CEDU e Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: portata, rispettivi ambiti applicativi e (possibili) sovrapposizioni
di Bruno Nascimbene*
Sommario. 1. Premessa. – 2. L’attualità del tema. Le pronunce rilevanti. – 3. La pluralità delle fonti. – 4. La Carta dei diritti fondamentali, il Trattato di Lisbona, l’armonia delle soluzioni. – 5. La rilevanza della CEDU nel sistema del Consiglio d’Europa e l’ordinamento interno. – 5.1. L’orientamento della Corte costituzionale. – 5.2. L’orientamento della Corte di giustizia. – 6. I rapporti fra Corte costituzionale e Corte di giustizia. – 6.1. La vicenda sul “diritto al silenzio”. – 6.2. La vicenda sul “bonus bebè”. – 7. I possibili contrasti. L’auspicata armonia.
1. Premessa
In occasione di un corso dedicato dalla Scuola Superiore della Magistratura alle fonti sovranazionali e all’intreccio delle diverse norme di derivazione europea con le norme nazionali, si presenta l’opportunità di ritornare su un tema che era stato oggetto di esame, almeno per alcuni profili, in un precedente corso organizzato dalla stessa Scuola. Erano stati presi in esame, allora, nel quadro della tutela dei diritti fondamentali in Europa, i cataloghi dei diritti e gli strumenti a disposizione del giudice nazionale per fornire la più ampia tutela ai diritti fondamentali del singolo[1].
L’attenzione era dedicata, in particolare, al giudice comune che deve applicare il diritto nazionale conformandosi a fonti sovraordinate: al diritto internazionale, dunque, consuetudinario e convenzionale, al diritto europeo convenzionale o speciale quale è il diritto dell’Unione europea, nel rispetto degli obblighi imposti dalla Costituzione. Norme rilevanti di questa sono gli artt. 10, 11, 117, e con riguardo ai diritti fondamentali, l’art. 2.
2. L’attualità del tema. Le pronunce rilevanti
Il tema è sempre di attualità, grazie anche alla discussione, e polemica (giuridica e politica) sul rispetto dello Stato di diritto in Europa. La presente relazione su CEDU e Carta dei diritti fondamentali riprende alcuni profili, per così dire tradizionali del tema, ma affatto scontati. Ne è un esempio una recente sentenza della Corte di Cassazione sulla non sindacabilità in sede di controllo della giurisdizione ex art. 111, 8° comma Cost., della violazione da parte del Consiglio di Stato sia del diritto dell’Unione europea, sia della CEDU, così equiparando le due fonti almeno al fine di escluderne la rilevanza quanto al rispetto dei limiti esterni della giurisdizione, ritenendo che la violazione di legge sostanziale o processuale rientra nell’ambito dei limiti interni della giurisdizione[2].
Altro esempio è rappresentato da due pronunce della Corte di giustizia e della Corte costituzionale, di cui si dirà nel prosieguo, ma che fin d’ora si ritiene opportuno ricordare.
a) La Corte cost. si è rivolta alla Corte di giustizia ponendo una questione pregiudiziale di validità e d’interpretazione in tema di “diritto al silenzio”, che è espressione del fondamentale diritto di difesa tutelato sia dalla Carta (art. 47), sia dalla CEDU (art. 6), nell’ambito di procedimenti amministrativi, e si è quindi pronunciata adeguandosi ai principi affermati dalla Corte di giustizia, dichiarando la illegittimità di norme nazionali contrastanti (o confliggenti)[3].
b) Vi è stata una seconda occasione di rinvio da parte della Corte costituzionale alla Corte di giustizia, ponendo una questione di interpretazione in tema di assegno di natalità (c.d. bonus bebè) e di assegno di maternità, dubitando della conformità di norme nazionali rispetto a norme di diritto UE (regolamento e direttiva), in particolare rispetto a varie disposizioni della Carta. Si è quindi pronunciata la Corte di giustizia, ritenendo il contrasto delle norme nazionali che limitano le predette prestazioni sociali (la limitazione riguardava gli stranieri titolari di un permesso unico di lavoro, non beneficiari delle prestazioni, diversamente dagli stranieri soggiornanti da lungo periodo). La Corte costituzionale (al momento in cui si scrive) non si è ancora pronunciata[4].
c) A conferma di un diritto vivente in continua evoluzione[5], si ricordano sia le questioni pregiudiziali sollevate dalla Corte di Cassazione (Randstad, su cui le conclusioni, del settembre 2021, dell’avvocato generale Hogan; la Corte, al momento in cui si scrive, non si è ancora pronunciata), con riguardo alla competenza delle S.U. in tema di rinvio ex art. 111, 8°comma Cost. (prima ricordato)[6]; sia quelle sollevate dal Consiglio di Stato (Hoffmann-La Roche) sugli eventuali limiti del rinvio alla Corte di giustizia quando il giudice a quo abbia già compiuto un altro rinvio pregiudiziale nella stessa causa (la questione è pendente)[7].
d) Il tema “rinvio” ex art. 267 TFUE, definito da una giurisprudenza consolidata come architrave o “chiave di volta” del sistema giurisdizionale[8], è stato rivisitato, in epoca recente, quanto agli obblighi (o non obblighi) che esso pone al giudice nazionale, dalla Corte di giustizia che ha ripreso la nota giurisprudenza Cilfit, ricordando la necessità, spesso trascurata, dell’obbligo di motivazione in caso di non rinvio (obbligo che può assumere rilevanza anche sotto il profilo CEDU, violazione dell’art. 6)[9].
e) Il dibattito circa una nuova, seppur diversa forma di rinvio, rappresentata dal Protocollo 16 alla CEDU, non ancora ratificato dal nostro Paese, è peraltro in corso ed è utile ricordare la speciale attenzione che è stata dedicata, anche di recente a questo tema [10].
3. La pluralità delle fonti
I diversi sistemi di protezione dei diritti fondamentali sono almeno tre, a livello nazionale ed europeo: costituzionale il primo; CEDU e diritto UE il secondo e il terzo, ricordando comunque la possibile rilevanza e applicabilità di altri strumenti internazionali, quali la Carta sociale in ambito europeo e il Patto sui diritti civili e politici e quello sui diritti economici sociali, in ambito internazionale. Essi, pur vincolanti, sono tuttavia privi di un proprio sistema giurisdizionale. Possono certamente assumere il ruolo di parametri interposti ai sensi dell’art. 117, 1° comma Cost., ma si tratta di fonti che non assumono lo stesso rilievo della CEDU o della Carta dei diritti fondamentali [11].
Il giudice nazionale deve dunque confrontarsi con una pluralità di fonti, risolvere possibili conflitti o antinomie, in un contesto in cui si dovrebbe sempre cercare l’armonia attraverso il dialogo. Il principio, che importa qui sottolineare, perché utile alla migliore comprensione dei rapporti CEDU-diritto UE, è ben indicato dalla Corte cost., non solo con riferimento ai rapporti fra Costituzione, CEDU e diritto UE, ma anche a quelli fra Costituzione e diritto internazionale. Il richiamo a quest’ultimo è meno usuale, ma sicuramente significativo dal punto di vista sistematico. Si ricorda in proposito la sentenza 63/19 sull’applicazione retroattiva della lex mitior in caso di sanzioni amministrative con funzioni punitive), richiamata dalla sentenza n. 11/20 che menziona e rende applicabili fonti diverse da quelle interne, facendo quindi riferimento a un “diritto internazionale dei diritti umani” che comprende norme vincolanti per il nostro ordinamento, quale è il Patto sui diritti civili e politici, che si ispirano ai medesimi principi della Costituzione[12]. La Corte ben riconosce il significato (e la rilevanza) di fonti internazionali, esprimendosi a favore della “massimizzazione” ovvero dell’ “integrazione delle tutele”: il rispetto degli obblighi internazionali “deve costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa”, mirando alla “massima espansione delle garanzie”. La tutela offerta dalla Corte cost. è diversa da quella offerta dalla Corte EDU, perché “opera una valutazione sistemica e non isolata” ovvero “non frazionata” per quanto riguarda i “valori coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinati”[13]. A queste fonti convenzionali internazionali si aggiunge, come già si è accennato, la fonte europea “Carta sociale” e la fonte rappresentata delle norme generali del diritto consuetudinario, cui rinvia l’art. 10, 1°comma Cost. Un complesso di norme, insomma, che mira alla tutela degli stessi diritti: quelli, fondamentali, della persona.
4. La Carta dei diritti fondamentali, il Trattato di Lisbona, la CEDU. L’armonia delle soluzioni
Non v’è dubbio che il Trattato di Lisbona, con le modifiche introdotte dall’art. 6 TUE, abbia rafforzato la tutela dei diritti fondamentali, conferendo alla Carta dei diritti fondamentali lo stesso valore giuridico dei trattati e prevedendo sia una (futura) adesione dell’Unione alla CEDU, sia, comunque, un riconoscimento, come principi generali dell’Unione, dei diritti fondamentali garantiti dalla CEDU e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. Queste tre fonti distinte (Carta, CEDU, principi generali) rappresentano “un sistema di protezione assai più complesso e articolato del precedente” (cioè pre-Lisbona); si è voluto “garantire un certo grado di elasticità al sistema” e quindi “evitare che la Carta ‘cristallizzi’ i diritti fondamentali, impedendo alla Corte di giustizia di individuarne di nuovi, in rapporto all’evoluzione delle fonti indirettamente richiamate”[14]. La Carta, d’altra parte, è stata accettata con riserva da alcuni Stati (Polonia, Regno Unito, il riferimento è al Protocollo n. 30 al Trattato di Lisbona con riguardo ai diritti sociali), e l’adesione non è avvenuta, per una serie di motivi. Già Corte cost., peraltro, sembra individuare, prima del parere 2/13 della Corte di giustizia sull’adesione dell’Unione europea alla CEDU, un punto debole della norma relativa all’adesione perché l’Unione, in quanto tale, a seguito dell’adesione, dovrebbe “sottoporsi” a un sistema internazionale di controllo in ordine al rispetto “dei diritti fondamentali”. La fonte CEDU, tuttavia, cioè i diritti garantiti dalla stessa, resta vincolante nella sua integrità poiché tali diritti (art.6, par. 3) “fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”[15].
La coerenza CEDU-Carta, pur restando esse distinte, è d’altra parte affermata da una delle c.d. norme orizzontali della Carta, l’art. 52, par. 2, che prevede, in caso di corrispondenza fra “diritti CEDU” e “diritti Carta”, l’obbligo di interpretare il significato e la portata di questi ultimi in modo uguale ai primi, salva la possibilità, per la Carta, di concedere una protezione più estesa.
La ricerca di coerenza e armonia è pure espressa dal par. 4 dell’art. 52 che prevede l’obbligo di interpretare i diritti tutelati dalla Carta, che risultino anche dalle tradizioni costituzionali comuni, “in armonia” con le predette tradizioni.
Carta e CEDU restano fonti distinte seppur coordinate, l’art. 52 contenendo una clausola di equivalenza che non incide sulla diversità dei sistemi cui appartengono le fonti. Anzi, ne rappresenta una conferma, seppur nel necessario contesto di coerenza e armonia che contraddistingue i diritti fondamentali. Tale diversità è ribadita, nel diritto UE, in più occasioni quando se ne definisce l’ambito di applicazione: la Carta non estende “in alcun modo” le competenze dell’Unione definite nei “trattati” (art. 6, par. 1; Dichiarazione n. 1 allegata al Trattato di Lisbona); non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione (art. 51, par. 1); non introduce competenze nuove o compiti nuovi, né modifica compiti o competenze definite nei Trattati (art. 51, par. 2; Dichiarazione n. 1 cit.). Si applica alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, e agli Stati membri “esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione” (art. 51, par. 1). Il perimetro, cioè i limiti materiali di applicazione della Carta sono ben definiti dall’applicabilità materiale del diritto UE, e quindi deve trattarsi di norme di diritto UE oppure di norme nazionali che siano attuazione di quel diritto, non già di una qualunque norma priva “di ogni legame con tale diritto”[16]. La CEDU, insomma, non si è trasformata in diritto UE grazie all’art. 6: non vi è stata “lisbonizzazione” o “trattatizzazione” indiretta della CEDU e il giudice nazionale non può disapplicare o non applicare la norma nazionale contrastante sulla base dell’art. 11 Cost., poiché non è individuabile, rispetto a tale norma costituzionale, “alcuna limitazione della sovranità nazionale”.
5. La rilevanza della CEDU nel sistema del Consiglio d’Europa e l’ordinamento interno.
5.1. L’orientamento della Corte costituzionale
Il Consiglio d’Europa, nel cui contesto si collocano la CEDU e l’attività interpretativa della Corte EDU, “è una realtà giuridica, funzionale e istituzionale, distinta dalla Comunità europea”[17]. Il “diritto CEDU” è pur sempre diritto internazionale, privo, è vero, dei requisiti di “primazia” e diretta applicabilità propri del diritto UE, ed è quindi applicabile nelle ipotesi in cui non è applicabile il diritto UE. La CEDU rappresenta a livello internazionale, la forma più evoluta o comunque una delle forme più evolute per la protezione dei diritti fondamentali. E’, invero, qualificata dalla Corte EDU come “uno strumento costituzionale dell’ordine pubblico europeo”, un mezzo rilevante per “promuovere e conservare gli ideali e i valori di una società democratica” in cui la democrazia politica è “un elemento fondamentale dell’ordine pubblico europeo”[18]. La CEDU offre una garanzia collettiva del rispetto degli obblighi e diritti previsti e, a “differenza dei trattati internazionali di tipo classico [essa] travalica l’ambito della semplice reciprocità tra gli Stati contraenti”[19].
Poiché la CEDU non ha le caratteristiche del diritto UE, essa, così come interpretata dalla Corte EDU, integra (quale norma interposta), “il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, primo comma Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali”[20].
Il giudice comune, in caso di contrasto fra norme interne e CEDU, se non riesce a conseguire un’interpretazione conforme della prima rispetto alla seconda e, quindi, a risolvere il contrasto per via interpretativa, deve proporre una questione di legittimità costituzionale, non potendo disapplicare la norma nazionale contrastante: proporrà, infatti, la questione in riferimento all’art. 117, 1°comma Cost. oppure all’art. 10, 1°comma Cost. qualora si tratti di una norma convenzionale ricognitiva di una norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta”[21]. La Corte costituzionale, procedendo a una valutazione (come si è prima detto) sistemica e non frazionata, e operando il consueto bilanciamento fra fonti (la norma CEDU è norma interposta) deve procedere a una “integrazione delle tutele” non già ad una “affermazione della primazia dell’ordinamento nazionale” [22].
5.2. L’orientamento della Corte di giustizia
La Corte di giustizia conferma la diversità delle fonti e dei sistemi, soprattutto quando, in occasione del parere 2/13 negativo (prima ricordato) sull’adesione alla CEDU, si è espressa sulle caratteristiche specifiche, sulle competenze e sull’autonomia del diritto dell’Unione che verrebbe compromessa qualora si procedesse all’adesione. Premesso che i diritti fondamentali, quali garantiti dalla CEDU, fanno parte del diritto UE in quanto principi generali ex art. 6, par. 3 TUE, la CEDU tuttavia, in assenza di adesione, “non costituisce uno strumento giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione”. L’accordo di adesione, in quanto accordo internazionale, vincolerebbe ex art. 216, par. 2 TFUE le istituzioni dell’Unione e gli Stati membri, divenendo parte integrante del diritto UE; tuttavia sottoporrebbe l’Unione e la Corte di giustizia a un controllo esterno che pregiudicherebbe l’autonomia del diritto UE e vincolerebbe l’Unione e le sue istituzioni, in particolare la Corte di giustizia, all’interpretazione fornita dalla Corte EDU[23].
La Corte afferma l’esistenza di una “costruzione giuridica” al centro della quale si collocano i diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta (il rispetto di tali diritti costituisce un presupposto della legittimità degli atti). Una costruzione, questa, caratterizzata sia dal fatto di derivare da una fonte autonoma, costituita dai Trattati, sia dal primato del diritto UE sul diritto nazionale, sia dall’effetto diretto di norme (che presentino determinate caratteristiche) applicabili ai cittadini degli Stati membri nonché agli Stati stessi. Proprio per preservare le caratteristiche specifiche e l’autonomia di tale ordinamento giuridico i Trattati hanno istituito un sistema giurisdizionale destinato ad assicurare la coerenza e l’unità nell’interpretazione del diritto UE[24]. Il giudice nazionale deve garantire la piena efficacia del diritto UE e deve disapplicare “all’occorrenza di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore”; deve impedire situazioni di incompatibilità derivante da norme o da “qualsiasi prassi, legislativa, amministrativa o giudiziaria, che porti ad una riduzione della concreta efficacia del diritto dell’Unione”[25].
Il sistema presenta peculiarità. Malgrado quanto previsto dall’art. 6, par. 3 TUE e dall’art. 52, par. 3 Carta sul riconoscimento dei diritti fondamentali tutelati dalla CEDU come appartenenti ai principi generali e sulla corrispondenza fra “diritti CEDU” e “diritti Carta”, la Carta non è, almeno fino a quando l’Unione non abbia aderito (già si è detto) alla CEDU, “un atto giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giudico dell’Unione” e conseguentemente “il diritto dell’Unione non disciplina i rapporti tra la CEDU e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri e nemmeno determina le conseguenze che un giudice nazionale deve trarre nell’ipotesi di conflitto tra i diritti garantiti da tale convenzione ed una norma di diritto nazionale”[26].
6. I rapporti fra Corte costituzionale e Corte di giustizia
Alcuni rilievi meritano i rapporti fra Corte costituzionale e Corte di giustizia. Esempi concreti e recenti di dialogo fra Corte costituzionale e Corte di giustizia, che riguardano la tutela di diritti fondamentali, sono rappresentati dai casi prima ricordati del c.d. “diritto al silenzio” nell’ambito di un procedimento amministrativo (nella specie avanti alla Consob, ma poi esteso a quello avanti alla Banca d’Italia)[27] e del “bonus bebè”.
6.1. La vicenda sul “diritto al silenzio”
Nel primo caso, (deciso con sentenza n. 84/2021) la Corte costituzionale aveva posto (con ordinanza n. 117/2019) una questione pregiudiziale non solo di interpretazione, ma di validità, ritenendo “necessario sollevare un chiarimento” nello “spirito di leale cooperazione tra Corti nazionali ed europee nella definizione di livelli comuni di tutela dei diritti”[28]. Le norme in questione riguardano gli abusi di mercato (direttiva 2003/6, art. 14, par. 3 e regolamento 596/2014, art. 30, par. 1, lett. b), in riferimento o più precisamente “alla luce” non solo degli articoli 47 (diritto ad un ricorso effettivo) e 48 (presunzione di innocenza e diritti della difesa) della Carta, ma anche (“alla luce”) della giurisprudenza della Corte EDU, dell’art. 6 CEDU e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri nella misura in cui le predette norme impongono di sanzionare anche chi si rifiuti di rispondere a domande dell’autorità competente, violando il diritto al silenzio, ovvero il diritto a non contribuire alla propria incolpazione e a non essere costretto a rendere dichiarazioni di natura confessoria, peraltro tutelato dall’art. 24 Cost.
L’interpretazione riguardava l’obbligo, o non, per lo Stato di prevedere sanzioni a carico di chi si rifiuta di rispondere: se fosse stato affermato l’obbligo, il che non è avvenuto, si sarebbe posto un problema di compatibilità (validità) con gli articoli 47 e 48 Carta. La Corte di giustizia ha risposto ai quesiti pregiudiziali dichiarando (alla luce, appunto, della giurisprudenza della Corte EDU sul diritto ad un equo processo e della Carta) che il diritto al silenzio è “al centro della nozione di equo processo” (costituisce, invero, anche “una norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta”) ed osta, in particolare, a che una persona fisica “imputata” venga sanzionata a causa del suo rifiuto a fornire all’autorità competente risposte che possano fare emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale o la sua responsabilità penale[29]. Le norme UE applicabili sugli abusi del mercato consentono agli Stati di non sanzionare il rifiuto a rispondere utilizzando “il potere discrezionale ad essi conferito da un testo di diritto derivato dell’Unione in modo conforme ai diritti fondamentali”. Viene così rispettato il diritto al silenzio, la Corte tenendo conto dell’interpretazione degli artt. 47 e 48 Carta, dei diritti corrispondenti garantiti dall’art. 6 CEDU (ai sensi del combinato disposto dell’art. 6, par. 3 TUE e dell’art. 52, par. 3 Carta) e dalla giurisprudenza della Corte EDU in quanto soglia di protezione minima): le norme UE sono dunque valide perché non impongono una sanzione[30]. Sono interpretate in senso conforme alla tutela del diritto al silenzio, nel senso che non impongono una sanzione[31].
La Corte costituzionale, a seguito della sentenza della Corte di giustizia, conferma l’interpretazione dalla stessa fornita. L’interpretazione “collima”, precisamente, con la propria “ricostruzione” circa la “portata del diritto al silenzio nell’ambito dei procedimenti amministrativi” che prevedono l’inflizione di sanzioni amministrative di carattere sostanzialmente penale[32]. Un diritto, questo, che “può essere ricavato altresì” da altra fonte internazionale, quale il Patto sui diritti civili e politici (art. 14, par. 3, lett. g). Si tratta, insomma, di norme nazionali e sovranazionali che “si integrano completandosi reciprocamente nella interpretazione” e “nella definizione dello standard di tutela delle condizioni essenziali” del diritto in questione[33].
6.2. La vicenda sul “bonus bebè”
La seconda ordinanza della Corte, n. 182/20, richiamate le sentenze n. 269/17, n. 20/19, n. 63/19 sui rapporti fra pregiudiziale costituzionale e pregiudiziale comunitaria, in particolare sulla funzione del rinvio pregiudiziale, sottolinea la necessità di assicurare una «garanzia di uniforme interpretazione dei diritti e degli obblighi che discendono dal diritto dell’Unione», «in un quadro di costruttiva e leale cooperazione tra i diversi sistemi di garanzia». Lo spirito, invero, è quello prima ricordato nella vicenda del “diritto al silenzio”. La Corte rivendica il proprio ruolo, nel quadro giurisdizionale disegnato dall’art. 47 Carta, di «interrogare la Corte di giustizia» prima di decidere la questione di legittimità costituzionale, e dunque di esaminare se una norma nazionale «infranga in pari tempo i principi costituzionali e le garanzie sancite nella Carta»[34]. Alla Corte era stata posta la questione di legittimità delle norme nazionali che prevedono la concessione di un assegno di natalità (c.d. bonus bebè) e un assegno di maternità per gli stranieri soggiornanti di lungo periodo (disciplinati dalla direttiva 2003/109; il beneficio è a questi applicabile in virtù del regolamento 1231/2010), non anche agli stranieri che sono titolari di un permesso unico di lavoro (disciplinati dalla direttiva 2011/98; si tratta di un permesso, rilasciato ai sensi della direttiva 2011/98 che consente agli stranieri di soggiornare regolarmente in uno Stato per fini lavorativi, e che non possiedono i requisiti dei c.d. lungosoggiornanti; la direttiva richiama espressamente il regolamento 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale).
Giudice remittente era la Corte di Cassazione che prospettava una discriminazione “fra stranieri” in ordine al beneficio di dette prestazioni sociali, e dubitava della legittimità costituzionale con riferimento agli artt. 3, 31, 117, 1°comma Cost., quest’ultimo in relazione a varie disposizioni della Carta UE: 20, 21, 33, 34. La Corte cost. poneva il quesito pregiudiziale con riferimento all’interpretazione del solo art. 34 che riguarda la sicurezza sociale e l’assistenza sociale, chiedendo di conoscere se «nel suo ambito di applicazione rientrino l’assegno di natalità e l’assegno di maternità, in base» al regolamento e alla direttiva ricordati (art. 3, par. 1, lett. b) e j) del regolamento richiamato dall’art. 12, par. 1, lett. e) della direttiva 2011/98). La domanda riguardava, insomma, la compatibilità, o non, con l’art. 34, delle norme nazionali che escludono dai benefici sociali i titolari di un permesso unico [35].
La Corte di giustizia[36] si è pronunciata per l’incompatibilità delle norme nazionali, poiché i predetti assegni rientrano nei settori della sicurezza sociale. Il diritto di accesso alle prestazioni sociali è inteso in senso ampio. La sua lettura è strettamente connessa alla direttiva ricordata (e al regolamento richiamato), perché questa “rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti dalla Carta”[37] e perché con il rinvio al regolamento 883/2004 la direttiva “dà espressione concreta” al diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale di cui all’art. 34, paragrafi 1 e 2 della Carta[38]. Si tratta di una direttiva che concretizza un diritto fondamentale previsto dalla Carta e vincola gli Stati, che adottano misure rientranti in questa direttiva, ad agire nel rispetto della stessa[39].
Il contrasto delle norme nazionali viene dunque ritenuto sussistente con la direttiva (art. 12) e, si può dire, per via derivata con l’art. 34 Carta. L’interpretazione della direttiva insieme al regolamento richiamato ha, come risultato, di qualificare (a prescindere da ogni definizione di diritto nazionale)[40], l’assegno di natalità (in quanto prestazione familiare ex art. 3, par. 1 lett. j) e l’assegno di maternità (ex art. 3, par. 1 lett. b) rientrano nei settori di sicurezza sociale e debbono essere riconosciuti, in virtù del principio di parità di trattamento, anche ai cittadini di Paesi terzi titolari di un permesso unico (art. 12, par. 1, lett. b e c della direttiva).
La Corte non affronta il tema dell’effetto diretto dell’art. 34 e della direttiva, non essendo stata posta la questione interpretativa specifica. D’altra parte, in altra occasione in cui erano oggetto di interpretazione l’art. 34, parr. 1 e 2 e alcune norme del regolamento 883/2004, la Corte, dopo aver ritenuto inapplicabile il regolamento, ha considerato superfluo esaminare la questione alla luce dell’art. 34[41]. L’art. 34 è norma “mista” di principi e diritti, le “Spiegazioni” relative alla Carta precisando che il par. 1 è un principio (e tale sembra essere il par. 3), mentre il par. 2 sul diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali per chi risieda o si sposti legalmente all’interno dell’Unione è un diritto[42]. Una più ampia disamina dell’art. 34 e dei suoi effetti sarebbe stata auspicabile. La formula utilizzata, secondo cui il diritto derivato dà concretezza a un diritto fondamentale, richiama quanto afferma la Corte a proposito del principio generale di non discriminazione fondato sull’età, ove le direttive in questione (in materia di occupazione e condizioni di lavoro, e sul lavoro a tempo determinato), in quanto diritto derivato, furono utilizzate per dare concretezza al principio[43].
7. I possibili contrasti. L’auspicata armonia
Una riflessione conclusiva.
Il giudice italiano, la Corte costituzionale in particolare, ha posto problemi interpretativi alla Corte di giustizia su questioni che riguardano la tutela di diritti fondamentali, previsti da fonti diverse: Carta e CEDU, ma anche altri strumenti internazionali.
Si dovrebbero comunque evitare ipotesi di contrasto e di ricorso da parte nazionale ai “controlimiti”, se è vero che esiste, o comunque dovrebbe esistere (come sottolinea la Corte costituzionale), una «costruttiva e leale cooperazione tra i diversi sistemi di garanzia» dei diritti fondamentali, e che i principi e diritti sono «tra loro armonici e complementari». Il rapporto fra fonti e Corti, insomma, deve, o comunque dovrebbe essere «di mutua implicazione e di feconda integrazione»[44].
*Professore emerito, già ordinario di Diritto dell’Unione europea nell’Università degli Studi di Milano.
[1] La relazione dal titolo La tutela dei diritti fondamentali in Europa: i cataloghi e gli strumenti a disposizione dei giudici nazionali (cataloghi, arsenale dei giudici e limiti o confini), svolta nel precedente corso (settembre 2020) è leggibile in eurojus, 2020. La relazione, qui pubblicata, tenuta in occasione del corso della Scuola Superiore della Magistratura (novembre 2021, “Fonti del diritto e giurisprudenza internazionali. Strumenti di tutela e di soluzione delle antinomie”) sarà pubblicata prossimamente in un Quaderno della Scuola. Considerata la natura del presente lavoro, i riferimenti in nota sono di carattere essenziale. Più recentemente, sul tema dei rapporti o intreccio fra “Carte” e “Corti” si veda I. Anrò, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e CEDU: dieci anni di convivenza, in Federalismi, 2020, p. 109 ss.; per altri riferimenti cfr. il nostro La tutela cit.
[2] Cass. S.U., 5.10.2021, n. 2690, Hoffman-La Roche e a. Per un richiamo congiunto alla tutela affermata dalla CEDU (“ordinamento convenzionale”) e dal diritto UE (“ordinamento europeo”), verificandosi una “concorrenza di tutele che si traduce in un’integrazione di garanzie” cfr. Corte cost. 30.7.2021, n. 182, punti 4.1., 11. del “Considerato in diritto”; sul concorso di tutele si veda anche oltre, parr. 6.1., 7. Cfr. inoltre i rifer. nella nota 33.Sul tema del rispetto dello Stato di diritto si permette rinviare al nostro Il rispetto della rule of law e lo strumento finanziario. La “condizionalità”, in eurojus, 2021 (riferimenti ivi).
[3] Ordinanza della Corte cost. n. 117/2019; sentenza della Corte di giustizia 2.2.2021; sentenza della Corte cost. n. 84/2021, su cui oltre, par. 6.1.
[4] Cfr. l’ordinanza della Corte cost. n. 182/2020, la sentenza della Corte di giustizia 2.9.2021, su cui oltre par. 6.2.
[5] Sul diritto vivente ricordato si vedano le altre relazioni al corso della Scuola (novembre 2021) di prossima pubblicazione nel Quaderno cit. nota 1.
[6] Ordinanza della Cass. S.U. 18.9.2020, n. 19598, Randstad; conclusioni dell’avvocato generale del 9.9.2021, causa C-497/20, in EU:C:2021:725; per un commento, recentemente E. Tosto, Saga Randstad, atto I: a che punto siamo, in Federalismi, 2021, p. 207 ss.
[7] Sulle ordinanze della Cassazione, Sezioni unite, e del Consiglio di Stato cfr., anche per riferimenti, B. Nascimbene, P. Piva, Il rinvio della Corte di Cassazione alla Corte di giustizia: violazioni gravi e manifeste del diritto dell’Unione europea?, in questa Rivista, 2020 e degli stessi Rinvio pregiudiziale e garanzie giurisdizionali effettive. Un confronto fra diritto dell’Unione e diritto nazionale. Commento all’ordinanza 2327/2021 del Consiglio di Stato, ibidem, 2021. La scelta delle Sezioni unite è stata di adire con rinvio pregiudiziale la Corte di giustizia, non già la Corte cost., che con sentenza 18 gennaio 2018, n. 6 aveva ritenuto non rientrante nella nozione di motivo inerente la giurisdizione ex art. 111, 8°comma la violazione del diritto UE, rientrante invece nella nozione di violazione di legge, rilevante ex art. 360 cod. proc. civ.; le Sezioni unite avevano prospettato la violazione degli artt. 19 TUE e 47 Carta (denegata giustizia) qualora fosse escluso il ricorso ex art. 111 Cost. Per le conclusioni dell’avvocato generale cfr. la nota precedente; la causa pendente su rinvio del Consiglio di Stato è C-261/21.
[8] In questi termini, il parere della Corte di giustizia 2/13 del 18.12.2014, EU:C:2014:2475, punto 176.
[9] Cfr. la sentenza 6.10.2021, C-561/19, Consorzio Italian Management, EU:C:2021:799 e la sentenza 6.10.1982, C-283/81, Cilfit, EU:C:1982:335. Per un commento cfr. P. De Pasquale, Inespugnabile la roccaforte dei criteri CILFIT, in BlogDue, 2021; F. Ferraro, Corte di giustizia e obbligo di rinvio pregiudiziale del giudice di ultima istanza: nihil sub sole novum, in questa Rivista, 2021. Recentemente, sull’obbligo, o non, di rinvio e sulla necessità di motivazione, si vedano le sentenze (sul c.d. caso dei “balneari”) del Consiglio di Stato, Ad. plen., 9.11.2021, n. 17 e n. 18, punto 29 (di entrambe).
[10] Cfr. i vari contributi pubblicati in questa Rivista 2020 e 2021 di S. Bartole, Le opinabili paure di pur autorevoli dottrine a proposito della ratifica del protocollo n. 16 alla CEDU e i reali danni dell’inerzia parlamentare, P. Biavati, Giudici deresponsabilizzati ? Note minime sulla mancata ratifica del Protocollo 16, E. Cannizzaro, La singolare vicenda della ratifica del Protocollo n.16, M. Castellaneta, Ratificato il Protocollo n. 15 …aspettando il Prot. n.16. Al via le modifiche alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, A. Esposito, La riflessività del protocollo n. 16 alla Cedu, C.V. Giabardo, Il Protocollo 16 e l’ambizioso (ma accidentato) progetto di una global community of courts, E. Lamarque, La ratifica del Protocollo n. 16 alla CEDU: lasciata ma non persa, B. Nascimbene, La mancata ratifica del Protocollo n. 16. Rinvio consultivo e rinvio pregiudiziale a confronto, C. Pinelli, Il rinvio dell’autorizzazione alla ratifica del Protocollo n. 16 CEDU e le conseguenze inattese del sovranismo simbolico sull’interesse nazionale, A. Ruggeri, Protocollo 16: funere mersit acerbo?, nonché gli interventi (ibidem, 2021) di E. Albanesi, B. Biancardi, F. Buffa, G. Cerrina Ferroni, R. Conti, M. Lipari, M. Luciani, A. Ruggeri, R. Sabato, F. Vari, in occasione del convegno del 22.6.2021 “Protocollo n. 16. Riaprire il cantiere in Parlamento”.
[11] Alla Carta sociale si riferisce Corte cost. 13.6.2018, n. 120; 8.11.2018, n. 194; al Patto internazionale si riferisce Corte cost. 21.3.2021, n. 63; 30.4.2021, n. 84, di cui oltre; sulla possibile rilevanza del diritto consuetudinario ex art. 10, 1° comma Cost., cfr. Corte cost. 28.12.2012, n. 264, su cui oltre.
[12] Cfr. Corte cost. 21.3.2019, n. 63, punto 6.1. del “Considerato in diritto”; 9.1.2020, n. 11, punto 3.4. del “Considerato in diritto”.
[13] Cfr. Corte cost. 28.12.2012, n. 264, punti 4.1., 4.2., 5.4. del “Considerato in diritto”; ordinanza 10.5.2019, n. 117, punto 3 del “Considerato in diritto” sul rinvio ad una pluralità di fonti internazionali.
[14] Cfr. Corte cost., 11.3.2011, n. 80, punto 5.2. del “Considerato in diritto”.
[15] Cfr. Corte cost. n. 80/11, punto 5.3. del “Considerato in diritto”; Corte di giustizia, parere 2/13 cit., spec. punti 164, 179-189.
[16] Corte cost. n. 80/11, punto 5.5. del “Considerato in diritto”.
[17] Cfr. Corte cost. n. 80/2011, punto 5.1. del “Considerato in diritto”, richiamando Corte cost. 24.10.2007, n. 349.
[18] Cfr. Corte EDU, 23.3.1995, Loizidou c. Turchia, par. 75; 17.2.1994, Gorzelik e a. c. Polonia, par. 89.
[19] Cfr. Corte EDU 18.1.1978, Irlanda c. Regno Unito, par. 239.
[20] Cfr. Corte cost., 28.11.2012, n. 264, punto 4.1. del “Considerato in diritto”.
[21] Corte cost. 264/12, punto 4. del “Considerato in diritto” con riferimento alla giurisprudenza precedente.
[22] Cfr. Corte cost. n. 264/12, punto 4.2. del “Considerato in diritto”.
[23] Cfr. il parere 2/13 cit., spec. punti 179-185.
[24] Cfr. Corte, 24.10.2018, C-234/17, XC, YB, ZA, EU:C:2018:853, punti 36-37, 39 con ampi riferimenti giurisprudenziali.
[25] Cfr. Corte, 26.2.2013, C-617/10, Åkerberg Fransson, EU:C:2013:105, punti 45-46, con ampi riferimenti giurisprudenziali.
[26] Sentenza Åkerberg Fransson cit., punto 44, ricordando negli stessi termini 24.4.2012, C-571/10, Kamberaj, EU:C:2012:233, punto 62.
[27] Nella pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 187-quinquiesdecies del d.lgs. 24.2.1998, n. 58 (TUIF) e modifiche successive la Corte, in via consequenziale, ha dichiarato l’illegittimità della norma anche in riferimento al procedimento in cui la persona si rifiuti di fornire risposte alla Banca d’Italia: cfr. il punto 4. del “Considerato in diritto”.
[28] È stata la prima volta, nel rapporto fra le due Corti, che è stata posta una questione di validità: cfr. il punto 10. dell’ordinanza 10.5.2019, n. 117.
[29] Corte 2.2. 2021, causa C-481/19, DB, EU:C:2021:84. Per rilievi in proposito cfr., su questa sentenza e su quella della Corte cost., di cui oltre, M. Aranci, Da Roma a Lussemburgo… e ritorno: la pronuncia della Consulta sul diritto al silenzio, in eurojus.it, 2021; E. Basile, La Corte di giustizia riconosce il diritto al silenzio nell’ambito dei procedimenti amministrativi “punitivi”, in Sistema penale, 2021; D. Coduti, Il diritto al silenzio nell’intreccio tra diritto nazionale, sovranazionale e internazionale: il caso D.B. c. CONSOB, in Federalismi, 2021, p. 121 ss.; P. Gambatesa, Riflessioni sulla prima occasione di “dialogo” tra Corte Costituzionale e Corte di giustizia in casi di doppia pregiudizialità, in Federalismi, 2021, p. 64 ss. Sul riferimento all’art. 6 CEDU e alla centralità del diritto, sentenza DB cit., punti 33, 37-40. La Corte precisa, tuttavia (punto 41) che non può comunque essere giustificata «qualsiasi omessa collaborazione con le autorità competenti, qual è il caso di un rifiuto di presentarsi ad un’audizione prevista da tali autorità o di manovre dilatorie minanti a rinviare lo svolgimento dell’audizione stessa». Tale “valutazione” sul diritto al silenzio «non trova smentita nella giurisprudenza della [stessa] relativa alle norme dell’Unione in materia di concorrenza», l’impresa non potendo «vedersi imporre l’obbligo di fornire risposte in virtù delle quali essa si troverebbe a dovere ammettere l’esistenza di una violazione» di dette norme (giurisprudenza che, «come indicato dallo stesso giudice del rinvio», «non può applicarsi per analogia quando si tratta di stabilire il diritto al silenzio di persone fisiche»).
[30] Sentenza DB, cit., punti 56-58 ove si afferma che la validità delle norme UE non viene pregiudicata dal fatto che manchi, nelle stesse, una esplicita esclusione dell’inflizione di una sanzione.
[31] Sull’interpretazione conforme, cfr. Corte, DB, cit., punti 50,55; su tale principio, in generale, Corte, 24.6.2019, C-573/17, Poplawski, EU:C:2019:530, punti 55-57. Sulla rilevanza dell’interpretazione conforme, nella specie ai due parametri interposti rappresentati dalla CEDU e dal diritto UE, essendo presente, e tutelato, in entrambi gli ordinamenti (“convenzionale” e “europeo”), il principio della presunzione di innocenza (“come delineato nell’ordinamento convenzionale dalla giurisprudenza della Corte EDU e come riconosciuto nell’ordinamento dell’Unione europea”) cfr. Corte cost., n. 182/21, punti 9, 10, 14, 16 del “Considerato in diritto”.
[32] Cfr. la sentenza n. 84/21, spec. i punti 3.4. e 3.5. del “Considerato in diritto”. La Corte ha concluso per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 187-quinquiesdecies t.u.f. «nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla Banca d’Italia o alla Consob risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato»; la Corte precisa altresì che è compito del legislatore “la più precisa declinazione delle ulteriori modalità di tutela” del diritto al silenzio, “in modo da meglio calibrare” la tutela dell’ambito dei procedimenti amministrativi che vengono in considerazione” nel rispetto dei principi discendenti non solo dalla Costituzione, ma dalla CEDU e dal diritto UE (“Considerato in diritto”, punto 5). Cfr. in argomento i riferimenti alla nota 29.
[33] Sentenza n. 84/2011, punto 3.5. del “Considerato in diritto”, richiamando le sentenze n. 388/1999 e n. 187/2019. Sull’integrazione fra fonti ovvero “coincidenza” cfr. anche la sentenza della Corte cost. 29.3.2021, n. 49, punto 9.2. del “Considerato in diritto”, e sulla “concorrenza” fra fonti i riferimenti nella nota 2.
[34] Cfr. Corte cost. ordinanza 30.7.2020, n. 182, punti 3.1. e 3.2. del “Considerato in diritto”. Il precedente orientamento richiamato è alle sentenze 14.12.2017, n. 269; 21.2.2019, n. 20; 21.3.2019, n. 63; 5.2.2020, n. 11; le stesse sentenze sono richiamate da Corte cost. n. 49/2021, punto 9.2. e da n. 182/2021, punto 4.2. Sull’ordinanza n. 182/20 si vedano, in particolare, i commenti di D. Gallo, A. Nano, L’accesso agli assegni di natalità e di maternità per i cittadini di Paesi terzi titolari di permesso unico nell’ordinanza n. 182 del 2020 della Corte costituzionale, in eurojus.it, 2020; N. Lazzerini, Dual Preliminarity Within The Scope of the UE Charter of Fundamental Rights in the light of Order 782/2020 of the Italian Constitutional Court, in European Papers, 2020.
[35] Cfr. il dispositivo dell’ordinanza e, quanto al riferimento al diritto secondario, il punto 7.1.2., ove la Corte costituzionale precisa la propria richiesta tesa a conoscere se l’assegno di maternità «debba essere incluso nell’art. 34 CDFUE, letto alla luce del diritto secondario».
[36] Sentenza 2.9.2021, causa C-350/20, O.D. e a., EU:C:2021:659. Per un commento, D. Gallo, Assegni di natalità e maternità nella recente sentenza della Corte di giustizia: riflessioni “a caldo”, in eurojus, 2021; A. Torrice, Siglata la pace tra Corte di giustizia e Corte costituzionale sul difficile terreno della sicurezza sociale, in questa Rivista, 2021.
[37] Cfr. il considerando 31 della direttiva richiamata dalla sentenza O.D. e a. cit., punto 45.
[38] Cfr. la sentenza O.D. e a. cit., punto 46.
[39] Cfr. la sentenza O.D. e a. cit., punto 47, ricordando, in materia di discriminazioni fondate sull’età, la sentenza 11.11.2014, Schmitzer, C-530/13, EU:C:2014:2359, punto 23 con riferimenti di giurisprudenza.
[40] Cfr. su questi problemi di definizione la sentenza Kamberaj cit., punti 77-78.
[41] Cfr. in questi termini 18.12.2019, C-447/18, UB, EU:C:2019:1098, punti 33-34.
[42] Sui problemi relativi alla diretta applicabilità di norme della Carta e sulla distinzione fra principi e diritti cfr. i rilievi svolti nel nostro Carta dei diritti fondamentali, applicabilità e rapporti fra giudici: la necessità di una tutela integrata, in European Papers, 2021, p. 81 ss.
[43] Cfr. la sentenza 22.11.2005, C-144/04, Mangold, EU:C:2005:709.
[44] Cfr. l’ordinanza n. 182/20, punto 3.2. del “Considerato in diritto”. Per alcuni rilievi sui comuni intenti delle Corti europee cfr. L.S. Rossi, I rapporti fra la Carta dei diritti fondamentali e la CEDU nella giurisprudenza delle rispettive Corti, in I Post di AISDUE, 2020; S. Sciarra, Lenti bifocali e parole comuni: antidoti sull’accentramento nel giudizio di costituzionalità, in Federalismi, 2021, p. 37 ss.; cfr. anche E. Lamarque, I poteri del giudice comune nel rapporto con la Corte costituzionale e le Corti europee, in Questione giustizia, 2020; R. Conti, CEDU e Carta UE dei diritti fondamentali, tra contenuti affini e ambiti di applicazione divergenti, in Consulta on line, 2020.