Sommario: 1. Il contesto - 2. Il consolidamento dell’interpretazione più recente - 3. L’uso secondario dei dati di traffico.
Con la sentenza 7 settembre 2023 la Corte di giustizia dell’Unione europea, consolidando il suo indirizzo più recente sulla data retention, precisa le condizioni e i presupposti di legittimità dell’uso secondario dei tabulati. Ribadendo la distinzione (e la correlativa gerarchia di rilevanza) tra sicurezza nazionale, contrasto della “criminalità grave” e della “criminalità in generale” la Corte esclude, in particolare, l’utilizzabilità di tabulati telefonici nell’ambito di “indagini per condotte illecite di natura corruttiva”.
1. Il contesto
Un altro, importante tassello si aggiunge alla disciplina pretoria (europea) della data retention. A meno di un anno da due sentenze con cui sono stati fissati principi nettissimi sulla natura di questo strumento investigativo, la Corte di giustizia, con la sentenza 7 settembre 2023 nella causa C-162/22, torna sulla materia, focalizzandosi sul tema dell’utilizzo extrapenale dei tabulati telefonici (e telematici).
La questione pregiudiziale è sorta nell’ambito della decisione sull'impugnazione del provvedimento di revoca delle funzioni giudiziarie a un procuratore, sulla base di elementi tesi a provarne la condotta corruttiva, desunti dall’acquisizione, in sede penale, dei suoi tabulati telefonici, utilizzati poi anche nell’ambito del procedimento disciplinare. In quella sede il giudice ha sottoposto alla Corte un quesito in ordine alla corretta interpretazione dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 (sulle eccezioni applicabili agli obblighi di garanzia della riservatezza), letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della CDFUE. Il giudice chiede, in particolare, alla Corte se tale norma debba essere interpretata nel senso dell’inutilizzabilità - nell’ambito di “indagini per condotte illecite di natura corruttiva” di dati di traffico telefonico o telematico “messi a disposizione (…) delle autorità competenti a fini di lotta alla criminalità grave”.
Prima di affrontare il tema dell’ammissibilità dell’ uso secondario (in particolare, in sede extrapenale) dei tabulati la Corte, riprendendo le conclusioni dell’indirizzo più recente (sentenza del 20 settembre 2022, SpaceNet e Telekom Deutschland, C-793/19 e C-794/19, EU:C:2022:702, punti 74 e 131), ha ricordato (punto 31) che l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE come modificata dalla direttiva 2009/136/CE non consente, a fini di contrasto della “criminalità grave e di prevenzione delle minacce gravi alla sicurezza pubblica” la conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione, ma ammette:
– la conservazione mirata dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione che sia delimitata, sulla base di elementi oggettivi e non discriminatori, in funzione delle categorie di persone interessate o mediante un criterio geografico, per un periodo temporalmente limitato allo stretto necessario, ma rinnovabile;
– la conservazione generalizzata e indifferenziata degli indirizzi IP attribuiti all’origine di una connessione, per un periodo temporalmente limitato allo stretto necessario;
– la conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati relativi all’identità civile degli utenti di mezzi di comunicazione elettronica, e
– il ricorso a un’ingiunzione rivolta ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica, mediante una decisione dell’autorità competente soggetta a un controllo giurisdizionale effettivo, di procedere, per un periodo determinato, alla conservazione rapida dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione di cui dispongono tali fornitori di servizi,
sempre che tali misure garantiscano, “mediante norme chiare e precise, che la conservazione dei dati di cui trattasi sia subordinata al rispetto delle relative condizioni sostanziali e procedurali e che le persone interessate dispongano di garanzie effettive contro il rischio di abusi”.
La Corte richiama inoltre, nell’ambito della “gerarchia di importanza” imposta dal principio di proporzionalità, la superiorità dell’esigenza di salvaguardia della sicurezza nazionale rispetto a quella degli altri obiettivi di cui all’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 e, in particolare, del contrasto della criminalità in generale, anche grave, e di salvaguardia della sicurezza pubblica.
Nella giurisprudenza precedente, la Corte aveva peraltro avuto modo di chiarire – a proposito della distinzione tra contrasto della “criminalità particolarmente grave” e salvaguardia della “ sicurezza nazionale”- che quest’ultima corrisponde “all’interesse primario di tutelare le funzioni essenziali dello Stato e gli interessi fondamentali della società, mediante la prevenzione e la repressione delle attività tali da destabilizzare gravemente le strutture costituzionali, politiche, economiche o sociali fondamentali di un paese, e in particolare da minacciare direttamente la società, la popolazione o lo Stato in quanto tale, quali le attività di terrorismo” (sentenza del 20 settembre 2022, SpaceNet punti 92-94).
Essa aveva inoltre rilevato come, diversamente dalla criminalità, anche particolarmente grave, una minaccia per la sicurezza nazionale debba caratterizzarsi per requisiti di concretezza ed attualità o, quantomeno, prevedibilità, desumibili dalla ricorrenza di “circostanze sufficientemente concrete da poter giustificare una misura di conservazione generalizzata e indiscriminata dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione, per un periodo limitato”. Tali diversità avevano indotto la Corte a rigettare, allora, la tesi della Commissione volta ad equiparare la criminalità particolarmente grave alle minacce per la sicurezza nazionale e ad introdurre una categoria intermedia tra la sicurezza nazionale e la pubblica sicurezza, cui applicare i requisiti inerenti alla prima.
Sotto questo aspetto, dunque, la sentenza del 7 settembre conferma – consolidandolo ulteriormente – l’indirizzo recente della Corte di giustizia europea, che consente la conservazione dei dati di traffico a fini di “giustizia”, solo per fini di contrasto di gravi reati e minacce alla sicurezza pubblica, se:
- in misura generalizzata e preventiva per gli indirizzi IP attribuiti all’origine di una connessione (per un periodo temporalmente limitato allo stretto necessario) e i dati relativi all’identità anagrafica degli utenti di mezzi di comunicazione elettronica;
- in forma “mirata” rispetto ai dati di traffico ed ubicazione, nel rispetto di criteri selettivi obiettivi e non discriminatori, di ordine soggettivo o geografico (tali cioè da evidenziare un nesso funzionale tra i dati e il reato da accertare), per un periodo temporalmente commisurato secondo stretta necessità;
- nella forma del “quick freeze” dei dati di traffico e di ubicazione.
La lettura restrittiva della direttiva sulle comunicazioni elettroniche si fonda, in particolare, sulla convinzione, qui ribadita dalla Corte, secondo cui “la deroga all’obbligo di principio di garantire la riservatezza delle comunicazioni elettroniche e dei dati a queste correlati e, in particolare, al divieto di memorizzare tali dati, espressamente previsto all’articolo 5 di detta direttiva" non possa divenire 'la regola, salvo privare quest’ultima norma di gran parte della sua portata” (punto 33).
2. Il consolidamento dell’interpretazione più recente
Come si è avuto modo di rilevare anche su questa Rivista, tale indirizzo giurisprudenziale segna una distanza significativa con la disciplina interna della data retention, riguardo il criterio di selettività della conservazione. La disciplina nazionale riferisce, infatti, il criterio selettivo al solo momento acquisitivo, concependo il criterio della gravità del reato come idoneo a modulare diversamente la profondità cronologica dell’acquisizione processuale, senza tuttavia incidere ex ante sulla conservazione. Si tratta di una soluzione certamente coerente con la natura “retrospettiva” di questo mezzo di ricerca della prova, che presuppone una conservazione indistinta in vista di un’acquisizione solo eventuale. Inoltre, essa rispecchia la posizione tenuta dalla Corte costituzionale in relazione alla diversa ingerenza, sulla privacy, della data retention, rispetto a quella propria delle intercettazioni, tale da giustificarne in quella prospettiva la differente disciplina (cfr., in particolare, sent. 81 del 1993, che ravvisava nell’acquisizione dei tabulati un’incidenza solo marginale sul diritto alla libertà e segretezza delle comunicazioni di cui all’art. 15 Cost.; posizione che, certo, si inseriva in un contesto sociale assai diverso da quello attuale e si riferiva a ben altre tecnologie).
La posizione della Corte di giustizia è, tuttavia, profondamente diversa e accentua l’impatto significativo della data retention sulla riservatezza di tutti i cittadini (nell’ipotesi, appunto, di una conservazione generalizzata, preventiva e indifferenziata) a prescindere da alcuna connessione con possibili reati.
La disciplina interna sembra, dunque, da rivedere, nella parte in cui, pur a fronte di una differenziazione per titolo di reato in fase acquisitiva presuppone, comunque, la conservazione preventiva e generalizzata dei dati di traffico relativi alla generalità indistinta dei cittadini, a fini di “giustizia”.
Si dovrà, dunque, ipotizzare una distinzione fondata sulla categoria dei dati, con un regime differenziato e meno rigido (tale dunque da ammettere, anche a fini di giustizia, la conservazione preventiva, sia pur per un tempo proporzionato) per quelli relativi all’identità anagrafica degli utenti e agli indirizzi IP.
Dovranno, poi, essere introdotti parametri di ordine soggettivo, spaziale e se del caso di altra natura (purché, appunto, oggettiva e non discriminatoria) tali da far presumere un nesso funzionale del dato con le esigenze investigative, sulla base dei quali procedere alla conservazione mirata dei dati di traffico e relativi all’ubicazione, da utilizzare a fini di contrasto di reati gravi (categoria da definire sempre secondo il principio di proporzionalità).
Si dovrà, inoltre, disciplinare la conservazione rapida e il relativo accesso con la previsione dei presupposti legittimanti e delle relative garanzie, ivi inclusi, probabilmente, procedimenti di convalida di provvedimenti urgenti, adottati per impedire che il decorso del periodo massimo di memorizzazione a fini commerciali vanifichi elementi probatori.
Rientra, invece, nella sfera di legittimità delineata dalla Corte la conservazione dei tabulati ai sensi dell’art. 4 d.l. 144 del 2005, convertito con modificazioni dalla l. 155 del 2005, in quanto funzionale a fini di sicurezza nazionale.
3. L’uso secondario dei dati di traffico
Al consolidamento dell’indirizzo precedente, la sentenza del 7 settembre affianca, tuttavia, anche nuove considerazioni. In particolare, la Corte precisa che l’accesso, così come l’utilizzo – successivo alla messa a disposizione alle autorità competenti per il contrasto della criminalità grave – dei tabulati non possa che avvenire per le stesse finalità e alle stesse condizioni che ne legittimano la conservazione. Una soluzione diversa, ricorda la Corte, può aversi soltanto in presenza di un accesso motivato da obiettivi di rango superiore a quello sotteso alla conservazione dei dati di traffico.
Pertanto, essi “non possono, dopo essere stati conservati e messi a disposizione delle autorità competenti ai fini della lotta alla criminalità grave, essere trasmessi ad altre autorità e utilizzati al fine di realizzare obiettivi, quali, come nel caso di specie, la lotta a una condotta illecita di natura corruttiva, che sono di importanza minore, nella gerarchia degli obiettivi di interesse generale, rispetto a quello della lotta alla criminalità grave e della prevenzione delle minacce gravi alla sicurezza pubblica”.
La Corte ricorda, al proposito, il carattere tassativo degli obiettivi di cui all’articolo 15, paragrafo 1, primo periodo, della direttiva (salvaguardia della sicurezza nazionale, della difesa, della sicurezza pubblica; prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento dei reati, ovvero dell'uso non autorizzato del sistema di comunicazione elettronica), idonei a giustificare una limitazione dei diritti (tra cui quello alla riservatezza) ivi sanciti. Tali limitazioni devono, tuttavia, conformarsi a un criterio di proporzionalità tale per cui solo le ingerenze che non presentano un carattere grave possono essere giustificate dall’obiettivo di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati in generale, dal momento che appunto quelle più significative (come la conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico) possono legittimarsi solo in ragione dell’esigenza di contrasto della criminalità grave e, per la conservazione generalizzata, della salvaguardia della sicurezza nazionale.
La possibilità per gli Stati membri di giustificare le misure limitative della riservatezza deve essere valutata – ricorda la Corte – considerando l’adeguatezza dell’obiettivo perseguito rispetto alla gravità dell’ingerenza determinata dalla misura limitativa.
La minore importanza dell’esigenza di contrasto di “condotte illecite di natura corruttiva” rispetto a quella di contrasto della criminalità “grave” osta, dunque, ad avviso della Corte, ad ammettere nel caso di specie l’utilizzo secondario di tabulati conservati per fini di contrasto, appunto, di serious crimes.
Tale argomento si affianca, poi, a quello, sviluppato in conclusione nella sentenza, secondo cui “se è vero che le indagini amministrative vertenti su illeciti disciplinari o condotte illecite di natura corruttiva possono svolgere un ruolo importante nella lotta contro tali atti, una misura legislativa che prevede siffatte indagini non risponde in modo effettivo e rigoroso all’obiettivo del perseguimento e della sanzione dei reati, di cui all’articolo 15, paragrafo 1, prima frase, della direttiva 2002/58, il quale riguarda solo azioni penali”.
Tale ultimo rilievo esclude, in linea generale, l’ammissibilità di un uso secondario dei tabulati in procedimenti che non siano penali, così come il precedente la limita – rispetto a dati di traffico, acquisiti dunque in virtù di una misura fortemente incisiva sulla riservatezza - ai procedimenti per “reati gravi”.
Le implicazioni sul diritto interno non sono, anche in questo caso, irrilevanti. La disciplina vigente- art. 132 d.lgs. 196 del 2003, come riformato con il d.l. 132 del 2021- ammette l’acquisizione di tabulati frutto di data retention generalizzata per i soli reati puniti con pene non inferiori, nel massimo, a tre anni e ad alcune specifiche fattispecie, espressive di particolare gravità. Ma alla già indicata esigenza di un ripensamento di questa disciplina sul punto della selettività della conservazione si aggiunge, oggi, l’opportunità di una riflessione estesa al profilo della compatibilità con la gerarchia di interessi sancita dalla Corte e delle condizioni per l’utilizzo secondario dei tabulati.
L’occasione potrebbe essere, forse, la discussione al Senato del disegno di legge, d’iniziativa governativa, recante Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all'ordinamento giudiziario e al codice dell'ordinamento militare (AS 808), nella parte in cui innova la disciplina delle intercettazioni nel segno della garanzia di una maggiore riservatezza delle parti e dei terzi. Forse anche rispetto al tema, non meno complesso, della data retention, sarà possibile coniugare in maniera conforme alle indicazioni europee esigenze investigative e privacy, secondo quella sinergia che caratterizza il rapporto tra libertà e sicurezza nell’art. 6 della Carta di Nizza.
*L’articolo riflettere opinioni personali dell'autrice che non impegnano l'Autorità di appartenenza.