dirigenza dell’ufficio; per la residua parte varranno come criteri generali ed astratti di orientamento;” (cfr delibera del 21 dicembre 2021, richiamata in nota 49).
E’ in questo nuovo ambito che – si spera - il Parlamento, il Consiglio e i Procuratori si facciano carico delle rispettive responsabilità e, ciascuno nell’alveo delle proprie competenze, convergano nell’unica direzione possibile: il rispetto delle irrinunciabili garanzie costituzionali, costituite dal principio del buon andamento e imparzialità (art. 97 cost); dai principi di autonomia e indipendenza (artt. 101 e 104 cost.); dall’inamovibilità per sede e funzione e la pari dignità dei magistrati (art. 107 cost); dai principi di obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 cost.), del giusto processo e della ragionevole durata del processo (art. 111 cost).
2.2.3. Le novità in tema di efficacia e di approvazione del progetto organizzativo
Sotto il profilo del periodo di efficacia del progetto organizzativo, è stata introdotta, come per le tabelle, la durata quadriennale, ferma la prorogatio (“l’efficacia del progetto è prorogata fino a che non sopravvenga il nuovo”).
In proposito, non può non segnalarsi una certa equivocità della norma che, da un lato, sottopone il progetto all’approvazione del Consiglio (così, apparentemente, condizionandone l’efficacia al suo intervento), dall’altro, sembra correlare alla mera elaborazione del progetto la decorrenza della sua efficacia (l’efficacia del progetto è prorogata fino a che non sopravvenga il nuovo). Si prospettano sul punto non pochi problemi e ciò, a fortiori, ove si consideri che anche le modifiche ai progetti organizzativi sono oggi, al pari delle variazioni tabellari, soggette all’approvazione del Consiglio; a differenza della disciplina tabellare (cfr art. 7 bis o.g.[35]), tuttavia, non sono state introdotte norme sulla “immediata esecutività” sicché né il progetto né le relative modifiche, a normativa invariata, potrebbero produrre effetti fino a che non intervenga l’approvazione. Tale sistema rischia di rivelarsi dirompente se si pensa che, prima della Riforma, vigendo la mera “presa d’atto del Consiglio” (prevista dalla normativa secondaria), i progetti e le relative variazioni erano sempre e soltanto “immediatamente esecutivi”.
Sempre per quanto concerne la durata quadriennale introdotta dalla legge n. 71/2022, va ricordato che il Consiglio, con delibera del 28.7.2022[36], ha esteso l’efficacia dei progetti organizzativi vigenti (oltre che delle tabelle), originariamente elaborati per il triennio 2020/2022, al quadriennio 2020/2023, chiarendo che “Essi, come le rispettive variazioni e modifiche, sono regolati dalle circolari consiliari vigenti in relazione all’organizzazione degli uffici giudicanti e requirenti. Le tabelle ed i progetti organizzativi relativi al prossimo quadriennio (2024/2027) saranno, invece, disciplinati dalle circolari consiliari di prossima adozione, che terranno conto delle modifiche immediatamente precettive introdotte dalla Riforma, oltre che delle disposizioni dei decreti legislativi delegati da adottarsi entro un anno data di entrata in vigore della legge n. 71/2022.”.
Quanto al procedimento di approvazione (dei progetti e delle variazioni), per un verso, siamo in attesa dell’esercizio della delega di cui all’art. 2, comma 2, lettera c), legge n. 71/2022 (con la quale il governo deve provvedere a “semplificare le procedure di approvazione ..., prevedendo che i progetti organizzativi dell’ufficio del pubblico ministero e le relative modifiche si intendano approvate, ove il Consiglio superiore della magistratura non si esprima in senso contrario entro un termine stabilito in base alla data di invio del parere del consiglio giudiziario, salvo che siano state presentate osservazioni dai magistrati dell’ufficio o che il parere del consiglio giudiziario sia a maggioranza”); per altro verso, dobbiamo fare i conti con l’art. 1, comma 7, D.lvo 106/2006, come riformulato dall’art. 13 della legge n. 71/2022 (secondo il quale il Consiglio approva i progetti organizzativi, “previo parere del consiglio giudiziario e valutate le eventuali osservazioni formulate dal Ministro della giustizia….”).
Con la nuova circolare, pertanto, nel disciplinare il procedimento di approvazione, il Consiglio dovrà necessariamente:
a) regolamentare il meccanismo del c.d. silenzio assenso (per il quale si attende la delega), avendo cura di scongiurare il rischio che una molteplicità di pratiche vengano sottratte alla effettiva verifica consiliare;
b) riflettere sull’auspicabile introduzione di un meccanismo di approvazione parziale, come avviene per le tabelle, allo scopo di evitare la totale caducazione del documento organizzativo che, solo in parte, risulti non conforme alla normativa primaria e secondaria;
c) farsi carico di colmare il vuoto normativo, intervenendo in punto di esecutività dei progetti e delle relative variazioni, verificando la possibilità di estendere la disciplina tabellare (che distingue tra variazioni ordinarie, urgenti e immediatamente esecutive)[37].
Ne deriva, evidentemente, un sistema complesso, che il Consiglio potrà compiutamente definire solo dopo l’esercizio della delega, ma un dato è certo: se il parere del c.g. è unanimemente favorevole e non ci sono osservazioni dei magistrati interessati, il progetto si intende approvato (quindi esecutivo) se il Consiglio non si determina diversamente entro un certo termine (che si spera venga rimesso, in sede di esercizio della delega, alla normazione consiliare)[38].
Un siffatto sistema risulterà per il Consiglio di non facile gestione, sia per la quantità degli affari riguardanti gli uffici requirenti di tutto il paese, sia per le brevi tempistiche che il legislatore ha imposto (che dovrebbero essere precisate con l’esercizio della delega) per la loro valutazione: basti pensare che, nel periodo 24.1.2023 – 12.6.2023, meno di 5 mesi, la Settima Commissione (e il Consiglio in plenum) ha trattato e definito un flusso di pratiche degli uffici requirenti pari a 1.615 fascicoli (oltre ad almeno altrettante pratiche di altri settori), molti dei quali risalenti agli anni 2021/2022. Il consiglio, pertanto, a risorse invariate, potrà difficilmente garantire un adeguato esame dei progetti e delle relative variazioni entro termini inferiori ai 6 mesi.
2.3. Una valutazione complessiva della Riforma Cartabia
La valutazione complessiva della Riforma Cartabia in materia di progetti organizzativi non consente un bilancio finale del tutto negativo!
Essa, infatti, affianca ad aspetti che destano preoccupazione, profili indubbiamente apprezzabili:
- restituisce al Consiglio, esattamente come avveniva nella fase ante riforma del 2006, la prerogativa di definire i criteri generali cui i Procuratori devono conformarsi nella elaborazione dei progetti organizzativi: a breve, quindi, l’organo di autogoverno centrale dovrà adottare, come già avviene per le tabelle, la circolare sui progetti organizzativi 2024/2027 (i lavori sono già in corso), preoccupandosi di valutare se attendere l’esercizio della delega, ovvero anticiparlo, per poi adeguarvisi con successive integrazioni;
- vengono introdotti, per la prima volta, i modelli standard per i progetti dei diversi uffici requirenti e per il parere del consiglio giudiziario, che dovrà soffermarsi soltanto sugli aspetti critici: si tratta di un profilo estremamente positivo, che aiuterà sia i dirigenti, evidentemente facilitati nell’elaborazione dei progetti secondo un format prestabilito (che dovrebbe, peraltro, esporli a meno rilievi e/o osservazioni in sede di successiva valutazione finale); sia i c.g., che, grazie ai format, saranno guidati nell’esame dei documenti, con l’indicazione degli aspetti su cui soffermarsi e delle modalità dell’approfondimento valutativo; sia, conseguentemente, il Consiglio, che si troverà ad esaminare progetti, finalmente, pressoché omogenei e pareri dei c.g. che dovrebbero rivelarsi idonei a indirizzare la valutazione sulle sole effettive criticità;
- si attribuisce espressamente al Consiglio, il compito di approvare i progetti e le relative variazioni (che dopo il 2006 sono stati valutati con una mera presa d’atto): i procuratori, pertanto, saranno chiamati ad un attento lavoro di predisposizione del documento organizzativo onde evitarne la non approvazione; il Consiglio, dal canto suo, è tenuto, con la prossima circolare, a regolamentare la nuova procedura di approvazione che si prospetta tutt’altro che agevole[39];
- desta, tuttavia, perplessità il nuovo meccanismo della approvazione con il silenzio assenso (pur limitato ai progetti e alle variazioni sorretti dall’unanime parere favorevole del c.g. e senza osservazioni dei magistrati): esso, infatti, da un lato, renderà, di fatto, impossibile per il Consiglio esaminare l’enorme mole di pratiche, in tempi ristretti, nonostante l’esperienza degli ultimi anni insegni che, in numerosi casi, le previsioni organizzative sono risultate difformi dalla normativa in materia anche in assenza di rilievi del c.g. e/o osservazioni dei colleghi; dall’altro lato, conseguentemente, renderà efficaci i progetti organizzativi e le relative variazioni, trascorso un certo termine, in assenza della valutazione consiliare, con il serio rischio di rendere operative previsioni organizzative che, in astratto, potrebbero anche essere pregiudizievoli per i magistrati, che magari non hanno avuto il coraggio di presentare esplicite osservazioni;
- preoccupa, inoltre, come già anticipato, la novella in tema di criteri di priorità: la rimessione al legislatore della indicazione dei “criteri generali” in tema di priorità degli uffici requirenti (legge n. 71/22) rischia di minare la garanzia costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale; l’obbligo per i sostituti di conformarvisi nella trattazione degli affari e nell’esercizio dell’azione penale (d.lvo n. 150/2022), di conseguenza, rischia di mettere in discussione il principio costituzionale dall’autonomia e dell’indipendenza. Naturalmente ci si auspica che il Parlamento si faccia carico di queste problematiche, provvedendo con cautela e senso di responsabilità nel compito attribuitogli;
- non convince, infine, il nuovo illecito disciplinare consistente nella “reiterata o grave inosservanza delle direttive” ove si pensi che, prima della novella, l’illecito riguardava soltanto la “reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario o sui servizi organizzativi e informatici adottate dagli organi competenti”: ad oggi, la sezione disciplinare del Consiglio non ha ancora avuto modo di confrontarsi con tale illecito, ma si auspica che la fattispecie venga, correttamente, riportata nell’alveo dei profili organizzativi e amministrativi di un ufficio; diversamente – ove per esempio la direttiva venga estesa ai profili delle indagini e, più in generale, all’esercizio dell’attività giudiziaria - si prospetta un altro serio rischio di minare l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati.
Restiamo in trepidante attesa, ma due considerazioni conclusive appaiono doverose:
1) in questo momento storico è quanto mai indispensabile che gli uffici requirenti siano diretti da procuratori autorevoli, capaci, competenti, che interpretino l’interlocuzione con i magistrati dell’ufficio (ivi compresa la magistratura onoraria) come momento di autentica condivisione di problematiche e di soluzioni; di dirigenti che esercitino ogni loro prerogativa con il solo obiettivo della funzionalità degli uffici e del rispetto dell’autonomia, dell’indipendenza e delle aspettative professionali dei magistrati che vi lavorano;
2) in un contesto in cui sembrano contrapporsi, da un lato, i criteri di priorità (che, incidendo sul principio di obbligatorietà dell’azione penale, lasciano spazio a spinte verticistiche), dall’altro, la sottoposizione dei progetti organizzativi al c.d. metodo tabellare (che è la più ampia garanzia possibile del singolo magistrato inquirente dalle scelte gerarchiche dei capi degli uffici requirenti), fondamentale è il ruolo che investirà il Parlamento, il Consiglio e i Procuratori che avranno il dovere di individuare il migliore bilanciamento possibile tra la spinta verticistica insita nei criteri di priorità (sempre che il Parlamento intenda stabilire i criteri generali) e la direzione orizzontale e diffusa dell’organizzazione degli uffici requirenti nuovamente rimessa al Consiglio.
[1] Ai sensi dell’art. 7 comma 1 circ. proc., il progetto ha validità triennale (oggi quadriennale), corrispondente al periodo di vigenza delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti e deve essere redatto nei tre mesi successivi alla sua scadenza.
Il Procuratore della Repubblica che assuma le funzioni durante il periodo di vigenza di quello precedente, deve redigere il progetto nei sei mesi successivi all’immissione in possesso, dando atto dell’attuazione, attraverso il progetto adottato, delle soluzioni organizzative presentate al momento della domanda per la nomina, ovvero delle ragioni per cui ciò non è potuto avvenire.
Il progetto dev’essere nuovamente redatto al compimento del periodo di vigenza delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti.
La mancata redazione del progetto entro i predetti termini (6 mesi dall’immissione in possesso e/o 3 mesi successivi alla scadenza) è rilevata con provvedimento del C.S.M., inserito nel fascicolo personale del dirigente anche ai fini delle valutazioni di professionalità e della conferma.
[2] Quanto all’individuazione delle attività riconducibili al coordinamento dei gruppi di lavoro, nella risposta a quesito di cui alla delibera del 17.11.2021, il Consiglio ha avuto modo di precisare che “…. – sebbene la circolare non individui tutti gli specifici compiti in cui si possono estrinsecare le funzioni di coordinamento - dagli artt. 4 e 5 è possibile ricavarne il contenuto essenziale. Tali funzioni, invero, consistono, a titolo esemplificativo – oltre che in tutte le attività tese a promuovere e garantire l’efficace coordinamento fra i componenti dei gruppi di lavoro, l’eventuale elaborazione di protocolli investigativi ed organizzativi, lo svolgimento di riunioni periodiche tra i magistrati dei singoli gruppi di lavoro, al fine di realizzare lo scambio di informazioni sull’andamento dell’ufficio e sui fenomeni criminali, sulle novità giurisprudenziali e le innovazioni legislative, sull’andamento del servizio - nei compiti di assegnazione e/o coassegnazione degli affari; di risoluzione dei contrasti in ordine all’assegnazione degli affari all’interno del gruppo di lavoro o tra differenti gruppi; di apposizione del visto e/o dell’assenso; di direzione, indirizzo e coordinamento investigativo; di verifica periodica della distribuzione dei carichi di lavoro, al fine di assicurarne la costante equità nel rispetto degli obiettivi di funzionalità ed efficienza dell’ufficio; di convocazione di riunioni periodiche di coordinamento tra i sostituti e con la polizia giudiziaria, finalizzate alla omogeneità delle soluzioni investigative ed interpretative; di istituzione di specifici obblighi di riferire e fornire informazioni; di cura del rispetto dei criteri di assegnazione degli affari e della loro distribuzione in modo equo e funzionale ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. a) e dell’art. 7, comma 3.
Ciò chiarito, si desume che il coordinatore del gruppo di lavoro non potrà che essere il magistrato – l’aggiunto o, nei limiti in cui consentito dalla circolare, il sostituto - deputato allo svolgimento di tutti i predetti compiti (o anche solo parte di essi), senza possibilità di ipotizzare l’ulteriore sub delega, anche parziale, di tali compiti di coordinamento organizzativo a figure alternative sottratte alla disciplina del coordinatore delineata dalla normazione secondaria (quali, ad esempio, magistrati collaboratori, magistrati di riferimento, referenti e simili)”.
[3] Ai sensi dell’art. 4 comma 1 lett. b) circ. proc., il Procuratore della Repubblica, quando non ritiene di assumerlo direttamente, affida il coordinamento di ciascun gruppo di lavoro ad un Procuratore Aggiunto, seguendo il procedimento previsto dal successivo art. 5; qualora non sia prevista in pianta organica la presenza di uno o più Procuratori Aggiunti o non sia possibile, per specifiche ed obiettive ragioni espressamente individuate, affidare il coordinamento ad un Procuratore Aggiunto ed appaia indispensabile per il buon funzionamento dell’Ufficio, delega per lo svolgimento di tali funzioni un magistrato coordinatore; il Procuratore, quando affida il coordinamento di un gruppo ad un sostituto procuratore, motiva espressamente in ordine alle ragioni della decisione, procede preventivamente ad interpello, indica i criteri di individuazione del magistrato coordinatore e la durata dell’incarico affidato in funzione delle esigenze organizzative che lo hanno determinato, attenendosi alle modalità disciplinate nella presente circolare; l’incarico di coordinamento di un gruppo di lavoro non può avere durata superiore a due anni e non è prorogabile, salvo che per ulteriori sei mesi per specifiche ed imprescindibili esigenze di servizio.
[4] Come visto, con delibera del 16.6.2022, il Consiglio ha modificato l’art. 7, comma 4,lettere a) e b), circ. proc. (cfr paragrafo 4.2).
[5] L’art. 19 del DLvo n. 160 del 30 gennaio 2006, come modificato dall'art. 5 della legge 30 luglio 2007 n. 11, ha introdotto per i magistrati che esercitano funzioni di primo e secondo grado nuove regole per il periodo di permanenza massimo nella stessa posizione tabellare per quanto riguarda gli uffici giudicanti o nel medesimo gruppo di lavoro per quanto attiene agli uffici requirenti.
Questo Consiglio ha dato attuazione alla disposizione del citato art. 19 con il regolamento approvato in data 13 marzo 2008 e succ. mod. all’11 febbraio 2015. Il Regolamento – che si applica alle procure della Repubblica composte da magistrati in numero superiore a otto unità compreso il procuratore della Repubblica e alle direzioni distrettuali antimafia (art. 2) – disciplina la “Proroga dello svolgimento delle medesime funzioni” (art. 3) e il “Computo dei termini di permanenza e modalità di rientro” (art. 4), con l’indicazione delle cause sospensive e con le precisazioni che “La sospensione dei termini di permanenza massima non potrà comunque avere durata complessiva superiore agli anni due” e che “Il magistrato trasferito a seguito del superamento dei termini massimi di cui all’art. 2 può tornare nella medesima posizione tabellare o nello stesso gruppo di lavoro soltanto dopo che siano trascorsi cinque anni dalla presa di possesso nel nuovo incarico”.
Con delibera consiliare del 14 dicembre 2011, inoltre, il Consiglio ha ribadito l'inderogabilità del termine fissato con delibera del 13 marzo 2008 in materia di permanenza nell'incarico presso lo stesso ufficio (gruppo di lavoro), pur prevedendosi la possibilità che le procedure per l'avvicendamento dei gruppi siano portate a compimento successivamente, entro un termine comunque non eccedente i sei mesi.
[6] Per le sole Procure distrettuali, la lettera k) dell’art. 7, comma 4, circ. proc., prevede l’indicazione dei criteri per il funzionamento e l’assegnazione dei procedimenti della D.D.A. e delle sezioni antiterrorismo, nel rispetto della specifica disciplina primaria e, rispettivamente, della parte VI della presente circolare e della vigente risoluzione in materia di antiterrorismo del 16 marzo 2016.
[7] L’art. 25 commi 2, 3 e 4 prevede in proposito che:
2. Il provvedimento di co-assegnazione di un procedimento per reati indicati nell’art. 51, comma 3 bis, c.p.p. a magistrato non componente della D.D.A. è adottato dal Procuratore della Repubblica, o dal suo delegato preposto all’attività della Direzione con decreto specificamente motivato in relazione alla competenza del sostituto co-assegnato in specifici settori di indagine complementari, tenendo anche conto dell’esigenza di promuovere, attraverso la rotazione nella co-assegnazione, una formazione diffusa nella specifica materia.
3. L’assegnazione di cui al comma 2 deve avere riguardo alla necessità di disporre, nella trattazione del procedimento, di specifiche professionalità ulteriori e diverse rispetto a quelle proprie dei magistrati della D.D.A., ovvero di far fronte all’esigenza di un’equa ripartizione del carico di lavoro o, ancora, di non disperdere le conoscenze del magistrato che abbia avviato le indagini nell’ambito di diversa sezione dell’ufficio. Nella co-assegnazione dei procedimenti di cui al comma 2 il Procuratore della Repubblica ha cura di valorizzare le specifiche professionalità ed attitudini dei magistrati dell’ufficio e, al tempo stesso, di assicurare agli stessi pari opportunità di accesso.
4. L’assegnazione non può essere disposta nelle fasi successive alle indagini preliminari, salvo che ricorrano motivate ragioni che impediscano al magistrato titolare del procedimento o ad altro facente parte della D.D.A. di intervenire all’udienza.
[8] Ai sensi della risoluzione del 16 marzo 2016 il modulo organizzativo da adottarsi in materia di antiterrorismo può essere variamente articolato in autonome sezioni specializzate o semi specializzate, in gruppi di lavoro interni a singole sezioni o trasversali a più sezioni, nell’inglobamento della competenza antiterrorismo nella DDA; i procedimenti per reati di <terrorismo>, possono anche essere inseriti nelle sezioni competenti per i reati in materia di immigrazione, o nell’ambito dei reati in materia finanziaria, o, ancora, legati alla trattazione dei reati in materia di sostanze stupefacenti, ecc..
[9] Con particolare riguardo a: l’interpello; la valutazione comparativa delle attitudini e delle esperienze professionali nell’ambito di un provvedimento motivato; i limiti temporali di permanenza; la verifica periodica del contributo individuale offerto e dei risultati conseguiti dal magistrato; la comunicazione al CSM delle nomine, delle variazioni e delle verifiche periodiche.
[10] L’articolo 46 della circolare, al comma 2 lettera b), prevede che agli uffici requirenti si applicano altresì le specifiche disposizioni contenute nella circolare in materia di supplenze, assegnazioni, applicazioni e magistrati distrettuali (adottata con delibera del 20 giugno 2018 e s.m.). Tale circolare, all’art. 22 (Indicazione dei supplenti nelle proposte tabellari e nei progetti organizzativi) prevede:
1. Le proposte tabellari e i progetti organizzativi devono indicare i magistrati destinati a svolgere compiti di supplenza nelle ipotesi di mancanza o temporaneo impedimento di quelli previsti quali titolari delle funzioni, in modo da permettere l’automatica identificazione del supplente per ciascun magistrato.
2. A tal fine, ove manchi l’indicazione nominativa specifica, vanno indicati i criteri oggettivi da osservare nell’adozione del provvedimento di supplenza, con specifico riguardo alle modalità di scelta del supplente.
Il successivo art. 23 (Casi di supplenza) prevede che si può fare ricorso alla supplenza nei casi di:
a) assenza o impedimento temporanei;
b) assenza superiore a quindici giorni, originata da aspettativa per malattia o per motivi di famiglia, ove non sia possibile provvedere mediante la destinazione di magistrati distrettuali;
c) assenza superiore a trenta giorni nei casi di congedo previsto dalla legge 8 marzo 2000, n. 53e successive modifiche, ove non sia possibile provvedere mediante la destinazione di magistrati distrettuali.
[11] L’art. 1, comma 3, D. Lvo n. 106/2006 stabilisce che “Il procuratore della Repubblica può designare, tra i procuratori aggiunti, il vicario, il quale esercita le medesime funzioni del procuratore della Repubblica per il caso in cui sia assente o impedito ovvero l'incarico sia rimasto vacante”.
L’art. 109 Ord. Giud. (Supplenza di magistrati del pubblico ministero), prevede che “In caso di mancanza o di impedimento: del procuratore generale, regge l'ufficio l'avvocato generale o il sostituto anziano; del procuratore della Repubblica, ove non sia stato nominato un vicario, regge l'ufficio il procuratore aggiunto o il sostituto anziano; di tutti o alcuni dei magistrati degli uffici del pubblico ministero del distretto, il procuratore generale presso la corte di appello può disporre che le relative funzioni siano esercitate temporaneamente da altri magistrati di altri uffici del pubblico ministero del distretto”.
[12] Ai sensi dell’art. 8, comma, 1, circ. proc., l’iter procedimentale di elaborazione del progetto organizzativo prevede: la comunicazione della proposta di progetto organizzativo ai magistrati dell’ufficio almeno quindici giorni prima dell’assemblea generale; la trasmissione della medesima proposta al Presidente del tribunale; la tenuta dell’assemblea generale, con redazione ed allegazione del relativo verbale; la comunicazione del provvedimento organizzativo, all’esito dell’assemblea, ai magistrati dell’ufficio e al Presidente del Tribunale; la presentazione di eventuali osservazioni entro quindici giorni dall’avvenuta comunicazione; l’adozione del decreto, decorso tale termine, dando conto delle eventuali osservazioni; la comunicazione del decreto finale ai magistrati dell’ufficio.
[13] Le criticità, in particolare, hanno riguardato: l’interlocuzione con i magistrati dell’ufficio; il termine dei 15 giorni antecedenti la convocazione dell’assemblea per la comunicazione della proposta; la convocazione dell’assemblea generale; la trasmissione della proposta e poi del provvedimento al Presidente del Tribunale e/o ai magistrati; l’allegazione del verbale di assemblea.
[14] Posta, infatti, la eventualità e discrezionalità della scelta del Dirigente di individuare settori di affari da assegnare ad un gruppo di magistrati (art. 1 comma 6 lettera b, del D.lvo 106/06), appare chiaro che – ove il Procuratore si avvalga dell’opzione di individuare i gruppi di lavoro – essi dovranno avere ad oggetto “specifici settori di affari, individuati con riguardo ad aree omogenee di procedimenti ovvero ad ambiti di attività dell’ufficio che necessitano di uniforme indirizzo”, per espressa previsione dell’art. 1 comma 4 del D.lvo 106/06.
L’omogeneità e la uniformità cui la citata disposizione fa riferimento non possono che essere intese sotto il profilo oggettivo, dunque con riferimento a categorie di reati, o di beni giuridici lesi ovvero ancora di indirizzi e azioni investigative e giammai sotto il profilo meramente soggettivo dell’appartenenza degli autori, di qualsivoglia reato, ad una determinata categoria (nel caso di specie la polizia giudiziaria). Diversamente opinando, infatti, si legittimerebbero palesi violazioni dei principi di uguaglianza e parità di trattamento, sia dal punto di vista degli indagati e delle persone offese, sia dalla prospettiva dei magistrati, tanto quelli specializzati in settori specifici, quanto quelli chiamati a comporre il predetto gruppo di lavoro, con conseguente detrimento della loro professionalità.
[15] L’art. 5 comma 9 prevede che “Le previsioni della presente circolare relative al Procuratore Aggiunto si applicano, in quanto compatibili, al magistrato dell’ufficio a cui sono conferiti, previo interpello, dal Procuratore della Repubblica deleghe e compiti di collaborazione e coordinamento. Per lo svolgimento degli incarichi attribuiti ai sensi del presente comma non è, tuttavia, consentita alcuna riduzione del lavoro giudiziario”.
[16] L’art. 8 comma 11 prevede che “Il conferimento di incarichi di coordinamento o di collaborazione, anche in campo amministrativo, costituisce una modifica del progetto organizzativo ed è disposto con provvedimento motivato, a seguito di interpello. Si applica il procedimento per l’adozione delle variazioni al progetto organizzativo previsto al comma 2”.
[17] In proposito è doveroso segnalare che l’art. 15 della circolare circoscrive i principi e criteri (stabiliti dal Procuratore nel progetto o all’atto della prima assegnazione) la cui violazione da parte del sostituto può sfociare nella revoca dell’assegnazione, alla sola fase delle indagini; in realtà, la normativa primaria non prevede tale limitazione (l’art. 2 parla infatti di generica “attività” e “modalità di esercizio”); non a caso, la Risoluzione del 2009 contemplava tra le ipotesi di revoca anche il contrasto circa l’esercizio dell’azione penale, oggi escluso dall’art. 15.
[18] Per effetto della prerogativa di assenso legislativamente riconosciuta al Procuratore della Repubblica, non è neppure consentito procedere all'inoltro della richiesta di una misura cautelare personale in difetto di assenso del capo dell'ufficio, presupponendo necessariamente l'atto di inoltro che il tenore della richiesta venga previamente concertato fra il magistrato assegnatario del procedimento che l'ha formulata e il Procuratore della Repubblica che l'ha assentita.
[19] Cfr. sul punto Cass. Pen. SS.UU n.8388 del 24.2.2009.
[20] Cfr. sul punto Cass. Pen. SS.UU n.8388 del 24.2.2009.
[21] L’art. 1, comma 3, D. Lvo n. 106/2006 stabilisce che “Il procuratore della Repubblica può designare, tra i procuratori aggiunti, il vicario, il quale esercita le medesime funzioni del procuratore della Repubblica per il caso in cui sia assente o impedito ovvero l'incarico sia rimasto vacante”.
L’art. 109 Ord. Giud. (Supplenza di magistrati del pubblico ministero), prevede che “In caso di mancanza o di impedimento: del procuratore generale, regge l'ufficio l'avvocato generale o il sostituto anziano; del procuratore della Repubblica, ove non sia stato nominato un vicario, regge l'ufficio il procuratore aggiunto o il sostituto anziano; di tutti o alcuni dei magistrati degli uffici del pubblico ministero del distretto, il procuratore generale presso la corte di appello può disporre che le relative funzioni siano esercitate temporaneamente da altri magistrati di altri uffici del pubblico ministero del distretto”.
[22] Per le sole Procure distrettuali, la lettera k) dell’art. 7 comma 4 prevede l’indicazione dei criteri per il funzionamento e l’assegnazione dei procedimenti della D.D.A. e delle sezioni antiterrorismo, nel rispetto della specifica disciplina primaria e, rispettivamente, della parte VI della presente circolare e della vigente risoluzione in materia di antiterrorismo del 16 marzo 2016.
[23] L’art. 25, commi 2, 3 e 4, prevede in proposito che:
2. Il provvedimento di co-assegnazione di un procedimento per reati indicati nell’art. 51, comma 3 bis, c.p.p. a magistrato non componente della D.D.A.è adottato dal Procuratore della Repubblica, o dal suo delegato preposto all’attività della Direzione con decreto specificamente motivato in relazione alla competenza del sostituto co-assegnato in specifici settori di indagine complementari, tenendo anche conto dell’esigenza di promuovere, attraverso la rotazione nella co-assegnazione, una formazione diffusa nella specifica materia.
3. L’assegnazione di cui al comma 2 deve avere riguardo alla necessità di disporre, nella trattazione del procedimento, di specifiche professionalità ulteriori e diverse rispetto a quelle proprie dei magistrati della D.D.A., ovvero di far fronte all’esigenza di un’equa ripartizione del carico di lavoro o, ancora, di non disperdere le conoscenze del magistrato che abbia avviato le indagini nell’ambito di diversa sezione dell’ufficio. Nella co-assegnazione dei procedimenti di cui al comma 2 il Procuratore della Repubblica ha cura di valorizzare le specifiche professionalità ed attitudini dei magistrati dell’ufficio e, al tempo stesso, di assicurare agli stessi pari opportunità di accesso.
4. L’assegnazione non può essere disposta nelle fasi successive alle indagini preliminari, salvo che ricorrano motivate ragioni che impediscano al magistrato titolare del procedimento o ad altro facente parte della D.D.A. di intervenire all’udienza.
[24] Ai sensi della risoluzione del 16 marzo 2016 il modulo organizzativo da adottarsi in materia di antiterrorismo può essere variamente articolato in autonome sezioni specializzate o semi specializzate, in gruppi di lavoro interni a singole sezioni o trasversali a più sezioni, nell’inglobamento della competenza antiterrorismo nella DDA; i procedimenti per reati di <terrorismo>, possono anche essere inseriti nelle sezioni competenti per i reati in materia di immigrazione, o nell’ambito dei reati in materia finanziaria, o, ancora, legati alla trattazione dei reati in materia di sostanze stupefacenti, ecc..
[25] In tale delibera il Consiglio ha chiarito che il Procuratore della Repubblica “deve adottare un provvedimento di sostituzione del magistrato nei casi previsti dall’art. 53 c.p.p. e cioè nei casi: di grave impedimento, di rilevanti esigenze di servizio ed anche in presenza delle situazioni tassativamente previste dall’art. 36 comma 1 lett. a), b), d) ed e), c.p.p. e ciò non solo con riferimento all’attività dibattimentale di udienza (come previsto dagli artt. 53 c.p.p. e 12 circ. proc.), ma anche a quella investigativa propria della fase delle indagini preliminari in ragione di quanto previsto dall’art.372 lett. b) c.p.p. che attribuisce il potere di avocazione delle indagini al Procuratore generale presso la Corte di appello ove il Procuratore della Repubblica abbia omesso di provvedere alla tempestiva sostituzione del magistrato nei casi previsti dall’art.36 comma 1 lettera a), b) d) ed e)”.
[26] In tale delibera, anche in applicazione dei principi sanciti nella sentenza Cass. Pen. SS.UU n. 8388 del 24.2.2009 (cfr paragrafo 5.3, lett. i), il Consiglio ha chiarito: “è indubbio che, prevalendo in materia cautelare “la riserva di prerogativa del Procuratore della Repubblica, non è neppure consentito procedere all'inoltro della richiesta di una misura cautelare personale in difetto di assenso del capo dell'ufficio, presupponendo necessariamente l'atto di inoltro che il tenore della richiesta venga previamente concertato fra il magistrato assegnatario del procedimento che l'ha formulata e il Procuratore della Repubblica che l'ha assentita”; conseguentemente “laddove si prospetti, per contro, un conflitto in merito alla più incisiva delle modalità di esercizio dell'attività relativa alla trattazione di un procedimento assegnato al sostituto (appunto la richiesta di misura cautelare)”, la vicenda va doverosamente incanalata lungo i binari segnati dall'art. 2, comma 2 d.lgs. n. 106/06, e, quindi, trova applicazione la disciplina procedimentale in tema di <contrasto> e di <revoca> dell'assegnazione (art. 15 circ. proc.).
[27] Dopo il 2006 - con le risoluzioni del 2007 e del 2009, poi con la circolare del 2017 ed ancora, nuovamente con le modifiche del 2020 e del 2022 - il Consiglio vi ha comunque provveduto ma, come visto, giustificando tale prerogativa facendo leva sul proprio ruolo di “vertice organizzativo” dell’ordine giudiziario, deputato pertanto ad esercitare i poteri di indirizzo (nel caso di specie, nei confronti dei titolari degli uffici di procura in relazione alla formazione del progetto organizzativo) allorquando «sono in gioco attribuzioni che concorrono ad assicurare il rispetto delle garanzie costituzionali», espresse dagli artt. 105 e 112 della Costituzione.
[28] Il Modulo standard deve essere predisposto anche per il parere del Consiglio Giudiziario, in relazione al quale deve contenere “i soli dati concernenti le criticità”.
[29] Sebbene, come visto, ante riforma 2006 l’approvazione era una conseguenza del controllo sulla conformità dei progetti ai criteri generali stabiliti dal Consiglio ma non era esplicitamente prevista come per le tabelle (cfr nota 11).
[30] Si tratta della circolare adottata con delibera del 16.11.2017, come modificata con delibera del 16.12.2020 e poi nuovamente con delibera del 16.6.2022 (indicata come circ. proc.).
[31] Ci si riferisce a quelle, indicate dall’art. 7 comma 4 circ. proc., di seguito indicate:
e) i criteri per l’assegnazione di singoli atti nei procedimenti assegnati al Procuratore e al Procuratore aggiunto;
f) i compiti e le attività delegate ai V.P.O.;
g) il procedimento di esercizio delle funzioni di assenso sulle misure cautelari, in ossequio a quanto disposto dall’art. 13;
h) la previsione dei visti informativi, di cui all’art. 14 della presente circolare, e delle ipotesi in cui è fatto obbligo al sostituto assegnatario di riferire;
…..
j) i criteri generali ai quali i magistrati addetti all'ufficio devono attenersi nell'impiego della polizia giudiziaria, nell'uso delle risorse tecnologiche assegnate e nella utilizzazione delle risorse finanziarie delle quali l'ufficio può disporre;
k) per le sole Procure distrettuali, l’indicazione dei criteri per il funzionamento e l’assegnazione dei procedimenti della D.D.A. e delle sezioni antiterrorismo, nel rispetto della specifica disciplina primaria e, rispettivamente, della parte VI della presente circolare e della vigente risoluzione in materia di antiterrorismo;
l) le previsioni relative al rispetto del termine massimo di permanenza nell’incarico presso lo stesso ufficio, nel rispetto di quanto previsto dal regolamento di cui alla delibera 13.3.2008 e successive modifiche.
5. Il progetto organizzativo contiene eventualmente:
…..
b) i criteri generali di funzionamento dell’unità organizzativa deputata all’attività di intercettazione e le modalità di accesso e di funzionamento dell’archivio digitale;
…..
d) i criteri ai quali i Procuratori Aggiunti e i magistrati dell'ufficio devono attenersi nell'esercizio delle funzioni vicarie o di coordinamento o comunque loro delegate dal capo dell'ufficio;
e) i protocolli investigativi interni in relazione a settori omogenei di procedimenti.
Nonché a quelle di cui all’art 7, comma 6, circ. proc., a seguire riportato:
6. Nel progetto organizzativo il Procuratore della Repubblica individua altresì̀ i criteri di assegnazione dei procedimenti ed i protocolli organizzativi e procedimentali degli affari civili, nel rispetto, in quanto compatibili, delle previsioni in materia contenute nella risoluzione prevista dall’art. 46 della presente circolare. Il Procuratore della Repubblica indica altresì̀ le modalità̀ per una costante interlocuzione dell’ufficio con la Procura per i minorenni sia in materia penale che in materia civile.
[32] Il tema delle priorità, infatti, solo implicitamente è stato affrontato dal legislatore nel 2006: l’art. 1 del d.lvo 106/2006, attribuiva al Procuratore della Repubblica il potere-dovere di determinare i criteri di organizzazione dell’ufficio ed altresì i criteri cui dovevano attenersi i sostituti procuratori (o gli eventuali Procuratori aggiunti) nell’esercizio delle deleghe da lui conferite; l’art. 4 del citato decreto gli attribuiva inoltre il potere (non l’obbligo) di definire nel progetto organizzativo dell’ufficio i criteri generali da seguire per l’impostazione delle indagini in relazione a settori omogenei di procedimenti. Da tali previsioni derivava, sia pure implicitamente, il potere di stabilire le priorità nella trattazione degli affari penali, segnando il passaggio da una previsione necessariamente transitoria (quale quella afferente all’istituzione del giudice unico) ad una situazione strutturale.
La questione veniva infine nuovamente ripresa nel 2008 con il d.l. n. 92, convertito in legge n. 125/2008, che riformulava l’art. 132 bis disp.att. c.p.p., introducendo indicazioni vincolanti, per i soli uffici giudicanti, in tema di formazione dei ruoli di udienza e trattazione dei processi, con attribuzione di priorità assoluta a talune tipologie di reato connotate da speciale gravità. Tale disposizione veniva ulteriormente integrata con il d.l. 93/2013 convertito nella legge n. 119/2013.
[33] L’art. 3 bis, d.att. cpp, introdotto dal D.lvo 10 ottobre 2022, n. 150, in vigore dal 30/12/2022, dispone che “Nella trattazione delle notizie di reato e nell'esercizio dell'azione penale il pubblico ministero si conforma ai criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo dell'ufficio”.
Ai sensi dell’art. 127 bis disp.att. c.p.p., inserito dal medesimo D.lvo, “Nel disporre l'avocazione delle notizie di reato nei casi previsti dagli articoli 412 e 421 bis , comma 2, del codice, il procuratore generale presso la corte di appello tiene conto dei criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo dell'ufficio della procura della Repubblica che ha iscritto la notizia di reato”.
L’art. 88 bis del d.lvo n. 150/2022 (“Disposizioni transitorie in materia di indagini preliminari”) chiarisce poi che “1. Le disposizioni degli articoli 335-quater, 407-bis e 415-ter del codice di procedura penale, come introdotte dal presente decreto, non si applicano nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto”; il decreto è entrato in vigore il 30.12.2022 sicché le citate novità trovano applicazione ai procedimenti iscritti a decorrere dal 31.12.2022.
[34] Attualmente i criteri di priorità sono disciplinati dalle delibere del 9 luglio 2014 e dell’11 maggio 2016, riguardanti, rispettivamente, i “criteri di priorità nella trattazione degli affari penali” e le “linee guida in materia di criteri di priorità e gestione dei flussi di affari - rapporti fra uffici requirenti e uffici giudicanti” (recepite al comma 3 dell’art. 3 della vigente Circolare sulle procure).
Più recentemente, è stata adottata la delibera del 21 dicembre 2021 (risposta ai quesiti sul carattere vincolante o meno dei protocolli attuativi delle Linee guida in materia di trattazione dei procedimenti penali e di priorità), con la quale il Consiglio ha risposto ai quesiti posti in tema di priorità, nei termini seguenti:
a) nel perseguimento dell’obiettivo di garantire uniformità ed omogeneità all’azione complessiva dell’ufficio, il dirigente dell’ufficio requirente, in materia di priorità, può individuare le tipologie di procedimenti a trattazione anticipata e quelle a trattazione postergata; può altresì fornire ai magistrati dell’ufficio indicazioni generali circa gli astratti presupposti per l’applicazione di istituti processuali deflattivi; dette direttive costituiranno un necessario criterio di riferimento per i magistrati dell’ufficio relativamente all’indicazione dei procedimenti prioritari, ferma la possibilità per il singolo sostituto di valutare, con prudente apprezzamento, se le peculiarità del caso concreto giustifichino la deroga a tale criterio di riferimento, informando in tal caso il Procuratore della Repubblica nei casi più rilevanti, nell’ambito dei rapporti di leale collaborazione con la dirigenza dell’ufficio; per la residua parte varranno come criteri generali ed astratti di orientamento;
b) i protocolli tra dirigenti degli uffici giudicanti e requirenti, contenenti la formalizzazione delle intese intervenute in materia di priorità, sono ammissibili, costituendo coerente attuazione del principio della condivisione e della necessaria interlocuzione tra uffici, espresso nell’art. 3, co. 3, della Circolare sulle Procure e nelle delibere del 2014 e del 2016, in esso richiamate. Tali accordi possono avere ad oggetto: 1) i criteri di priorità (in essi sempre incluse quelle indicate all’art. 132 bis cit.), intesi come graduazione temporale dell’ordine di trattazione dei procedimenti, con individuazione di quelli cui va attribuita precedenza e di quelli postergati; 2) altre soluzioni organizzative, funzionali alla celere ed efficiente definizione dei giudizi e dei procedimenti, compresa l’indicazione, nel rigoroso rispetto delle norme primarie, delle condizioni generali per il ricorso ad istituti deflattivi;
c) le previsioni dei protocolli, nei limiti in cui contengono soluzioni rientranti nei poteri organizzativi del dirigente dell’ufficio, ove recepite nel progetto organizzativo o in un atto ad hoc, adottato nel rispetto dell’iter indicato nelle delibere del 2014 e 2016, richiamate all’art. 3, co. 3, della Circolare sulle Procure, sono efficaci nei confronti dei magistrati dell’ufficio requirente come necessario criterio di riferimento, nella parte in cui indicano le priorità, ferma la possibilità per il singolo sostituto di valutare, con prudente apprezzamento, se le peculiarità del caso concreto giustifichino la deroga a tale criterio di riferimento, informando in tal caso il Procuratore della Repubblica nei casi più rilevanti, nell’ambito dei rapporti di leale collaborazione con la dirigenza dell’ufficio; per la residua parte varranno come criteri generali ed astratti di orientamento;
d) esula dai poteri del dirigente in materia di criteri di priorità e dall’ambito della possibile concertazione tra i dirigenti degli uffici l’indicazione di soluzioni processuali con diretta incidenza sul concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali sprovviste di adeguato supporto normativo di rango primario (quali, ad esempio, l’archiviazione c.d. processuale).
[35] L’art. 7 bis Ord. Giud. prevede l’immediata esecutività delle disposizioni tabellari e delle variazioni tabellari inerenti all’”assegnazione dei magistrati”.
[36] Direttiva in ordine alla efficacia delle tabelle degli uffici giudicanti e dei progetti organizzativi degli uffici requirenti conseguenti all’entrata in vigore della legge n. 71 del 17 giugno 2022.
[37] Si ricorda che, secondo il sistema tabellare, le variazioni ordinarie, urgenti e immediatamente esecutive sono esecutive, rispettivamente, dal momento dell’approvazione del Consiglio, del parere favorevole unanime del consiglio giudiziario, dall’adozione, indipendentemente dal parere favorevole o meno dell’organo di autogoverno locale.
[38] Non destano particolari problemi, invece, le eventuali osservazioni formulate dal Ministro della Giustizia ai sensi dell’art. 11 della legge n. 195 del 1958: esse, infatti, potranno essere presentate – come previsto per le tabelle – all’esito della pubblicazione della proposta di delibera consiliare relativa all’approvazione (o meno) del progetto organizzativo nell’ordine del giorno ordinario del plenum; la pubblicazione, almeno 5 giorni prima della seduta plenaria, consentirà al Ministero di effettuare le sue valutazione e, se del caso, formulare osservazioni al consiglio in seduta plenaria, conformemente al disposto del richiamato art. 11 della legge n. 195/1958.
[39] Con la nuova circolare, in particolare, il Consiglio dovrà:
a) regolamentare il nuovo meccanismo del c.d. silenzio assenso (dopo l’esercizio della delega);
b) provvedere, ove possibile, a disciplinare l’eventuale approvazione parziale (per impedire la totale caducazione del documento organizzativo, ove risulti, solo in parte, non conforme alla normativa primaria e secondaria);
c) valutare di introdurre la distinzione tra variazioni ordinarie, urgenti e immediatamente esecutive (come avviene per le tabelle), al fine di non paralizzare l’attività delle procure;
d) verificare se introdurre, come nel sistema tabellare, l’obbligo di conformazione del Procuratore ai rilievi mossi dal Consiglio in sede di non approvazione (totale o parziale).
Sommario: 1. Il Decreto Legislativo n. 106/2006: l’affermazione della gerarchizzazione delle procure - 2. Le Risoluzioni del 12 luglio 2007 e del 21 luglio 2009: la ‘resistenza’ del CSM alle spinte gerarchiche -3. La Circolare del 16 novembre 2017: dalla ‘direzione gerarchica’ alla ‘direzione funzionale’ delle procure - 3.1. I contenuti più significativi - 3.2. I risultati conseguiti: l’attenuazione della verticalizzazione - 4. La circolare del 16 dicembre 2020 e s.m.: un ulteriore passo verso la ‘direzione funzionale’ delle procure - 4.1. Gli aspetti rilevanti della circolare del 16 dicembre 2020 - 4.2. Le modifiche alla circolare del 16.12.2020: la delibera del 16 giugno 2022 sulla permanenza temporanea nei gruppi di lavoro.
1. Il Decreto Legislativo n. 106/2006: l’affermazione della gerarchizzazione delle procure
Per poter illustrare e comprendere le scelte consiliari adottate mediante atti di normazione secondaria è necessario contestualizzarle e, quindi, quantomeno accennare alla normativa primaria con cui il Consiglio si è dovuto confrontare.
Come noto, si deve al Decreto legislativo n. 106 del 2006 – adottato in attuazione dell'articolo 1, comma 1, lettera d), della legge 25 luglio 2005, n. 150, come modificato dalla legge n. 269 del 2006 – quella che siamo soliti chiamare la “gerarchizzazione degli uffici requirenti”: essa rappresenta il risultato finale di un complesso di regole volte a disciplinare in senso verticistico l’ambito organizzativo ed alcuni aspetti più squisitamente giurisdizionali degli uffici requirenti. Si tratta di regole che, attribuendo al procuratore l’esclusivo potere organizzativo generale dell’ufficio, prendono le distanze dalla condivisione delle scelte fra tutti i soggetti coinvolti, dall’esercizio diffuso delle prerogative di organizzazione, da ogni forma di controllo dell’organo di autogoverno locale e riducono il Consiglio a mero destinatario di atti e informazioni sui quali non è prevista alcuna autentica verifica.
I principali aspetti innovativi possono così essere sintetizzati:
* il Procuratore della Repubblica è «il titolare esclusivo dell’azione penale» (art. 1, c. 1) e ne «assicura il corretto, puntuale ed uniforme esercizio» (art. 2, c. 1); in origine persino «sotto la sua personale responsabilità» (poi eliminata dalla legge 269/06);
* la titolarità esclusiva e personale dell’azione penale in capo al Procuratore si concretizza con l’assegnazione (che la legge n. 269/2006 sostituisce all’originaria delega al sostituto) e trova completa espressione nei suoi amplissimi poteri organizzativi:
* viene abrogato l’art. 7-ter, c. 3, dell’O.g. (art. 7)[1], sottraendo gli uffici di Procura all’applicazione del ‘metodo tabellare’, e quindi ai poteri di controllo e di approvazione, rispettivamente, dei Consigli giudiziari e del Consiglio Superiore; sottraendo al Consiglio la prerogativa di fissare i criteri generali di organizzazione che viene rimessa in via esclusiva al Procuratore, l’organo di autogoverno diviene destinatario di una mera comunicazione dei progetti organizzativi e delle eventuali modifiche sopravvenute, sui quali si pronuncia con una “presa d’atto”, dunque, senza un potere di intervento che subordini l’efficacia del progetto ai rilievi dell’organo di autogoverno;
* viene abrogato l’art. 3 d.att. c.p.p., che disponeva la tendenziale concentrazione degli atti di un procedimento in capo al medesimo magistrato, consentendo di affermare la parziale autonomia, organizzativa e investigativa, del sostituto nella fase delle indagini (art. 7);
* il contrasto tra Procuratore e Sostituto viene disciplinato nel senso che «… se il magistrato non si attiene ai principi e criteri definiti in via generale o con l’assegnazione, ovvero insorge tra il magistrato ed il procuratore della Repubblica un contrasto circa le modalità di esercizio, il procuratore della Repubblica può, con provvedimento motivato, revocare l’assegnazione; entro dieci giorni dalla comunicazione della revoca, il magistrato può presentare osservazioni scritte al procuratore della Repubblica» (art. 2, c. 2, come modificato dalla l. n. 269/2006, che ha eliminato la trasmissione degli ‘atti del contrasto’ al titolare dell’azione disciplinare); l’organo consiliare non è destinatario neppure di una ‘informazione’ e la soluzione del contrasto è ridotta ad un ‘fatto interno’, al contrario di quanto accadeva nel sistema pre-riformato, laddove, a fronte della revoca della designazione, il magistrato ben poteva adire il Csm e richiederne un intervento.
Il risultato è un controllo pieno su modalità ed esiti dell’indagine e sul sostituto che se ne occupa, cui non corrisponde per legge alcuna responsabilità, ma neppure alcun bilanciamento, alcun ‘controllo’, preventivo e successivo, alcun rimedio in caso di abuso: un concentrato di poteri che costituisce un unicum non ravvisabile in qualsivoglia altro settore della funzione pubblica.
2. Le Risoluzioni del 12 luglio 2007 e del 21 luglio 2009: la ‘resistenza’ del CSM alle spinte gerarchiche
Per attenuare gli effetti gerarchici della riforma, il CSM, sin dal 2007, è intervenuto con atti volti a contenere i poteri del Procuratore, seppur con il limite insuperabile della preminenza della legge sulla sua eventuale eterointegrazione di fonte secondaria.
L’organo di autogoverno ha giustificato tale prerogativa facendo leva sul proprio ruolo di “vertice organizzativo” dell’ordine giudiziario, deputato pertanto ad esercitare i poteri di indirizzo (nel caso di specie, nei confronti dei titolari degli uffici di procura in relazione alla formazione del progetto organizzativo) allorquando «sono in gioco attribuzioni che concorrono ad assicurare il rispetto delle garanzie costituzionali», espresse dagli artt. 105 e 112 della Costituzione.
Con questi presupposti, ha pertanto adottato due Risoluzioni (del 12 luglio 2007 e del 21 luglio 2009) – che formalmente rappresentano atti tesi a regolamentare le proprie attribuzioni - riconducendo a ragionevolezza funzionale i poteri gerarchici, assicurando l’indipendenza interna del singolo sostituto e garantendo un certo equilibrio tra esercizio delle prerogative organizzative e la sua verifica in sede di autogoverno.
In questo senso vanno letti i principi affermati nelle predette risoluzioni, che possono essere riepilogati nei seguenti termini:
E’ bene ricordare, peraltro, che nel frattempo, sopravviene la legge n. 111 del 30.7.07 che, tra l’altro, modificando l’art. 19 d.lvo 160/06[2], introduce la previsione della permanenza temporanea del P.M. nei gruppi di lavoro, da stabilirsi a cura del CSM tra un minimo di 5 e un massimo di 10 anni come per gli uffici giudicanti. Il CSM, con il regolamento adottato con delibera del 13.3.2008 (poi modificato in data 11.2.2015), ha fissato il termine di permanenza massima in 10 anni, limitandone l’applicazione ai soli uffici con più di 8 magistrati compreso il Procuratore.
3. La Circolare del 16 novembre 2017: dalla ‘direzione gerarchica’ alla ‘direzione funzionale’ delle procure
3.1. I contenuti più significativi
La ‘circolare’ del 16.11.2017 - atto ben diverso dalla ‘risoluzione’ cui il Consiglio aveva fatto ricorso fino a quel momento[3] - rappresenta «un nuovo, organico e sistematico intervento nella materia dell’organizzazione degli uffici requirenti», teso a dare attuazione ai principi espressi nella normativa primaria, completato dopo oltre due anni di lavoro e dopo il capillare monitoraggio dei progetti organizzativi di tutti gli uffici requirenti italiani, con l’individuazione e l’analisi delle prassi più diffuse.
Un insieme di regole di funzionamento precise, chiare, certe e prevedibili che, comunque, si pongono in continuità e progressione rispetto alle precedenti risoluzioni del 2007 e del 2009, tanto che nella relazione introduttiva si specifica che resta valido quanto contenuto nelle risoluzioni del 12.7.2007 e del 21.7.09.
Le innovazioni più rilevanti – in quanto espressive della diffusa esigenza di contenere la verticalizzazione, indirizzandola verso obbiettivi di funzionalità dell’ufficio e partecipazione orizzontale – riguardano in via generale:
Più in dettaglio, l’articolato (ben 25 disposizioni) fornisce maggiore chiarezza, prevedibilità ed omogeneità dei modelli gestionali e organizzativi attraverso le seguenti previsioni:
3.2. I risultati conseguiti: l’attenuazione della verticalizzazione
Quanto sinteticamente esposto nel precedente paragrafo consente di affermare che la circolare del 16.11.2017 ha attenuato significativamente i profili verticistici della riforma gerarchica del 2006[10]: il potere organizzativo del Procuratore, sebbene ancora di tipo verticale, è funzionalmente orientato, in quanto esplicitamente finalizzato ad intenti condivisi dall’ufficio, ispirato da un preciso quadro di valori di riferimento e destinato a manifestarsi in provvedimenti controllabili, attraverso precisi passaggi procedimentali. La originaria direzione gerarchica, pertanto, è divenuta direzione funzionale, la gerarchia direttiva ha lasciato il passo alla gerarchia funzionale. Insomma, l’idea di una forte verticalizzazione degli uffici di procura, che probabilmente aveva ispirato il legislatore del 2006, esce fortemente attenuata.
Resta, tuttavia, fermo il dato che il progetto organizzativo, a differenza delle tabelle degli uffici giudicanti, non è più soggetto ad approvazione (è perciò immediatamente esecutivo): è questo il “profilo gerarchico” più rilevante introdotto dalla riforma del 2006 e che, in quanto imposto dalla norma primaria (che ha abrogato l’art. 7 ter, comma 3, Ord. Giud.), il CSM ha potuto solo attenuare.
Il Consiglio, invero, con la circolare del 2017, per un verso ha provveduto a perimetrare e contenere entro limiti di legittimità, ragionevolezza e coerenza, l’ambito di operatività della prerogativa, esclusivamente rimessa al Procuratore, di determinare i criteri generali di organizzazione dell’ufficio (con il progetto organizzativo); per altro verso, ha introdotto un rigoroso controllo, successivo all’adozione del progetto, che tuttavia non può che concludersi con una delibera di presa d’atto, di natura non vincolante (a differenza dell’approvazione).
Nello stesso periodo e sotto la vigenza del medesimo ordinamento giudiziario, quindi, per gli uffici giudicanti, il Consiglio determina i criteri generali di organizzazione (con la circolare sulle tabelle) e le tabelle sono soggette all’approvazione consiliare, con obbligo di conformazione nel caso di non approvazione; per gli uffici requirenti, invece, il Consiglio non può far altro che assumersi l’onere di “contenere” e “limitare” il potere del procuratore di determinare i criteri generali di organizzazione (con la circolare del 2017) e i progetti organizzativi sono soggetti alla mera presa d’atto, cui non segue e non può seguire alcun obbligo conformativo, neppure in caso di gravi rilievi.
Tale impostazione, come vedremo nel prosieguo, è stata di recente stravolta dalla Riforma Cartabia[11].
Anche la tematica dei criteri di priorità assume estrema rilevanza sotto il profilo dell’impostazione verticistica: la riforma del 2006 non prevede esplicitamente i criteri di priorità che, introdotti nel 2008 (con l’art. 132 bis d.att. c.p.p. che riguarda gli uffici giudicanti), vengono considerati della circolare del 2017 quale contenuto solo eventuale del progetto organizzativo. Il difficile equilibrio tra i criteri di priorità e l’obbligatorietà dell’azione penale, come l’arduo compromesso tra potere diffuso dell’azione penale e logiche verticistiche delle scelte imposte dalle priorità[12] viene trovato e regolato dal CSM con diverse delibere. Si tratta di atti consiliari in cui si afferma sostanzialmente che, al di fuori dei criteri legali di priorità (ex art. 132 bis rimessi ai dirigenti degli uffici giudicanti), quelli ultra legali devono essere determinati nell’ambito di procedure condivise, possono consistere nella posticipazione della trattazione di taluni affari (giammai nell’accantonamento) e non hanno carattere strictu sensu vincolante.
Con la Riforma Cartabia (D.lvo n. 71/2022) e la Riforma penale (D.lvo n. 150/2022) assistiamo ad un’inversione di rotta: i criteri di priorità, per un verso, sono assoggettati ai criteri generali indicati dal Parlamento con legge; per altro verso, divengono parte integrante del contenuto necessario del progetto organizzativo e, come tali, sono determinati dal Procuratore della Repubblica nell’ambito dei principi generali stabiliti dal Consiglio (con circolare) e vincolano i sostituti.
Questo è il grande tema su cui confrontarsi oggi: il rischio, infatti, non è più il potere gerarchico del Procuratore (comunque contenuto nei limiti dei criteri generali del Parlamento e dei principi generali del Consiglio), ma la direzione verticistica del legislatore che orienterà la trattazione prioritaria di alcuni affari negli uffici requirenti (cfr paragrafo 6.2.1).
4. La circolare del 16 dicembre 2020 e s.m.: un ulteriore passo verso la ‘direzione funzionale’ delle procure
4.1. Gli aspetti rilevanti della circolare del 16 dicembre 2020
L’analisi dei progetti organizzativi del triennio 2017/2019, elaborati in sede di prima applicazione della circolare del 16.11.2017, e l’esame dei rilievi mossi da alcuni Consigli Giudiziari ha consentito alla Settima Commissione del CSM di individuare specifici punti sui quali intervenire al fine di chiarire o rafforzare le indicazioni della circolare vigente, sempre allo scopo di garantire i principi di trasparenza e responsabilità nella direzione dell’Ufficio di Procura, di autonomia, anche interna, dei magistrati dell’Ufficio e il ruolo di controllo e verifica del circuito del governo autonomo.
Con questi obiettivi, la circolare del 16.12.2020 ha:
*nell’assegnazione ai gruppi di lavoro;
*nell’assegnazione dei compiti di coordinamento ai procuratori aggiunti (e ai sosttuti);
*nell’assegnazione dei compiti di collaborazione;
*nell’assegnazione dei magistrati alla DDA;
* la previsione della natura eccezionale e temporanea dell’attribuzione di funzioni proprie dei semidirettivi a sostituti procuratori, in presenza di procuratori aggiunti in pianta organica;
* la previsione dell’obbligo per i procuratori aggiunti di svolgimento di ulteriori funzioni aggiuntive rispetto alle concorrenti competenze di direzione e coordinamento (con la indicazione espressa nel progetto organizzativo della percentuale della riduzione del lavoro giudiziario “ordinario”);
* il divieto di esonero per i magistrati sostituti coordinatori;
* l’onere del procuratore di provvedere ad idonee modalità di conservazione della documentazione relativa ai provvedimenti di assegnazione in deroga (auto assegnazioni, coassegnazioni successive, assegnazioni in deroga ai criteri stabiliti); e la connessa possibilità per il Consiglio di accedere a tale documentazione ai fini della valutazione del dirigente (in sede di conferma nell’incarico direttivo ovvero di procedura di conferimento di altro incarico);
* il dovere del procuratore di esplicitare nel progetto organizzativo i criteri con cui intende procedere alle co-assegnazioni dei procedimenti di competenza della DDA (con l’onere di custodire in modo idoneo presso l’ufficio la documentazione relativa ai provvedimenti di co-assegnazione a magistrati esterni alla DDA);
* le variazioni ‘non rilevanti’ (se ritenuto necessario dal Procuratore o dal CSM);
* i provvedimenti attuativi ‘rilevanti’ (il CSM può chiedere parere);
* i provvedimenti attuativi ‘non rilevanti’ (se ritenuto necessario dal CSM):
* i provvedimenti di revoca dell’assegnazione di un procedimento in caso di contrasto (art. 15) (il CSM può chiedere il parere in presenza di osservazioni);
* i provvedimenti di designazione alla DDA e di mancato rinnovo al termine del biennio della designazione di un magistrato alla DDA (art. 22 e 24) (il CSM può chiedere il parere).
La nuova circolare, infine, ha accorpato le regole di funzionamento della DDA, che va intesa come articolazione speciale posta all’interno di un ufficio unitario e ha introdotto una specifica disciplina per la DNA, che ricalca, da un lato, le articolazioni di una procura della Repubblica ed in particolare di una DDA; dall’altro, tiene conto di alcune delle scelte già ampiamente sperimentate nel corso degli anni e sviluppate con i più recenti progetti organizzativi dell’ufficio.
4.2. Le modifiche alla circolare del 16.12.2020: la delibera del 16 giugno 2022 sulla permanenza temporanea nei gruppi di lavoro
L’esame dei progetti organizzativi del triennio 2020/2022, iniziato nel gennaio 2022, ha consentito, per un verso, di constatare criticità nell’applicazione della previsione dell’art. 7 circ. proc., nella parte relativa alla permanenza temporanea nei gruppi di lavoro: l’indicazione si presentava generica e sembrava sovrapporsi alla ulteriore disposizione riguardante i termini massimi di permanenza (10 anni) nelle articolazioni in cui era organizzato l’ufficio, con riferimento al regolamento del 2008[14]; per altro verso, ha permesso di verificare la eterogeneità delle prassi applicative adottate nei progetti organizzativi, non sempre giustificate dalle dimensioni o da esigenze di funzionalità dell’ufficio.
La materia, pertanto, ha formato oggetto di una specifica modifica della circolare, adottata dal Consiglio con delibera del 16.6.2022, che ha innovato l’art. 7, comma 4, lettere a) e b), circ. proc., che oggi così dispone:
“Il progetto organizzativo costituisce il documento programmatico ed organizzativo generale dell’ufficio e contiene, in ogni caso:
a) la costituzione dei gruppi di lavoro per gli uffici composti da almeno otto sostituti e, ove possibile, anche per quelli con organico inferiore;
b) i criteri per la provvisoria assegnazione dei magistrati di nuova destinazione, nonché le regole per lo svolgimento dell’interpello, volto all’assegnazione dei Procuratori Aggiunti e dei sostituti procuratori ai gruppi di lavoro;
b.1) le regole sulla mobilità interna, prevedendo la permanenza temporanea nei gruppi di lavoro, per un periodo compreso tra un minimo ed un massimo ed in particolare: un anno, per le assegnazioni d’ufficio, due anni, per le assegnazioni a domanda, estensibili fino a tre anni, e per comprovate esigenze di servizio; dieci anni, per il periodo massimo;
b.2) i criteri di computo del periodo minimo di permanenza sopra indicato alla lettera b).1, così determinato: la decorrenza è dal giorno in cui il magistrato ha preso effettivo possesso nel gruppo specializzato da cui chiede di essere spostato; il termine finale è la data di scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione come prevista nell’interpello;
b.3) i criteri da applicare per l’assegnazione, a domanda, dei Procuratori Aggiunti e dei sostituti procuratori ai gruppi di lavoro, volti a garantire le esigenze di funzionalità dell’ufficio, nonché a valorizzare le specifiche attitudini dei magistrati;
b.4) i criteri da applicare per l’individuazione dei Procuratori Aggiunti e dei sostituti procuratori da assegnare d’ufficio ai gruppi di lavoro, per garantire la copertura dei posti rimasti senza aspiranti all’esito dell’interpello o per far fronte ad eccezionali e straordinarie esigenze di funzionalità dell’ufficio, da indicare con specifica motivazione;”.
Si è, dunque, colta l’occasione per:
[1] L’art. 7 ter, comma 3, o.g., prima della sua abrogazione, prevedeva che “Il Consiglio Superiore della magistratura determina i criteri generali per l’organizzazione degli uffici del pubblico ministero e per l’eventuale ripartizione di essi in gruppo di lavoro”
[2] In materia di permanenza nell'incarico presso lo stesso ufficio, l’art. 19 del d.lvo 160/2006 prevede che:
“1. I magistrati che esercitano funzioni di primo e secondo grado possono rimanere in servizio presso lo stesso ufficio svolgendo le medesime funzioni o, comunque, nella stessa posizione tabellare o nel medesimo gruppo di lavoro nell'ambito delle stesse funzioni, per un periodo stabilito dal Consiglio superiore della magistratura con proprio regolamento tra un minimo di cinque e un massimo di dieci anni a seconda delle differenti funzioni; il Consiglio superiore può disporre la proroga dello svolgimento delle medesime funzioni limitatamente alle udienze preliminari già iniziate e per i procedimenti penali per i quali sia stato già dichiarato aperto il dibattimento, e per un periodo non superiore a due anni.
2. Nei due anni antecedenti la scadenza del termine di permanenza di cui al comma 1, ai magistrati non possono essere assegnati procedimenti la cui definizione non appare probabile entro il termine di permanenza nell'incarico.
2-bis. Il magistrato che, alla scadenza del periodo massimo di permanenza, non abbia presentato domanda di trasferimento ad altra funzione all'interno dell'ufficio o ad altro ufficio e' assegnato ad altra posizione tabellare o ad altro gruppo di lavoro con provvedimento del capo dell'ufficio immediatamente esecutivo. Se ha presentato domanda almeno sei mesi prima della scadenza del termine, può rimanere nella stessa posizione fino alla decisione del Consiglio superiore della magistratura e, comunque, non oltre sei mesi dalla scadenza del termine stesso”.
[3] La Risoluzione, secondo il Regolamento Interno del Consiglio, può avere ad oggetto la disciplina dell’esercizio delle proprie attribuzioni, cui devono attenersi le Commissioni e tutte le articolazioni consiliari, nell’esercizio delle rispettive attribuzioni, sinché non siano state modificate con successiva risoluzione.
La Circolare, invece, è emanata “per dare esecuzione o interpretazione alla legge e ai regolamenti, nonché per fornire criteri di orientamento sull’esercizio delle attribuzioni e della discrezionalità del Consiglio”.
[4] L’interpello è previsto, di regola, per l’assegnazione dei magistrati ai gruppi di lavoro; per la designazione degli aggiunti o dei sostituti al coordinamento dei gruppi; per gli incarichi di coordinamento e collaborazione.
[5]Specifiche e dettagliate procedure sono previste per: la designazione degli aggiunti o dei sostituti al coordinamento dei gruppi di lavoro (procedimento delle variazioni al progetto organizzativo di cui all’art. 8, comma 2); per la revoca della delega conferita all’aggiunto (procedimento di revoca dell’assegnazione di cui all’art. 15); la elaborazione del progetto organizzativo e delle relative variazioni; gli incarichi di coordinamento e collaborazione (come variazioni al progetto organizzativo); i provvedimenti attuativi del progetto organizzativo; la revoca dell’assegnazione di un procedimento.
[6] Il provvedimento motivato è previsto per: l’assegnazione dell’incarico di coordinamento del gruppo di lavoro; la revoca della delega di funzioni all’aggiunto; la nomina del Vicario (eventuale); la conferma del progetto organizzativo previgente; i provvedimenti attuativi adottati in deroga ai criteri del progetto organizzativo; la coassegnazione in una fase successiva alla prima assegnazione del procedimento; l’assegnazione di un procedimento in deroga ai criteri generali indicati nel progetto; la sostituzione del magistrato designato alla trattazione dell’udienza; la definizione del contrasto sull’assenso in materia di misure cautelari; la rinunzia all’assegnazione da parte del magistrato.
La motivazione è prevista, altresì, nei casi di auto assegnazione e di revoca dell’assegnazione o designazione, ma si tratta di ipotesi già contemplate dalle precedenti risoluzioni.
[7] Ai sensi dell’art. 8, comma 8, nel Fascicolo dell’organizzazione della Procura sono inseriti il progetto organizzativo, le sue conferme, le modifiche e variazioni, i provvedimenti sulle assegnazioni dei magistrati ai gruppi di lavoro e quelli che incidono sulle assegnazioni dei procedimenti ed ogni altro documento avente significativo riflesso sulla organizzazione interna, secondo le modalità informatiche disciplinate dal C.S.M..
[8] La relazione illustrativa della circolare in esame sottolinea che “proprio la natura del programma organizzativo, inteso quale regola generale dell’Ufficio e di attuazione delle scelte di autonomia direttiva, reclama una sua stabilità”. Solo attraverso la “stabilità organizzativa”, infatti, può essere garantita la riconoscibilità delle scelte organizzative da parte dei cittadini e degli operatori giudiziari nel loro complesso (avvocatura, uffici giudicanti, amministrazione). Del resto, i singoli magistrati componenti l’Ufficio, “devono poter confidare su uno strumento organizzativo stabile, comprensibile, agile e soprattutto funzionale alle strategie processuali e procedimentali imposte dal codice di rito e dalle prassi giudiziarie”.
Una frequente e sistematica emenda di tali regole, non dettata da concrete e comprovate esigenze e successiva alla predisposizione iniziale dell’assetto dell’Ufficio, sarebbe, al contrario, poco in linea con i principi ai quali il programma organizzativo deve essere ispirato, determinando “regole del caso concreto”, potenzialmente disfunzionali rispetto alla logica del riconoscimento delle prerogative direttive in capo al Procuratore della Repubblica e che, come tale, lungi dall’essere attuazione delle prerogative riconosciute al dirigente dal Legislatore, rappresenterebbe una sostanziale vanificazione della sua ratio ispiratrice.
E’ per questo che il contenuto, la tipologia, la frequenza, la motivazione delle successive modifiche, da adottarsi secondo la procedura di cui all’art. 8, sono sintomatiche dell’autentica capacità organizzativa del Dirigente ed espressione del regolare (o irregolare) andamento dell’ufficio.”.
[9] Si tratta delle norme della circolare sulle tabelle su: esoneri, tutela della genitorialità, maternità, malattia, tutela delle esigenze familiari e dei doveri di assistenza, collaborazione di un magistrato delegato, referente informatico, referente per la formazione, componente della STO, componente dei consigli giudiziari, benessere organizzativo.
[10] E’ indubbio, invero, che la circolare del 16.11.2017 abbia temperato i più seri aspetti gerarchizzanti che connotavano il D.lvo n. 106/2006, quali: l’individualismo decisorio (che oggi deve fare i conti con l’assemblea generale); l’assoluta separatezza con l’organizzazione tabellare dei giudici (di cui invece si assume la medesima valenza triennale); l’assenza originaria di controlli, ristetti alla vigilanza degli stessi vertici requirenti (superata da una rigorosa procedura di valutazione del Consiglio); l’inesistenza di procedure di gestione dell’ufficio (colmata dall’inserimento di molteplici fasi procedimentalizzate); la distanza dall’organo di autogoverno ed il difetto di ogni interlocuzione con esso (bilanciati da diverse ipotesi di interlocuzione nei casi di maggiore “frizione”); la carenza di ogni trasparente rimedio per le ipotesi di contrasto irrisolto tra dirigente e singolo sostituto (che ha lasciato il posto ad una articolata procedura volta alla soluzione); la mancanza di collegamento con scopi e valori costituzionali (collegamento che invece la circolare assicura orientando le forme di manifestazione del potere organizzativo del Procuratore al principio del buon andamento e imparzialità (97 cost.); ai principi di autonomia e indipendenza (101 e 104 cost.); a quello di inamovibilità per sede e funzione e pari dignità dei magistrati (107 cost.); ai principi di obbligatorietà dell’azione penale (112 cost.), giusto processo e ragionevole durata del processo (111 cost.), come espressamente previsto negli artt. 1 e 2, comma 1, e implicitamente affermato in altri moduli organizzativi regolati in altre disposizioni).
[11] La legge n. 71/2022, infatti, non solo ha riproposto per le procure il sistema esistente ante riforma 2006, ripristinando la prerogativa consiliare di fissare i criteri generali di organizzazione cui il Procuratore deve attenersi nella elaborazione dei progetti organizzativi, ma ha anche espressamente previsto che questi ultimi sono soggetti all’approvazione del CSM (ante 2006, l’approvazione era una conseguenza del controllo sulla conformità dei progetti ai criteri generali stabiliti dal Consiglio ma non era esplicitamente prevista come per le tabelle).
[12]Ci si riferisce alla questione della possibilità di coniugare il modello della direzione funzionale delle procure con le scelte in termini di criteri di priorità: può esserci il modello del primus inter pares, e quindi la totale indipendenza, all’interno di un ufficio in cui si devono operare scelte su cosa perseguire prima (o su cosa abbandonare in un armadio) o su cosa costituisce emergenza criminale per quella determinata area geografica?
[13] “Rilevanti” sono considerate le variazioni (o i provvedimenti attuativi) inerenti ai gruppi di lavoro, alla assegnazione agli stessi di sostituti e aggiunti, alla assegnazione di procedimenti in deroga, a revoca, assenso e visto. Con la nuova circolare sono state ritenute rilevanti anche le previsioni in materia di turni di servizio.
“Non rilevanti” sono le variazioni (o i provvedimenti attuativi) riguardanti ogni altro diverso ambito.
[14] Si ricorda che il Regolamento in materia di permanenza nell’incarico presso lo stesso ufficio (Delibera del 13 marzo 2008 e succ.mod. all’11 febbraio 2015), con l’art. 1, esclude l’applicazione della normativa sul divieto di permanenza ultradecennale, al sostituto procuratore della Repubblica presso un ufficio di procura composto da magistrati in numero fino a otto unità compreso il procuratore della Repubblica e al sostituto procuratore generale presso la corte di appello.
L’art. 2, comma 1, stabilisce il termine massimo di permanenza di dieci anni nella stessa posizione tabellare o nel medesimo gruppo di lavoro per i magistrati che svolgono, tra le altre, le funzioni:
- nelle procure della Repubblica composte da magistrati in numero superiore a otto unità compreso il procuratore della Repubblica;
- nella direzione distrettuale antimafia presso la procura della Repubblica.
L’art. 2, comma 2, prevede che “Il magistrato trasferito a seguito del superamento dei termini massimi di cui all’art. 2 può tornare nella medesima posizione tabellare o nello stesso gruppo di lavoro soltanto dopo che siano trascorsi cinque anni dalla presa di possesso nel nuovo incarico”.
Leggende metropolitane. Il Pm è il bersaglio di populisti e garantisti. Lo stesso giorno e sullo stesso caso possiamo leggere critiche al Pm inefficace, garantista peloso, per taluno, e, per altri, giustizialista forcaiolo.
Il Pm è oggetto privilegiato di leggende metropolitane.
Leggenda metropolitana n.1.
E' una peculiarità italiana il ruolo centrale assunto dal Pm e dalla magistratura tutta.
“Vi sono stati tempi e luoghi nei quali i protagonisti centrali della giustizia penale […] sono stati i giudici. Oggi le figure centrali nei sistemi di giustizia penale in gran parte del mondo appaiono essere sempre più i pubblici ministeri.[2]
Così si apre un recentissimo studio coordinato da due professori americani dal titolo Prosecutors and democracy. Quanto allo strapotere della magistratura italiana, risale a 30 anni fa uno studio coordinato da un professore americano e da uno svedese intitolato The global expansion of judicial power[3].
Guardare appena fuori dai confini dello stivale non sarebbe difficile e questa “peculiarità italiana” evaporerebbe.
Leggenda metropolitana n.2.
Parte da questo pseudo sillogismo. Premessa maggiore: il “modello del processo accusatorio” prescrive la regola a); premessa minore: l’Italia ha adottato quel modello; conclusione: la regola a) deve essere prescritta in Italia.
Sillogismo perfetto nel mondo dei concetti, ma su questa terra non si triva il “modello del processo accusatorio”.
Un esempio di scuola di fallacia sillogistica. Poi a seguire questi pseudosillogismi si dovrebbe introdurre l’obbligo di assumere la posizione di testimone per l’imputato che intendesse rendere dichiarazioni.
Una grande studiosa francese, recentemente scomparsa, Mireille Delmas-Marty già qualche anno fa scriveva che ormai si deve considerare superata la vecchia disputa, di tipo ’teologico’, tra i sostenitori del modello accusatorio e i sostenitori del modello inquisitorio, a vantaggio di un modello ‘contraddittorio’”.[4]
Il modello accusatorio puro non esiste neppure nel mondo anglosassone, che è sempre più differenziato. Nei film di Perry Mason la difesa distrugge la tesi dell’accusa e la giustizia trionfa: happy end. La realtà è altra Negli Stati Uniti circa il 97% dei casi è definito con patteggiamenti tra il prosecutor, che ha una discrezionalità illimitata persino sulla qualificazione del reato e l’indagato, con un intervento del tutto marginale del giudice. Lo “splendore” del processo dinanzi ai giurati ove accusa e difesa si fronteggiamento in leale battaglia nell’interrogatorio e controinterrogatorio dei testimoni è riservato al 3% dei casi, per di più con una discriminazione economica decisiva in favore di coloro che possono permettersi la costosissima difesa dell’avvocato privato. Si dice che in Italia vi siano 50 milioni di Commissari Tecnici pronti a dettare la formazione della Nazionale di Calcio. Non 50 milioni ma sono in molti ad essersi improvvisati esperti di ordinamento giudiziario e processuale penale comparato. Sono disponibili agevolmente disponibili diversi testi in inglese e anche in italiano. Ma un esercizio più facile e gradevole è rivedere qualche buon vecchio film, oggi facilmente scaricabile sul proprio pc con modica spesa.
Due famosi film del 1957 ci mostrano il rito accusatorio declinato in modo marcatamente diverso nel mondo anglosassone nei due lati dell’oceano: La parola ai giurati (Twenty Angry Men) di Sidney Lumet protagonista Henry Fonda ambientato a New York e Testimone d’accusa (Witness for the Prosecution) di Billy Wilder con Charles Laughton e Marlene Dietrich ambientato a Londra.
A New York un aggressivo e superficiale procuratore distrettuale, che deve rispondere ai suoi elettori vuole comunque un colpevole per la sedia elettrica. A Londra l’accusa è rappresentata da un avvocato barrister del libero foro in toga e parrucca.
Nei film di Perry Mason la giustizia trionfa: happy end. Non sempre purtroppo la giuria, “fa giustizia”: il difensore, impersonato da Gregory Peck può smontare tutte le tesi dell’accusa, ma vince il pregiudizio come vediamo nel drammatico finale del film del 1962 Il Buio oltre la siepe di Robert Mulligan.
Leggenda metropolitana n.3.
L'assetto italiano del PM è anomalia assoluta rispetto al "modello" di Pm comune a tutte le altre democrazie occidentali.
Il modello Statunitense del District attorney statale, per lo più eletto in lista di partito insieme al sindaco e allo Sceriffo, capo della polizia locale e dell’Attorney General federale di nomina poltica è unico all’interno dello stesso mondo anglosassone. La figura della pubblica accusa ha subìto in Inghilterra una innovazione sostanziale con la creazione nel 1986 del Crown Prosecution Service, sempre molto distante dal sistema americano. Ma a chi da Londra volesse muoversi per trovare un processo penale con significative varianti e addirittura residui del sistema inquisitorio basterebbe spostarsi poco più a nord nell’isola britannica e raggiungere Edimburgo. Il sistema del Pm di Inghilterra e Galles non si applica in Scozia. Il Regno Unito è alquanto disunito sulla figura del Pm.
Lo studio tuttora più approfondito sul Pm in Europa esordisce con la constatazione “Il pubblico ministero rimane l’istituzione più diversificata in Europa”.[5]
“Quante figure di pubblico ministero…” è il titolo del capitolo sul Pm di un volume sulle procedure penali d’Europa, pubblicato anche in versione italiana[6].
Semplicemente, un modello di Pm comune alle democrazie occidentali non c’è. Vi sono molteplici figure di pm, riti processuali tendenzialmente accusatori e tendenzialmente accusatori e non necessariamente i secondi sono più garantisti dei primi. La comparazione non è scienza di modelli ma richiede attenta considerazione e degli assetti costituzionali ed istituzionali complessivi e del “diritto vivente”, spesso diverso da quello dei testi. Nella comparazione non vi è spazio per dilettantismi
Problemi aperti.
Pm, “avvocato dell’accusa” si dice. La ulteriore forzatura polemica “avvocato della polizia” è del tutto incompatibile con il nostro sistema processuale e, ancor prima, con i principi costituzionali. Il Pm può essere definito” avvocato dell’accusa” solo che si precisi “avvocato della pubblica accusa” e dunque con ruolo e doveri radicalmente distinti dall’ “avvocato della difesa”. Il Pm ha un duplice volto: costruisce e sostiene l’accusa, ma come parte pubblica ha un dovere di verità che lo differenzia radicalmente dall’avvocato difensore.
L’obbiettivo del processo penale è ovunque quello di stabilire la verità. A far giustizia di sbrigative posizioni che taluno ha voluto trarre dai principi del processo accusatorio, giova una citazione da un testo del 2001 di Lord Justice Auld (all’epoca presidente di un Royal Commission sulla riforma del processo penale inglese):Il processo penale non è un gioco. E’ la ricerca della verità secondo la legge, attraverso una procedura accusatoria nella quale l’accusa deve provare la colpevolezza secondo uno standard particolarmente elevato.[7]
Con la riscrittura nel 1999 dell’art. 111 della Costituzione si è costituzionalizzato non il mitico modello del “processo accusatorio”, ma il metodo del contraddittorio che, come ha scritto Glauco Giostra “costituisce uno strumento, ancor oggi il meno imperfetto, per la ricerca della verità, o, meglio, per ridurre il più possibile lo scarto tra la verità giudiziale e la verità storica”.[8]
Nel processo di fronte al giudice nel dibattimento accusa e difesa concorrono nel confronto contraddittorio alla raccolta delle prove.
Per il difensore, ferme le regole procedurali, unico obbiettivo e insieme rigoroso obbligo deontologico è la difesa del cliente; per il Pm, a livello di regola processuale e di obbligo deontologico, unico obbiettivo è la ricerca della verità, anche se contrasti con la sua iniziale tesi accusatoria e si traduca in acquisizioni a favore dell’imputato.
“Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità” (art.111 co. 2 Costituzione).
Ma il principio di parità non opera a tutto campo: il Pm nella richiesta al Giudice dell’Indagine Preliminare di emettere una misura cautelare è tenuto a presentare “gli elementi su cui la richiesta si fonda, nonché tutti gli elementi a favore dell'imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate” (art. 291 codice di procedura penale). Ovviamente al difensore è precluso rendere noti elementi a carico dell’imputato.
L’inevitabile asimmetria tra accusa e difesa ci richiama il concetto di Pm come “parte imparziale”, spesso sbrigativamente liquidato come ossimoro: “quintessenza del fariseismo giuridico”, “più il pubblico ministero è parte e più il cittadino è garantito” così si esprime un noto avvocato penalista.[9]
Se qualche magistrato nella foga polemica si spinge a dire che il mondo invidia il modello italiano di Pm dice una evidente sciocchezza. Ma la nostra Costituzione è stata lungimirante: il tema della imparzialità ovunque è visto come nodo centrale nella definizione della figura del Pm. Non è un caso che negli ultimi decenni vi sia stata una straordinaria proliferazione a livello internazionale di testi, tra i quali lo Statuto della Corte Penale Internazionale, che pongono il principio dell’imparzialità del Pm (declinata talora con il termine “obbiettività” in lingua inglese). [10]
Il regolamento istitutivo della Procura Europea (Eppo) richiama il principio di imparzialità all’art 5.4:” L’Eppo svolge le indagini in maniera imparziale e raccoglie tutte le prove pertinenti, sia a carico che a discarico”.[11]
In un lavoro di due noti avvocati torinesi, Gianaria e Mittone, il concetto di ossimoro è rivisitato proprio con riferimento al ruolo del difensore. La sua è una “lealtà divisa” vissuta quotidianamente rispettando tanto lo Stato quanto chi è accusato di averne violato le regole. Può sembrare un ossimoro che vuol nascondere ambiguità, ma praticare con rigore dedizione la “lealtà divisa” significa manifestare l'identità forte della professione di avvocato. Questi non può avere perplessità: il suo posto è accanto al cittadino coinvolto nelle strettoie della giustizia, la sua fatica consiste nello studiare e praticare le scelte a questo più favorevoli”.[12]
Il bel saggio dei due avvocati torinesi da cui ho tratto questa citazione è intitolato “L’avvocato necessario”. In un ordinamento penale democratico l’avvocato è necessario a rappresentare l’istanza di “libertà” contro la pretesa di “autorità” delle istanze che esprimono il legittimo monopolio della forza da parte dello Stato, su cui si regge la civile convivenza.
Nel processo l’avvocato non è solo necessario, ma indispensabile. Per il Pm è “indispensabile” il confronto con un avvocato difensore, agguerrito che sia capace di convincerlo della infondatezza della tesi di accusa, inducendolo richiedere la archiviazione della indagine o l’assoluzione all’esito del dibattimento; ma capace anche di stimolarlo ad argomentare la sua tesi nel modo più convincente davanti al giudice, quando il Pm rimanga fermo della sua impostazione di accusa
Difesa e accusa, avvocati e pubblici ministeri: principi comuni, ruoli e regole deontologiche specifici. Semplificazioni ed elusioni di temi difficili non giovano all’analisi.
L’indebito “protagonismo”, la scarsa professionalità di alcuni Pm, sono patologie che vanno affrontate. La questione del ruolo del Pubblico Ministero, che in Italia, come ovunque nel mondo, ha assunto un ruolo centrale nel sistema della giustizia penale, non la si risolve con gli slogan e le scorciatoie semplicistiche o surreali.
Vi è stato chi, muovendo da regole di galateo nei rapporti tra giudici e Pm che non dovranno più “darsi del tu” si è avventurato addirittura sul terreno dell’edilizia giudiziaria: “gli studi professionali non sono nel palazzo di giustizia. Non deve esistere un palazzo di giustizia ma uno della giurisdizione e l'altro degli uffici della pubblica accusa”. [13] Dovranno forse i futuri piani regolatori delle città prevedere distanze minime tra i rispettivi palazzi di giudici e Pm e magari “zone verdi cuscinetto”? Una alternativa al Superbonus per sostenere l’edilizia?
Il Presidente dell’Unione delle Camere penali in una recente intervista alla domanda “Come replica a chi dice che, con la separazione e i due Csm, i Pm avrebbero ancora più potere?” non ha esitato a rispondere: Bisogna smetterla di prendere in giro le persone. Questo non è un argomento serio. Chi ci garantisce dal pubblico ministero è il giudice. Il Pm può essere anche un poliziotto allo stato puro, un appartenente ad uno squadrone della morte, cosa che comunque non avverrebbe, ma non potrebbe fare nulla perché, se il giudice non è d'accordo, non può arrestare, non può sequestrare, non può adottare misure di prevenzione patrimoniale.[14]
Un Pm “poliziotto allo stato puro”, dotato di discrezionalità illimitata lo conosciamo già: è quello dell’ordinamento statunitense, che penso nessuno, proprio nessuno, auspichi di replicare da noi. E poi dove sono finite tutte le giuste osservazioni sul grande potere che il Pm esercita nella fase iniziale segreta delle indagini, fuori del controllo del giudice e senza contraddittorio con la difesa?
La foga polemica porta fuori strada e altrettanto le battute sull’arbitro che, si dice “indosserebbe la stessa maglia di una delle due squadre in campo”. Ma il processo non è una partita in cui uno perde e uno vince e non vi sono due simmetriche squadre in campo, tanto diversi sono principi, ruoli e deontologia di accusa e difesa. Il singolo Pm o il singolo difensore potrà ritenersi non appagato dalla decisione del giudice che non ha accolto la rispettiva richiesta e potrà fare appello. Ma in quanto figure processuali la pubblica accusa ha “vinto la causa” anche se l’imputato è stato assolto, dopo che l’accusa è stata anche appassionatamente (e correttamente) sostenuta e la privata difesa ha “vinto” la causa anche se l’imputato è stato condannato dopo che la difesa è stata appassionatamente (e correttamente) sostenuta. L’obbiettivo comune è che vinca la verità, o meglio, per riprendere le parole già citate di Glauco Giostra che “sia ridotto il più possibile o scarto tra la verità giudiziaria e la verità storica”.
Questioni complesse non sopportano ricette semplicistiche o battute che muovono da una premessa inesistente.
Per il Pubblico ministero oggi il cantiere aperto è quello della professionalità, della accountability e della deontologia. Sono temi che toccano tutti e tre gli attori della giustizia: giudici, avvocati e pubblici ministeri. Piuttosto che separare, dividere occorre impegnarsi per unire, nella costruzione di una comune cultura tra tutti gli esponenti delle professioni giuridiche, Università compresa. Un progetto ambizioso, ma ineludibile. Questo è il vero cantiere aperto su cui devono misurarsi le diverse istituzioni della magistratura e dell’avvocatura e le rispettive associazioni nell’interesse della giustizia e della garanzia dei diritti.
[1] Intervento al IV Congressi Nazionale di Area Democratica per la Giustizia Palermo 30 settembre 2023
[2] M. Langer, D.A.Sklansky (edit.), Prosecutors and Democracy. A Cross-National Study, Cambridge University Press,2018, p.1
[3]C.N. Tate, T. Vallinder (edit),The global expansion of judicial power, New York University Press, 1995
[4] ”M. Delmas-Marty, Introduzione in Procedure penali d’Europa, a cura di M. Delmas-Marty, II ed. italiana a cura di M. Chiavario, Cedam, Padova, 2001, pp.10 e 21
[5] A. Perrodet, Etude pour un ministère public européen, LGDJ, Paris 2001, p.1 Le ministère public reste l’institution la plus diversifiée en Europe
[6] Procedure penali d’Europa, a cura di M. Delmas-Marty, II ed. italiana a cura di M. Chiavario, Cedam, Padova, 2001
[7]In A rewiew of the Criminal Courts of England and Wales, september 2001, www.criminal-courts-rewiew.org.uk, p. 11: «The criminal process is not a game. It is a search for truth according to law, albeit by an adversarial process in which the prosecution must prove guilt to a heavy standard»
[8] G. Giostra, Prima lezione sulla giustizia penale, Laterza, Bari-Roma 2020, p. 45
[9] G.Benedetto, Non diamoci del tu. La separazione delle carriere, Rubettino, Soveria Mannelli 2022, p.33 e 31
[10] M. Robert,Quale imparzialità per il pubblico ministero?, in Questione giustizia, 2005, 2, p. 402 ss...
[11] Regolamento (Ue) 2017/1939 del Consiglio del 12 ottobre 2017 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea («EPPO»
[12] F. Gianaria, A. Mittone, L’avvocato necessario, Einaudi, Torino 2007 p. 49
[13] G.Benedetto, Non diamoci del tu, La separazione delle carriere, Rubettino, 2022 p 68
[14] Intervista di V. Stella all’ avv.Gian Domenico Caiazza, Il Ministro ascolti i cittadini e non i veri dei pm in congedo, Il Dubbio, 22 agosto 2023, p.1-2
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