Polvere di guerra: gli effetti invisibili dell’uranio impoverito (Nota a Cons. Stato, Sez. I, parere, 13 marzo 2024, n. 291)
di Roberto Leonardi
Sommario: 1. Premessa. – 2. Il fatto. – 3. Il parere del Consiglio di Stato. Brevi osservazioni conclusive.
1. Premessa.
Nelle guerre moderne, non sempre i danni si esauriscono con la fine delle ostilità. Alcuni effetti permangono nel tempo, silenziosi e difficili da misurare. Tra questi, l’uso dell’uranio impoverito[1] rappresenta una delle eredità più oscure e controverse[2], da cui è scaturito un intenso e controverso dibattito giuridico, soprattutto giurisprudenziale e in ordine a diversi profili della fattispecie - in mancanza di una normativa nazionale organica - che ancora non ha trovato la pace, nonostante le molteplici Commissioni d’inchiesta Parlamentari[3] in riferimento alla cd. Sindrome dei Balcani[4]. Utilizzato nei proiettili anticarro per la sua elevata densità e capacità perforante, l’uranio impoverito ha lasciato dietro di sé un’onda lunga di dubbi, malattie e richieste di giustizia. L’uranio impoverito (DU, dall’inglese depleted uranium) è un sottoprodotto del processo di arricchimento dell’uranio naturale, durante il quale l’isotopo fissile U-235 viene separato dall’uranio naturale, lasciando un materiale con una radioattività ridotta, ma comunque presente. Questo materiale, sebbene meno radioattivo, mantiene una tossicità chimica simile a quella dei metalli pesanti come il piombo o il mercurio, ed è altamente piroforico e, quindi, si incendia al momento dell’impatto.
A partire dalla Guerra del Golfo (1991), gli Stati Uniti e altri Membri della NATO hanno iniziato a utilizzare proiettili perforanti contenenti DU per la loro efficacia contro mezzi corazzati. La combustione dell’uranio durante l’impatto genera un aerosol tossico che può essere inalato o depositarsi sul suolo e sulle acque, con effetti potenzialmente duraturi sulla salute umana e sull’ambiente (Schröder, 2002). Numerose ricerche scientifiche hanno messo in relazione l’esposizione all’uranio impoverito con un aumento del rischio di cancro, danni al DNA e malformazioni congenite. In Iraq, dopo i bombardamenti della coalizione, si è registrato un aumento dei tumori infantili e delle leucemie in aree pesantemente colpite come Bassora. Anche nei Balcani, in particolare in Kosovo e Bosnia, sono stati segnalati livelli anomali di contaminazione e incidenze di malattie simili.
Tuttavia, la comunità scientifica è divisa. Rapporti militari e agenzie governative, come il Department of Defense degli Stati Uniti e l’Organizzazione Mondiale della Sanità, tendono a ridimensionare la pericolosità dell’uranio impoverito, sostenendo che i livelli di esposizione sul campo non raggiungono soglie dannose per la salute (WHO, 2001). Al contrario, alcuni studiosi denunciano la mancanza di studi indipendenti, la difficoltà di accedere ai siti contaminati e l’insufficienza dei sistemi di monitoraggio. In Italia, il caso ha assunto rilievo pubblico a partire dagli anni 2000, con decine di militari ammalatisi dopo missioni all’estero. Nel 2018, una sentenza della Corte d’Appello di Roma ha condannato il Ministero della Difesa a risarcire la famiglia di un militare deceduto, riconoscendo il nesso causale tra l’esposizione a uranio impoverito e l’insorgenza del tumore (Associazione Vittime Uranio Impoverito, 2020). Un’altra sentenza di rilievo è quella del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3967/2011, che ha riconosciuto il diritto al risarcimento e all’equo indennizzo per un militare colpito da linfoma di Hodgkin dopo una missione in Kosovo, affermando che la prova del nesso causale può fondarsi su presunzioni gravi, precise e concordanti, non su certezze assolute.
L’uso dell’uranio impoverito non è solo un problema sanitario o scientifico, ma è una questione anche giuridica, morale e politica. Il principio di precauzione, che dovrebbe guidare l’impiego di tecnologie a rischio, è spesso subordinato a logiche di efficacia bellica e segretezza militare. Molti civili, in teatri di guerra già devastati, sono esposti inconsapevolmente a contaminazioni potenzialmente pericolose, senza assistenza né possibilità di tutela legale.
A livello internazionale, esistono risoluzioni non vincolanti delle Nazioni Unite che chiedono maggiore trasparenza e una valutazione più approfondita dei rischi, ma non esiste ancora un trattato internazionale che ne vieti l’uso, come avvenuto invece per le mine antiuomo o le armi chimiche (ICBUW, 2022). L’uranio impoverito rappresenta una delle “polveri di guerra” più insidiose: invisibile, persistente, e difficile da collocare tra le vittime dirette o indirette dei conflitti. Una guerra che uccide anche dopo la fine delle ostilità e che non lascia solo rovine materiali, ma anche una contaminazione silenziosa e duratura.
2. Il fatto.
Il parere in esame del Consiglio di Stato[5] ha ad oggetto il Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica da parte di un Luogotenente dell’Esercito italiano, in servizio presso l’8° Reggimento Alpini, contro il Ministero della Difesa per l’annullamento del rigetto della richiesta del ricorrente di riconoscimento della dipendenza di infermità da causa di servizio della patologia “cardiopatia ischemica silente senza disfunzione ventricolare sinistra sottoposta a duplice PTCA” e di concessione dell’equo indennizzo[6]. Allo stesso tempo, il ricorrente chiede l’annullamento del parere espresso dal Comitato di verifica per le cause di servizio (CVCS), che ha escluso la sussistenza del nesso di causalità tra la patologia e il servizio prestato dal ricorrente “in quanto trattasi di patologia riconducibile a insufficiente irrorazione del miocardio per riduzione del flusso ematico coronarico, a sua volta derivante da restringimento o subocclusione del lume vasale per fatti ateromatosi dell’intima della parete arteriosa. Poiché l’ateromatosi vasale può derivare da fattori multipli costituzionali o acquisiti su base individuale, la forma in questione non può attribuirsi al servizio prestato, anche perché in esso non risultano sussistenti specifiche situazioni di effettivi disagi o surmenage psico – fisico tali da rivestire un ruolo di causa o concausale efficiente e determinante”. Il ricorrente sostiene la violazione delle seguenti norme: d.P.R. n. 37/2009 (“Regolamento per la disciplina dei termini e delle modalità di riconoscimento di particolari infermità da cause di servizio per il personale impiegato nelle missioni militari all'estero, nei conflitti e nelle basi militari nazionali, a norma dell’articolo 2, c. 78 e 79, della l. 24 dicembre 2007, n. 244”), abrogato dall’art. 2269, c. 1, n. 385), d.P.R. n. 90/2010 (“Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, a norma dell'articolo 14 della l. 28 novembre 2005, n. 246”), d.P.R. n. 40/2012 (“Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, concernente il Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, a norma dell’art. 14 della l. 28 novembre 2005, n. 24”). Pur non esplicando, il ricorrente, le disposizioni che si ritengono violate, l’utilizzo nel ricorso delle locuzioni “rischio tipizzato” ed “elementi chimici tipizzati espressamente dal Legislatore” sostengono l’assunto secondo il quale l’Amministrazione non avrebbe valutato tutti i fattori di rischio cui sarebbe stato esposto il ricorrente, che avrebbero “contribuito all’insorgenza della predetta terribile patologia”, nonché le fattispecie cui ha riguardo la giurisprudenza richiamata nel gravame lasciano intendere che il ricorrente basi le proprie censure sulla disciplina dell’istituto della speciale elargizione di cui agli artt. 1078 ss. d.P.R. n. 90/2010.
3. Il parere del Consiglio di Stato.
Il Consiglio di Stato, con il parere in esame, ritiene di non dovere accogliere il gravame per due motivi: sul piano fattuale, in riferimento alla patologia del ricorrente, il parere reso dal Comitato di verifica per le cause di servizio si riferisce ad una patologia di natura cardiologica e non neoplastica. Sotto il profilo giuridico, invece, l’istituto applicabile alla controversia non è riconducibile alla speciale elargizione di cui all’art. 1079, d.P.R. n. 90/2010 e non è nemmeno riconducibile alla disciplina delle vittime del dovere, non rientrando nelle fattispecie di cui all’art. 1, c. 563-565, l. n. 266/2006. Infatti, in entrambi questi due ultime casi, devono ricorrere delle specifiche circostanze. Ai fini della disciplina delle vittime del dovere, tali circostanze sono integrate, ai sensi dell’art. 6 del d.P.R. n. 243/2006, dalle “particolari condizioni ambientali od operative”, di “carattere straordinario”, ove “per circostanze straordinarie devono essere intese, secondo il significato indicato dalla legge, condizioni ambientali ed operative ‘particolari’ che si collocano al di fuori del modo di svolgimento dell'attività ‘generale’, per le quali è quindi sufficiente che non siano contemplate in caso di normale esecuzione di una determinata funzione”[7]. La giurisprudenza amministrativa ha sottolineato l’eccezionalità di tali circostanze[8] e la specialità dell’istituto rispetto alla causa di servizio, poiché esso richiede che “il rischio affrontato vada oltre quello ordinario connesso all’attività di istituto[9]. In merito all’asserita “tipizzazione del rischio”, ai fini della speciale elargizione, il legislatore non ha stabilito alcuna presunzione. Infatti, se il militare non è tenuto a dimostrare l’esistenza di un nesso eziologico fra esposizione all’uranio impoverito (o ad altri metalli pesanti) e neoplasia, egli deve però dimostrare di aver affrontato “particolari condizioni ambientali od operative”[10], connotate da un carattere “straordinario”[11]rispetto alle forme di ordinaria prestazione del servizio, che siano “la verosimile causa di un’infermità”[12]. Da qui, segue l’infondatezza di tutte le pretese del ricorrente in riferimento ad un eccesso di potere, da riferirsi all’operato del CVCS e del Ministero della difesa, avendo fondato, il ricorrente, la propria richiesta del riconoscimento della causa di servizio della patologia neoplastica sofferta su generici fattori di rischio.
Di rilievo, poi, un altro tema affrontato dal parere in esame: l’esposizione del militare all’uranio impoverito e il riconoscimento del rapporto causale ai fini dell'accertamento della dipendenza della patologia oncologica da causa di servizio[13]. Infatti, l’operatività dei militari in contesti caratterizzati dalla presenza di uranio impoverito può essere ritenuta causa dell’insorgenza di specifiche patologie tumorali. Per tali ragioni, la connessione tra esposizione ad uranio impoverito e l’insorgenza di gravi patologie ha indotto l’ONU a vietare armi con uranio.
La probabile connessione tra l’esposizione all’uranio impoverito e l’insorgenza di gravi patologie, anche di natura oncologica, ha indotto l’ONU, come si diceva, a vietare l’utilizzo di armi contenenti tale elemento (risoluzione n. 1996/16) e diversi Paesi hanno assunto misure di protezione e di precauzione a favore dei militari impiegati nelle operazioni NATO. Va, quindi, riconosciuta la responsabilità del Ministero della Difesa, secondo la fattispecie astratta dell'art. 2087 c.c., nel caso di contrazione da parte del militare impegnato in missioni ad alto rischio della patologia ematoncologica classificata come Linfoma di Hodgkin, a causa dell’assenza di dispositivi di protezione personale ed informazioni sull’utilizzo di armamenti e proiettili a uranio impoverito[14].
Per giurisprudenza amministrativa consolidata sulla cd. sindrome dei Balcani, la mancanza di una legge scientifica universalmente valida che stabilisca un nesso diretto fra l’operatività nei contesti caratterizzati dalla presenza di uranio impoverito e l’insorgenza di specifiche patologie tumorali non impedisce il riconoscimento del rapporto causale, posto che la correlazione eziologica, ai fini amministrativi e giudiziari, può basarsi anche su una dimostrazione in termini probabilistico-statistici[15]. Si è, quindi, affermato che, una volta dedotto e comprovato dal militare lo svolgimento di missioni di pace nei teatri bellici esteri caratterizzati dall’uso dell’uranio impoverito e, al rientro da queste, l’insorgenza di determinate patologie, l’onere della prova della riconducibilità della patologia stessa al servizio da lui svolto nella predetta missione, sotto il profilo causale o almeno concausale, si ritiene assolto mediante l’allegazione di essersi trovato ad operare in un territorio indubbiamente caratterizzato dalla presenza di « inquinanti » legati all’utilizzo, nelle operazioni di guerra, di proiettili contenenti uranio impoverito[16]. Il militare interessato non deve dimostrare la sicura esistenza di un nesso eziologico fra l’esposizione all’uranio impoverito e la malattia, ma soltanto di avere affrontato condizioni ambientali e operative particolari, le quali possano essere la verosimile causa di un’infermità[17], mentre spetta all’amministrazione dimostrare che l’insorgenza della patologia è stata determinata da fattori esogeni[18]. Di conseguenza andrà annullato il provvedimento di rigetto della domanda di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità contratta dal militare e dunque di concessione dell’equo indennizzo, nel caso in cui il CVCS non appaia aver dato adeguata motivazione riguardo agli altri specifici fattori di rischio e situazioni di disagio evidenziati (permanenza, anche se per breve periodo, in territori fortemente e notoriamente contaminati, anche da uranio impoverito, dichiarata circostanza di utilizzo continuativo di solventi e oli per armi), non assolvendo a quell’onere della prova invertito richiesto dalla giurisprudenza sul tema[19].
Si deve, inoltre, evidenziare, la differenza tra risarcimento del danno e speciale elargizione prevista dall’art. 1079, c. 1, d.P.R. n. 90 del 2010 per i militari che hanno contratto infermità per le condizioni operative[20]. Il militare interessato a percepire la speciale elargizione di cui al richiamato art. 1079, d.P.R. n. 90 del 2010 non è tenuto a dimostrare l’esistenza di un nesso eziologico fra esposizione all’uranio impoverito (o ad altri metalli pesanti) e neoplasia; siffatto accertamento è necessario ove l’interessato proponga una domanda risarcitoria, ossia assuma la commissione, da parte dell’Amministrazione, di un illecito civile consistente nella colpevole esposizione del dipendente ad una comprovata fonte di rischio in assenza di adeguate forme di protezione, con conseguente contrazione di infermità. In tale ipotesi, invero, grava sull’assunto danneggiato dimostrare, inter alia, l’effettiva ricorrenza del nesso eziologico (ossia la valenza patogenetica di siffatta esposizione), sia pure in base al criterio del più probabile che non[21]. Laddove, invece, l’istanza tenda alla percezione della speciale elargizione, si verte in un ben diverso ambito indennitario. I presupposti del risarcimento del danno e della speciale elargizione sono del tutto diversi: nel primo caso l’integrazione di tutti gli elementi propri di un’ipotesi di responsabilità civile, tra cui pure la prova del nesso eziologico e dell’elemento soggettivo in capo al danneggiante; nel secondo caso la mera dimostrazione di aver affrontato — senza che ciò integri « colpa »dell’Amministrazione — « particolari condizioni ambientali od operative », connotate da un carattere « straordinario »rispetto alle forme di ordinaria prestazione del servizio, che siano la verosimile causa di un’infermità. Inoltre, il risarcimento del danno compete a chiunque e dipende nel quantum dall’effettivo danno riportato, mentre la speciale elargizione spetta solo ai soggetti individuati dalla legge ed è quantificata a monte in misura predeterminata. Il fatto che, allo stato delle conoscenze scientifiche, non sia acclarata l’effettiva valenza patogenetica dell’esposizione all’uranio impoverito non osta, dunque, al diritto alla percezione dell’indennità, che comunque spetta allorché l’istante abbia contratto un’infermità verosimilmente a causa di « particolari condizioni ambientali ed operative », di cui « l’esposizione e l’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e la dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico » costituiscono solo un possibile aspetto. La disposizione, in sostanza, non si incentra esclusivamente (né, a ben vedere, primariamente) sul profilo dell’esposizione ad uranio impoverito o ad altre nano particelle di metalli pesanti, ma intende concedere ad una platea ben delimitata di soggetti un beneficio monetario predeterminato in ragione della sottoposizione a gravose «condizioni ambientali ed operative” e della conseguente contrazione di infermità[22].
Alla luce di questi elementi giurisprudenziali consolidati, il parere in esame sottolinea che nel gravame non si ravvisa alcuna congrua deduzione in merito al notevole intervallo di tempo intercorso tra l’ultima missione all’estero e la data del 6 settembre 2019 nella quale il ricorrente riferisce di aver avuto contezza
della patologia cardiologica, tale da fornire almeno un ragionevole indizio della sussistenza di un rapporto di causalità tra le condizioni di svolgimento del servizio in dette missioni, o in altre circostanze, e la patologia cardiaca, nonostante il medesimo intervallo di tempo. Occorre anche sottolineare che risulta del tutto insussistente il secondo dei due termini della relazione di causa - effetto tra servizio prestato e patologia nella tesi del ricorrente secondo la quale “la relazione tra l’insorgenza della patologia neoplastica sofferta dal ricorrente ed il servizio prestato emerge dal suo stato di servizio dal quale si rileva che il militare è stato impiegato in svariate missioni all’estero, in territorio balcanico (oltre ad una missione in Mozambico) alloggiando nelle zone più massicciamente bombardate della Bosnia, presso la caserma ‘Tito Barrack’ di Sarajevo, caserma che ha registrato il più alto numero di militari ammalati e deceduti tra coloro che ivi erano alloggiati”. Tale tesi, infatti, è riferita a patologia completamente diversa da quella per la quale lo stesso ricorrente aveva chiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio.
Un ultimo profilo affrontato dal Consiglio di Stato nel parere in esame riguarda il valore della perizia di parte, secondo la quale la presenza nel sangue del ricorrente di metalli pesanti “assenti nella popolazione italiana di riferimento” confermerebbe che egli “non ha potuto contrarre la patologia per cui è causa sul suolo nazionale”, ma solo in un contesto internazionale. Al di là della carenza dei profili motivazionali, il Consiglio di Stato, in merito a detta perizia, richiama il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale conclusioni diverse da quelle del CVCS “risultanti da perizie, relazioni e/o certificazioni mediche di parte non sono idonee, di norma, a confutare l’attendibilità del giudizio tecnico del Comitato, atteso che le valutazioni mediche formulate da organi sanitari diversi da quelli dell’Amministrazione non hanno rilevanza per quest’ultima quando risultino in contrasto con i referti emessi dagli organi tecnici della stessa Amministrazione[23]. Dunque, per porre in discussione il parere del CVCS di esclusione della causalità di servizio da parte occorre una riconducibilità effettiva e comprovata dell’infermità, almeno in termini di concausalità, al servizio svolto, poiché l’art. 11 del d.P.R. n. 461/2001 - che prevede che il CVCS “accerta la riconducibilità ad attività lavorativa delle cause produttive di infermità o lesione, in relazione a fatti di servizio ed al rapporto causale tra i fatti e l'infermità o lesione” (primo comma) - “non ritiene sufficiente, a tale fine, la mera ‘possibile’ valenza patogenetica del servizio prestato, ma, di contro, impone la puntuale verifica, connotata da certezza o da alto grado di credibilità logica e razionale, della valenza del servizio prestato quale fattore eziologicamente assorbente o, quanto meno, preponderante nella genesi della patologia[24]. Infatti, “ai fini del riconoscimento della causa di servizio, è necessario che l’attività lavorativa possa con certezza ritenersi concausa efficiente e determinante della patologia lamentata, non potendo farsi ricorso a presunzioni di sorta e non trovando applicazione, diversamente dalla materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni. Il principio della causalità adeguata richiede sempre la riconoscibilità dell’esistenza di fattori riconducibili al servizio che rivestano un ruolo di adeguata efficiente incidenza nell’insorgenza e nello sviluppo del processo morboso, mentre devono ritenersi totalmente escluse tutte le altre condizioni che un tale grado di concausale ingerenza non presentino, le quali - benché parimenti verificatesi in servizio - restano tuttavia riguardabili unicamente quali ‘mere occasioni rivelatrici’ di una infermità non avente alcun nesso di causalità o concausalità con le condizioni di servizio[25].
In conclusione, emergono, da quanto detto fin qui, alcuni dei profili critici del tema oggetto del parere del Consiglio di Stato in esame e che il giudice d’appello ha ben evidenziato. L’assenza di una normativa nazionale organica sul riconoscimento delle patologie legate all’uranio impoverito ha trasferito il problema alla giurisprudenza. I giudici, in mancanza di leggi specifiche, hanno dovuto decidere caso per caso, con risultati spesso difformi, a partire dal principio del nesso causale presunto. Una parte della giurisprudenza ha aperto alla possibilità di riconoscere il nesso causale non in base a prove certe, ma sulla base di presunzioni e di un ragionamento probabilistico, specie in presenza di contesti operativi contaminati (Kosovo, Iraq, Bosnia), di una esposizione non protetta o documentata, e di una coerenza tra patologia e tipo di rischio ambientale. Questa impostazione valorizza il principio di precauzione e i diritti costituzionali alla salute e alla tutela del lavoratore pubblico[26]. L’orientamento restrittivo di un’altra parte della giurisprudenza, invece, richiede prove dirette e scientificamente inoppugnabili del nesso tra esposizione a DU e patologia[27], anche in relazione all’intervallo di tempo trascorso tra il contesto nel quale si presume la latenza dell’uranio impoverito e l’insorgenza della patologia lamentata[28]. In assenza di queste, si è negato l’equo indennizzo e il riconoscimento di causa di servizio. Questo orientamento evidenzia il peso dell’incertezza scientifica, il timore di una giurisprudenza troppo espansiva e l’assenza di criteri ufficiali, ad esempio in relazione alle liste di patologie correlate. Questa incertezza crea una vera e propria giustizia diseguale, con decisioni che variano sensibilmente da caso a caso, una possibile disparità di trattamento tra il personale delle forze armate e di polizia, con una profonda incertezza nelle procedure e una mancanza di equità e trasparenza nel riconoscimento delle cause di servizio, in mancanza di criteri più chiari e uniformi. Per questo, una riforma della materia parrebbe urgente, ancor più in un quadro geopolitico complesso e in presenza di sempre più conflitti internazionali, colmando il vuoto legislativo con una legge-quadro nazionale che disciplini l’indennizzo per esposizione a contaminanti in missione, un elenco aggiornato di patologie correlate, un fondo specifico e una procedura semplificata di riconoscimento e una valutazione scientifica e indipendente dei rischi.
[1] Sul tema, v. R. Fusco, Il diritto al risarcimento del militare per danni subiti a causa dell’esposizione all’uranio impoverito, (nota a Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 novembre 2020, n. 7560), in Dir. e proc. amm., 5 gennaio 2021; C. Felicetti, Ammissibilità in appello dei mezzi di prova “sopravvenuti”. Il principio dispositivo con metodo acquisitivo e il divieto di nova in appello (nota a Cons. di Stato, Sez. II, 26 gennaio 2024, n. 845), ivi, 3 aprile 2024.
Cfr. l. 24 dicembre 2007 n. 244, artt. 78 e 79, in relazione « al riconoscimento della causa di servizio e di adeguati indennizzi al personale italiano impiegato nelle missioni militari all’estero, nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti, nonché al personale civile italiano nei teatri di conflitto e nelle zone adiacenti le basi militari sul territorio nazionale, che abbiano contratto infermità o patologie tumorali connesse all'esposizione e all'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e alla dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico, ovvero al coniuge, al convivente, ai figli superstiti nonché ai fratelli conviventi e a carico qualora siano gli unici superstiti in caso di decesso a seguito di tali patologie (...) ». Cfr. poi d.p.r. 7 luglio 2006 n. 243 recante regolamento concernente termini e modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, a norma dell'articolo 1, comma 565, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, ed ivi in particolare la disciplina relativa ai soggetti c.d. equiparati (art. 6).
Cfr., sulla sua acclarata pericolosità, in particolare il rapporto stilato fra il 1978 e il 1979 dall’Air Force Armament Laboratory della base di Eglin in Florida, nonché i seguenti documenti ad esso successivi: la comunicazione del Defence Support della N.A.T.O. del 20 dicembre 1984; le linee guida USA Peace time limits on the intake of depleted uranium, pubblicate nella appendixB top art. 20, 1001 thru 2401, p. 23409, Federal Register del 21 maggio 1991; la comunicazione dell'Headquarters Department of the Army-Office of the Surgeon General, con riferimento all’impiego delle forze armate statunitensi in Somalia del 14 ottobre 1993; il rapporto del General Accounting Office-National Security and International Affairs Division del 1993; la direttiva N.A.T.O. sulle basse radiazioni del 1996. Per un riferimento ai contributi scientifici recenti da cui si evince un nesso di causalità fra esposizione all'UI e patologie tumorali, neurologiche e dell’apparato riproduttivo, cfr. D. Fahey, The Emergence and Decline of the Debate over Depleted Uranium Munitions1991-2004, 20 June 2004, 3 e 9, consultabile sul sito www.wise-uranium.org, ove vengono richiamate le seguenti ricerche: D.E. McClain, et al., Biological effects of embedded depleted uranium (DU): summary ofArmed Forces Radiobiology Research Institute research, in The Science of the Total Environment (2001) 274: 117; F.F. Hahn-R.A. Guilmette-M.D. Hoover, Implanted Depleted Uranium Fragments Cause Soft Tissue Sarcomas in the Muscles of Rats, in Environmental Health Perspectives (2002) 110: 51; D.E. McClain, Project Briefing: Health Effects of Depleted Uranium, U.S. Armed Forces Radiobiology Research Institute (Bethesda, MD, 1999).
[2] Il tema è stato ampiamente trattato dalla dottrina internazionale, civilistica e giuslavoristica. Per un approfondimento, si rinvia a R. Pucella, Un nesso, due nessi, l’irrisolto groviglio della causalità, in Resp. civ. e prev., 2023, 6, 1797; S. Ferrara, Responsabilità del Ministero della difesa per morte del militare esposto a particelle di uranio impoverito e motivazione per relationem, in Resp. civ., 2018, 17, 1245; S. Rodriguez, Missioni all’estero e uranio impoverito: la responsabilità del Ministero della Difesa nei confronti dei propri dipendenti, Resp. civ. e prev., 2012, 2, 619; A. Mantelero, Uranio impoverito: i danni da esposizione e le responsabilità, in Danno e responsabilità, 5/2012, 543; M. Losana, La legislazione in materia di benefici erogati in favore delle vittime del dovere, del servizio, di talune fattispecie di reato e di particolari eventi storici: tra principio di uguaglianza formale e discrezionalità politica, in Giur. cost., 2011, 3, 2631; A. Viscomi, La causa di servizio oggi: spunti per una riflessione, in Il lavoro nelle p.a., 2009, 2, 241; A. Mantelero, La svolta nelle controversie sull’uranio impoverito, in Resp. civ. e prev., 2009, 12, 2492.
[3] Il riferimento è alle indagini svolte dalle seguenti commissioni: Commissione di indagine istituita dal Ministro della Difesa sull’incidenza di neoplasie maligne tra i militari impiegati in Bosnia e Kosovo, insediata con decreto ministeriale della Difesa del 22 dicembre 2000; Commissione Parlamentare d’inchiesta sui casi di morte e gravi malattie che hanno colpito il personale militare italiano impiegato nelle missioni internazionali di pace, sulle condizioni della conservazione e sull'eventuale utilizzo di uranio impoverito nelle esercitazioni militari sul territorio nazionale, istituita con delibera del Senato del 17 novembre 2004; Commissione Parlamentare d’inchiesta sui casi di morte e gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato nelle missioni militari all’estero, nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti, nonché le popolazioni civili nei teatri di conflitto e nelle zone adiacenti le basi militari sul territorio nazionale, con particolare attenzione agli effetti dell’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico, istituita con deliberazione del Senato dell’11 ottobre 2006.
[4] Tale sindrome consiste in una pluralità di possibili patologie di natura prevalentemente neoplastica, conseguenti all’esposizione dei militari ad agenti patogeni − in specie uranio impoverito − presenti nelle aree teatro di scontri armati durante la recente guerra dei Balcani, ove i soldati italiani hanno operato a conflitto terminato in occasione delle diverse missioni di pace svoltesi in Bosnia-Erzegovina, Macedonia e Kosovo. Analoghe patologie sono state anche riscontrate in relazione ad altre attività realizzate all'estero dalle Forze Armate italiane nel corso della prima guerra del Golfo, in Somalia e in Albania.
[5] Precedenti conformi: sulla necessità che il militare dimostri di aver affrontato “particolari condizioni ambientali ed operative”, connotate dal carattere “straordinario” rispetto alle forme di ordinaria prestazione del servizio: ex multis, Cons. St., Sez. IV, 24 maggio 2019, n. 3418, in www.giustizia-amministrativa.it. Sulla inidoneità delle conclusioni diverse risultanti da perizie, relazioni e/o certificazioni mediche di parte confutare l’attendibilità del giudizio tecnico del comitato: tra le tante, Cons. St., Sez. I, parere 13 luglio 2023, n. 1030, che richiama Cons. St., Sez. IV, n. 142/2020; Cons. St., Sez. I, n. 993/2020. Sulle condizioni per porre in discussione il parere del comitato di verifica di esclusione della causalità di servizio: tra le tante, Cons. St., Sez. II, 8 maggio 2019, n. 2975, che richiama Cons. St., Sez. IV, 4 ottobre 2017 n. 4619 e Cons. St., Sez. III, 7 marzo 2017, n. 1076. Sul nesso causale in materia di causa di servizio, v. Cons. St., Sez. II, 28 febbraio 2023, n. 2101 e, con specifico riferimento all’uranio impoverito, Cons. St., Sez. I, 10 luglio 2023, n. 1013, che richiama Cons. St., Sez. II, n. 6456/2022, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.
[6] A. Crismani, Le indennità nel diritto amministrativo, Torino, 2012, 45, osserva che l’art. 603, c. 1 e 2, d.lgs. n. 66/2010 riconosce «al personale italiano entro e fuori i confini nazionali in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, nonché al personale impiegato nei poligoni di tiro e nei siti dove vengono stoccati munizionamenti, e al personale civile italiano nei teatri operativi all’estero e nelle zone adiacenti alle basi militari sul territorio nazionale, adeguati indennizzi in caso di infermità o patologie tumorali per le particolari condizioni ambientali od operative»
[7] Cass. civ., Sez. Lav., 8 giugno 2018, n. 15027, in Giust. civ. Mass., 2018.
[8] Cfr. Cons. St., Sez. III, 11 agosto 2015, n. 3915, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. III, 1° febbraio 2019, n. 816, ivi.
[9] Cons. St., Sez. IV, 13 aprile 2015, n. 1855; Cons. St., Sez. IV, 18 gennaio 2018, n. 306; Cons. St., Sez. III, 1° febbraio 2019, n. 816; Cons. St., Sez. III, 7 maggio 2019 n. 2927, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.
[10] Tribunale di Bari, Sez. Lav., 6 ottobre 2023, n. 2623, in Red. Giuffrè 2023, il quale osserva che “affinché possa ritenersi che una vittima del dovere abbia contratto un'infermità in qualunque tipo di servizio non è sufficiente la semplice dipendenza da causa di servizio, occorrendo che quest'ultima sia legata a “particolari condizioni ambientali o operative” implicanti l’esistenza, od anche il sopravvenire, di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto, sicché è necessario identificare, caso per caso, nelle circostanze concrete alla base di quanto accaduto all'invalido per servizio, un elemento che comporti l'esistenza o il sopravvenire di un fattore di rischio maggiore rispetto alla normalità di quel particolare compito”. Tribunale Napoli, Sez. Lav., 7 febbraio 2023, n. 849, Red. Giuffrè, 2023.
[11] Cfr. Cass. civ., Sez. Lav., 8 marzo 2023, n. 6881, in Diritto & Giustizia, 9 marzo 2023, nota A. Ievolella. In tema di vittime del dovere, ricorre la fattispecie del comma 563, lett. a), l. n. 266/2005 quando l’evento dannoso si sia verificato nel contrasto ad ogni tipo di criminalità, senza che sia richiesto un rischio specifico ulteriore a quello insito nelle ordinarie attività istituzionali, necessario, invece, per le ipotesi previste dal successivo c. 564, ove è necessaria l’esistenza o il sopravvenire di circostanze o eventi straordinari.
Cfr. Cons. St., Sez. IV,30 novembre 2020, n. 7560, in www.giustizia-amministrativa.it in cui si afferma che “nell’ipotesi di missioni all’estero (cosiddette “missioni di pace”) l’Amministrazione della difesa versa in una condizione di responsabilità di posizione, cui fa eccezione il solo rischio oggettivamente imprevedibile - giuridicamente qualificabile alla stessa stregua del caso fortuito - ma in cui, viceversa, rientra il rischio da esposizione ad elementi (nella specie, uranio impoverito) che, benché non ancora scientificamente acclarati come sicuro fattore eziopatogenetico, ciononostante lo possano essere, secondo un giudizio di non implausibilità logico-razionale; la diligenza cui è tenuta l’Amministrazione si situa dunque, in tali casi, ad un livello massimo e la prova liberatoria non può consistere semplicemente nell’invocare il fattore causale ignoto, ma deve spingersi sino a provare convincentemente il fattore causale fortuito, ossia quello specifico agente, non prevedibile e, comunque, non prevenibile, che ha provocato l’evento di danno”.
[12] Cfr. Cass. civ., Sez. Lav., 24 dicembre 2024, n. 34299, in Diritto & Giustizia, 2024, n.30, in cui si afferma che “ai fini del riconoscimento dello status di vittima del dovere, ai sensi dell’art. 1, c. 563, della l. n. 266 del 2005, non è sufficiente che le lesioni patite dal pubblico dipendente siano state riportate in conseguenza di eventi verificatisi in occasione di una delle attività tipizzate dalle lett. a), b), c), d), e) ed f), del citato art. 1, essendo piuttosto necessario che l’evento da cui è scaturita la lesione costituisca, a sua volta, una concretizzazione della speciale pericolosità e/o del rischio che è tipicamente proprio di quelle determinate attività”; Cons. St., Sez. IV, 24 maggio 2019, n. 3418. Allo stesso modo. Cass. civ., Sez. Lav., 4 gennaio 2024, n. 287, in Giust. Civ. Mass., 2024, in cui si afferma che “affinché possa ritenersi che una vittima del dovere abbia contratto un’infermità in qualunque tipo di servizio non è sufficiente la semplice dipendenza da causa di servizio, occorrendo che quest’ultima sia legata a “particolari condizioni ambientali o operative” implicanti l’esistenza, od anche il sopravvenire, di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto, sicché è necessario identificare, caso per caso, nelle circostanze concrete alla base di quanto accaduto all'invalido per servizio, un elemento che comporti l’esistenza o il sopravvenire di un fattore di rischio maggiore rispetto alla normalità di quel particolare compito”.
[13] T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, 16 ottobre 2024, n. 716, in www.giustizia-amministrativa.it. “Nel caso di invio di militari all'estero, data l’impossibilità di stabilire - sulla base delle attuali conoscenze scientifiche - un nesso diretto e univoco di causa-effetto collegato ai contesti fortemente degradati e inquinati ove questi abbiano operato, non è pretendibile la dimostrazione dell’esistenza del nesso causale con un grado di certezza assoluta; pertanto, una volta accertata l’esposizione del militare all'uranio impoverito e ai metalli pesanti, è l’Amministrazione che deve dimostrare che tale agente patogeno non abbia determinato l’insorgere della malattia oncologica e che essa dipenda invece da altri fattori (esogeni), dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica”.
[14] T.A.R. Valle d’Aosta, Sez. I, 20 settembre 2017, n. 56, in Foro amm., 2017, 9, 1873; T.A.R. Toscana, Sez. I, 18 aprile 2017, n. 564, in www.giustizia-amministrativa.it.
[15] T.A.R. Trentino-Alto Adige, Bolzano, Sez. I, 5 luglio 2024, n. 178, in cui si osserva che “in tema di cd. sindrome dei Balcani, la mancanza di una legge scientifica universalmente valida che stabilisca un nesso diretto fra l’operatività nei contesti caratterizzati dalla presenza di uranio impoverito e l'insorgenza di specifiche patologie tumorali non impedisce il riconoscimento del rapporto causale, posto che la correlazione eziologica, ai fini amministrativi e giudiziari, può basarsi anche su una dimostrazione in termini probabilistico-statistici. Una volta accertata l’esposizione del militare agli inquinanti, è l’amministrazione che deve dimostrare che tale agente patogeno non abbia determinato l’insorgere della riscontrata infermità e che essa dipenda invece da altri fattori (esogeni), dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica e determinanti per l’insorgere dell’infermità”.
Cfr., in tal senso, esplicitamente, Cass. civ, Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 576, cit.; Id., 11 gennaio 2008, n. 581, in Foro it., 2018.
V, a riguardo, in dottrina, D. Poletti, Le regole di (de)limitazione del danno risarcibile, in Lipari-Rescigno, diretto da, Diritto Civile, IV, Attuazione e tutela dei diritti, Milano, 2009, 306 ss., la quale sottolinea come, specie nell’attuale c.d. società del rischio, “il nesso eziologico è ormai trascorso da una valutazione richiesta in termini di certezza degli effetti della condotta ad un giudizio di tipo probabilistico”.
[16] T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 16 settembre 2024, n. 16391; Cons. St., Sez. I consultiva, parere n. 210 del 16 febbraio 2021; Cons. St., Sez. IV, 26 febbraio 2021, n. 1661; T.A.R. Toscana, Sez. I, 28 febbraio 2021 n. 156; Cons. St., Sez. II, 7 marzo 2022, n. 1638.T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 1° giugno 2024, n. 11238, tutte in www.giustizia-amministrativa.it. L’insorgere di una patologia, l’onere della prova della riconducibilità della patologia stessa al servizio svolto nella predetta missione, sotto il profilo causale o almeno concausale, si ritiene assolto mediante l’allegazione, da parte del militare, di essersi trovato ad operare in un territorio in cui erano indubbi la presenza di “inquinanti” metallici e, soprattutto, l’utilizzo, nelle operazioni di guerra, di proiettili contenenti uranio impoverito.
[17] Corte conti, Lazio, Sez. reg. giurisd., 2 novembre 2017, n. 318, Red. Giuffrè, 2018, in cui si afferma che “l’impossibilità di stabilire un nesso immediato di causa-effetto, congiuntamente valutata con il concorso di altri fattori collegati a contesti fortemente inquinati e degradati dei teatri operativi, hanno indotto il legislatore a non richiedere, in caso di malattia dipendente da esposizione all’uranio impoverito per missione militare, la dimostrazione del nesso causale con un grado di certezza assoluta, essendone sufficiente la dimostrazione in termini probabilistico-statistici. Quanto all’accertamento della dipendenza da causa di servizio, l’art. 64 del DPR n. 1092/73 valorizza sia i fatti che siano stati la causa diretta dell'insorgere della patologia, sia quelli che abbiano svolto un ruolo “concausale” o indiretto nel decorso evolutivo, sino all'eventuale esito (concausa efficiente e determinante)”.
L'impossibilità di stabilire un nesso immediato di causa-effetto, congiuntamente valutata con il concorso di altri fattori collegati a contesti fortemente inquinati e degradati dei teatri operativi, hanno indotto il legislatore a non richiedere, in caso di malattia dipendente da esposizione all’uranio impoverito per missione militare, la dimostrazione del nesso causale con un grado di certezza assoluta, essendone sufficiente la dimostrazione in termini probabilistico-statistici.
[18] T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. I, 15 novembre 2023, n. 1043; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 15 dicembre 2022, n. 16931, tutte in www.giustizia-amministrativa.it. Incombe sull’Amministrazione l’onere di provare che l’esposizione del militare all’inquinante (uranio impoverito) non abbia determinato l’insorgere della patologia e che essa dipende invece da altri fattori (esogeni) dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica, e determinanti per l’insorgere dell’infermità. Del resto, una volta accertata l'esposizione del militare all’inquinante, che non necessita di un accertamento in termini di certezza, è la P.A. che deve dimostrare che detta esposizione non abbia determinato l’insorgere della patologia e che essa dipende invece da altri fattori (esogeni) dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica.
Cfr., inoltre, Cons. St., Sez. I, 17 marzo 2021 n. 435; Cons. St., Sez. IV, 26 febbraio 2021 n. 1661; Id., 30 novembre 2020, n. 7560 e 7562; Id., Sez. II, 22 aprile 2022, n. 3112, tutte in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lombardia, Brescia, 1° luglio 2022, n. 655, in Foro amm., 2022, 7-08, II, 973.
La natura della responsabilità dell’amministrazione della difesa per i danni subiti dai militari nelle missioni all’estero è stata spesso dibattuta in giurisprudenza. Secondo un primo orientamento tale responsabilità deve essere ascritta alla genus della responsabilità extra-contrattuale di cui all’art. 2043 c.c. (in tal senso vedasi in primis la nota sentenza Trib. Roma, Sez. XXII, 1° dicembre 2009, n. 10431, in Foro it., 2010, 2, I, p. 676 ss., seguita da diverse altre pronunce tra cui si cita ex multis Cass. civ., Sez. III, 15 luglio 2009, n. 16456, in Foro it., Mass. 2009). Un diverso orientamento, col tempo divenuto maggioritario, inquadra detta responsabilità nell’alveo dell’art. 2087 c.c. e, quindi, nella categoria della responsabilità contrattuale del datore di lavoro (in tal senso si vedano ex multis: Trib. Roma, Sez. XIII, 15 luglio 2009, n. 16320, in www.dejure.it, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 5 agosto 2010, n. 17232, T.A.R. Valle d’Aosta, Aosta, Sez. I, 20 settembre 2017, n. 56 e T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. I, 18 aprile 2017, n. 564, tutte consultabili in www.giustizia-amministrativa.it).
[19] T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 12 dicembre 2023, n. 18756, in www.giustizia-amministrativa.it.
T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 24 aprile 2019, n. 331, in www.giustizia-amministratuva.it, in cui si afferma che “è viziato da difetto di istruttoria e di motivazione il decreto con cui il direttore della direzione di amministrazione - sezione equo indennizzo del comando generale dell'arma dei carabinieri ha stabilito che le infermità non dipendono da causa di servizio, nonché ha rigettato la domanda di equo indennizzo senza considerare i possibili legami causali tra la patologia tumorale, seppure benigna, che ha colpito il ricorrente e l’esposizione ai fattori nocivi presenti sul territorio della missione internazionale denominata Kfor in Kosovo, il cui territorio veniva colpito da bombardamenti con munizionamenti contenenti uranio impoverito con conseguente inquinamento atmosferico e ambientale; invero, in caso di infermità contratte da militari a causa dell'esposizione a polveri sottili derivanti dall'uranio impoverito, il verificarsi dell'evento costituisce un dato ex se sufficiente a ingenerare il diritto per le vittime delle patologie e per i loro familiari al risarcimento a meno che la pubblica amministrazione non riesca a dimostrare che essa non aveva determinato l'insorgenza della patologia la quale dipenda, invece, da fattori esogeni, dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica e determinanti per l’insorgere dell’infermità”.
Negli stessi termini, T.A.R. Piemonte, Sez. I, 6 marzo 2015 n. 429, in Foro amm., 2015, 3, 867; Id., Sez. I, 6 giugno 2018, n. 710 T.A.R. Friuli Venezia-Giulia, Trieste, Sez. I, 12 marzo 2018, n. 63, in www.giustizia-amministrativa.it.
[20] Secondo la Corte di Cassazione (ex multis: Cass. civ., Sez. III, 30 novembre 2018, n. 31007, in www.dejure.it) dal risarcimento del danno spettante al militare che abbia contratto una patologia tumorale a seguito dell’esposizione all’uranio impoverito durante una missione internazionale va detratto, in applicazione del principio della “compensatio lucri cum damno”, l’indennizzo a questi erogato ex art. 2, c. 78 e 79, l. n. 244/2007 (ratione temporis applicabile), essendo una elargizione avente finalità compensativa posta a carico del medesimo soggetto (pubblica amministrazione) obbligato al risarcimento del danno.
[21] Il criterio del “più probabile che non” è stato posto alla base della responsabilità dell’amministrazione della difesa in diverse altre sentenze. A titolo esemplificativo si può citare T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, 2 ottobre 2014, n. 1568, in www.giustizia-amministrativa.it, secondo la quale «a causa dell’impossibilità di stabilire, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, un nesso diretto di causa-effetto, e per il riconoscimento del concorso di altri fattori collegati ai contesti fortemente degradati ed inquinati dei Teatri Operativi, non debba essere richiesta la dimostrazione dell’esistenza del nesso causale con un grado di certezza assoluta, essendo sufficiente la dimostrazione, in termini probabilistico-statistici…». In termini analoghi vedasi anche T.A.R. Liguria, Genova, Sez. I, 29 settembre 2016, n. 956, in www.giustizia-amministrativa.it, secondo la quale «il verificarsi dell’evento costituisce ex se un dato sufficiente, secondo il cosiddetto “criterio di probabilità”, a far sì che le vittime delle patologie abbiano diritto ai benefici previsti dalla legislazione vigente ogni qual volta, accertata l’esposizione del militare all’inquinante in parola, l’amministrazione non riesca a dimostrare che essa non abbia determinato l’insorgenza della patologia e che questa dipenda, invece, da fattori esogeni dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica».
In senso conforme vedasi anche Cons. St., Sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 837, in www.giustizia-amministrativa.it.
[22] Cons. St., Sez. II, 20 aprile 2022, n. 2991, in Foro amm., 2022, 4, II, 496; Cons. St., Sez. II, 12 aprile 2022, n. 2742, in www.giustizia-amministrativa.it, in cui si afferma che “il militare che sostiene la commissione di illecito civile da parte della P.A. deve provare la connessione fra neoplasia e esposizione all’uranio. Il militare interessato a percepire la speciale elargizione di cui all'art. 5, comma 1, della l. n. 206 del 2004 non deve dimostrare l’esistenza di un nesso eziologico fra esposizione all’uranio impoverito e neoplasia, essendo, invece, necessario un tale accertamento qualora lo stesso proponga una domanda risarcitoria, ossia assuma la commissione di un illecito civile da parte dell’Amministrazione.
[23] Ex multis, Cons. St., Sez. I, parere, 13 luglio 2023, n. 1030, in www.giustizia-amministrativa.it.
[24] Cfr. Cons. St., Sez. IV, 4 ottobre 2017 n. 4619; Id., Sez. III, 7 marzo 2017, n. 1076; Cons. St., Sez. II, 8 maggio 2019, n. 297, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.
[25] Cfr. Cons. St., Sez. IV, 16 marzo 2012, n. 1510; Cons. St., Sez. III, 7 marzo 2017, n. 1076, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.
[26] Cfr., Cass. civ., Sez. Lav., Sez. III, 17 febbraio 2019, n. 1052, in Giust. civ. Mass., 2019; Cons. St., Sez. IV, 4 luglio 2011, n. 3967, in Foro amm.-CdS, 2011, 7-8, 2482.
[27] Cfr., Cons. St., Sez. IV, 29 gennaio 2015, n. 430; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 28 settembre 2020, n. 9807, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.
[28] Ex. multis, cfr. Cons. St., Sez. I, 10 luglio 2023, n. 1013, in www.giustizia-amministrativa.it.