Danni, danni a cascata nell’interdittiva antimafia illegittima (nota a CGRS n. 233/2024)
di Renato Rolli e Martina Maggiolini***
Sommario: 1. Cenni sulla vicenda contenziosa e prime valutazioni; 2. Gli elementi del risarcimento del danno e interdittiva antimafia; 3. Riflessioni conclusive: garanzie necessarie ed indifferibili
1. Cenni sulla vicenda contenziosa e prime valutazioni
Le questioni relative al momento applicativo delle misure interdittive antimafia sono le più disparate e impongono una costante attenzione al fine di garantire un corretto bilanciamento degli interessi pubblici e privati coinvolti e scongiurarne l’eccessiva compressione [1].
In questa sede si vuole segnalare la recente pronuncia in materia di interdittiva antimafia illegittima e richiesta di risarcimento. In particolare, il massimo organo di giustizia amministrativa della regione Sicilia è stato chiamato a pronunciarsi sul ricorso proposto da una società avverso la sentenza con cui veniva respinta la richiesta volta ad ottenere il risarcimento dei danni medio tempore subiti in conseguenza dell’adozione dell’informazione interdittiva antimafia, successivamente annullata con sentenza del TAR Sicilia - Palermo.
Come noto, il provvedimento interdittivo antimafia emesso dalla Prefettura provocava inevitabilmente delle conseguenze negative per l’impresa destinataria, la quale impugnava detto provvedimento e ne otteneva l’annullamento dal giudice amministrativo.
L’odierna appellante, altresì, proponeva ricorso per il risarcimento dei danni subiti in costanza di interdittiva antimafia successivamente dichiarata illegittima. Il giudice di prime cure respingeva la richiesta poiché non risultavano congruamente provati i danni che si intendevano subiti.
Così, l’impresa ha inteso appellare la pronuncia, riproponendo anche i motivi che il primo giudice riteneva assorbiti, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza all’emissione del provvedimento interdittivo dichiarato illegittimo dall’autorità giudicante.
Il CGRS pronunciandosi respingeva l’appello della pronuncia appellata.
Sicché, la sentenza in commento spinge ad alcune riflessioni per le motivazioni che seguono e necessita di alcuni preliminari osservazioni in fatto al fine di coglierne la portata.
In particolare, il provvedimento interdittivo adottato dalla prefettura e, poi, annullato dal Tar veniva motivato sul presupposto che l’appellante – nonché presidente del consiglio di amministrazione - “ha stretti legami di parentela con persone pregiudicate per reati di associazione di tipo mafioso essendo nipote di: -OMISSIS- -OMISSIS-, in atto detenuto, per essere stato condannato all’ergastolo per i reati di associazione mafiosa, omicidio ed estorsione, già sottoposto alla sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno....; -OMISSIS- - OMISSIS-, classe -OMISSIS-, deceduto nel 1997, ritenuto probabile fiancheggiatore della locale famiglia -OMISSIS-”.
Al contempo, in sede di istruttoria la Prefettura aveva emesso in favore di un’altra società una informativa favorevole, nonostante la presenza nella medesima impresa del padre dell’appellante, già destinatario - in prima persona - di provvedimenti penali.
Così, in primo grado, l’odierna appellante sottolineava la contraddittorietà della valutazione formulata dalla prefettura sui medesimi rapporti di parentela per l’una e per l’altra società ed il TAR annullava l’interdittiva emessa nei confronti dell’appellante per vizio di motivazione, in quanto risultava fondata solo su un rapporto di parentela con un soggetto considerato fiancheggiatore di una cosca locale. Inoltre, il giudice di primo grado aggiungeva come emergesse “una oggettiva ed irrimediabile insufficienza motivazionale dell’atto prefettizio, viziato pure da eccesso di potere per contraddittorietà nell’esercizio del potere: pochi anni prima, infatti, la Prefettura appellata risulta aver considerato irrilevanti, ai fini del giudizio di condizionamento mafioso, gli stessi elementi poi viceversa valorizzati in senso negativo per la appellante nell’atto qui gravato”.
Dunque, è evidente come, in questo caso (come in tante altre occasioni), la Prefettura, fondando le proprie ragioni sul principio del più probabile che non, espelle per effetto diretto delle sue determinazioni, operatori economici dal mercato, causandone la “morte economica” con effetti devastanti.
Talvolta, ponendosi dal lato prospettico del soggetto privato, è evidente come le proprie aspirazioni a vedere garantito un diritto costituzionale e la successiva estrema compressione a fronte di esigenze di sicurezza pubblica che ampliano estremamente la discrezionalità prefettizia, abbia determinato una sorta di sfiducia nei confronti del potere pubblico.
Allora, il privato che ritiene di aver subito danni ingiusti in conseguenza di un provvedimento illegittimo deve ottenere, almeno in sede giudiziaria, la possibilità di ottenerne il riconoscimento.
Un altro è il quesito che si svela: su chi ricade l’onere della prova per il risarcimento del danno che si ritiene causato da un provvedimento interdittivo antimafia illegittimo? È sull’amministrazione che ricade l’onere della prova circa le sue determinazioni oppure, come meglio si tratterà nei paragrafi seguenti, è il privato a dover provare gli elementi di responsabilità della P.a.?
2. Gli elementi del risarcimento del danno e interdittiva antimafia
Come detto, il CGRS è stato chiamato a pronunciarsi sul risarcimento del danno conseguente all’emissione del provvedimento interdittivo successivamente annullato dal TAR.
Il risarcimento del danno non costituisce ex se una conseguenza diretta ed automatica dell’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo. In sede di risarcimento del danno è necessario procedere alla verifica non solo della lesione della situazione giuridica soggettiva, ma anche del nesso causale tra illecito e danno subito e, altresì, della sussistenza della colpa o del dolo dell’amministrazione.
Pare, dunque, utile soffermarsi preliminarmente sulla posizione dell’appellante che individua due indici al fine di provare la sussistenza dell’elemento psicologico della colpa grave in capo all’amministrazione procedente:
- la mancata osservanza della normativa e dell’unanime giurisprudenza formatasi in relazione ai rapporti di parentela in sé considerati;
- l’incoerenza e la contraddittorietà nella valutazione delle medesime circostanze in due procedimenti differenti.
I giudici a quo ritengono, contrariamente all’orientamento del Consiglio di Stato, che i suddetti elementi devono essere provati dalla parte ricorrente e la mancanza soltanto di uno solo di essi determina l’infondatezza della pretesa.
Per quanto attiene all’elemento soggettivo, al fine di addivenire alla configurazione della responsabilità aquiliana della p.a. per l’illegittimo esercizio del potere e, dunque, allo scopo di accertare l’illegittimità del provvedimento successivamente annullato, è opportuno, secondo il CGRS verificare la sussistenza di un ulteriore elemento: la “rimproverabilità soggettiva” della P.A[2].
Trattasi di elemento soggettivo che diventa di difficile individuazione posta l’ampia discrezionalità riservata all’autorità prefettizia in materia di interdittiva antimafia.
Così, si rende necessario procedere all’individuazione dei caratteri della colpa della pubblica amministrazione, con specifico riferimento alle attività amministrative nel contesto delle informative antimafia, previste agli artt. 90 ss. del d.lgs. n. 159 del 2011.
Dunque, il Collegio tenta una ricostruzione degli estremi della configurabilità della colpa dell’amministrazione in materia di provvedimenti interdittivi, ritenendo di dover considerare il fine ultimo dell’informazione ovvero quello di frontiera avanzata nel contrasto all’infiltrazione mafiosa nell’economia legale.
Sul punto è ormai consolidata la giurisprudenza amministrativa[3] che ritiene come “la misura dell’interdittiva antimafia obbedisce a una logica di anticipazione della soglia di difesa sociale e non postula, come tale, l’accertamento in sede penale di uno o più reati che attestino il collegamento o la contiguità dell’impresa con associazioni di tipo mafioso, potendo, perciò, restare legittimata anche dal solo rilievo di elementi sintomatici che dimostrino il concreto pericolo (anche se non la certezza) di infiltrazioni della criminalità organizzata nell’attività imprenditoriale”.
L’elasticità della misura è scelta consapevole del legislatore che affida al Prefetto l’apprezzamento di indici sintomatici “… di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi delle società …” (art.84, comma 3, Cod. Ant.) e, quindi, la formulazione di un giudizio prognostico dell’inquinamento della gestione dell’impresa da parte di organizzazioni criminali di stampo mafioso.
Seppur le fattispecie considerate impongono misure elastiche, chi scrive - da tempo - auspica una maggiore partecipazione del destinatario e maggiori garanzie, al fine di evitare di trasformare la lotta alla mafia in uno stato di polizia che finisce, inevitabilmente, per bloccare l’iniziativa economia, così violando i principi fondamentali [4].
Anche i labili limiti posti dal legislatore sono da ricercare già nella scelta delle parole utilizzate: “eventuali”, “tentativi”, “probabile”, “possibile”.
Tutto ciò si riversa nell’attività degli operatori che devono applicare la norma alla fattispecie, trovandosi nella circostanza di dover fronteggiare un fenomeno molto più ampio della propria discrezionalità.
Dunque, la scelta condiziona l’intero procedimento, il quale si conclude con il provvedimento interdittivo che si allontana dalle tipiche garanzie che connotano l’agéreamministrativo. Sulla spinta di quanto detto, il Collegio fa discendere la difficile configurazione dell’elemento soggettivo nel giudizio di risarcimento del danno.
Le valutazioni del prefetto sono, dunque, volutamente opinabili: non si tratta di valutare un fatto, bensì valutare la probabilità di un determinato evento senza alcun elemento o criterio fermo e di facile individuazione. Tutto ciò finisce per mettere in difficoltà le imprese, le autorità prefettizie e, in un successivo momento, anche l’autorità giudiziaria [5].
Più volte siamo ritornati sul tema della funzione cautelare e preventiva [6] della misura antimafia, evidenziando come proprio detta natura imponga l’evasione da schemi rigidi e parametri stagnanti, incapaci di fronteggiare una realtà mutevole e camaleontica: è opportuno operare un costante bilanciamento con le garanzie di partecipazione al procedimento e per il tramite di indicatori chiari e predeterminati [7].
Pertanto, l’attività provvedimentale relativa alle informative antimafia viene configurata, dallo stesso legislatore, come attività fondata su valutazioni opinabili, in quanto relative all'apprezzamento di rischi (di possibili condizionamenti) e non all'accertamento di fatti.
L’ampiezza del perimetro in cui si muove il prefetto imporrebbe maggiori garanzie per il destinatario del provvedimento, sia in fase procedimentale che nell’eventuale successiva fase processuale. È evidente che bilanciare l’interesse privato (tutelato anche a livello costituzionale) e l’interesse pubblico al contrasto dell’infiltrazione mafiosa, sia attività tendente verso il secondo; pertanto, è necessario irrobustire l’apparato di garanzie nei confronti del primo, il quale sovente diviene semplice destinatario di un destino che, talvolta, non è il proprio.
In aggiunta, il Collegio richiama la giurisprudenza che ha evidenziato come il paradigma dell’attività provvedimentale generale sia differente dall’attività provvedimentale in materia di interdittiva antimafia e dunque, “si può quindi tracciare una essenziale divaricazione rispetto al modello dell’attività provvedimentale di carattere generale, poiché quest’ultima è strutturata e regolata dalla definizione esatta, ad opera della disposizione legislativa attributiva del potere, dei presupposti stabiliti per la legittima adozione dell’atto in cui si esplica la funzione, che, per quanto connotato da scelte discrezionali, resta strettamente vincolato alla preliminare verifica della sussistenza delle condizioni che ne autorizzano l’assunzione;
- l’attività provvedimentale attinente alle informative antimafia risulta, al contrario, configurata dallo stesso legislatore come fondata su valutazioni necessariamente opinabili, di consistenza magmatica siccome attinenti all’apprezzamento di rischi e non all’accertamento di fatti, e non, quindi, ancorata alla stringente analisi della ricorrenza di chiari presupposti, di fatto e di diritto, costitutivi e regolativi della potestà esercitata [8].
Invero, è dalla funzione anticipatoria della soglia di contrasto alla criminalità organizzata che discende l’ampiezza della discrezionalità dell’autorità prefettizia e, a cascata, gli effetti sul soggetto privato.
Allora, posti i danni che possono conseguire ad un provvedimento interdittivo pare necessario equilibrare l’ago della bilancia e prevedere maggiori garanzie per il soggetto privato che, talvolta, si trova travolto in primis dall’interdittiva antimafia e poi a cascata da ogni conseguenza ad essa connessa.
3. Riflessioni conclusive: garanzie necessarie ed indifferibili
A valle di quanto ricostruito, il Collegio ritiene che discendono due conseguenze sistemiche.
La prima è quella di sottoporre i provvedimenti prefettizi in materia di antimafia a una effettiva verifica giurisdizionale, pena la loro illegittimità costituzionale.
In effetti, con il sistema attuale, soltanto in tal modo è possibile fronteggiare l’ampia discrezionalità ovvero sottoponendo i provvedimenti antimafia ad un altrettanto ampio margine di valutazione da parte del giudice amministrativo.
Sicché, si può sostenere - come affermato più volte dalla giurisprudenza - che tale ambito “sarebbe del tutto incompatibile con la moderna configurazione dell’oggetto e della funzione del processo amministrativo, ispirato al canone dell’effettività della tutela, dotato di un sistema rimediale aperto e conformato al bisogno differenziato di tutela. La tutela giurisdizionale, per essere effettiva e rispettosa della garanzia della parità delle armi, deve consentire al giudice un controllo penetrante in tutte le fattispecie sottoposte alla sua attenzione”[9].
Invero, prevedere un’ampiezza d’azione maggiore per la magistratura, seppur ex post, potrebbe rappresentare un momento di tutela e garanzia per il soggetto privato dinnanzi ad una estrema compressione dei propri diritti.
Secondo il Collegio, la seconda diretta conseguenza attiene alla configurabilità della colpa dell’amministrazione nell’ambito dei provvedimenti prefettizi antimafia, proprio in ragione della discrezionalità (senza confini) che deve coniugare la funzione, la natura e i contenuti dello stesso.
Allora, come sostenuto in modo consolidato dalla giurisprudenza amministrativa: “Non si potrà, in particolare, evitare di assegnare il dovuto rilievo alla portata della regola di azione, alla quale devono rispondere i Prefetti nell’esercizio della potestà in questione, che si rivela particolarmente sfuggente e di difficile decifrazione. Come si è visto, infatti, il paradigma legale di riferimento, codificato, in particolare, dagli artt. 84 e 91 del d.lgs. n.159 del 2011, resta volutamente elastico, nella misura in cui affida al Prefetto l’apprezzamento di indici sintomatici “…di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi delle società…” (art.84, comma 3, d.lgs. cit.) e, quindi, la formulazione di un giudizio prognostico dell’inquinamento della gestione dell’impresa da parte di organizzazioni criminali di stampo mafioso” [10].
Così, nel caso che qui ci occupa, il Collegio (e dunque come in ogni altra circostanza del medesimo genus), ritiene di invocare le cause esimenti enucleate in via generale dalla giurisprudenza per escludere la colpa dell’amministrazione nella sua libera valutazione.
In aggiunta, il Collegio intende scindere la valutazione di legittimità della informativa antimafia ed il giudizio di colpevolezza dell’amministrazione, poiché attinenti a presupposti differenti e, pertanto, non automaticamente sovrapponibili.
Il Collegio, inoltre, invoca “il beneficio dell’errore scusabile con conseguente esclusione della colpa e, quindi, della responsabilità dell’amministrazione procedente nelle ipotesi in cui le acquisizioni informative, trasmesse al Prefetto dagli organi di polizia, risultano astrattamente idonee a formulare un giudizio probabile sul tentativo di infiltrazione mafiosa, in quanto oggettivamente significative di intrecci e collegamenti tra l’organizzazione criminale e l’amministrazione dell’impresa, ancorché vengano giudicate, in concreto, insufficienti a giustificare e a legittimare la misura dell’interdittiva”.
Così, nella fattispecie in commento viene esclusa la responsabilità dell’amministrazione prefettizia, non ritenendosi fondata la doglianza della appellante, secondo cui “nel caso di specie l’Amministrazione odierna appellata ha certamente agito con negligenza ed imperizia nell’adottare il provvedimento interdittivo successivamente annullato e gravemente pregiudizievole degli interessi dell’odierna appellante, ponendo in essere un comportamento così negligente da superare la soglia della scusabilità”.
Pertanto, il giudice non ritiene fondato il motivo di ricorso, in quanto assume i rapporti di parentela della destinataria dell’informazione antimafia idonei a supportare la determinazione del provvedimento prefettizio, seppur successivamente annullato dal giudice.
Dunque, secondo il CGRS l’assunto del quadro indiziario successivamente valutato inidoneo dal giudice con diretta declaratoria di illegittimità del provvedimento non è argomento validamente spendibile e automaticamente concludente in sede di giudizio di responsabilità [11].
Non pare condivisibile la posizione del massimo organo di giurisprudenza della Regione Sicilia che contrasta con la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui “spetta pertanto all’Amministrazione dell’interno, in caso di informativa antimafia illegittima, provare che il proprio errore sia frutto di cause oggettive o della “complessità delle questioni da esaminare al fine di ricostruire un quadro indiziario attendibile, in presenza di diversi elementi sui quali si fondano comunemente i provvedimenti di cautela antimafia (frequentazioni, parentele, rapporti di affari, contatti da parte di soci con soggetti controindicati)” [12].
Anzi, lo stesso CGRS in altra pronuncia afferma che “la giurisprudenza ormai consolidata ha ritenuto superfluo gravare il danneggiato di un ulteriore e autonomo onere di provare l’elemento soggettivo dell’illecito, atteso che in linea di principio e ordinariamente, la colpa può ritenersi presunta una volta che sia accertata l’illegittimità del provvedimento.
Si tratta di una esemplificazione dell’onere della prova, che grava pur sempre sul danneggiato, esemplificazione che si fonda sulla duplice circostanza che il danneggiato ha già provato l’illegittimità del provvedimento e che, ordinariamente, l’adozione di un atto illegittimo costituisce di per sé un indice sintomatico plausibile di una colpa dell’apparato amministrativo.
Tale esemplificazione probatoria si traduce in una presunzione, tuttavia non assoluta ma relativa, che consente la prova contraria, con una inversione dell’onere probatorio.
Ribaltate le posizioni, spetta alla Amministrazione autrice dell’atto illegittimo dimostrare l’assenza di colpa nonostante l’adozione di un atto di cui sia comprovata l’illegittimità” [13].
Dunque, porre l’onere della prova a carico della P.a. procedente, pare più conforme ad un assetto delle posizioni pubblico- privato. La pronuncia in commento offre la possibilità di riflettere su un sistema che necessita di una urgente riforma, al fine di evitare la morte di imprese in un contesto di ripresa dell’economia del paese.
Essere destinatari di interdittiva antimafia vuol dire essere fuori da un’ampia fetta di mercato e, sovente, significa non garantire, non solo la continuità aziendale ma anche e soprattutto il lavoro ai dipendenti dell’azienda interdetta.
La pronuncia in commento si conclude con la condanna alle spese per l’appellante, così determinando l’ennesimo danno a carico dell’impresa.
Siamo sicuri che il sistema per come oggi formulato garantisce il rispetto dei principi minimi del nostro ordinamento? Siamo sicuri di poter continuare ad assistere a danni a cascata a carico di imprese che già agiscono in contesti aridi soltanto attraverso valutazioni probabilistiche e non predeterminate?
Questi problemi, insieme ad altri, impongono costante ed attenta osservazione da parte della dottrina giuspubblicistica.
*** Seppur frutto di un lavoro congiunto è possibile attribuire il 3 paragrafo al Prof. Renato Rolli e i restanti alla dott.ssa Martina Maggiolini
[1] Sia consentito il rinvio a R. Rolli, Dura lex, sed lex. Scioglimento dei Consigli comunali per infiltrazioni mafiose, interdittive prefettizie antimafia e controllo giudiziario” in Istituzioni del Federalismo, n. 1/2022
[2] E. Follieri, L’elemento soggettivo nella responsabilità della p.a. per lesione di interessi legittimi (nota a sentenza: Consiglio di stato, sez. IV, 31 gennaio 2012, n. 482), in Urb. app., 6/2012, 694 ss.; M.C. Cavallaro, La rilevanza dell’elemento soggettivo nella struttura dell’illecito della pubblica amministrazione: un ulteriore chiarimento del Consiglio di Stato, nota a Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2005, n. 32, in Nuove autonomie, 4-5/2005, 741 ss.; O. Ciliberti, L’elemento soggettivo nella responsabilità civile della pubblica amministrazione conseguente a provvedimenti illegittimi, in La responsabilità civile della pubblica amministrazione, E. Follieri, (a cura di), Giuffrè, Milano, 2004, 251; S. Cimini, La colpa nella responsabilità civile delle amministrazioni pubbliche, Giappichelli, Torino, 2008; F. Fracchia, L’elemento soggettivo nella responsabilità dell’amministrazione, in Atti del Convegno di Varenna 2008, Giuffrè, Milano, 2009, 211; F. Trimarchi Banfi, La responsabilità civile per l’esercizio della funzione amministrativa. Questioni attuali, Giappichelli, Torino, 2009, spec. 87 e ss; Sul risarcimento ampiamente: M.A. Sandulli, Il risarcimento del danno nei confronti delle pubbliche Amministrazioni: tra soluzione di vecchi problemi e nascita di nuove questioni (brevi note a margine di Cons. Stato, ad. plen. 23 marzo 2011 n.3, in tema di autonomia dell’azione risarcitoria e di Cass. SS. UU.23 marzo 2011 nn. 6594, 6595 e 6596, sulla giurisdizione ordinaria sulle azioni per il risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti favorevoli), in www.federalismi.it, 2011; F. Fracchia, Dalla negazione della risarcibilità degli interessi legittimi all’affermazione della risarcibilità di quelli di quelli giuridicamente rilevanti: la svolta della Suprema Corte lascia aperti alcuni interrogativi; e ancora: A. G. Orofino, L’irrisarcibilità degli interessi legittimi: da giurisprudenza «pietrificata» a dogma in via d’estinzione?, in www.giustamm.it, 1999.
[3] C.d.s Adunanza plenaria n. 3 del 2018; Cons. St., sez. III, 15 settembre 2014, n.4693; Cons. St., sez. III, 1 settembre 2014, n.4441
[4] Ampiamente M.A. Sandulli, Il contraddittorio nel procedimento della nuova interdittiva antimafia, in questa rivista, 2023
[5] sia consentito il rinvio a R. Rolli, M. Maggiolini, Informativa antimafia e contraddittorio procedimentale (nota a Cons. St. sez. III, 10 agosto 2020, n. 4979), Giustizia insieme, 2020
[6] Cfr. A. Longo, La ‘massima anticipazione di tutela’. Interdittive antimafia e sofferenze costituzionali, Federalismi, n. 19/2019
[7] Cfr. R. Maria e A. Amore, Effetti «inibitori» delle interdittive antimafia e bilanciamento fra principi costituzionali: alcune questioni di legittimità dedotte in una recente ordinanza di rimessione alla Consulta (5 maggio 2021), in Federalismi.it, n. 12/2021; G. D’Angelo, Il tentativo d'infiltrazione mafiosa ai fini dell'adozione dell'informazione interdittiva, tra garanzie procedimentali, tassatività sostanziale e sindacato giurisdizionale, in Foro it., 2021
[8] Cons. St., sez. III, 9 ottobre, 2023, n. 8765
[9] Cons., St., sez. VI, 5 dicembre 2022, n. 10624
[10] Cons. Stato, sez. III, sent. n. 3707/2015
[11] ex multis, Cons. Stato, sez. III, n. 2157 del 2019
[12] Cons. St., sez. III, 5 giugno 2019, n. 3799
[13] CGRS n. 372/2020, 3 giugno 2020