Recensione a G.Guizzi, Il «caso Balzac». Storie di diritto e letteratura, il Mulino, 2020, pp. 275
di Michele Perrino[*]
Se, nell’universo del diritto quale (almeno, essenzialmente) pratica sociale, neppure la scienza giuridica, quale scienza - appunto - eminentemente pratica è esclusivo appannaggio dei giuristi di professione, arricchendosi dell’apporto conoscitivo di tutti i soggetti in essa coinvolti; se ciò è vero, la più ampia e variegata “esperienza giuridica” è in realtà patrimonio, storia e vita quotidiana di tutti.
Ecco dunque come appaia naturale che, anche in letteratura, il cosiddetto romanzo realista non possa che incontrarsi con il diritto, quale componente immancabile dell’esperienza umana che quel romanzo vuole artisticamente presentare. Ed ecco anche come ben si spiega che Honoré de Balzac, da molti considerato il padre del romanzo realista, anche se di un realismo da “visionnaire passionné” (così come, è lo stesso libro qui recensito a rammentarlo, ebbe a definirlo Baudelaire) poiché intriso di partecipazione umana e presa di posizione morale, non potesse, nel redigere la monumentale opera della Comédie Humaine, non incontrare ad ogni passo l’esperienza giuridica, spesso ritratta nella dimensione delle amare vicissitudini dei protagonisti della stessa Commedia, quale metafora della vita umana. E ciò tanto più considerata la biografia di Balzac, che ricevette – malgrado l’innata vocazione letteraria – una iniziale formazione giuridica presso la Facoltà di diritto di Parigi dell’epoca e poi nel praticantato notarile e soprattutto da avvocato.
In questo fortunato e tutto speciale incrocio fra diritto e letteratura, ci guida con mano sapiente il recente lavoro di Giuseppe Guizzi dal titolo Il «caso Balzac». Storie di diritto e letteratura. E lo fa parlando non solo ai giuristi, ai quali pur offre una preziosa occasione “per guardare al diritto attraverso la lente della letteratura” balzachiana, con un felice esempio di Law and Literature. In effetti, dichiarato intento dell’Autore – professore ordinario e ben noto studioso di diritto commerciale, al tempo stesso impegnato intensamente e a vasto raggio nell’attività forense e in molto altro dell’esperienza professionale giuridica più qualificata – è principalmente quello di rivolgersi al “lettore meno avvertito sulle tematiche giuridiche”, per aiutarlo ad inquadrare il contesto storico-giuridico nel quale si muovono i personaggi della Comédie humaine e così cogliere i temi giuridici che sovente sono parte integrante della trama delle relative storie; e, al tempo stesso, a riconoscere, di quella esperienza giuridica e umana di cui la Commedia è il ritratto, “quanto ci può essere di comune e di eternamente irrisolto in ordine ai medesimi problemi quali si presentano ancora nel mondo moderno”: così da avvedersi di come il realismo dei romanzi balzachiani, pur descrivendo una realtà storicamente individuata, anche sotto il profilo delle vicende giuridiche che ne travagliano i personaggi, attinga in effetti, anche sotto il profilo del diritto e della sua umana esperienza, una “verità interiore” ben più duratura della realtà storica descritta (è ancora il libro di cui si scrive a ricordarlo, citando le parole usate da Hugo von Hofmannsthal, nell’introdurre l’edizione tedesca della Comédie del 1908).
La sterminata produzione di Balzac si svolge al tempo della c.d. Monarchia di luglio (1830-1848); ma le vicende narrate affrontano temi giuridici con radici profonde nella evoluzione normativa francese ed europea di tanti decenni addietro: dalle prime forme di statalizzazione del diritto e proto-codificazione, con le due Ordonnance di Luigi XIV, quella de commerce del 1673 (c.d. Code Savary) e l’ordinanza sulla navigazione marittima del 1681, nel campo specifico del diritto degli affari, e con l’affermazione del primato della legge sul diritto durante l’Ancien Régime, fino alla convulsa produzione normativa a ridosso della Rivoluzione francese e poi alla stagione napoleonica ed ai monumenti giuridici del Code civil del 1804 e del Code de commerce del 1807, pur sempre in chiave di primazia del sovrano e della legge sul diritto, con definitiva realizzazione dell’assolutismo giuridico, ancorché raccogliendo in parte i frutti della Révolution, sul piano dei principi illuministici di autonomia e razionalismo; per giungere alla Restaurazione e infine, appunto, al Regno di Luigi Filippo, coevo all’opera balzachiana; con un passaggio progressivo dalla difficile coesistenza di un diritto consuetudinario (Droit coutumier) di matrice germanica, prima radicato nella Francia settentrionale, con un diritto scritto promanante dal sovrano (Droit écrit), in precedenza più diffuso a sud del Paese, fino alla assoluta prevalenza del secondo sul primo.
Di quella evoluzione Giuseppe Guizzi offre nel libro una rappresentazione accurata quanto suadente, ripartita per macrosettori del diritto privato patrimoniale – il diritto dei contratti, delle successioni, dell’intermediazione finanziaria, dell’iniziativa economica e della concorrenza, dell’insolvenza e del fallimento, del mercato bancario e mobiliare, con una fulminante incursione nella crisi della giustizia e nei meccanismi (spesso squilibrati ed illusori) di risoluzione negoziata delle controversie per via di transazione – e svolta in costante contrappunto (di qui lo speciale fascino della ricostruzione, poiché ancorata a volti e storie umane, ancorché letterarie) con le opere e i personaggi fondamentali di Balzac.
Così, l’illusorietà degli astratti fondamenti illuministici della disciplina del contratto nel Code civil, in chiave di autonomia e capacità razionale del soggetto di autodeterminarsi, nel risolversi facilmente - in assenza di meccanismi di riequilibrio dei rapporti effettivi di forza contrattuale - nell’ingiustizia concreta del contratto, si rispecchia nelle vicende de Il curato di Tours, parte debole delle macchinazioni negoziali intessute da mademoiselle Gamard, così come nella sperequata vendita dei gioielli della contessa de Restaud all’usuraio Gobseck, e ancora nell’acquisto a prezzo vile della collezione d’arte del musicista Pons da parte del mercante Magus in Le cousin Pons, profittando oltretutto della buona fede di Schumcke, amico del cedente; nonché nelle inique negoziazioni cui soggiace il tipografo David Séchard con il padre prima, poi con i propri concorrenti fratelli Cointet nelle Illusioni perdute.
Le lotte per l’accaparramento di eredità innescate dalla imperfetta disciplina successoria introdotta dal Code civil (nel compromesso politico fra il riconoscimento, di radice romanistica, della libertà individuale testamentaria e l’imposizione di limiti alla stessa libertà, onde scongiurare la caccia ai vecchi successibili di cui rendersi beneficiari, tutelare la conservazione dei patrimoni famigliari e assicurare l’adempimento del dovere di provvedere ai bisogni dei prossimi congiunti) è esemplificata, in Ursule Mirouët, nelle dolorose vicende del dottor Minoret e della protetta Ursule rispetto alle brame degli eredi legittimi del primo, e ancora una volta in Le cousin Pons, nelle traversie di Pons esposto alle mire ereditarie di madame Camusot.
Le pratiche usurarie capaci di essere attuate, sfruttando le pieghe della disciplina della concessione di credito e dei titoli cambiari dell’epoca – anch’essa puntualmente ricostruita da G.Guizzi –, da parte di avidi profittatori, trovano plastica rappresentazione nel personaggio già richiamato dell’usuraio olandese Gobseck, o nel vortice in cui cade la contessa de Vandenesse pur di consentire al suo amante di pagare le cambiali in Une fille d'Ève.
I problemi suscitati dalla inadeguatezza della disciplina introdotta dal Code de Commerce nel 1807 - malgrado il suo progetto innovatore - nel cogliere il passaggio da un modello a capitalismo prettamente commerciale ad una economia di produzione industriale, con lacune ardue da colmare, vengono incarnati nell’avventura imprenditoriale del profumiere César Birotteau, allorché questi si avventura in una nuova impresa produttiva in forma societaria con il proprio commesso; e ancora Illusioni perdute ritraggono l’infausta battaglia competitiva che vede David Sechard soccombere rispetto ai più aggressivi e spregiudicati concorrenti Cointet.
Gli effetti di una regolazione eccessivamente punitiva dell’insolvenza, con la previsione fra l’altro dell’arresto interinale del fallito e di una procedura a forte connotazione autoritativa, trovano espressione nelle vicende, tratte da Eugénie Grandet, di Victor Grandet e dei tentativi del fratello Félix (il Papà Grandet) di comporne l’insolvenza facendosi beffe dei creditori, cui fa da contraltare il generoso intervento di Eugénie nel ripianare i debiti del cugino Charles, figlio del fallito, onde fugare l’infamia pure su di lui ricaduta, che ne avrebbe precluso l’ambita ascesa sociale; ed è ancora César Birotteau a tornare qui, impersonando la figura del fallito ex commerciante di profumi convertitosi all’industria, ora precipitato nell’insolvenza all’esito di manovre azzardate e condotte ingannevoli attuate pur di giungere alla ricchezza.
Così come è di nuovo il Papà Grandet del romanzo Eugénie Grandet a formare il modello letterario dello speculatore senza scrupoli, in un periodo di forti tensioni della finanza pubblica e di mutamenti legislativi, dove alla più restrittiva regolamentazione introdotta da Napoleone del mercato mobiliare ufficiale risponde presto la formazione di un mercato parallelo e sregolato (la Coulisse), e dove diviene facile arricchirsi profittando della campagna di vendita dei beni sottratti dallo Stato al clero e dell’altalenante mercato dei titoli di debito pubblico; cui si aggiunge il ritratto del banchiere alsaziano Frédéric de Nuncingen, che compare sia in Le Père Goriot che ne La Maison Nucingen, autentico esempio di predatore finanziario senza scrupoli, ascritto da Balzac alla categoria dei banchieri bollati come “lupi cervieri”.
E tornano infine, nel tratteggiare la profonda crisi della giustizia dell’epoca, pur a fronte delle riforme napoleoniche, le vicende di David Séchard nelle Illusioni perdute, di César Birotteau, di Schmucke in Le cousin Pons; insieme a quelle de Il colonello Chabert, reduce di guerra creduto morto e poi in vario modo impedito a riprendere il suo posto nella famiglia e nella società, nonché alle traversie del retto giudice istruttore Jean-Jules Popinot ne L’interdiction, travolto da maneggi politico-giudiziari a vantaggio della marchesa d’Espard che briga per far interdire il marito; senza che alle disfunzioni della giustizia valgano a porre sempre rimedio le soluzioni compositive negoziate – di modo che non sempre “un cattivo accomodamento vale più di un buon processo”, secondo l’antico adagio che compare nelle Illusioni perdute – dato che la transazione, che è pur sempre un contratto, patisce di questo i possibili, sopra denunziati squilibri.
Ne risulta un animato affresco, insieme, dell’opera balzachiana e del suo scenario storico-giuridico, nel quale i problemi del diritto e della giustizia condizionano ad ogni passo vicende ed esiti dei rapporti umani. Balza altresì nitido, dalla chiara rappresentazione offerta nel libro di Giuseppe Guizzi, il giudizio dello scrittore Balzac sull’esperienza giuridica oggetto delle sue opere: un giudizio disincantato e pensoso, spesso negativo, al cospetto di un mondo in cui si può avere “ragione in fatto e torto in diritto”, dell’avidità dei protagonisti pronti a piegare le regole al proprio tornaconto, dell’impotenza e a volte sordità del sistema giudiziario; dove si assiste ad un aspro conflitto fra diritto e giustizia, in cui “non sempre l’assetto di interessi imposto dalla legge è necessariamente quello più giusto”, o in altre parole in cui il diritto non attinge la giustizia, vista – non senza echi giusnaturalistici – come quella “conforme alla natura delle cose”.
In questa sostanziale sfiducia balzachiana nella giustizia umana, oltre che la caduta generale dei costumi nella società protagonista dei suoi romanzi, innervata di cupidigia in una temperie culturale, quella della Monarchia di luglio, che appare guidata dalla parola d’ordine dell’Enrichissez-vous, il ceto dei giuristi è, come e più degli altri cittadini, chiamato sul banco degli imputati: fra notai distratti o non equidistanti, o che perfino fuggono con il denaro dei clienti; avvocati (con l’eccezione di Derville) impegnati nel sabotaggio dei procedimenti, nella produzione di cavilli e nell’avvio di contestazioni pretestuose; magistrati (anche qui con salvezza del buon giudice Popinot, che proprio perciò si vede “sistematicamente posposto nelle progressioni di carriera”) poco disponibili alle ragioni della giustizia e piuttosto “arsi dal fuoco dell’ambizione”; professori universitari – ma qui passando dall’opera balzachiana alla realtà dell’epoca, come ricostruita dall’Autore nel libro qui recensito – supinamente (anche qui, è ancora G.Guizzi a rammentarlo, con le dovute eccezioni, come quella di François Nicolas Bavoux, processato per aver osato segnalare ai suoi studenti la necessità di riforma di disposizioni del codice penale) ridotti al ruolo di pavidi dettatori ed esegeti pedissequi della norma imposta dal sovrano.
Di tutto ciò Giuseppe Guizzi ci consegna una ricostruzione attenta quanto misurata e fluida, ricca di richiami alla letteratura critica balzachiana, a quella storico-giuridica così come alla dottrina giuridica civilistica e commercialistica sia storica che contemporanea, senza che mai ne risulti appesantito il testo, quasi diremmo senza avvedercene, per lo più in agili note a piè di pagina, mentre fluisce la rappresentazione come se questa consistesse, oltre che in un raffinato saggio di diritto e letteratura – quale in effetti è –, per così dire anch’essa una prova di letteratura nei e fra i romanzi di cui si discorre; con corredo di richiami – pure questi quasi in sordina e solo per chi voglia coglierli – agli eclettici interessi dell’Autore, suscitati dalla ricchezza delle opere balzachiane richiamate poste a confronto con la sua sensibilità: come quando si interroga su quale trascrizione per pianoforte della settima sinfona di Beethoven sia eseguita da Ursule Mirouët nel romanzo omonimo, o approfondisce il senso per cui Balzac fa risuonare il movimento eroico della finale della quinta sinfonia dello stesso Beethoven nella mente di César Birotteau, allorché questi ottiene la riabilitazione dopo il suo fallimento, poco prima di morire sopraffatto dalle emozioni; o nelle citazioni filosofiche (Husserl, Gadamer, per dirne solo alcuni) e anche cinematografiche, dal Monsieur Verdoux di Charlie Chaplin al Gordon Gekko del film Wall Street di Oliver Stone.
Altro non è da dire in una recensione, per non privare il lettore del piacere della sua lettura. L’intento che Giuseppe Guizzi dichiara in principio del volume – schermendosene, con la ritrosia e misura che gli conosciamo, come fosse un eccesso di ambizione – di attrarre i lettori ad una più estesa conoscenza dell’opera balzachiana, così anche da indurre gli editori ad una sua più ampia pubblicazione in lingua italiana, è - credo - pienamente raggiunto: a partire da chi scrive, che a Balzac si accostò anni addietro quasi per caso, attraverso quella commovente gemma che è Il colonnello Chabert. Al contempo, la lettura del volume è, per i giuristi che in varie vesti concorrono al farsi dell’esperienza giuridica, occasione per riflettere su modi e ragioni del proprio ruolo e contributo.
[*]Professore ordinario di diritto commerciale presso l'Univesità degli Studi di Palermo