La notifica dei motivi aggiunti tra garanzia del contraddittorio e diritto di difesa (Nota a Tar Sicilia, Palermo, sez. IV, sentenza 10 febbraio 2025, n. 328)
di Pierandrea Corleto
Sommario: 1. La vicenda. 2. Premessa introduttiva. – 3. I motivi aggiunti: un breve inquadramento storico-normativo. – 4. La notifica dei motivi aggiunti. – 5. L’interpretazione favorevole al proponente: il caso della sanatoria per raggiungimento dello scopo. – 6. La soluzione adottata dal Tar Palermo con la pronuncia n. 328/2025 e la necessaria accettazione del contraddittorio. – 7. Riflessioni conclusive.
1. La vicenda
Con la sentenza in esame, il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia si è espresso sull’eccezione di inammissibilità dei motivi aggiunti notificati presso la sede della società resistente, nonostante la stessa si fosse regolarmente costituita in giudizio, pertanto in violazione degli artt. 43 c.p.a. e 170 c.p.c. i quali dispongono che, dopo la costituzione in giudizio dell’ente tutte le notificazioni debbono essere effettuate al procuratore costituito.
Si riassume per sommi capi la vicenda che ha dato origine alla decisione in commento. Con ricorso introduttivo ritualmente notificato parte ricorrente è insorta avverso il provvedimento dell’amministrazione comunale, con cui è stato imposto alla stessa di continuare a garantire il Servizio di Igiene Ambientale del relativo Comune “..per il periodo dal 1 maggio 2021 al 30 aprile 2021 ... alle medesime condizioni dell’appalto in essere e secondo le prescrizioni e i vincoli del Capitolato Speciale d’Appalto..” e per l’accertamento dell’obbligo a riconoscere e corrispondere alla stessa società ricorrente la revisione del canone e/o il giusto corrispettivo per l’espletamento del Servizio integrato di gestione rifiuti per l’intero periodo d’interesse, adeguandolo secondo l’indice FOI/ISTAT e parametrandolo all’effettivo costo del personale e dei mezzi.
Nel caso di specie, la società ricorrente gestiva in subappalto il Servizio di Igiene Ambientale del Comune in forza di regolare contratto sottoscritto con l’aggiudicataria originaria del bando.
Orbene, l’esigenza provvedimentale del Comune sorgeva a seguito della delibera della amministrazione di procedere ad un nuovo affidamento, tramite gara, del relativo servizio di gestione dei rifiuti. All’esito di due gare andate deserte, il servizio veniva aggiudicato ad una ditta la quale, in seguito, risultava destinataria di un provvedimento interdittivo antimafia. Pertanto, il contratto di affidamento del servizio non veniva realmente stipulato in favore della nuova società aggiudicataria.
Nonostante la successiva sospensione cautelare del provvedimento antimafia, l’aggiudicataria non aveva comunque provveduto a sottoscrivere il contratto: determinando il Comune a emettere l’ordinanza impugnata che ha imposto alla ditta ricorrente – come detto, da lungo tempo affidataria del servizio di gestione integrata dei rifiuti del Comune – di proseguire nell’attività alle medesime condizioni previste nel contratto d’appalto originario.
Oltre ai corrispettivi antieconomici, parte ricorrente ha lamentato l’assenza dei presupposti per intervenire extra ordinem a sostegno dell’ordinanza emessa, contestando la circostanza secondo cui non fosse possibile individuare un nuovo gestore del servizio. Il provvedimento impugnato veniva, così, tacciato di difetto di istruttoria e carenza di motivazione atteso che il Comune sceglieva la ricorrente senza addurre adeguata motivazione, in ossequio anche alla delibera ANAC che ha ripetutamente chiarito come la c.d. “proroga tecnica”, nella specie imposta con provvedimento di urgenza, può ammettersi solo ove strettamente necessaria per il tempo utile al reperimento di un nuovo contraente. Ne deriverebbe, a dire della ricorrente, l’evidente violazione, fra gli altri, dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza enunciati dal Codice dei contratti pubblici.
Con motivi aggiunti parte ricorrente ha, poi, impugnato i due successivi provvedimenti di proroga tecnica, di analogo contenuto rispetto al provvedimento oggetto di impugnazione originaria, ma riferiti a periodi temporali successivi alla prima ordinanza sindacale.
Tutto ciò premesso, in seguito alla costituzione del Comune, anche la società intimata si è costituita in giudizio e, depositando memorie e documenti, ha insistito per il rigetto nel merito delle avverse censure eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità dei ricorsi per motivi aggiunti, in quanto i due rispettivi atti introduttivi erano stati notificati presso la posta elettronica certificata della società e non presso il procuratore costituito in giudizio.
2. Premessa introduttiva
Prima di entrare nel merito della questione processuale di cui si occupa la sentenza commentata, è opportuna una breve ricostruzione introduttiva circa le peculiarità del quadro normativo-interpretativo di riferimento.
Il processo amministrativo, nonostante la sua idoneità a incidere su situazioni di pubblico interesse, è soggetto al principio della domanda. A seguito di un articolato percorso evolutivo, che affonda le sue radici nell’istituzione della Quarta sezione del Consiglio di Stato e che ha portato, tra l’altro, alla riforma dell’art. 111 Cost., esso si è gradualmente trasformato in un vero e proprio processo giurisdizionale innanzi a un giudice terzo e imparziale: a garanzia del giusto processo e della posizione di uguaglianza delle parti coinvolte[i].
Da queste brevi considerazioni derivano tre profili, i quali rappresentano la più intima specificazione del processo amministrativo: l’iniziativa processuale, l’oggetto del giudizio e la disponibilità dell’azione.
Andando con ordine. Il primo profilo concerne l’instaurazione del processo. Il giudice amministrativo può esercitare le sue funzioni solo in conseguenza della proposizione di un ricorso di parte. Ne deriva, a differenza del procedimento amministrativo, la non configurabilità di un processo avviato officiosamente[ii].
Ancora, ai sensi dell’art. 34 c.p.a., il giudice amministrativo è tenuto a pronunciarsi esclusivamente “nei limiti della domanda”. Quest’ultima è, infatti, contenuta nel ricorso introduttivo e può essere eventualmente integrata tramite la presentazione di motivi aggiunti, dal ricorso incidentale, nonché, nei casi di giurisdizione esclusiva sui diritti soggettivi, dalle cc.dd. domande riconvenzionali[iii]. Il corollario appena enunciato è riassumibile nel c.d. divieto di ultrapetizione[iv].
Infine, l’attuazione del principio della domanda riconosce alla parte ricorrente la possibilità di rinunciare ai singoli motivi di impugnazione, se non addirittura all’intero ricorso; fatti salvi i diritti delle altre parti che dimostrino l’interesse alla prosecuzione del giudizio[v].
A completamento del quadro appena delineato interviene, facendone da cornice, il principio del contradditorio: quest’ultimo è disciplinato dall’art. 101 c.p.c. ed è riconosciuto a livello costituzionale dal già citato art. 111 Cost.
Con specifico riferimento al processo amministrativo, ai sensi dell’art. 27 c.p.a., il giudice non può esprimersi sulla domanda se prima non è stato regolarmente integrato il contraddittorio tra le parti[vi]. Questo è validamente “costituito quando l’atto introduttivo è notificato all’amministrazione resistente e, ove esistenti, ai controinteressati”.
Orbene, ai sensi dell’art. 46 c.p.a. le parti intimate, nel termine prestabilito decorrente dalla notificazione del ricorso, hanno il diritto di costituirsi, in qualità di possibili destinatari di effetti diretti o indiretti, nel giudizio instaurato.
Quale precipitato logico deriva, in capo a queste, la facoltà di presentare memorie difensive, istanze, documenti ed eventualmente indicare i mezzi di prova ritenuti opportuni.
La costituzione in giudizio avviene, salvo rare eccezioni, a mezzo di difensore tecnico nominato in forza di regolare procura. Da questo momento in poi, il difensore riveste la funzione di vicario, sostituendo processualmente la parte convenuta in giudizio.
La norma, insieme al già citato principio del contraddittorio e, dunque, alle regole tese a disciplinare la valida instaurazione del processo, rappresenta il corollario del più noto principio enunciato dall’art. 24 Cost.: la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento[vii].
Alla luce di quanto premesso, vengono in questa sede in rilievo i motivi aggiunti e, nello specifico, la disposizione che ne regola la notifica all’interno del processo amministrativo.
Secondo l’art. 43 c.p.a.: “i ricorrenti, principale e incidentale, possono introdurre con motivi aggiunti nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, ovvero domande nuove purché connesse a quelle già proposte. Ai motivi aggiunti si applica la disciplina prevista per il ricorso, ivi compresa quella relativa ai termini. Le notifiche alle controparti costituite avvengono ai sensi dell’articolo 170 del codice di procedura civile. Se la domanda nuova di cui al comma 1 è stata proposta con ricorso separato davanti allo stesso tribunale, il giudice provvede alla riunione dei ricorsi ai sensi dell’articolo 70”[viii].
Accanto al dato meramente testuale, il contributo intende tuttavia esaminare il diritto vivente relativo alle conseguenze processuali e sostanziali che si verificano qualora i motivi aggiunti siano stati notificati solo alle parti reali, persona fisica o persona giuridica, e non ai procuratori per loro già costituiti in giudizio. Accanto all’incertezza del diritto derivante dalla simultanea presenza di orientamenti giurisprudenziali di diverso tenore si cercheranno di illustrare, altresì, le ragioni a sostegno dell’interpretazione ritenuta, a opinione di chi scrive, conforme a tutelare il diritto di difesa all’interno del processo amministrativo.
3. I motivi aggiunti: un breve inquadramento storico-normativo
Di conio giurisprudenziale[ix], i motivi aggiunti divengono istituto del diritto positivo con la Legge 21 luglio del 2000, n. 205.
Ai sensi dell’allora novellato art. 21 della legge n. 1034/1971, “tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all’oggetto del ricorso stesso, sono impugnati mediante proposizione di motivi aggiunti”.
Dalla lettura della norma si comprende sin da subito che la riforma non ha rappresentato, a differenza della sua secolare elaborazione giurisprudenziale, una semplice trasposizione dell’istituto nella disciplina legislativa[x]. Invero, mentre i motivi aggiunti tradizionalmente comportavano l’ampliamento della causa petendi del ricorso originario, permettendo di aggiungere nuovi motivi a quelli già dedotti contro l’atto oggetto di impugnazione, ciò che il legislatore ha invece consentito, attraverso “l’impiego della forma incidentale propria dei motivi aggiunti, è l’ampliamento del petitumdel ricorso, e dunque l’impugnazione di atti diversi da quello già investito del gravame”[xi].
Di portata innovativa, la norma rispondeva all’esigenza di assicurare e rendere ammissibile l’impugnazione di atti sopravvenuti in pendenza del ricorso, intervenuti tra le stesse parti e connessi al provvedimento impugnato originariamente[xii].
L’intera l. n. 205 del 2000, all’interno della quale si inserisce la novella, mirava infatti a riformare il processo amministrativo nel suo complesso: con il duplice obiettivo di aumentare e migliorare le forme di tutela del privato, assicurando, al tempo stesso, una maggiore celerità nel riconoscimento della tutela stessa.
Nel caso di specie il legislatore ha così aderito, di concerto all’introduzione di istituti quali il nuovo rito avverso il silenzio e le decisioni in forma semplificata, a una corrente giurisprudenziale minoritaria[xiii] che vedeva, nella proposizione di motivi aggiunti “impropri”[xiv], un mezzo idoneo per assicurare vantaggi alla speditezza del procedimento innanzi al giudice amministrativo.
Nonostante il chiaro progresso in termini di effettività della tutela – con annesso il superamento di una concezione irragionevolmente tesa a mantenere inalterato il petitum così come originariamente concepito nel ricorso principale – la disciplina appena introdotta non risultava però esente da incongruenze.
La disposizione è stata, infatti, oggetto di un dibattito dottrinario ampio e vivace.
Questo si è concentrato principalmente sulla mancata statuizione normativa dei motivi aggiunti “propri”[xv] – ammessi a quell’epoca esclusivamente dalla prassi giurisprudenziale[xvi] – e sulla espressa previsione di una necessaria connessione soggettiva degli stessi rispetto al processo pendente: tesa a escludere la proponibilità dei motivi aggiunti avverso atti connessi in cui difettava il requisito dell’identità di parti[xvii].
Le citate incongruenze possono dirsi oggi superate dall’attuale formulazione della disposizione, così come concepita dal D.lgs. n. 104/2010.
Ora, il vigente art. 43 c.p.a. attribuisce al ricorrente, principale o incidentale, lo strumento processuale deputato a introdurre nel giudizio nuove ragioni a sostegno delle domande già introdotte o, ancora, domande nuove purché in connessione con quelle già proposte[xviii].
Ne deriva, dunque, un’espressa previsione normativa[xix] e un’equiparazione, acquisita almeno relativamente al regime giuridico[xx], dei c.d. motivi aggiunti “propri” – avverso i medesimi atti e finalizzati all’introduzione di vizi ulteriori rispetto a quelli già individuati – e di quelli “impropri” – finalizzati, invece, all’impugnazione di atti sopravvenuti purché oggettivamente connessi[xxi].
Quanto alla prima tipologia di motivi aggiunti, il legislatore ha così inteso riconoscere piena tutela normativa a quelle situazioni in cui, dalla produzione di nuovo materiale documentale da parte dell’amministrazione o da vicende di natura extraprocessuale[xxii], emergano ulteriori profili di illegittimità del provvedimento impugnato con ricorso principale: rendendo così possibile per il ricorrente la proposizione di nuove ragioni, in fatto o in diritto, a sostegno della propria pretesa sostanziale.
Quanto alla relativa disciplina processuale, la disposizione di cui all’art. 43 c.p.a. opera un rinvio alle norme in tema di ricorso, ivi comprese quelle relative ai termini. Pertanto, oltre ai medesimi requisiti formali e agli stessi limiti dimensionali[xxiii], restano ferme le regole in tema di decadenza: non è consentita, per mezzo dei motivi aggiunti, l’impugnazione di nuovi atti o l’introduzione di nuove censure di fronte all’intervenuta decadenza derivante dallo spirare dei termini per la proposizione del giudizio impugnatorio[xxiv].
4. La notifica dei motivi aggiunti
Lo strumento processuale prevede al secondo comma dell’articolo di riferimento una precisa modalità di perfezionamento della notifica dello stesso.
In quanto istituto di natura impugnatoria nuova, i motivi aggiunti necessitano di essere appositamente notificati ai destinatari: sono pertanto inammissibili i motivi aggiunti introdotti per mezzo di mera memoria difensiva non notificata[xxv].
Orbene, intervenendo nell’ambito di un giudizio già avviato, quanto alla modalità della notifica, l’art. 43 rinvia espressamente all’art. 170 c.p.c.[xxvi]: recante “notificazioni e comunicazioni nel corso del procedimento”.
Secondo la disposizione normativa: “dopo la costituzione in giudizio (165, 166 c.p.c.) tutte le notificazioni e le comunicazioni si fanno al procuratore costituito (84 c.p.c.), salvo che la legge disponga altrimenti”.
È di immediata evidenza l’obbligo per le parti processuali di notificazione e/o comunicazione nel corso del giudizio di tutti gli atti processuali, recanti tali prescrizioni, al procuratore costituito nel domicilio eletto[xxvii].
La norma sancisce e conferma il principio della c.d. “sostituzione procuratoria”: spetta al procuratore la conduzione del processo e l’esercizio di quei poteri di cui diviene titolare a seguito del conferimento della procura.
Attesa l’intervenuta instaurazione di un rapporto professionale tra questi due soggetti – funzionale alla risoluzione di un contenzioso avente, specialmente dopo gli interventi del legislatore del 2000 e del 2016, un carattere unitario pur se teso a investire nuove determinazioni amministrative – ai sensi dell’art. 84 c.p.c. al difensore costituito per mezzo di regolare procura è, pertanto, attribuito il c.d. ius postulandi: identificabile nel potere di compiere e ricevere in luogo e in nome della parte tutti gli atti del processo ad essa indirizzati.
Questo potere deriva direttamente dalla legge e assegna al difensore la più ampia discrezionalità tecnica nell’esplicazione della sua attività professionale. Il procuratore sarà, pertanto, legittimato a impostare la lite e a, eventualmente, modificare la condotta processuale a seconda degli sviluppi in concreto della controversia.
Dal quadro normativo ora esposto deriva, pertanto, l’inammissibilità dei motivi aggiunti notificati alle sole parti reali, persona giuridica o persona fisica, di fatto regolarmente rappresentati in giudizio e costituiti per mezzo di procuratore.
Secondo la disciplina contenuta all’art. 43 c.p.a., infatti, incombe su chi intende proporre motivi aggiunti l’onere di verificare la costituzione delle parti e di provvedere conseguentemente alla notifica del nuovo atto presso il domicilio del difensore nominato nella relativa procura.
Ne consegue, inoltre, che qualora l’Amministrazione resistente benefici del patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura dello Stato, tutte le notifiche andranno effettuate presso la difesa erariale, ciò varrà nello specifico sia per il ricorso introduttivo, sia per i motivi aggiunti. Diversamente, sarà questo il caso delle amministrazioni non statali o di amministrazioni che godono del patrocinio facoltativo, varranno le medesime accortezze pocanzi illustrate utili anche al perfezionamento della notifica nei confronti dei cc.dd. controinteressati.
5. L’interpretazione favorevole al proponente: il caso della sanatoria per raggiungimento dello scopo
Ora, per quanto premesso, nonostante le disposizioni codicistiche paiano fornire un quadro piuttosto definito, si rileva nella pratica la presenza di un panorama interpretativo alquanto variegato. Accanto a un orientamento giurisprudenziale particolarmente rigido, improntato con fermezza ad assicurare il pieno rispetto di una norma diretta a garantire il diritto di difesa per mezzo della notifica all’avvocato costituito in giudizio[xxviii], si colloca un filone interpretativo, in sanatoria, largamente condiviso dalla giurisprudenza amministrativistica.
Secondo quest’ultimo orientamento – confermato anche dal Consiglio di Stato[xxix] – la notifica effettuata alle sole parti non è condizione di inammissibilità dei motivi aggiunti qualora parte resistente replichi all’atto impugnatorio.
Dopo un breve richiamo all’art. 170 c.p.c., la citata pronuncia del Consiglio di Stato estende al caso di specie un principio di diritto. Seppure la norma letta nel suo tenore testuale non sembra ammettere equipollenti, secondo i Giudici di Palazzo Spada si rende doverosa una interpretazione della stessa, con sua conseguente applicazione, alla luce dei principi dettati dagli artt. 156 e 160 del codice di procedura civile. Norme alla quale il codice del processo amministrativo rinvia per mezzo del c.d. “rinvio esterno” operato dall’art. 39, comma 2, del c.p.a.
Andando con ordine. In forza dell’art. 160 c.p.c., la notificazione è nulla se non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia, o se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data, salva l’applicazione degli articoli 156 e 157.
L’art. 156 c.p.c.[xxx] appena richiamato, stabilisce, a sua volta, per quanto di nostro specifico interesse che, la nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato.
Ciò premesso, secondo la citata pronuncia del Consiglio di Stato, dal quadro normativo ora esposto, “si ricava che in assenza dell’espressa previsione (tanto nell’art. 43 del cod. proc. amm., quanto nell’art. 170 del cod. proc. civ.) della comminatoria della nullità della notificazione eseguita, nel corso di un procedimento già in atto, a un soggetto diverso da quello indicato (il procuratore della parte), spetta al giudice accertare se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui era destinato e, in caso positivo, escludere il pronunciamento della ipotizzata nullità”.
Dunque, se i motivi aggiunti (notificati solo alla parte reale) sono oggetto di replica e/o controdeduzioni in giudizio dalle controparti deve intendersi raggiunto lo scopo della notifica ed è, dunque, ammissibile il relativo gravame[xxxi].
Apparentemente di analogo contenuto, si è tuttavia inserito nel dibattito interpretativo un orientamento specificativo, qui sintetizzabile in una pronuncia del Tar Lombardia[xxxii], che arricchisce di ulteriori elementi la tesi del raggiungimento dello scopo.
Nello specifico, i Giudici milanesi – questa volta concludendo per l’inammissibilità dei motivi aggiunti, in quanto l’avvocatura erariale, già costituta in giudizio, con memoria depositata non ha preso posizione sulle doglianze articolate con i motivi aggiunti formulati dalla parte ricorrente – hanno inteso esprimere un categorico indirizzo interpretativo.
La sanatoria per raggiungimento dello scopo opera anche se effettuata al solo fine di eccepire la nullità dell’atto non notificato al procuratore costituito. Circostanza questa, necessaria e sufficiente al fine di dedurre la conoscenza dell’effettivo contenuto delle doglianze formulate con i motivi aggiunti e, pertanto, idonea a salvarne gli effetti processuali.
In altre parole, secondo la pronuncia del Giudice lombardo, nel caso di specie non risulterebbe inferibile il “raggiungimento dello scopo” poiché l’unico atto versato in giudizio a seguito dei motivi aggiunti rivestire carattere neutro “concretando [tale atto] un dovuto adempimento processuale in vista della udienza pubblica di discussione del gravame originario, […] sfornito di qualsivoglia argomentazione volta a contrastare l’atto recante motivi aggiunti irritualmente notificato presso la sede reale” di parte resistente.
I limiti di quest’ultima impostazione sono evidenti: l’inammissibilità per nullità della notifica diverrebbe rilevabile esclusivamente d’ufficio, ogni forma di “denuncia” del difetto di notifica implicherebbe una dimostrazione di conoscenza e dunque di “sanatoria” del gravame.
6. La soluzione adottata dal Tar Palermo con la pronuncia n. 328/2025 e la necessaria accettazione del contraddittorio
In adesione all’indirizzo del “raggiungimento dello scopo”, si inserisce la sentenza in commento, in cui il Tar Palermo è stato chiamato a verificare la sussistenza dei presupposti di ammissibilità dei motivi aggiunti, per poi scrutinare l’effettiva sanabilità degli stessi.
Secondo i Giudici siciliani, il vizio della notificazione deve considerarsi sanato dalla difesa nel merito dei ricorsi che la società resistente ha svolto per mezzo di memoria difensiva.
In questa direzione, nonostante nell’atto difensivo venga sollevata l’eccezione di nullità della notifica, la difesa svolta nel merito delle questioni oggetto di giudizio dimostra che lo scopo a cui la notifica dei motivi aggiunti era diretta deve essere considerato effettivamente raggiunto.
Sul punto è richiama la giurisprudenza della Cassazione civile secondo la quale il vizio della notifica è sanato con la costituzione, anche tardiva, della parte in giudizio, e tale effetto si produce anche quando questa è compiuta con il solo scopo di far valere il vizio suddetto[xxxiii].
Nello specifico, la Corte di Cassazione ha avuto modo di sottolineare, per segnare la differenza tra una notifica inesistente e una notifica nulla, che “la notificazione dell’atto di impugnazione è inesistente, con conseguente insanabilità ex tunc, soltanto allorché la relativa abnormità sia tale da non consentirne in alcun modo l’inserimento nello sviluppo del processo, sicché, ove il vizio attenga alla fase della consegna, è inesistente la notificazione fatta a soggetto o in luogo totalmente estranei al destinatario, mentre è nulla, e suscettibile di sanatoria, quella effettuata in luogo o a persona che, pur diversi da quelli indicati dalla norma processuale, abbiano – in base ad una valutazione ex ante avente ad oggetto l’astratto raggiungimento dello scopo nonostante il vizio della notificazione - un qualche riferimento con il destinatario”[xxxiv].
Nel caso di specie, secondo i Giudici amministrativi, trattasi di una nullità della notifica sanabile in quanto il destinatario della stessa è stata la parte del giudizio in luogo al suo rappresentante processuale, inoltre non è rappresentato nella memoria difensiva depositata né vi si può desumere che la parte abbia subito alcun vulnus al proprio diritto di difesa a causa della mancata notifica al procuratore, anzi, le argomentazioni spese nel merito del giudizio dimostrano l’esatto contrario, ossia la valida istaurazione del rapporto processuale anche in relazione ai motivi aggiunti notificati all’ente.
Ne deriva che, se i principi civilistici richiamati sono consolidati con riferimento all’atto fondamentale nella costituzione del rapporto processuale quale la costituzione in giudizio della parte, a maggior ragione possono soccorrere nel caso di specie in cui il rapporto processuale tra le parti era già validamente costituito in virtù della corretta notifica del ricorso introduttivo, riguardando il vizio la notifica di motivi aggiunti rispetto ai quali la parte ha potuto diffusamente dispiegare le proprie difese.
In questa direzione il Tar Palermo era già intervenuto in precedenza: tracciando le basi dell’orientamento interpretativo oggetto di successivo consolidamento[xxxv].
In particolare, in seguito ad apposita eccezione di inammissibilità dei motivi aggiunti per nullità della notifica effettuata alle sole parti reali, i Giudici siciliani della prima sezione hanno rimarcato la circostanza secondo cui “l’art. 43, co. 2, cod. proc. amm. stabilisce che «Le notifiche alle controparti costituite avvengono ai sensi dell’articolo 170 del codice di procedura civile», cioè al procuratore costituito”.
Ciò posto, dalla lettura della pronuncia, assume carattere dirimente la condotta processuale delle parti. Nel caso di specie, infatti, parte resistente e controinteressata, attraverso memorie depositate successivamente alla proposizione del ricorso per motivi aggiunti, hanno eccepito l’inammissibilità ai sensi del combinato disposto tra gli artt. 43 cod. proc. amm. e 170 cod. proc. civ., senza tuttavia accettare il contraddittorio sull’atto. Sicché, è stato escluso che lo stesso abbia comunque raggiunto lo scopo cui era diretto.
Lo scopo tipico dei motivi aggiunti non può dirsi raggiunto senza l’accettazione – quantomeno tacita[xxxvi] – del contraddittorio, nel caso di specie, non deducibile dalla semplice eccezione in rito di parte resistente.
Ancora, secondo i Giudici siciliani, il ricorso per motivi aggiunti non presentava neppure i requisiti per essere considerato quale autonomo gravame.
Detto ricorso, al di là della mancata articolazione dei fatti di causa, a dire del Collegio, difettava di una nuova e autonoma procura: risultando strutturato quale accessorio al ricorso introduttivo e, pur contenendo ulteriori motivi di doglianza, di mera riproposizione dei motivi già dedotti con il ricorso introduttivo.
Anche sulla base di queste ulteriori considerazioni la sentenza ha concluso confermando e dichiarando l’inammissibilità dell’atto processuale.
Se ne ricava, pertanto, un ulteriore profilo. Fatta salva l’operatività del combinato disposto degli artt. 43 c.p.a e 170 c.p.c., secondo i Giudici siciliani l’ammissibilità dei motivi aggiunti “impropri”, erroneamente notificati alle sole parti reali, deve passare anche dalla verifica della “capacità” del gravame, accertata la sussistenza dei rispettivi requisiti di validità previsti, di assumere rilevanza autonoma[xxxvii].
In altri termini la notifica alle sole parti reali, mancando una espressa accettazione del contradditorio sull’atto viziato nella notifica, sarebbe giustificata e ammissibile solo nel caso di nuova impugnazione finalizzata a far sorgere un giudizio separato e autonomo[xxxviii].
Alla luce del principio di economia processuale, è tuttavia necessaria un’ulteriore precisazione diretta a limitare e restringere l’applicazione della tesi ora esposta. La “clausola di salvezza” è ammissibile solo nel caso di impugnazione di nuovi “provvedimenti diversi da quelli impugnati con il ricorso principale”[xxxix].
7. Riflessioni conclusive.
Si può tentare ora di tracciare una minima ricostruzione in chiave conclusiva.
Chiariti i profili caratteristici dei motivi aggiunti all’interno del processo amministrativo, si è qui inteso riconoscere la presenza di orientamenti contrastanti in tema di inammissibilità della notifica degli stessi alle parti reali in luogo dei procuratori regolarmente costituiti in giudizio.
Se è vero che la pronuncia di inammissibilità di un atto impugnatorio rappresenta nella sostanza una statuizione a contenuto sanzionatorio, è tuttavia necessario evidenziare l’insostenibilità del contrasto giurisprudenziale.
Sarebbe, infatti, opportuno assicurare anzitutto una unità di orientamenti, la cui assenza è fattore di incertezza[xl] e apre la via a possibili violazioni del diritto di uguaglianza processuale.
Questo porta con sé numerosi problemi di paralisi difensiva e di connessi favoritismi per una o per l’altra parte, a seconda che il giudizio sia sorto innanzi a collegi propensi ad accogliere la clausola del “raggiungimento dello scopo”.
L’avvocato costituito in giudizio si troverà, così, di fronte a un bivio problematico, dipendente dall’orientamento seguito dal Giudice adito: astenersi da ogni atto processuale normalmente auspicabile avverso il gravame, mai notificato al difensore, o richiedere l’inammissibilità dei motivi aggiunti viziati da nullità della notifica.
Passando ora al merito della vicenda sono opportune alcune ulteriori riflessioni a valenza conclusiva.
Nell’opinione di chi scrive, la trasposizione generalizzata dell’orientamento teso alla salvezza degli effetti per “raggiungimento dello scopo”, senza la garanzia della espressa e volontaria accettazione del contraddittorio, adduce evidenti limitazioni e vulnera al diritto di difesa di parte resistente, dei controinteressati e anche del ricorrente stesso nel caso di motivi aggiunti proposti a seguito di ricorso incidentale[xli].
La sanatoria per “raggiungimento dello scopo” nasce, nel diritto processuale civile, per sanare quelle irritualità commesse da parte ricorrente nelle ipotesi in cui parte resistente si sia ugualmente costituita in giudizio.
Per “raggiungimento dello scopo” si vuole intendere quella capacità dell’atto e, più nello specifico, della notifica di informare i soggetti interessanti dell’effettiva apertura di un giudizio astrattamente idoneo a coinvolgerli. La sanatoria deriverebbe, pertanto, dalla idoneità della notificazione, seppur irregolare, a rendere edotte le altre parti permettendone ugualmente di costituirsi in giudizio e, conseguentemente, di esercitare il diritto di difesa.
Lo scopo della notifica di un atto a contenuto impugnatorio non è soltanto portare a conoscenza del destinatario la domanda di controparte, bensì anche – anzi, soprattutto – disporre il destinatario nelle condizioni di difendersi in giudizio, permettendogli il compimento dell’attività processuale conseguente alla ricezione dell’atto tramessogli.
Nel caso di specie, trattandosi di notifica di motivi aggiunti alla parte già costituita in giudizio, questa interpretazione sanante obbligherebbe il procuratore costituito, al quale non vengono garantiti i termini a difesa previsti a seguito della proposizione di motivi aggiunti e decorrenti dal perfezionamento rituale della notifica, di astenersi da ogni funzione difensiva[xlii] in attesa di in una pronuncia di inammissibilità da parte del Giudice che ne ravvisi il difetto di notifica.
Il Giudice amministrativo sarebbe così, di fatto, l’unico vero titolare del potere di eccepirne il difetto.
Ne deriverebbe, pertanto, una completa inutilità del richiamo contenuto nell’art. 43 c.p.a. e la conseguente inutilizzabilità della disposizione di cui all’art. 170 c.p.c.: soprattutto nel processo amministrativo dove, a seguito dell’avvento del Processo Amministrativo Telematico (PAT), opera l’obbligo di deposito telematico di tutti gli atti processuali[xliii].
In ragione della ipotetica pronta conoscibilità di ogni atto processuale, il passo verso il superamento di ogni forma di notifica a seguito dell’apertura del fascicolo telematico potrebbe comportare, tra l’altro, un rischioso e alquanto gravoso onere difensivo di accertamento senza termine di possibili depositi da parte dei partecipanti al processo amministrativo.
Orbene, riconoscere alla mera conoscenza aliunde dell’atto notificato da parte del destinatario, quand’anche provata, il dedotto effetto sanante della nullità della notifica di un atto processuale “significherebbe ammettere un’indiscriminata surrogabilità e disapplicazione dei procedimenti notificatori disposti dal legislatore, con il conseguente rischio di totale incertezza in ordine alla legale conoscenza degli atti e con evidente violazione dell’art. 24 Cost.”[xliv].
Ciò rende quantomeno perplessa l’interpretazione forzatamente garantista nei confronti della sola parte notificante, che va a discapito delle altre parti processuali.
[i] Per un’accurata ricostruzione sull’evoluzione del processo amministrativo e, in particolare, sulla dicotomia tra concezione oggettiva e soggettiva, fra tutti, sia consentito il rimando a F. Saitta, Vicinanza della prova e codice del processo amministrativo: l’esperienza del primo lustro, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., n. 3/2017, 911 ss. L’A. occupandosi del tema dell’onere della prova, esordisce alludendo alle ambiguità di fondo del processo amministrativo, ove, alla luce degli sviluppi storici e normativi, emerge tra tutte la problematica iscrizione dello stesso alla giurisdizione di diritto soggettivo. Ancora, in Id., Interessi diffusi e legittimazione a ricorrere: una questione da rivedere, in Aa. Vv., Riprendiamoci la città. Manuale d’uso per la gestione della rigenerazione urbana, 2023, 231 ss., l’A. occupandosi poi della tutela giurisdizionale degli interessi diffusi, esordisce rinviando a uno studio di E. Romani, Il principio dello sviluppo sostenibile nella sua dimensione processuale: suggestioni per una legittimazione a ricorrere uti civis, in P. Pantalone (a cura di), Doveri intergenerazionali e tutela dell’ambiente. Sviluppi, sfide e prospettive per Stati, imprese e individui(Atti del Convegno di Milano, 7 ottobre 2021), in Dir. econ., 2021, numero monografico, 204, secondo cui la tematica necessiterebbe di “rinvenire un contemperamento tra l’esigenza di evitare un’eccessiva generalizzazione della legittimazione a ricorrere – che rischierebbe di trasformare il sistema processuale amministrativo in una giurisdizione di tipo oggettivo, allontanandolo dalle direttrici costituzionali contenute negli artt. 24 e 103 Cost. – e l’esigenza di garantire al contempo un effettivo accesso alla giustizia, presupposto imprescindibile per assicurare una protezione «piena» ai suddetti interessi”.
Sul rapporto tra impronta soggettiva e tutela della situazione giuridica dedotta e ispirata al principio di effettività della tutela si vedano ancora: V. Domenichelli, La trasformazione in senso soggettivo della giurisdizione amministrativa: una conquista irrinunciabile del processo amministrativo, in F. Francario - A.M. Sandulli (a cura di), Profili oggettivi e soggettivi della giurisdizione amministrativa. In ricordo di Leopoldo Mazzarolli, Napoli, 2017, 329 ss.; V. Domenichelli, Il principio della domanda, in questa Rivista, n. 1/2020, 26 ss.; N. Paolantonio, La dicotomia tra giurisdizione soggettiva e oggettiva nella sistematica del codice del processo amministrativo, ivi, n. 2/2020, 237 ss.
Da ultimo, si veda F.G. Scoca, Il principio della domanda nel processo amministrativo, in Corr. giur., n. 12/2015, 1600 ss., il quale affronta la questione facendo discendere la natura soggettiva della giurisdizione amministrativa dal principio della domanda vigente nella disciplina del processo amministrativo e, ancora, dal carattere di processo di parti del processo amministrativo.
[ii] Sul tema si veda anzitutto M. Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, Il Mulino, 1983, 330 ss. Nella sua opera il Maestro individua tra i principi generali del processo amministrativo quello della domanda e dell’iniziativa di parte, evidenziando il corollario del divieto di qualsiasi attività officiosa da parte del Giudice amministrativo, fatta eccezione per i cc.dd. poteri istruttori dello stesso. Su questo crinale, secondo M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2019, 486 ss., è dallo stesso Codice che può ora ricavarsi l’accoglimento di una concezione soggettiva della tutela giurisdizionale amministrativa. In questo senso, secondo S. Franca, La conversione dell’azione tra potere officioso e principio della domanda: dal criterio della continenza alla centralità della vicenda sostanziale, in questa Rivista, n. 1/2024, 141 ss., il principio della domanda “rappresenta plasticamente la definitiva affermazione di un modello di giurisdizione a trazione soggettiva, ossia di un modello di giurisdizione che, pur non epurando integralmente elementi di oggettività, si segnala per la sua strumentalità alla tutela di posizioni giuridiche soggettive. In questo senso, il principio della domanda rappresenta il sintomo della realizzazione del modello di tutela giurisdizionale sancito dalla Carta costituzionale, in particolare agli artt. 24 e 113 Cost.”.
A completamento del quadro appena descritto e con specifica attenzione al profilo dell’iniziativa si vedano ancora: A. Cassatella, Legittimazione a ricorrere e norme di garanzia, in questa Rivista, n. 4/2022, 773 ss., secondo l’A., “individui, formazioni sociali ed amministrazioni possono agire innanzi al giudice solo se la loro iniziativa è posta a tutela di situazioni soggettive già garantite dalle norme sostanziali”; M. Ramajoli, L’atto introduttivo del giudizio amministrativo tra forma e contenuto, ivi, n. 4/2019, 1051 ss., nella quale è esposto il concetto della c.d. doppia funzione dell’atto introduttivo inteso quale atto d’impulso e, al contempo, quale limite al dovere decisorio del giudice amministrativo; e, ancora, V. Cerulli Irelli, Legittimazione “soggettiva” e legittimazione “oggettiva” ad agire nel processo amministrativo, ivi, n. 2/2014, 341 ss., nella quale si approfondisce il tema delle condizioni dell’azione e, pertanto, della connessa ammissibilità e idoneità del ricorso di parte a introdurre il processo amministrativo.
[iii] In dottrina, con specifico riferimento all’istituto dei motivi aggiunti si veda C. Mignone, Il ricorso integrativo (ovvero i falsi motivi aggiunti) nel processo dinnanzi ai Tribunali Amministrativi, in Foro Amm., n. 12/2002, 4174 ss. L’A. afferma che il processo amministrativo è divenuto un giudizio sul rapporto, avendo ormai ad oggetto la pretesa sostanziale. “L’avvenuta trasformazione completa dell’oggetto del giudizio discenderebbe dalla connessa possibilità di impugnare provvedimenti ulteriori e, soprattutto, di far valere connesse azioni d’accertamento e di condanna, in corso di causa”. Ancora, sull’integrazione della domanda, in generale, si veda il lavoro monografico di C.E. Gallo, La modificazione della domanda nel processo amministrativo, Torino, 1985. Già anteriormente alla L. n. 205 del 2001, infatti, la questione era emersa all’attenzione della dottrina e della giurisprudenza. Tra le pronunce più rilevanti si segnalano: Cons. Stato, VI, 17 luglio 2001, n. 3962; V, 7 settembre 2001, n. 4682; Tar Lazio, sez. I, 16 gennaio 2002, n. 398.
[iv] Sull’applicabilità del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato anche nel processo amministrativo si veda tra tutti Cons. Stato, IV, 3 marzo. 2009, n. 1227, nella parte in cui è chiarito che “nel processo amministrativo l’oggetto del giudizio si configura strettamente limitato alle questioni di legittimità dell’atto in relazione ai soli motivi denunciati con il ricorso, è rinvenibile il vizio di ultra od extra petizione qualora il Giudice si sia pronunciato su un aspetto non censurato dalla parte”.
In dottrina, sul rapporto tra il principio della domanda e il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, da intendersi quest’ultimo come una delle tre articolazioni del primo, si veda ancora M. Nigro, voce Domanda (principio della), II) Diritto processuale amministrativo, in Enc. giur., Roma, XII, 1989.
[v] Si fa riferimento all’art. 84 del D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104. Se ne riporta il testo per facilità di consultazione: “La parte può rinunciare al ricorso in ogni stato e grado della controversia, mediante dichiarazione sottoscritta da essa stessa o dall’avvocato munito di mandato speciale e depositata presso la segreteria, o mediante dichiarazione resa in udienza e documentata nel relativo verbale.
Il rinunciante deve pagare le spese degli atti di procedura compiuti, salvo che il collegio, avuto riguardo a ogni circostanza, ritenga di compensarle.
La rinuncia deve essere notificata alle altre parti almeno dieci giorni prima dell’udienza. Se le parti che hanno interesse alla prosecuzione non si oppongono, il processo si estingue.
Anche in assenza delle formalità di cui ai commi precedenti il giudice può desumere dall’intervento di fatti o atti univoci dopo la proposizione del ricorso ed altresì dal comportamento delle parti argomenti di prova della sopravvenuta carenza d’interesse alla decisione della causa”.
In dottrina, sul tema della rinuncia si veda P.L. Portaluri, Il nuovo diritto procedimentale nella riforma della P.A.: l’autotutela (profili interni e comunitari), Relazione al convegno “Efficienza, legalità, controlli. Pesi e contrappesi”, Napoli, 10 giugno 2016, in federalismi.it, n. 20/2016. In particolare l’A. occupandosi dell’inattuazione della riforma del 2012 sull’obbligo di provvedere, si sofferma sul paradosso dei “provvedimenti amministrativi annullati da sentenze del TAR, cui poi sia seguita un’inspiegabile rinuncia del ricorrente – pur vittorioso – al ricorso di primo grado: in questo caso, viene formalmente meno la sentenza e il provvedimento annullato rivive, pur bollato d’illegittimità. Il fenomeno non è raro nei procedimenti di aggiudicazione di gare d’appalto”.
[vi] Sul tema si rimanda a F.G. Scoca, I principi del giusto processo, in Id. (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino, 2020, 172-173. Il contraddittorio, per essere garantito, deve rispondere ai requisiti della completezza e della continuità. In particolare, per quanto concerne il profilo della continuità, il contraddittorio deve essere mantenuto integro per l’intera durata del processo. Ciò significa che la dialettica tra le parti deve essere organizzata razionalmente e che il “dialogo” con il giudice deve essere costante. Il contraddittorio deve essere garantito sia nella fase istruttoria, specialmente nella formazione delle prove, sia nella fase di formazione del convincimento del giudice. Dunque, in linea generale l’A. afferma che “nessuna decisione del giudice, sia istruttoria, sia di merito, possa essere adottata senza che le parti abbiano avuto modo di pronunciarsi preventivamente sulla questione da decidere”.
[vii] In merito al diritto di difesa e all’importanza dell’assistenza tecnica per mezzo di idonea figura professionale, è più volte intervenuta la Corte Costituzionale. In particolare, con sentenza del 13 maggio 1965, n. 41, la Corte ha affermato che “il diritto di difesa si configura come possibilità effettiva dell’assistenza tecnica e professionale nello svolgimento di qualsiasi processo, in modo che venga assicurato il contraddittorio e venga rimosso ogni ostacolo a far valere le istanze e le ragioni delle parti”. Con successiva sentenza del 10 novembre 1989, n. 498, la Corte ha inoltre chiarito, che il difensore è “un protagonista senza il quale, specie e tanto più nel nuovo processo, esso non può, da un certo momento in poi, nemmeno proseguire”.
[viii] Tra i riferimenti dottrinali dedicati esclusivamente all’istituto in commento si vedano in ordine cronologico: C. Mignone, I motivi aggiunti nel processo amministrativo, Padova, 1984; F. Fracchia, Motivi aggiunti, termine di decadenza e modifiche delpetitum, in questa Rivista, n. 4/1996, 683 ss.; F. Figorilli, I motivi aggiunti, in B. Sassani - R. Villata (a cura di), Il processo davanti al giudice amministrativo. Commento sistematico alla legge n. 205/2000, Torino, 2001, 111 ss.; M. Ramajoli, Commento all’art. 1 della legge 21 luglio 2000, n. 205, in Nuove leggi civ. comm., n. 3-4/2001, 567-574 ss.; P. Divizia, Considerazioni in tema di motivi aggiunti nel giudizio amministrativo: profili teorici e tecnica giudiziale, in Foro amm. TAR, n. 4/2003, 1427 ss.; C. Cacciavillani, Sul ricorso per motivi aggiunti di cui all’art. 21 della legge Tar, come modificato dalla legge n. 205/2000, in questa Rivista, n. 1/2005, 181 ss.; M. Trimarchi, I motivi aggiunti nel codice del processo amministrativo, in Dir. e proc. amm., n. 3/2010, 945 ss.; S. Castro, Il ricorso per motivi aggiunti nel processo amministrativo, Milano, 2011.
[ix] È opinione consolidata che i motivi aggiunti entrino a far parte del rito amministrativo con la famosa pronuncia del Consiglio di Stato del 18 agosto 1905, n. 369, con cui i Giudici di Palazzo Spada ritennero ammissibile l’integrazione della causa petendi a seguito della avvenuta conoscenza di circostanze, ignorate dal ricorrente per ragioni a lui non direttamente imputabili, idonee a evidenziare nuovi vizi del provvedimento impugnato. La sentenza citata è integralmente riportata in Giust. amm., 1905, I, 353.
Quanto alle ragioni legate alla sua introduzione si veda la ricostruzione di M. D’Orsogna - F. Figorilli, Lo svolgimento del processo di primo grado. La fase introduttiva, in F.G. Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino, 320 ss., spec. 353-354. Nello studio della genesi dell’istituto non possono trascurarsi le caratteristiche proprie del processo amministrativo. Quest’ultimo, retto dal principio dispositivo, individua nella conoscenza del materiale documentale – su cui si basa il provvedimento impugnato – uno dei profili fondamentali. Le aperture giurisprudenziali legate all’inserimento dei motivi aggiunti nel processo amministrativo rispondevano, così, alla necessità di “individuare soluzioni vòlte ad assicurare la realizzazione completa del più generale principio del contraddittorio, consentendo così al ricorrente di integrare l’atto introduttivo del giudizio, contenente le censure alla base della pretesa vantata, con ulteriori motivi di ricorso”.
[x] Secondo C. Mignone, Il ricorso integrato, cit., l’art. 1 della l. n. 205/2000 contemplava un istituto diverso dai motivi aggiunti, qualificabile quale ricorso integrativo, poiché costituito da petitum e causa petendi proprii. La novella avrebbe così introdotto “una sorta di ricorso cumulativo a formazione progressiva”.
[xi] In questi termini si veda C. Cacciavillani, Sul ricorso per motivi aggiunti, cit., spec. 181. Il citato art. 21 esprimeva la volontà del legislatore di favorire una impostazione che, in forza del simultaneus processus, conducesse l’organo giudicante a una decisione sulla base di una conoscenza completa ed esauriente dei fatti unitariamente considerati.
[xii] Sul tema si vedano tra tutti R. Garofoli - G. Ferrari, Codice del processo amministrativo. D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, Roma, II, 2012, 795 ss. Secondo gli Aa. la modifica dell’art. 21 ha avuto il merito di consacrare normativamente l’ipotesi di proposizione dei cc.dd. motivi aggiunti “impropri”, al fine di permettere la contestazione di atti connessi a quello sub iudice. Prima della L. n. 205 del 2000 l’istituto era infatti ammesso, esclusivamente, per la proposizione di nuove censure avverso l’atto impugnato con il ricorso originario, emerse in seguito alla conoscenza di nuovi documenti.
[xiii] In concreto, la norma rappresenta il punto di arrivo di un annoso contrasto giurisprudenziale che vedeva, da un lato, la tesi dell’inammissibilità dei motivi aggiunti (avverso nuovi provvedimenti), ai sensi dell’ipotetico vincolo derivante dall’immodificabilità del petitum così come identificato nell’atto introduttivo del giudizio (da qui, la concezione secondo cui la definizione con sentenza unica di più giudizi connessi era rimessa esclusivamente al potere di riunione ad opera del giudice competente. Cfr., ex multis: Cons. Stato, V, 14 novembre 1996, n. 1336; 18 settembre 1998, n. 1310); dall’altro, minoritario e di opposto tenore, l’innovativo indirizzo volto a riconoscere nella suddetta ammissibilità un indubbio strumento di celerità decisionale (cfr. Cons. Stato, V, 23 marzo 1993, n. 398; C.g.a.r.s., 4 novembre 1995, n. 343).
[xiv] La dicitura “impropri” risponde all’esigenza di differenziare le due possibili declinazioni dei motivi aggiunti. I primi tradizionali e di matrice pretoria, i secondi introdotti e positivizzati attraverso la citata L. n. 205/200. Come già anticipato, a differenza della fattispecie originaria, diretta ad aggiungere ulteriori motivi di gravame avverso un provvedimento già sottoposto al vaglio giurisdizionale, i motivi aggiunti “impropri” attengono alla possibilità di censurare ed estendere l’istanza annullatoria a nuovi provvedimenti: ampliando di tal guisa l’originario petitum. Quest’ultimo è, infatti, identificabile nella richiesta del ricorrente o, meglio, in “ciò che si chiede al giudice per mezzo del ricorso giurisdizionale”. Il virgolettato è di E. Mele, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2013, spec. 343.
[xv] Questa prima tipologia di motivi aggiunti (definiti anche “classici” da P. Divizia, Considerazioni in tema di motivi aggiunti, cit., spec. 1435), come già anticipato, consente al soggetto ricorrente di introdurre all’interno del giudizio ulteriori motivi o nuove censure relative a un provvedimento già impugnato. L’istituto nella sua versione tradizionale risponde all’esigenza di garantire, a seguito della conoscenza di ulteriori atti rispetto a quelli noti al momento della proposizione del ricorso, la presenza di uno strumento in grado di arricchire la propria domanda con ulteriori ragioni in fatto e in diritto: ampliando, così, il thema decidendum sul fronte della causa petendi. Quest’ultima, secondo autorevole dottrina, è individuabile nei vizi di legittimità censurati dal ricorrente. Sul tema si rimanda allo scritto di A. Police, Il cumulo di domande nei «riti speciali» e l’oggetto del giudizio amministrativo, in questa Rivista, n. 4/2014, 1197 ss. Sul tema, per completezza espositiva, si segnala l’intervento del Consiglio di Stato in adunanza plenaria, sentenza del 27 aprile 2015, n. 5. Attraverso la citata pronuncia, i Giudici di Palazzo Spada hanno infatti inteso valorizzare l’alterità tra petitum e causa petendi. “Nel giudizio impugnatorio di legittimità, l’unicità o pluralità di domande proposte dalle parti, mediante ricorso principale motivi aggiunti o ricorso incidentale, si determina esclusivamente in funzione della richiesta di annullamento di uno o più provvedimenti”.
[xvi] Sul tema della mancanza di una disciplina normativa volta a fornire le linee direttive dei motivi aggiunti “propri” era già intervenuto F. Fracchia, Motivi aggiunti, termine di decadenza e modifiche del petitum, in questa Rivista, 1996, 683 ss. Attraverso il suo articolato lavoro di ricerca l’A. operava una ricostruzione complessiva dell’istituto, soffermandosi principalmente sull’intricato tema della decorrenza dei termini per la proposizione dei motivi aggiunti.
[xvii] Sull’irragionevolezza della necessaria connessione soggettiva, si vedano: G. Abbamonte, Commento all’art. 1, L. n. 205/2000, in V. Cerulli Irelli (a cura di), Verso il nuovo processo amministrativo, Torino, 2000, 204 ss.; M. D’Orsogna - F. Figorilli, Lo svolgimento del processo di primo grado, cit., spec. 355-356. Secondo questi ultimi, è proprio il profilo della connessione soggettiva ad aver suscitato le maggiori perplessità in quanto, quest’ultimo, se ritenuto requisito essenziale per la proposizione dei motivi aggiunti, avrebbe escluso dal sindacato giurisdizionale una nutrita casistica di attività amministrativa: sottoponendo, così, gli interessati ad una duplicazione di giudizi, con il rischio, tutt’altro che remoto, di dare vita ad un contrasto fra giudicati. Tra gli esempi di esclusione individuati dagli Autori, venivano evidenziate: le ipotesi in cui l’esercizio dell’attività amministrativa avvenga in attuazione di provvedimenti a carattere generale, si guardi ai provvedimenti ablatori che realizzano le scelte determinate in sede di pianificazione generale; e, ancora, al caso di decisioni emanate in attuazione degli obiettivi individuati ed approvati con gli accordi di programma o in sede di conferenza di servizi, anche in detta ipotesi i provvedimenti applicativi sono adottati da autorità diversa da quella che ha determinato l’atto presupposto, con conseguente inutilizzabilità dell’istituto dei motivi aggiunti.
Per questa ragione la stessa giurisprudenza – e con essa, poi, il legislatore, con la soppressione della locuzione “tra le stesse parti” di cui al citato art. 21, l. n. 1034/’71 – iniziò ad ammetterne l’ammissibilità anche nell’ipotesi in cui differivano le Amministrazioni pubbliche coinvolte e i cc.dd. controinteressati. Sul tema si vedano in particolare: Cons. Stato, VI, 22 ottobre 2002, n. 5813; 21 novembre 2003, n. 7632; IV, 27 aprile 2004, n. 2555.
[xviii] Sul tema si rimanda a G. Taglianetti, Considerazioni in tema di motivi aggiunti e contributo unificato nel processo amministrativo. Come dare un senso compiuto al criterio del «considerevole ampliamento dell’oggetto della controversia già pendente», in Federalismi.it, n. 6/2019. L’art. 43 c.p.a. individua, così, due tipologie di motivi aggiunti: reciprocamente esclusive e congiuntamente esaustive. “Esclusive, nel senso che i motivi aggiunti non possono essere ricondotti contemporaneamente a entrambe le tipologie; esaustive, nel senso che i motivi aggiunti possono essere ricondotti soltanto all’una o all’altra tipologia”.
[xix] Cfr. F. Siciliano, Note sull’aggiunzione di motivi dopo l’entrata in vigore del Codice del Processo Amministrativo, in For. Amm. Tar, n. 4/2011, 1445 ss. Secondo l’A. il legislatore ha di fatto positivizzato, anche per i motivi aggiunti tradizionali, due requisiti da tempo stratificatisi nelle pronunce dei Giudici amministrativi, ossia: “un nesso di necessaria consequenzialità, variamente qualificabile, rispetto alla previa instaurazione di un rapporto processuale innanzi al giudice amministrativo, mediante la proposizione del ricorso principale e […] l’imprinting formale e sostanziale proprio di quel ricorso introduttivo, alla cui disciplina il Codice integralmente rinvia”.
[xx] A questo proposito, per ragioni di completezza, si evidenzia che le due tipologie di motivi aggiunti trovano diversa regolamentazione solo per quanto concerne: l’autonomia rispetto al ricorso principale, la debenza del contributo unificato e la possibilità di proposizione degli stessi in sede di appello, riservata esclusivamente ai motivi aggiunti “propri”. Sul tema si rimanda a R. Villata - L. Bertonazzi, Commento all’art. 43 c.p.a., in A. Quaranta - V. Lopilato (a cura di), Il processo amministrativo. Commentario al d. lgs. n. 104/2010, 427 ss. Per un esclusivo approfondimento sulle problematiche legate al pagamento del contributo unificato si v. ancora G. Taglianetti, Considerazioni in tema di motivi, cit.
[xxi] Sul tema della connessione oggettiva si rimanda a R. De Nictolis, Codice del processo amministrativo commentata, Milano, IV, 2017, 825 ss. Come detto, la previsione dei motivi aggiunti avverso atti connessi è stata introdotta dalla l. n. 205/2000 e poi razionalizzata dal codice del processo amministrativo. Orbene, secondo l’A. l’espressione legislativa è sufficientemente ampia e, al fine di operare una corretta definizione della nozione di connessione, rende ipotizzabili una serie di casi esplicativi della stessa. Anzitutto, “il caso più semplice è quello della «connessione infra procedimentale» che si verifica quando vengono impugnati, in tempi diversi, atti del medesimo procedimento. Ciò può accadere quando in un procedimento ci sono atti preparatori che vengono immediatamente impugnati perché di per sé autonomamente lesivi”. Segue poi, un’ulteriore ipotesi di “connessione per reiterazione provvedimentale”, individuabile nell’ipotesi in cui “l’amministrazione sostituisce l’atto impugnato, su cui pende ricorso, con un nuovo provvedimento, anch’esso non satisfattivo per il destinatario, per esempio l’atto di conferma con diversa motivazione”. Infine, una terza categoria di connessione è individuabile nella c.d. “connessione sostanziale”. Questa, “si verifica quando vi è una connessione degli interessi in gioco, anche se gli atti appartengono a procedimenti amministrativi formalmente diversi”. Un esempio chiarificatore è rinvenibile nel rilascio di concessione edilizia per un’area sottoposta a vincolo paesaggistico, da cui scaturisce il rilascio di apposito nulla osta. Nel caso di specie, vengono a delinearsi due procedimenti amministrativi differenti: quello relativo alla concessione edilizia e quello relativo al nullaosta paesaggistico. “Si può dunque ammettere la connessione e quindi la possibilità di motivi aggiunti ogniqualvolta i ricorsi, se promossi separatamente, sarebbero suscettibili di riunione, come si evince in via esegetica dall’art. 43, c. 3, c.p.a. che in caso di domande connesse proposte con separati ricorsi, ne prevede la riunione”.
[xxii] Ne parla approfonditamente P. Divizia, Considerazioni in tema di motivi aggiunti, cit. Nello specifico l’A. riassume gli insegnamenti applicati dalla giurisprudenza, volti a colmare le relative lacune legislative, in tema di introduzione di ulteriori vizi di legittimità per mezzo dei motivi aggiunti propri. Se in primo momento questa aggiunzione era ritenuta ammissibile solo in conseguenza della produzione di nuovi documenti in corso di giudizio (cfr. in tal senso Cons. Stato, Ad. Plen., 2 maggio 1960, n. 4), è ora opportuno precisare che “sia in primo grado sia dinanzi al Consiglio di Stato, la conoscenza dell’elemento o fattore che spinge alla redazione dei motivi aggiunti può avverarsi almeno attraverso tre differenti modalità: in primo luogo, a seguito di una circostanza che matura in seno al giudizio stesso (ad es. l’amministrazione resistente deposita un determinato documento che evidenzia motivi di doglianza nuovi riferitamente al provvedimento impugnato); in secondo luogo, a fronte di un evento verificatosi fra le parti di causa al di fuori del rapporto processuale (ad es. Tizio impugna l’ordinanza di demolizione, chiede ed ottiene una misura cautelare; nelle more del processo inoltra una domanda di concessione in sanatoria e l’amministrazione adotta un nuovo provvedimento di diniego, ovviamente distinto ma connesso con quello impugnato ab origine) oppure, infine, a seguito di un’acquisizione da parte del ricorrente sempre esterna al processo ma del tutto accidentale (ad es. Mevio effettua un accesso c.d. conoscitivo agli atti di un ente e rinviene un documento di vitale importanza per le sorti di una controversia pendente – per questione distinta – con la stessa amministrazione)”.
[xxiii] Quanto ai criteri redazionali e ai limiti dimensionali degli atti processuali di parte si rimanda integralmente al d.P.C.S. del 22 dicembre 2016, n. 167, adottato in attuazione dell’art. 13-ter disp. att. c.p.a.
In dottrina si v. E.M. Barbieri, Il superamento dei limiti dimensionali stabiliti per i ricorsi giurisdizionali amministrativi, in questa Rivista, n. 1/2022, 223 ss. Una volta chiarita la fonte del dovere di sinteticità nel processo amministrativo, l’A. si sofferma sulla recente ordinanza del Consiglio di Stato (Cons. Stato, VI, ord. 13 aprile 2021, n. 3006), la quale “propone una interessante ed innovativa, seppure dichiaratamente provvisoria soluzione ai problemi che si presentano nel processo amministrativo quando le parti, senza essere state previamente autorizzate dal giudice, abbiano superato i limiti dimensionali che, in applicazione del principio di sinteticità, il legislatore ha ritenuto di imporre nella stesura degli atti processuali”.
[xxiv] Fatti salvi i medesimi termini previsti per la proposizione del ricorso principale, rilevano in questa sede le peculiarità legate al dies a quo di decorrenza degli stessi. Andando con ordine. Come detto, la conoscenza sopravvenuta di ulteriori atti e di ulteriori vizi legittima la proposizione di motivi aggiunti “propri”. Pertanto, il termine di sessanta giorni, nel caso di rito ordinario, come affermato da pacifica giurisprudenza decorre dalla piena conoscenza degli atti ulteriori. Sul tema, si veda tra tutte la pronuncia del Cons. Stato, Ad. Plen., del 11 marzo 1998, n. 271. Ora, nello specifico, “è principio acquisito che nel caso di deposito di documenti in giudizio, poiché è configurabile un onere del ricorrente di accertare in segreteria l’eventuale deposito, il termine per la proposizione di motivi aggiunti generalmente decorre dalla data del deposito stesso, mentre quando i termini di deposito, peraltro ordinatori, siano rimasti inosservati, non avendo il ricorrente un siffatto onere, la decorrenza del termine è legata all'effettiva conoscenza del deposito stesso, con dimostrazione di questa a carico della controparte che eccepisce la tardività” (Cfr. Cons. Stato, V, 6 luglio 2002, n. 3717). In ogni caso autorevole dottrina precisa che “i motivi aggiunti possono essere proposti fino al passaggio della causa in decisione: una volta che la causa sia passata in decisione (e sempreché ciò sia avvenuto legittimamente) i motivi aggiunti non possono più essere presentati; la preclusione non significa in tal caso decadenza, ma sull’incapacità del processo pendente a recepire nuovi motivi, tanto è vero che, dandosene gli altri presupposti, si ammettono motivi aggiunti anche in appello” (in questi termini si veda R. De Nictolis, Codice del processo amministrativo commentata, cit., spec. 825).
Quanto ai motivi aggiunti “impropri”, invece, non convince la tesi della corrispondenza tra deposito in giudizio e piena conoscenza dell’atto sopravvenuto. Trattandosi di un nuovo provvedimento autonomamente lesivo, il termine decorre dalla piena conoscenza dello stesso in capo alla parte personalmente (Cons. Stato, IV, 7 settembre 2000, n. 4725). Da qui deriva la non corrispondenza dei due termini in quanto la prevista comunicazione alle parti costituite, degli atti e documenti depositati dall’amministrazione, produce la “piena” conoscenza solo in capo ai difensori.
[xxv] Non possono in questa sede ignorarsi le numerose affinità dei motivi aggiunti “propri” con l’istituto previsto dall’art. 73 c.p.a., recante “memorie difensive”. Sul tema tra tutti si veda l’attenta ricostruzione del già citato G. Taglianetti, Considerazioni in tema di motivi aggiunti e contributo unificato nel processo amministrativo, cit., spec. 4. Secondo l’A., ad eccezione della notifica alle parti costituite, sia i motivi aggiunti “propri” sia le memorie difensive: “non sono soggetti al pagamento del contributo unificato; entrambi gli atti giudiziari non richiedono una nuova procura al difensore (ciò vale, però, anche per i motivi aggiunti “impropri”); entrambi si concludono con la reiterazione della richiesta di annullamento del provvedimento, o dei provvedimenti, originariamente impugnato/i attraverso il ricorso introduttivo; entrambi possono essere proposti direttamente in appello senza che ciò comporti l’elusione del principio del doppio grado di giurisdizione”. Nonostante i numerosi punti di contatto, le memorie difensive svolgono tuttavia la funzione di suffragare, con argomenti più approfonditi e richiami dottrinari e giurisprudenziali, i motivi già prospettati con il ricorso introduttivo, essendo preclusa la possibilità di dedurre ulteriori motivi di ricorso (“nuove ragioni”) rispetto a quelli proposti ab origine. Quest’ultima eventualità è percorribile unicamente attraverso i motivi aggiunti “propri”, attraverso la quale si possono prospettare vizi diversi e ulteriori rispetto a quelli già dedotti con il ricorso introduttivo, ampliando in questo modo il thema decidendum sul fronte della causa petendi.
Ancora, sul tema si rimanda a nota giurisprudenza del Consiglio di Stato, Ad. Plen., 20 maggio 1980, n. 18. Più recentemente si veda anche la pronuncia del Tar Campania, Napoli, IV, 17 novembre 2010, n. 25190, che dichiara l’inammissibilità delle deduzioni per la prima volta formulate da parte ricorrente con memoria difensiva depositata, non potendosi con memoria non notificata alla controparte allargare il thema decidendum.
[xxvi] Se ne riporta il testo per agilità di consultazione. Art. 170 c.p.c.: “Dopo la costituzione in giudizio [165, 166 c.p.c.] tutte le notificazioni e le comunicazioni si fanno al procuratore costituito [84 c.p.c.], salvo che la legge disponga altrimenti. È sufficiente la consegna di una sola copia dell’atto, anche se il procuratore è costituito per più parti. Le notificazioni e le comunicazioni alla parte che si è costituita personalmente si fanno nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto”.
[xxvii] Ad analoghe conclusioni giungeva nota giurisprudenza, antecedente al d.lgs. n. 104/2010, sia in relazione ai motivi aggiunti avverso atti già impugnati, sia nel caso di censura di provvedimenti connessi. In particolare si vedano rispettivamente: Cons. Stato, V, 6 luglio 2002, n. 3717; 19 febbraio 2007, n. 831. Secondo i Giudici di Palazzo Spada “una volta radicato il contraddittorio nei confronti dell’Amministrazione e una volta che questa si sia costituita in giudizio a mezzo di difensore, correttamente i motivi aggiunti sono notificati presso il difensore stesso nel domicilio eletto; i motivi aggiunti, infatti, si configurano come mezzo di ampliamento del giudizio in corso e, quindi, come atto del giudizio stesso; sicché è da ritenersi comunque legittima e rituale la loro notificazione effettuata presso il predetto domicilio eletto dalla parte intimata anziché in quello risultante dalla relata di notifica dell’atto introduttivo del giudizio”.
[xxviii] L’indirizzo pretorio del quale si è appena detto è ricavabile da una pronuncia del Tar Lombardia, Milano, I, 24 agosto 2017, n. 1764, con la quale il Giudice amministrativo ha concluso dichiarando l’inammissibilità dei motivi aggiunti notificati presso la sede dell’amministrazione comunale resistente regolarmente costituita in giudizio a mezzo di procuratore. Nello specifico, a dire del Collegio, è pacifico che il disposto dell’art. 43, comma 2, c.p.a., attraverso il richiamo all’art. 170 c.p.c. addossi alla parte l’onere di notificare il ricorso per motivi aggiunti non presso la sede legale dell’Ente, ma presso il procuratore costituito di quest’ultimo. In quest’ottica, secondo i Giudici, la presenza di un dettato normativo di tenore inequivocabile non permette di condividere l’indirizzo giurisprudenziale che ammette la notificazione dei motivi aggiunti presso la sede legale dell’Ente, in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 3, c.p.c., richiamato dal successivo art. 160 c.p.c. in tema di nullità della notificazione.
Se ne spiegano subito le ragioni. Secondo i Giudici lombardi, le parole usate dal legislatore nell’art. 43, comma 2, c.p.a. – “le notifiche alle controparti costituite avvengono ai sensi dell’articolo 170 del codice di procedura civile” – non ammettono una interpretazione meramente possibilistica rispetto a modalità alternative di conoscibilità dei motivi aggiunti. Se la giurisprudenza anteriore al codice del processo amministrativo (si veda, ex multis, Cons. Stato, IV, 11 ottobre 2007, n. 5354) aveva, infatti, parlato di ammissibilità della notificazione dei motivi aggiunti presso il domicilio eletto (invece di quello reale) della parte intimata, ne deriva che, se l’art. 43, comma 2, c.p.a. fosse stata la semplice codificazione scritta di questo indirizzo, la sua formulazione sarebbe stata, più plausibilmente, qualcosa del tipo “le notifiche…possono avvenire”: individuando, così, due modalità di notifica alternative ed entrambe percorribili. Al contrario, l’utilizzo della formula “avvengono” “sta ad indicare che la notificazione dei motivi aggiunti non solo è legittimamente eseguibile presso il domicilio eletto della P.A. intimata, ma deve necessariamente aver luogo presso il medesimo” (in questi termini Tar Lombardia, n. 1764/2017).
[xxix] Si veda, in particolare, Cons. Stato, IV, 20 febbraio 2019, n. 1185.
[xxx] Se ne riporta il testo per agevolare la consultazione. Art. 156 c.p.c: “Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge. Può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo. La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”.
[xxxi] Nel caso di specie, il Consiglio di Stato conclude respingendo l’eccezione di inammissibilità dei motivi ulteriori e aggiunti per le seguenti ragioni: “l’art. 43 del cod. proc. amm. […] va letto nel senso che la modalità ordinaria di instaurazione del contraddittorio con la controparte costituita segue il principio della notificazione presso il procuratore della parte (anche per evidenti ragioni di semplificazione processuale), ma ciò, tuttavia, non osta – in difetto di espressa previsione di legge comminatoria della sanzione della nullità – all’applicazione dei principi generali della sanatoria degli atti processuali e del raggiungimento dello scopo”.
[xxxii] Cfr. Tar Lombardia, Milano, I, 7 gennaio 2020, n. 14.
[xxxiii] In questo senso si veda Cass. civile, II, 29 gennaio 2015, n. 1676 e, ancora, Cass. civile, sez. lav., 21 dicembre 2015, n. 25684.
[xxxiv] In questi termini si veda ancora Cassazione civile, n. 25684/2015, cit.
[xxxv] Cfr. Tar Sicilia, Palermo, I, 8 maggio 2019, n. 1274.
[xxxvi] È il caso della recente pronuncia del Tar Lombardia, Milano, II, 29 novembre 2022, n. 2649, nella quale il giudice, esprimendosi sull’integrità del contradditorio, ha rigettato l’eccezione di inammissibilità dei primi motivi aggiunti per notifica dei medesimi alla parte personalmente anziché al procuratore costituito come invece prescritto dagli articoli 43, comma 2, c.p.a. e 170 c.p.c. Nel caso di specie, la notifica è stata sanata secondo il principio del raggiungimento dello scopo, atteso che il Comune, già costituito, si è difeso nel merito anche sulle doglianze contenute nei medesimi motivi aggiunti: accettando tacitamente il relativo contraddittorio. Per queste ragioni, secondo i Giudici lombardi “non deve nemmeno essere disposta la rinnovazione della notifica ai sensi dell’art. 44 c.p.a., nella versione risultante dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 148/2021”. Sul tema della rinnovazione delle notifiche nulle si rimanda a E. Romani, Il regime della rinnovazione delle notificazioni nulle e il declino del principio di autoresponsabilità processuale (nota a C. Cost., 9 luglio 2021, n. 148), in questa Rivista, n. 1/2022, 119 ss., la quale affronta il problema del declino del principio di autoresponsabilità processuale. “Come testimoniato, infatti, dalla posizione precedentemente assunta dalla stessa Consulta, l’esito del giudizio di costituzionalità non era a rime obbligate: al di là dell’asserita incompatibilità con il processo amministrativo, si sarebbe potuto altresì valorizzare il fatto che la limitazione a cui era soggetta la rinnovazione nel processo amministrativo era ancorata alla inescusabilità dell’errore. A ben guardare, infatti, il sacrificio della compressione del diritto di azione ex art. 24 Cost. non era arbitrario, ma governato dal principio di autoresponsabilità della parte processuale”.
[xxxvii] A questo proposito rileva il tema della doverosità o, al contrario, della facoltatività per l’interessato di utilizzare lo strumento dei motivi aggiunti. Si veda, in particolare, M. D’Orsogna - F. Figorilli, Lo svolgimento del processo di primo grado, cit. spec. 357-358. Secondo gli Aa. attraverso l’inciso “possono introdurre con motivi aggiunti nuove domande” in luogo di “tutti i provvedimenti adottati in pendenza di ricorso… sono impugnati mediante proposizione di motivi aggiunti”, consente di qualificare questa particolare forma di impugnazione come una mera facoltà, utilizzabile alternativamente al ricorso ordinario, in luogo di un vero e proprio un onere, la cui violazione comporterebbe l’inammissibilità del ricorso proposto in via autonoma contro gli atti connessi. Come già evidenziato in passato da dottrina e giurisprudenza, la ratio dell’istituto consiste prevalentemente nella realizzazione della concentrazione processuale. Questo obiettivo e oggi ulteriormente rafforzato dal successivo comma 3 dell’art. 43 “il quale non demanda più alla valutazione discrezionale del giudice l’opportunità di riunire ricorsi, optando al contrario per un vero e proprio obbligo di quest’ultimo di trattare congiuntamente le questioni sottoposte al suo sindacato”.
Si precisa, tuttavia, che rappresenta unica eccezione all’esclusione dell’obbligatorietà dei motivi aggiunti il processo in materia di appalti pubblici. Interviene a questo proposito la pronuncia del Cons. Stato, 15 gennaio 2021, n. 610 secondo cui “è inammissibile il ricorso proposto avverso l’aggiudicazione di una gara se era stato proposto separato ricorso avverso l’esclusione dalla procedura selettiva, dovendo l’aggiudicazione essere gravata, ai sensi dell’art. 120, comma 7, c.p.a., con atto di motivi aggiunti”.
Da queste argomentazioni deriva poi un’ulteriore riflessione. L’attuale art. 43 c.p.a. non contiene elementi utili per risolvere l’interrogativo legato alla natura accessoria e alle conseguenze processuali dei motivi aggiunti in caso di inammissibilità del ricorso principale. Secondo M. D’Orsogna - F. Figorilli, Lo svolgimento del processo di primo grado, cit., spec. 358, “appare più persuasiva la tesi che induce ad escludere che ad esso vada attribuita sempre ed in ogni caso natura accessoria e, conseguentemente, che vada dichiarata la improcedibilità del medesimo nell’ipotesi in cui il ricorso originario non sia suscettibile, per una qualche ragione, di essere deciso nel merito. La conformazione attuale dell’istituto induce, invece, a distinguere. L’accessorietà potrebbe, al limite, essere predicata con riguardo all’impugnazione di un atto meramente applicativo di quello originario proposta solo per far valere i vizi di illegittimità derivata da quelli già dedotti nel primo ricorso, ma non anche nell’ipotesi in cui venga in questione è un’impugnazione che, per il tipo di collegamento assunto e per il tipo di vizi dedotti, sia suscettibile di essere proposta anche in forma autonoma”. Ciò premesso, sull’ulteriore tema degli effetti della perenzione sui motivi aggiunti “impropri” si veda l’interessante riflessione di G. Ferrari, Motivi aggiunti e perenzione, in enciclopedia Treccani, 2014 disponibile al seguente link: https://www.treccani.it/enciclopedia/motivi-aggiunti-e-perenzione_(Il-Libro-dell’anno-del-Diritto)/.
[xxxviii] Sul tema si rimanda a noto filone giurisprudenziale, recentemente confermato dalla pronuncia del Tar Calabria, Reggio Calabria, I, 23 marzo 2020, n. 256. “Quanto all’eccezione di inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti perché notificato alla sede dell’ente e non al procuratore costituito, secondo una condivisibile esegesi, nel processo amministrativo, ed in particolare nel rito ordinario, a tale irritualità non consegue necessariamente l’inammissibilità dei motivi aggiunti. Considerato che la domanda nuova potrebbe essere proposta anche con ricorso separato, notificato evidentemente alla parte personalmente, e potendo poi il giudice provvedere alla riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 70 c.p.a. (art. 43, co. 3, c.p.a.), risulterebbe illogico dichiarare inammissibile un ricorso che, se proposto in via autonoma, poteva essere riunito e deciso con un’unica sentenza, con un esito, dunque, sostanzialmente analogo a quello che si realizza, in termini di concentrazione processuale, con la proposizione di motivi aggiunti. Ne consegue che il ricorso per motivi aggiunti potrebbe andare indenne dalla sanzione dell’inammissibilità per omessa notifica al procuratore costituito solo laddove […] presenti i requisiti per essere considerato quale autonomo gravame, spettando sempre al giudice la qualificazione dell’azione”.
[xxxix] In particolare si veda Tar Lombardia, Brescia, I, 27 febbraio 2017, n. 274. “La giurisprudenza ha rilevato che i motivi aggiunti, allorché siano rivolti contro provvedimenti diversi da quelli impugnati con il ricorso principale, «possono non essere ritenuti inammissibili, quand’anche notificati al domicilio reale e non al domicilio eletto, a condizione che possiedano tutti i requisiti formali e sostanziali di un autonomo ricorso, e quindi che siano stati proposti sulla base di un nuovo mandato al difensore (cfr. Tar Emilia-Romagna, sez. I di Bologna, 13/10/2014, n. 963; Tar Valle d’Aosta, sez. I, 10 luglio 2013, n. 46) e che presentino una compiuta esposizione delle censure, non bastando una reiterazione delle stesse mediante un generico richiamo al ricorso introduttivo» (Tar Sicilia Catania, sez. III – 9/8/2016 n. 2124 e la giurisprudenza ivi citata)”.
Nello stesso senso si veda anche Tar Calabria, Catanzaro, I, 9 maggio 2012, n. 434. “Una volta radicato il contraddittorio nei confronti dell’Amministrazione e una volta che questa si sia costituita in giudizio a mezzo di difensore, il ricorso per motivi aggiunti segue il procedimento per la proposizione del ricorso principale e, quindi, richiede la notifica presso il difensore stesso nel domicilio eletto, ma, nel caso specifico, poiché il ricorso per motivi aggiunti risulta essere stato proposto avverso un sopravvenuto provvedimento, l’impugnativa può essere considerata alla stregua di un ricorso autonomo, del quale conserva, in ogni caso, i requisiti di sostanza e di forma, essendo stato proposto con atto sottoscritto da difensore munito di nuovo mandato e notificato agli enti locali interessati entro il termine decadenziale. In quest’ultimo caso, dunque, il ricorso per motivi aggiunti, ancorché unito a quello principale, può seguire il procedimento per la proposizione di un autonomo ricorso e quindi può essere notificato in modo irrituale presso la sede legale dell’Amministrazione intimata e non presso il procuratore costituito”.
[xl] Sul tema della certezza del diritto si veda P.L. Portaluri, Per una vicinitas assiologica: cercando di accrescere la tutela processuale dei beni comuni, in Astrid Rassegna, n. 5/2023, spec. 2. Secondo l’A. “la costruzione assiologica dell’ordinamento comporta una conseguenza necessitata, che fa deragliare ancor di più dal sistema a diritto legislativo: la lotta per affermare i valori – quali che essi siano – che ne costituiscono l’ossatura. Il che rischia di imprimere una torsione innaturale al diritto giurisprudenziale, che diviene appunto, a sua volta, un diritto di lotta combattuta con le armi delle norme interpretate” (corsivi originali). In chiave penalistica M. Donini, Il diritto giurisprudenziale penale, in Dir. pen. cont., n. 3/2016, spec. 23, parla di “lotta ermeneutica contro fenomeni che non si ritengono adeguatamente tutelati dalla legge”.
[xli] Sulla diffusa “giurisprudenzializzazione” del diritto contemporaneo e sui problemi ad essa connaturati, si veda G. Pino, La certezza del diritto e lo Stato costituzionale, in Dir. pubbl., 2018, 517 ss., spec. 542 ss. Secondo l’A. vi è “il rischio che il diritto dello Stato costituzionale diventi non solo sempre più giurisprudenziale, ma anche sempre più sapienziale (nel senso di «tecnico», esoterico, iniziatico) […] con evidenti ripercussioni sul valore della certezza del diritto, tanto più quando la pratica dell’interpretazione conforme si spinge fino alla disapplicazione della legge da parte dei giudici comuni”. Sia qui consentito il richiamo anche a M. Luciani, L’eclissi della certezza del diritto, in Libero osservatorio del diritto, 2015: “La tecnica di normazione per princìpi implica un tasso maggiore di incertezza nel riferimento alla Costituzione e suggerisce la distinzione tra attuazione e applicazione della Costituzione”. In chiave almeno teorica, “la prima dovrebbe essere riservata al legislatore, mentre la seconda dovrebbe spettare all’amministrazione e alla giurisdizione, ma in pratica i confini si sono offuscati, per la sempre più frequente pretesa della giurisdizione (costituzionale e non) di attuare i princìpi costituzionali prescindendo dalla previa mediazione legislativa. La giurisdizione, così facendo, si impossessa di spazi che dovrebbero essere riservati alla legislazione, pretendendo di identificare direttamente i tempi e i modi dell’attuazione costituzionale”.
[xlii] È quanto avvenuto nella sentenza del Cons. Stato, V, 30 novembre 2020, n. 7558, nella quale è stata affermata l’operatività del principio della sanatoria della nullità per raggiungimento dello scopo. Nel caso di specie, secondo i Giudici, la società controinteressata nonostante fosse già costituita per resistere al ricorso principale avverso la proposta di aggiudicazione, ha mostrato di conoscere sia l’udienza fissata per la camera di consiglio (anche) sui motivi aggiunti, che il contenuto del ricorso per motivi aggiunti. Questa sarebbe desumibile in ragione della comparsa all’udienza, anche se soltanto al fine di eccepire, con dichiarazione resa a verbale dal difensore, la nullità della notificazione del ricorso per motivi aggiunti.
[xliii] Sul tema del creazionismo giudiziario e della c.d. “crisi della legge” si v. F. Saitta, Regole processuali, indeterminatezza e creazionismo giudiziario, in questa Rivista, n. 2/2024, 261 ss. Secondo l’A. le ragioni della fuga verso un diritto sempre più giurisdizionale sono svariate. Il progressivo indebolimento del potere legislativo che ne deriva, ha reso a tutti evidente che “l’interpretazione – qui intesa in senso ampio, «come attività compiuta dal giudice al fine di risolvere il caso a lui sottoposto», ergocomprensiva «di quelle attività (per esempio colmare le lacune e risolvere le antinomie) che sarebbe preferibile chiamare di integrazione e che presuppongono l’interpretazione intesa come determinazione e attribuzione di significato alle disposizioni normative» – appare un’operazione non equiparabile a quella conosciuta dai giuristi del passato : se il significato della legge non è più «quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse» (art. 12, comma 1, delle Preleggi), significa che – come ben diceva un compianto semiologo – si è ormai pervenuti ad una «sovra-interpretazione»”.
Il fenomeno è reso ancora più complesso quando questo nuovo modo di porsi del Giudice finisce per generare mutamenti e adattamenti anche delle norme processuali. Sul tema si vedano: C.E. Gallo, Linee per una riforma non necessaria ma utile del processo amministrativo, in Il processo, 2020, 347 ss.; P.L. Portaluri, Ascendenze del creazionismo giurisprudenziale e ricadute sul processo amministrativo: il controllabile paradigma dell’accesso al giudice, in questa Rivista, n. 2/2021, 232 ss.
[xliv] In questo senso si veda Cons. Stato, VII, 17 novembre 2022, n. 10111. I Giudici di Palazzo Spada sull’eccezione di presunta conoscenza del ricorso, hanno poi specificato che “laddove la notifica sia affetta da nullità, essa può ritenersi sanata per raggiungimento dello scopo solo allorquando il destinatario abbia compiuto l’atto successivo che nella serie processuale rappresenta la conseguenza necessaria dell’atto viziato”.