Il potere amministrativo di onomastica stradale (nota a margine di Cons. Stato, Sez. I, 7 gennaio 2025, n. 4)
di Filippo D’angelo
Sommario: 1. Il fatto. – 2. Il parere del Consiglio di Stato. – 3. La struttura del procedimento di denominazione stradale e il momento di produzione degli effetti giuridici. – 4. Il diverso caso del cambio di un toponimo esistente. – 5. Conclusioni (sull’importanza delle distinzioni teoriche).
1. Il fatto
Il parere della Sezione I del Consiglio di Stato 7 gennaio 2025, n. 4 che si annota appare di particolare rilievo sia sul piano della vicenda fattuale, sia per le riflessioni di ordine teorico che induce rispetto alla sistematica del procedimento amministrativo.
Prima di scendere nel dettaglio della decisione occorre premettere un breve cenno al caso controverso che trae origine dal ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da una privata cittadina avverso la delibera della giunta del comune di Grosseto che nel mese di marzo del 2023 aveva deciso di intitolare un viale urbano a un noto esponente politico italiano scomparso da parecchi decenni.
Alla base della statuizione comunale vi era una precedente delibera del consiglio comunale dell’aprile del 2018 che aveva suggerito l’intitola-zione della via sulla base del prestigio del politico desunto da un serie di elementi oggettivi di seguito elencati: anzitutto per essere “stato eletto nel parlamento italiano per 40 anni consecutivi” ed essere stato anche “parlamentare europeo”; poi per aver “sostenuto un’originale e moderna proposta politica, fondata sulla pacificazione tra gli italiani dopo gli eventi successivi all’otto settembre 1943, culminati con la guerra fratricida tra gli italiani”; ancora per il centrale ruolo ricoperto nella “politica nazionale ed europea del secondo dopoguerra”; infine per il “contributo alla costruzione di una matura democrazia nella nascente Repubblica italiana durante un periodo storico di forti contrapposizioni ideologiche, spesso sfociate in episodi violenti e terroristici” che egli ha “sempre combattuto con lealtà e coraggio”[1].
Da ciò l’adozione della deliberazione impugnata poi seguita dal nullaosta del prefetto locale – intervenuto sei mesi dopo ma non impugnato dalla ricorrente – che ha confermato dopo attenta istruttoria la scelta del comune e ha escluso qualunque rischio di ordine e di sicurezza pubblica che l’intitolazione avrebbe potuto ingenerare[2].
2. Il parere del Consiglio di Stato
Di particolare interesse sono le conclusioni in punto di diritto cui è pervenuto il collegio che ha reputato il ricorso straordinario inammissibile e infondato per mancata impugnazione dell’autorizzazione prefettizia.
Il Consiglio di Stato ha infatti evidenziato che nell’ambito del procedimento di denominazione stradale “correttamente la delibera di Giunta avversata precede la richiesta di autorizzazione al Prefetto”[3].
Nello specifico ha precisato che il “Comune è l’esclusivo titolare della funzione amministrativa di toponomastica, mentre il Prefetto è chiamato a rilasciare o meno l’autorizzazione basandosi su ragioni di tutela dell’ordine pubblico o esigenze di regolarità anagrafica”[4].
Il motivo è presto spiegato.
Il procedimento per l’intitolazione di nuove strade (cd. toponomastica urbana) si divide in due fasi distinte ma collegate: la “prima delle quali consta della delibera di Giunta comunale e, la seconda, del nulla osta del Prefetto”; tale per cui in “assenza di una preventiva deliberazione di Giunta non vi sarebbe alcuna ipotesi di intitolazione da sottoporre al vaglio prefettizio” per le “condizioni afferenti l’ordine pubblico”[5].
Tale affermazione appare del tutto coerente col dato normativo.
In primo luogo con l’art. 10 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, in base al quale il “Comune provvede alla indicazione dell’onomastica stradale e della numerazione civica”; poi con l’art. 41 del DPR 30 maggio 1989, n. 223, per cui “ogni area di circolazione deve avere una propria distinta denominazione” (co. 1) e in particolare “ogni spazio (piazza, piazzale, via, viale, vicolo, largo, calle e simili) del suolo pubblico o aperto al pubblico destinato alla viabilità” (co. 2); infine con l’art. 1 delle legge 23 giugno 1927, n. 1188, che a chiusura rammenta che “nessuna denominazione può essere attribuita a nuove strade e piazze pubbliche senza l’autorizzazione del prefetto”.
3. La struttura del procedimento di denominazione stradale e il momento di produzione degli effetti giuridici
Si può allora tentare di ricavare qualche indicazione dalle motivazioni del parere in commento.
Il Consiglio di Stato, forse in maniera non del tutto inavvertita, sembra aver fatto propria una distinzione da tempo sedimentata in dottrina, ma non sempre calcata con la dovuta precisione rispetto agli stadi genetici di esercizio del potere amministrativo.
La distinzione, cioè, tra la fase determinante e la fase costitutiva del potere[6]; con ciò intendendo, da un lato, il momento in cui sono disegnati gli effetti della funzione; e dall’altro il successivo momento in cui essi sono in concreto realizzati e tradotti in atto[7].
Nel caso di specie tanto la decisione della Giunta comunale, quanto quella prefettizia, vanno collocate nel momento di determinazione degli effetti tipici del potere: da una parte infatti c’è la competenza dell’organo esecutivo comunale che sceglie a chi intitolare il tratto stradale; dall’altra c’è la competenza del prefetto che deve verificare discrezionalmente l’assenza di ostacoli di ordine pubblico.
All’evidenza si è al cospetto di due poteri, manifestati attraverso altrettanti procedimenti amministrativi, che si combinano in vista della produzione di un unico effetto che sarà poi in concreto costituito dall’attribuzione della denominazione stradale[8]; e tale è la logica che riposa al fondo dei procedimenti cd. ‘binari’ che sono qualificati dall’unità del fatto della vita che ne costituisce la risultanza finale[9].
La conseguenza – di non poco momento – è che quelli di cui si discute sono poteri tra loro ‘equiordinati’ in virtù della prefigurazione normativa di una funzione che imputa a tutti i soggetti che vi partecipano un ruolo decisorio identico e convergente; così da realizzare un concorso – ad un pari livello di incidenza – di poteri oggettivamente interferenti[10].
Da tanto discende allora l’interesse per il parere in commento.
Sia perché ha focalizzato l’attenzione sul modo in cui agisce il descritto meccanismo legale di composizione procedurale di competenze amministrative distinte; sia perché ha impresso il fuoco sul principio di unità della funzione amministrativa che serpeggia qua e là nelle strettoie dell’ordinamento amministrativo e che riemerge ogni qual volta occorre conseguire risultati complessivi[11].
4. Il diverso caso del cambio di un toponimo esistente
A conferma di quanto precede si può aggiungere che un procedimento in parte analogo si deve seguire anche per cambiare il nome già esistente di una strada o di una piazza comunale; con la differenza però che in tal caso non serve il nulla osta prefettizio, ma è richiesta un’autorizzazione del Ministero della cultura.
Così dispone infatti l’art. 1 del regio decreto-legge 10 maggio 1923, n. 1158, convertito in legge 17 aprile 1925, n. 473, per le ipotesi in cui i comuni (il testo legislativo parla di “amministrazioni municipali”) intendano “mutare il nome di qualcuna delle vecchie strade o piazze comunali”.
Sul punto è di recente intervenuta anche la giurisprudenza amministrativa che ha precisato che la “norma sul cambio del toponimo, di cui all’art. 1 del regio decreto-legge n. 1158 del 1923, come convertito, si riferisce in modo inequivoco a strade o piazze che abbiano già un “nome” che si intendere cambiare. La diversa norma del 1927, invece, si riferisce a strade o piazze “nuove” e disciplina la prima attribuzione del nome: a differenza dell’altra previsione, dunque, questa assume rilievo laddove una precedente denominazione non vi sia, o perché si tratta di infrastruttura stradale nuova, o perché, pur se non di recente costruzione, la strada o la piazza sia rimasta priva di denominazione”[12].
È per questo motivo che è necessario l’assenso del vertice ministeriale, anziché del prefetto: per astringere l’amministrazione locale a una “valutazione particolarmente ponderata circa le conseguenze e gli incomodi che derivano da simile iniziativa”[13]; valutazione che «abbisogna di un’istrut-toria approfondita sull’effettiva necessità di procedere in tal senso: ciò, avuto riguardo ai disagi che tali iniziative possono arrecare ai cittadini per l’aggiornamento dei documenti in loro possesso e l’aggravio di lavoro a carico dei servizi comunali»[14].
Ecco allora che anche il secondo esempio proposto pare confermare l’assunto di partenza: ossia che il duplice concorso di competenze nel procedimento di onomastica stradale serve a (con)determinare l’effetto finale voluto dalla legge; trattandosi all’evidenza di singoli “atti necessari a completare la fattispecie” complessa[15].
5. Conclusioni (sull’importanza delle distinzioni teoriche)
In conclusione le brevi note qui presentate, muovendo da un caso concreto, intendono soffermare l’attenzione sull’importanza delle pur sottili distinzioni svolte dalla dottrina; la quale è «obbligata a scendere continuamente nel particolare» per poi «risalire al concetto» e «controllare la validità della proposizione ottenuta»[16].
È un’opera che talvolta dà i suoi frutti e della quale la legge, e così la giurisprudenza, spesso riconoscono l’utilità pratica come dimostra la vicenda riassunta.
[1] Così si legge nell’estratto della delibera consiliare riportato alle pagine 3-4 del parere in commento.
[2] Pagina 4 del parere in commento.
[3] Pagina 5 del parere in commento.
[4] Ancora pagina 5 del parere in commento.
[5] Pagine 5 e 6 del parere in commento.
[6] Primi a cogliere la sfumatura A.M. Sandulli, In tema di provvedimenti ministeriali su delibera del Consiglio dei Ministri, in Giur. compl. cass. civ., I, 1949, 894 ss., ora in Scritti giuridici, III, Napoli, 1990, 98 e M.S. Giannini, Accertamenti amministrativi e decisioni amministrative, in Foro it., IV, 1952, 177.
[7] La distinzione è stata approfondita da F.G. Scoca, Contributo sul tema della fattispecie precettiva, Perugia, 1979, 254; Id., La teoria del provvedimento dalla sua formulazione alla legge sul procedimento amministrativo, in S. Amorosino (a cura di), Le trasformazioni del diritto amministrativo. Scritti degli allievi per gli ottanta anni di Massimo Severo Giannini, Milano, 1995, 286.
[8] Per un simile intendimento si vedano in generale A. De Valles, La validità degli atti amministrativi, Roma, 1916, 24; R. Lucifredi, Inammissibilità di un esercizio “ex post” della funzione consultiva, in Raccolta di scritti di diritto pubblico in onore di Giovanni Vacchelli, Milano, 1938, 289; F. Cuocolo, Deliberazioni del Consiglio superiore della Magistratura e sindacato giurisdizionale del Consiglio di Stato, Giur. it., III, 1962, 253.
[9] Così M.S. Giannini, Istituzioni di diritto pubblico, Milano, 1981, 286.
[10] Così F. Migliarese Tamburino, Il coordinamento nell’evoluzione dell’attività amministrativa, Padova, 1979, 70.
[11] Come ricorda esattamente G.D. Comporti, Il principio di unità della funzione amministrativa, in M. Renna – F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, 309, che riprende i contenuti dell’ultimo capitolo del suo lavoro monografico Il coordinamento infrastrutturale. Tecniche e garanzie, Milano, 1996. In una prospettiva analoga si veda poi D. D’Orsogna, Contributo allo studio dell’operazione amministrativa, Napoli, 2005, 253; e da ultimo sia consentito anche un richiamo a F. D’Angelo, Pluralismo degli enti pubblici e collaborazione procedimentale. Per una rilettura delle relazioni organizzative nell’amministrazione complessa, Torino, 2022, 207.
[12] Così Cons. Stato, Sez. V, 12 luglio 2024, n. 6260, punto 5.3 della parte motiva in diritto; ma anche TAR Toscana, Sez. I, 26 novembre 2020, n. 1522.
[13] Ibidem.
[14] Ibidem.
[15] In tal senso la circolare del Ministero dell’interno n. 83, prot. n. 0017395 del 23 giugno 2023; in giurisprudenza TAR Calabria – sede di Catanzaro, Sez. I, 13 febbraio 2017, n. 210 e anche TAR Veneto, Sez. I, 7 marzo 2005, n. 824.
[16] Così M.S. Giannini, Sociologia e studi di diritto contemporaneo, in Jus, 2, 1957, 225.