Una donna Presidente della Corte Costituzionale
Gabriella Luccioli
1.Quando ho appreso la notizia, peraltro ampiamente attesa, che Marta Cartabia era stata eletta Presidente della Corte Costituzionale mi è immediatamente riaffiorato alla memoria l’ animato dibattito dei Padri Costituenti sulla questione delle donne in magistratura. Ho quasi per effetto automatico ricordato, tra le altre, le parole dell’onorevole Cappi, secondo il quale nella donna prevale il sentimento sul raziocinio, mentre nella funzione del giudice deve prevalere il raziocinio sul sentimento, o quelle dell’onorevole Codacci, che affermò che soprattutto per i motivi addotti dalla scuola di Charcot riguardanti il complesso anatomo-fisiologico la donna non può giudicare.
La mancanza da parte delle donne di razionalità e di senso logico, il difetto insito nella loro natura di un sapere tecnico-giuridico, costituivano opinioni ricorrenti e convinte, che delineavano un quadro ed un clima sconcertante di arretratezza culturale. Si manifestò con chiarezza in quel dibattito, nonostante gli appassionati interventi di Teresa Mattei, Maria Federici e Maria Maddalena Rossi, l’ indisponibilità dei nostri Costituenti a liberarsi di modelli e di prigioni concettuali, o piuttosto la loro incapacità di avere finanche la percezione dei pregiudizi sul ruolo e sulle capacità delle donne e di comprendere che solo il diritto di accesso a tutte le professioni avrebbe consentito loro di acquistare quella indipendenza che dà fondamento alla compiuta personalità di ciascun cittadino.
Pregiudizi che certamente traevano alimento da un quadro normativo che schiacciava le donne in uno stato di inferiorità in tutti i campi della vita sociale, un sistema che aveva loro concesso per la prima volta di esercitare il diritto di voto nel 1946, che prevedeva nel codice civile l’ assoluta dipendenza della donna dall’ uomo, disponendo che il marito era il capo della famiglia, la moglie ne seguiva la condizione civile, ne assumeva il cognome ed era obbligata a seguirlo dovunque egli credesse opportuno fissare la propria residenza, e indicando, tra i doveri del marito, quello di proteggere la moglie e di tenerla presso di sé.
Si scelse infine all’esito del dibattito assembleare di non prendere posizione sulla questione della partecipazione delle donne alle funzioni giurisdizionali e di rimettere la relativa opzione al legislatore, stabilendo all’ art. 51 che tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.
Ma nel 1960 fu proprio la Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 33 del 1960, ad affermare che una norma, come quella contenuta nell’ art. 7 della legge n. 1176 del 1919, che escludeva le donne in via generale da una vasta categoria di impieghi pubblici doveva essere dichiarata incostituzionale per l’ irrimediabile contrasto in cui si poneva con l’ art. 51 Cost., così enunciando il principio che la diversità di sesso, in sé considerata, non può mai costituire ragione di discriminazione legislativa.
Tale decisione, pur non riguardando specificamente l’esercizio delle funzioni giurisdizionali, dette certamente una forte spinta per l’approvazione della legge n. 66 del 1963, che finalmente consentì alle donne l’accesso a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la magistratura.
Ora finalmente la storia si è presa una grande rivincita, in quanto una donna è stata chiamata a presiedere l’ istituzione cui spetta controllare la conformità delle leggi a quella Carta fondamentale che i Padri costituenti ci hanno consegnato.
Per ottenere questo risultato sono stati necessari 63 anni dall’ inizio del funzionamento della Corte e sono stati eletti 40 presidenti uomini.
Va peraltro dato atto alla Corte Costituzionale di aver raggiunto un obiettivo che né la Corte di Cassazione, né il Consiglio di Stato né la Corte dei Conti sono stati capaci di conseguire, in quanto mai nessuna donna è stata nominata al vertice di dette giurisdizioni.
Eppure la vita ormai lunga della Consulta non è stata caratterizzata da una forte impronta femminile: la prima donna fu Fernanda Contri, nominata dal Presidente Scalfaro nel 1996, ossia ben 40 anni dopo la prima udienza tenuta dalla Corte, nel 1956; seguì Maria Rita Saulle, nominata dal Presidente Ciampi nel 2005, che non potè terminare il suo mandato per la malattia che la colpì; attualmente, oltre Marta Cartabia, nominata dal Presidente Napolitano nel 2011, vi sono due donne, Silvana Sciarra, eletta dal Parlamento nel 2014, e Daria de Petris, nominata anch’ essa dal Presidente Napolitano nello stesso 2014.
Ed è significativo rilevare che, fatta eccezione per la professoressa Sciarra, il Parlamento non ha mai eletto una donna tra i giudici costituzionali di sua competenza. Analogamente, le magistrature superiori ordinaria, amministrativa e contabile non hanno mai espresso una donna. E’ di pochi giorni fa la competizione elettorale in Cassazione che ha visto il meritatissimo successo di Stefano Petitti; per la prima volta erano candidate due consigliere e nessuna delle due è entrata in ballottaggio.
2. Ha dichiarato la Presidente Cartabia nella sua prima intervista dopo l’elezione, richiamando le parole della giovanissima premier finlandese Sanna Marin appena nominata, che in Italia età e sesso ancora un po' contano e che si augura che in un prossimo futuro non contino più.
Do per scontata l’esattezza del rilievo relativo all’ età come elemento discriminante. Per quanto concerne il sesso, sono da tempo convinta che il mezzo più serio ed efficace per superare gli ostacoli che rendono più difficile nel nostro Paese il percorso professionale delle donne è quello di mettere in campo una professionalità elevatissima, di livello anche superiore a quello degli uomini, senza il minimo cedimento, perché è ancora purtroppo vero che le donne devono fare di più per essere percepite come uguali.
Ed allora questa elezione all’ unanimità di Marta Cartabia può considerarsi come un atto dovuto, come l’ineludibile riconoscimento di una professionalità eccellente, che non poteva non essere valorizzata e premiata da parte di un collegio pur declinato prevalentemente al maschile.
Quel di più che Marta Cartabia ha dato nel suo percorso professionale e che l’ha resa così autorevole è scritto nella sua storia. Si tratta di un percorso di costituzionalista con un respiro europeo e internazionale, sin dalla scelta della tesi di laurea sul diritto costituzionale europeo, a testimonianza di una precoce intuizione e di una lucida attenzione verso un processo politico e culturale sempre più orientato verso l’integrazione dei sistemi, che poneva e pone lo studioso nella necessità di confrontarsi con un universo giuridico globale.
Il suo impegno di studio sui temi della giustizia costituzionale comparata, le esperienze di ricerca negli Stati Uniti e in Francia, la direzione di riviste nazionali e internazionali, l’ attività accademica in Italia e in vari Stati esteri, gli incarichi istituzionali presso l’Unione Europea, di recente quello di componente della Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto, l’ ampia produzione scientifica, delineano un profilo di giurista di eccezionale livello, forte di un’ esperienza priva di confini geografici.
Nel citare le sentenze più importanti che recano la firma di Marta Cartabia si fa generalmente riferimento, a dimostrazione della sua attenzione per la tutela dei diritti umani, alla pronunzia sui vaccini e a quella sull’ IlVA: sentenze certamente di grande rilievo e di forte impatto sociale, per aver stabilito la prima ( n. 186 del 2019) che le disposizioni della legislazione statale in materia di vaccinazione obbligatoria dei minori ai fini dell’ accesso ai servizi scolastici si configurano come norme generali sull’ istruzione che appartengono alla competenza esclusiva del legislatore statale e mirano a garantire che la frequenza scolastica avvenga in condizioni di sicurezza per la salute di ogni alunno, o non avvenga affatto in assenza della prescritta documentazione; per aver affermato la seconda (n. 58 del 2018), nel dichiarare l’ incostituzionalità delle disposizioni censurate, che il legislatore ha privilegiato in modo eccessivo l’ interesse alla prosecuzione dell’ attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze afferenti a diritti costituzionalmente inviolabili legati alla tutela della salute e della vita, cui è inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in un ambiente sicuro.
Mi piace richiamare ancora, tra le più recenti a sua firma, la sentenza n. 114 del 2019 che ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità dell’ art. 774, comma 1, c.c., escludendo che possa ravvisarsi nella disposizione censurata o all’ interno del codice civile alcun divieto di donare rivolto ai beneficiari di amministrazione di sostegno, atteso che detto istituto è connotato da un consapevole e ponderato bilanciamento tra esigenze protettive e rispetto dell’ autonomia individuale, non alterato dalla possibilità di fare donazioni.
E’ infine doveroso il riferimento alla nota sentenza n. 269 del 2018, che ha costituito una tappa importante del lungo percorso volto alla definizione dei rapporti tra Corte Costituzionale e Corte di Giustizia, nella trama dei collegamenti tra diritto dell’ Unione e diritto nazionale: un percorso non ancora concluso, in ordine al quale il Presidente Giorgio Lattanzi nella sua ultima Relazione sull’ attività della Corte ha parlato di un cantiere con lavori perennemente in corso. Le enunciazioni contenute nel famoso obiter di detta pronunzia circa la direzione da prendere dal giudice comune nei casi di doppia pregiudizialità - in cui egli dubiti della congiunta violazione, ad opera di una norma interna, della Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione e della Costituzione - hanno suscitato un accesissimo dibattito che ne ha evidenziato gli aspetti problematici, dando luogo ad una riflessione di sistema che ha incalzato ed incalzerà il giudice delle leggi ad ulteriori puntualizzazioni.
3. In occasione dell’8 marzo, nel cennare alle sue responsabilità familiari, Marta Cartabia ha detto: “Penso che questo duplice aspetto della mia vita mi aiuti a mantenere un pizzico di equilibrio”. Sappiamo che la Presidente è sposata ed ha tre figli ancora molto giovani, poco più che adolescenti: ed allora è agevole cogliere dietro quelle parole, oltre che un estremo riserbo, una realtà inevitabilmente densa di sacrifici e di compiti di cura, di delicati equilibri da raggiungere, tanto più a fronte di scelte molto impegnative, alimentata da una volontà indomita e da un rigore straordinario. Da quelle parole lievi e segnate da un filo di ironia, per chi sa decifrarle, emerge un messaggio di incoraggiamento a tutte le donne a non tirarsi fuori, a valorizzare i loro talenti e a vivere l’impegno familiare non come un limite o una gabbia, ma come una fonte di arricchimento e di equilibrio.
Il conseguimento da parte di Marta Cartabia di un traguardo così alto, che evoca la sua passione per la montagna e per le scalate, è un motivo di speranza per tutti in un momento in cui sembra essersi perso il senso delle istituzioni, in cui il Paese appare rattrappito nelle sue paure, bloccato dall’emergere di nuove diseguaglianze, fuorviato dal proliferare di messaggi semplificatori, grossolani e discriminatori, in cui troppo spesso il successo non premia i migliori, ma i più abili e disinvolti.
L’ auspicio è che quel concetto di laicità positiva che Marta Cartabia ha in più occasioni richiamato, definendone il significato non in termini di indifferenza, ma di equidistanza dalle religioni, da tutte le religioni, a tutela di un valore spirituale che appartiene ad ogni cittadino, si dispieghi nelle sue nuove funzioni nel senso di una assoluta e autentica laicità e costituisca saldo punto di riferimento nell’ affrontare le questioni che verranno all’ esame della Corte sui grandi temi che hanno a che fare con la filosofia, con l’ etica, con la religione, oltre che con il diritto, e che sono rese più delicate e complesse dalla perdurante latitanza del legislatore e dalla conseguente responsabilità dei giudici di contribuire in via giurisprudenziale alla costruzione dell’ ordinamento. La vicenda del suicidio assistito, sulla quale la Corte si è recentemente espressa con una decisione molto coraggiosa, ne fornisce significativa testimonianza.
L’ augurio è che Marta Cartabia non interrompa quel percorso di dialogo e di ascolto nelle scuole e nelle carceri tracciato da Giorgio Lattanzi e vissuto con molta umanità dai giudici della Corte, portando la carica del suo entusiasmo e della sua energia; che all’ interno della camera di consiglio continui ad offrire al dibattito ed alla riflessione di tutti i colleghi, con maggior efficacia nel suo ruolo di Presidente, la diversità e la ricchezza del punto di vista femminile; che sia infine veramente un’ apripista, come si è definita, nel lungo cammino delle donne nelle istituzioni.