L’interesse ad accedere agli atti della procedura di project financing (Nota a Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02/05/2024 n. 3979)
di Gloria Pelosi
Sommario: 1. La vicenda rimessa al vaglio del Consiglio di Stato. - 2. L’accesso difensivo nella legge n. 241/1990: natura giuridica, funzioni e requisiti di legittimazione attiva. - 3. La soluzione adottata dal Consiglio di Stato con la pronuncia n. 3979/2024.
1. La vicenda rimessa al vaglio del Consiglio di Stato.
Si riassume per sommi capi la vicenda che ha dato origine alla decisione in commento, considerato che le peculiarità della stessa hanno avuto un peso rilevante nell’individuazione delle questioni giuridiche sulle quali il Consiglio di Stato si è pronunciato.
Il giudizio di primo grado era stato instaurato dinanzi al TAR Lazio ai sensi dell’art. 116 del d. lgs. n. 104/2010 da parte di un operatore economico che, avendo presentato una istanza di accesso agli atti di una procedura ad evidenza pubblica, se l’è vista rigettare dalla pubblica amministrazione.
Occorre sottolineare come, nella specie, la procedura di gara era stata espletata ai sensi dell’art. 183, comma 15, del d. lgs. n. 50/2016 (normativa applicabile ratione temporis al procedimento in questione) e, dunque, a seguito dell’approvazione di una proposta di project financing.
Per comprendere la portata della richiesta ostensiva rigettata, occorre sinteticamente descrivere la procedura di project financing di cui all’art. 183, comma 15, del d. lgs. n. 50/2016. Questa, come chiarito dal Consiglio di Stato nella sentenza in commento, consta di tre fasi.
La prima fase è quella dell’iniziativa, la quale è volta non già a scegliere il migliore fra una pluralità di offerenti sulla base di criteri tecnici ed economici predeterminati, bensì all’accoglimento della proposta formulata dall’aspirante promotore inerente alla presentazione della proposta di finanza di progetto, in cui si esprime la valutazione dell’interesse pubblico. La seconda fase, che è di appannaggio della sola amministrazione, è volta a valutare la fattibilità della proposta e ad inserire l’opera dichiarata di pubblico interesse nella programmazione triennale, con sottoposizione ad approvazione del progetto preliminare rimessa al consiglio. La terza fase, invece, prevede l’indizione di una procedura di gara sul progetto approvato, soggetta ai principi comunitari e nazionali in materia di evidenza pubblica.
Ciò detto, l’istanza di accesso è stata presentata da una società che a detta procedura di gara non aveva mai preso parte, neppure nella fase a monte relativa alle consultazioni di mercato e alla predisposizione del progetto da porre a base di gara.
E tuttavia, la società istante, che riteneva che dalla realizzazione dell’opera pubblica programmata avrebbe subito una lesione ai propri diritti e interessi economici, da dapprima instaurato un giudizio volto all’annullamento dell’intera procedura, nell’ambito del quale era stata impugnata la determinazione dirigenziale con la quale l’amministrazione aveva approvato la proposta di project financing e, con motivi aggiunti, anche l’aggiudicazione.
Successivamente, ha presentato istanza di accesso ai sensi dell’art. 53 del d. lgs. n. 50/2016 e degli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990, motivando la propria richiesta con riferimento alla necessità di utilizzare i documenti attinenti all’ultima fase della procedura di project financing (ossia quelli successivi all’adozione della lex specialis e, in particolare, tutti quelli attinenti all’aggiudicazione della procedura di gara, compresa l’offerta presentata dal RTI, unico concorrente, poi risultato aggiudicatario) per finalità difensive, non solo in considerazione del contenzioso già pendente, ma anche di eventuali iniziative future.
Di qui, la qualificazione dell’accesso come accesso difensivo.
Sulla predetta istanza si è formato il silenzio diniego, al quale ha fatto seguito una nota dell’amministrazione che motivava il diniego sulla base delle seguenti argomentazioni: assenza, in capo alla società istante, di un interesse diretto, concreto e attuale all’accesso, dal momento che la stessa non aveva presentato un’offerta nell’ambito della procedura; assenza di un interesse difensivo nei confronti degli atti di gara, dal momento che il contenzioso pendente era volto all’annullamento e non all’aggiudicazione della procedura e presenza di una valida opposizione del controinteressato all’accesso agli atti di gara.
L’intero giudizio nell’ambito del quale si innesta la sentenza del Consiglio di Stato in commento si appunta sullo scrutinio di tale diniego di accesso agli atti. Mentre il giudice di primo grado ne aveva censurato l’illegittimità e, per l’effetto, aveva ordinato l’esibizione degli atti di gara richiesti, il Consiglio di Stato, quale giudice d’appello, ha ribaltato la decisione di primo grado accogliendo i motivi di ricorso del soggetto controinteressato all’accesso, nonostante gli atti di gara fossero stati esibiti in ottemperanza alla sentenza di primo grado. Infatti, come ricorda lo stesso Consiglio di Stato nella sentenza in commento, che sul punto richiama un precedente in tal senso dell’Adunanza Plenaria (24 gennaio 2023 n. 4), ritenere che l’avvenuta ostensione dei documenti in ottemperanza alla sentenza di primo grado determini il venir meno dell’interesse a impugnare da parte del controinteressato all’accesso, significherebbe o privare la sentenza di primo grado di efficacia esecutiva o il processo sull’accesso del secondo grado di giudizio. Inoltre, l’interesse del controinteressato all’accesso alla decisione di secondo grado sussiste perché priva il ricorrente vittorioso in primo grado della possibilità di utilizzare i documenti ostesi e munisce l’appellante degli strumenti volti a tutelarsi da un eventuale uso indebito degli stessi.
2. L’accesso difensivo nella legge n. 241/1990: natura giuridica, funzioni e requisiti di legittimazione attiva.
Come è noto, il diritto di accesso ai documenti amministrativi è stato introdotto nel nostro ordinamento con legge n. 241/1990, artt. 22 e ss., e consiste nel diritto dei soggetti privati interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi detenuti dalla pubblica amministrazione[1].
Si tratta quindi di un istituto presente nell’impianto della predetta legge sin dalla sua introduzione, ed anzi ne costituisce uno dei maggiori punti di svolta, come si evince dal titolo della stessa, che detta “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”[2]. Ed infatti, la sua entrata in vigore ha contribuito ad invertire le regole del “segreto d’ufficio” e della segretezza in favore della trasparenza e della pubblicità degli atti[3].
Oggi, ai sensi dell’art. 22, secondo comma, della l. n. 241/1990, “l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”.
Il diritto di accesso di cui alla legge n. 241/1990 è riconosciuto non al quisque de populo[4], ma soltanto a quei soggetti privati[5] che dimostrino di essere titolari di un interesse conoscitivo qualificato, in quanto titolari di una situazione giuridica soggettiva di base collegata al documento di cui è chiesta l’ostensione.
In tal senso, all’art. 25, secondo comma, della l. 241/1990 si prevede che la richiesta di accesso ai documenti amministrativi deve essere motivata dal soggetto istante in relazione alla titolarità dei requisiti di legittimazione attiva all’accesso.
Questi sono delineati dall’art. 22, primo comma, lett. b) della l. n. 241/1990), il quale, precisamente, stabilisce che il diritto di accesso è attribuito a “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”[6].
L’accesso documentale è una tipologia di accesso che risponde essenzialmente ad un bisogno di conoscenza da parte di soggetti privati: “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni” (art. 24, terzo comma, l. 241/1990).
In altri termini, l’informazione non costituisce per il soggetto istante l’interesse finale, il bene della vita cui aspira. Piuttosto, il diritto di accesso delineato dalla legge n. 241/1990 si configura come una posizione giuridica soggettiva attribuita dall’ordinamento per la cura di una preesistente situazione giuridica collegata al documento di cui si chiede l’ostensione.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6 del 18 aprile 2006 ha espressamente riconosciuto il carattere strumentale del diritto di accesso, laddove ha stabilito che esso, a prescindere dalla questione – ancora dibattuta - circa la sua natura giuridica[7] (cioè della sua configurabilità come diritto soggettivo o come interesse legittimo), costituisce una situazione soggettiva che, più che fornire utilità finali (caratteristica da riconoscere, ormai, non solo ai diritti soggettivi ma anche agli interessi legittimi), risulta caratterizzata per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante.
Da qui l’affermazione secondo cui il diritto di accesso documentale, contrariamente all’accesso civico, sia semplice, sia generalizzato[8], la cui disciplina è contenuta nel d. lgs. n. 33/2013, è volto al soddisfacimento di finalità di pubblico interesse, quali la trasparenza e l’imparzialità della pubblica amministrazione, soltanto se e nella misura in cui esso risponda ad un bisogno di conoscenza connesso ed un’esigenza di protezione di una situazione giuridica soggettiva preesistente[9].
Il diritto di accesso delineato dalla legge n. 241/1990, oltre ad essere strumento di partecipazione, di trasparenza e di imparzialità, può assumere un’ulteriore autonoma funzione, enucleata dall’ultimo comma dell’art. 24 della legge n. 241/1990. Si tratta dell’accesso difensivo (o difensionale), ossia dell’accesso agli atti esercitato da parte del soggetto istante con la finalità di curare o difendere i propri interessi giuridici. Tale norma, posta in chiusura del sistema delle esclusioni dal diritto di accesso agli atti, prevede che in tali casi l’accesso deve comunque essere garantito ai richiedenti se la conoscenza dei documenti richiesti sia necessaria (o, addirittura, strettamente indispensabile nei casi in cui l’accesso riguardi dati sensibili e giudiziari) per espletare le proprie esigenze difensive.
Tale particolare finalità dell’accesso difensivo, riconducile in senso lato al diritto di cui all’art. 24 Cost., permea l’intera disciplina cui esso è soggetto, tant’è che ormai ne viene affermata la piena l’autonomia concettuale e dogmatica[10].
Si tratta di una forma di accesso “caratterizzata (dal lato attivo) da una vis espansiva capace di superare le ordinarie preclusioni che si frappongono alla conoscenza degli atti amministrativi; e connotata (sul piano degli oneri) da una stringente limitazione, ossia quella di dovere dimostrare la necessità della conoscenza dell’atto o la sua stretta indispensabilità, nel coso in cui l’accesso riguarda dati sensibili o giudiziari”[11].
Il diritto di accesso motivato sulla base di esigenze difensive, dunque, si presenta come una situazione giuridica capace di resistere alle contrapposte esigenze di riservatezza che vengono in rilievo nel caso concreto. Ciò a condizione che nella motivazione posta a corredo dell’istanza ostensiva venga adeguatamente rappresentata la sussistenza, nel caso concreto, dei requisiti di legittimazione attiva previsti dalla legge per tale tipologia di diritto di accesso.
Il legislatore ha infatti previsto dei puntuali criteri finalizzati ad individuare con precisione la situazione legittimante all’accesso difensivo, imponendo così al privato che voglia avanzare alla pubblica amministrazione una istanza di tal fatta un onere motivazionale aggravato rispetto a quello richiesto per l’accesso documentale semplice (o classico).
È necessario richiamare le argomentazioni e i principi di diritto contenuti della sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 18/03/2021, che ha contribuito a delineare in maniera chiara i confini applicativi dell’istituto in esame[12].
La ratio del diritto di accesso difensivo è costituita dal nesso di strumentalità necessaria, sulla base del quale occorre che vi sia un collegamento tra l’interesse difensivo che è alla base dell’stanza e il documento richiesto. La valutazione circa la sussistenza del nesso di strumentalità è regolata in ogni sua parte dalla legge, nonché dal relativo regolamento di attuazione (ossia il d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184), in modo tale da non lasciar residuare “tratti liberi” rimessi all’interpretazione della pubblica amministrazione[13] ovvero al prudente apprezzamento del giudice.
La norma dalla quale si evince la centralità del nesso di strumentalità nell’ambito dell’istituto in esame è l’art. 22, comma 1, lett. b) della l. 241/1990, laddove si afferma che l’interesse all’accesso, oltre ad essere diretto[14], concreto e attuale[15], deve corrispondere ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale l’accesso si riferisce.
Da qui il rilievo, evidenziato dall’Adunanza plenaria, secondo cui il giudizio sull’interesse legittimante è ancorato allo scrutinio di due parametri fissi, rigidi e predeterminati: la corrispondenza e il collegamento.
L’interesse conoscitivo legittimante l’accesso difensivo è quello che corrisponde in modo diretto concreto e attuale a delle preesistenti esigenze di cura o di difesa (anche in giudizio) di una situazione giuridicamente tutelata.
La valutazione circa la sussistenza del requisito della corrispondenza coincide essenzialmente con un giudizio di pratica sussunzione che l’interprete deve effettuare tra “il fatto concreto di cui la parte domanda la tutela in giudizio e l’astratto paradigma legale che ne costituisce la base legale”[16]. In altri termini, esso è da ritenere sussistente in quelle sole ipotesi in cui vi sia piena corrispondenza tra le ragioni di tutela evidenziata nell’istanza (ossia i fatti, principali e secondari, di cui la fattispecie concreta si compone) e la fattispecie astratta che costituisce la base legale delle esigenze difensive avanzate nell’istanza.
Il requisito del collegamento, invece, sta ad indicare la necessità che il documento amministrativo di cui è richiesta l’ostensione sia connesso con la situazione giuridica controversa e con le esigenze difensive rappresentante nell’istanza ostensiva. Si richiede, in altri termini, che l’accesso sia utilizzato quale strumento per acquisire gli elementi di prova in ordine ai fatti integranti la fattispecie costitutiva della situazione giuridica controversa.
La volontà del legislatore, nell’interpretazione del giudice amministrativo, è stata quella di esigere che le finalità difensive siano adeguatamente e puntualmente rappresentate nella richiesta ostensiva, in modo tale da permettere all’amministrazione detentrice del documento e al giudice eventualmente adito nell’ambito del giudizio di accesso il vaglio circa la sussistenza del nesso di strumentalità necessaria, tra la documentazione richiesta sub specie di astratta pertinenza con la situazione finale controversa[17].
Si deve invece escludere che nell’istanza di accesso sia sufficiente un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive (siano esse riferite ad un giudizio già pendente oppure ancora instaurando), ovvero all’incertezza della situazione giuridica sostanziale, “poiché l’ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l’istante intende curare o tutelare”.
Con riferimento, però, alla tipologia di valutazione che spetta alla pubblica amministrazione ed eventualmente al giudice amministrativo adito ai sensi dell’art. 116 c.p.a.[18], è importante precisare come essi “non devono invece svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla pubblica amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, di esercizio pretestuoso e temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241/1990”[19].
3. La soluzione adottata dal Consiglio di Stato con la pronuncia n. 3979/2024.
Il Consiglio di Stato, nella pronuncia in commento, è stato chiamato a verificare, nel caso di specie sopra brevemente delineato, la sussistenza dei presupposti legittimanti il diritto di accesso difensivo, per poi scrutinare il diniego opposto dalla pubblica amministrazione.
In particolare, il collegio si è interrogato sul se un operatore economico che si trovi nella situazione sopra descritta possa vantare, come richiesto dall’art. 22, comma 1, lett. b) della legge n. 241/1990, un interesse “diretto, concreto e attuale” all’accesso, pervenendo ad una soluzione negativa e così sovvertendo la soluzione accolta dai giudici di prime cure.
Ciò sulla base del fatto che, secondo i giudici di Palazzo Spada, l’istanza di accesso concretamente presentata costituisce un tentativo di strumentalizzare il diritto di accesso agli atti di gara per delle finalità che vanno oltre la stessa.
L’interesse posto alla base dell’istanza di accesso, infatti, è quello di opporsi alla realizzazione dell’opera pubblica che era stata programmata e poi posta a base di gara; mentre invece gli atti oggetto dell’istanza erano quelli relativi terza fase della procedura di project financing e, in particolare, quelli inerenti alla fase conclusiva della gara. Tale circostanza evidenzia una palese discrasia, un vero e proprio scollamento, tra l’interesse sostanziale evidenziato nell’istanza di accesso e i documenti rispetto ai quali si appunta la richiesta ostensiva.
In altri termini, il ragionamento svolto dal collegio è il seguente: se l’interesse sostanziale evidenziato dalla parte istante è quello a che il progetto posto a base di gara non venga realizzato, gli unici atti che effettivamente minacciano la realizzazione di tale interesse e rispetto ai quali la società istante può vantare un interesse difensivo sono quelli relativi alla prima fase della procedura di project financing, ossia quella di progettazione.
La pubblica amministrazione, invece, avrebbe senz’altro potuto esibire i documenti relativi alla fase di gara soltanto qualora l’interesse difensivo rappresentato nella richiesta di accesso agli atti fosse stato quello di difendersi da una procedura di gara illegittimamente svoltasi al fine di ottenere l’aggiudicazione della commessa pubblica.
Queste osservazioni conducono i giudici a negare la sussistenza nel caso di specie del nesso di strumentalità, difettando la necessaria corrispondenza tra le ragioni di tutela evidenziate nell’istanza e l’astratto paradigma legale cui è rivolta l’esigenza difensiva.
Il paradigma costituente la base legale delle esigenze difensive avanzate nell’istanza viene identificato dal collegio nella possibilità di difendersi dagli atti di gara successivi all’adozione della lex specialis. Possibilità, questa, che dipende dalla sussistenza, in capo alla società istante, della legittimazione e dell’interesse ad impugnare gli atti di gara.
Tuttavia, i giudici hanno ritenuto che alla società istante non spettasse la legittimazione a impugnare gli atti di gara successivi al bando. A sostegno di tale assunto i giudici richiamano la giurisprudenza nazionale (e, in particolare, le sentenze dell’Adunanza Plenaria del 26 aprile 2018 n. 4, del 7 aprile 2011 n. 4 e del 29 gennaio 2003 n. 1) secondo la quale in linea generale la legittimazione ad impugnare gli atti di gara spetta soltanto a chi vi ha partecipato, nonchè la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’unione europea (Cgue, sez. X, 9 febbraio 2023, C-53/22), laddove ha stabilito che l’ammissibilità del ricorso agli atti di gara deve essere assicurato a “chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione”, quindi soltanto chi ha presentato un’offerta ammissibile.
Per altro, si afferma nella sentenza in commento che l’interesse manifestato nell’istanza di accesso non presenterebbe il requisito dell’immediatezza. Ciò in quanto un eventuale annullamento degli atti di gara comporterebbe sì il soddisfacimento dell’interesse alla non realizzazione dell’opera, ma soltanto in via indiretta e soltanto a seguito di una pluralità di variabili: l’impugnazione e il successivo annullamento degli atti di gara e, inoltre, la decisione della stazione appaltante di non indire una nuova procedura ad evidenza pubblica per la realizzazione della medesima opera.
Per questa ragione, nel caso di specie i giudici hanno ritenuto di non poter fare uso della nozione ampia di interesse a ricorrere delineata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Ciò in quanto, mentre nel caso in esame l’interesse cui l’operatore economico aspira è il fallimento dell’opera pubblica programmata, nelle ipotesi ampia di interesse a ricorrere delineato dalla Corte di Giustizia, invece, si prende in considerazione l’interesse dell’operatore economico ad avere la possibilità di ottenere una nuova riedizione della gara, anche nell’ipotesi in cui egli avrebbe dovuto essere escluso dalla gara precedete.
L’interesse al fallimento dell’opera pubblica programmata, di per sé considerato, afferma il Collegio, non può per altro ritenersi meritevole di tutela nel nostro ordinamento, dal momento che la posizione del privato che dialoga con il pubblico potere è volta a far sì che l’esercizio legittimo di quest’ultimo sia volto alla migliore soddisfazione possibile dei propri interessi. Invece, nel caso di specie, l’operatore economico, al fine di non vedere realizzata l’opera programmata che lede i propri interessi, spera in un’inefficienza della pubblica amministrazione, che decida di non portare a termine il progetto programmato.
A ben vedere, difetterebbe anche la preesistenza della situazione difensiva. Infatti, la pretesa alla non realizzazione dell’opera potrebbe essere soddisfatta soltanto al verificarsi di una variabile estranea all’esito del giudizio amministrativo e del tutto casuale, ossia, come già sottolineato, la scelta discrezionale della stazione appaltante di non indire nuovamente la gara.
Oltre agli aspetti sin qui considerati, il Consiglio di Stato ritiene che il diniego opposto dall’amministrazione sia legittimo, anche in ragione dell’opposizione all’accesso presentata dal controinteressato a tutela della riservatezza della propria attività.
È noto infatti come, la disciplina dell’accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, contenuta all’art. 53 del d. lgs. 50 del 2016, pur richiamando la disciplina generale prevista dagli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990, costituisce un sistema normativo speciale in ragione delle peculiari esigenze di riservatezza che sono solite manifestarsi nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica.
Tra le specifiche disposizioni che qui vengono in rilievo vi è quella di cui al comma 5 dell’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, che prevede alla lettera a), tra i casi assoluti di esclusione del diritto di accesso, le informazioni rese nell’ambito dell’offerta che costituiscono, secondo motivata e comprovata opposizione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali.
Il successivo comma 6 dell’art. 53 del D. lgs. n. 50 del 2016, anche in presenza dell’opposizione motivata del controinteressato, consente comunque l’accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione di contratti pubblici al “concorrente” al fine di tutelare in giudizio i propri interessi.
Pertanto, la disciplina di cui al comma 6, che consente ai soli fini difensivi un accesso capace di prevalere sulle esigenze di tutela della riservatezza dei controinteressati, presuppone che l’operatore economico richiedente l’accesso sia un “concorrente” e che abbia quindi quanto meno presentato un’offerta ammissibile. Evenienza questa che, come già volte sottolineato, difettava nel caso di specie.
Ogni operatore economico partecipante è consapevole che, per ottenere il bene della vita anelato (l’aggiudicazione), è tenuto, così come gli altri concorrenti, ad assolvere agli oneri comunicativi imposti dalla stazione appaltante, la quale è tenuta a rispettare le esigenze di riservatezza che vengono in rilievo nelle procedure ad evidenza pubblica.
Il rapporto che si instaura tra gli operatori economici partecipanti e le Amministrazioni è stato definito come “rapporto di fiducia” ed esso è tale per cui gli operatori economici partecipanti alle gare devono poter confidare sul fatto che le stazioni appaltanti non rivelino a terzi le loro informazioni riservate, la cui divulgazione potrebbe pregiudicare la loro attività commerciale e falsare la concorrenza.
Il soggetto che è terzo, al contrario dei partecipanti alla gara, non ha assunto alcun rischio relativo alla propria attività imprenditoriale e, pertanto, non essendo la sua posizione paragonabile a quella degli altri operatori economici partecipanti, la sua richiesta ostensiva può non essere accolta.
Per tutti questi motivi, il Consiglio di Stato ha dichiarato la legittimità del diniego di accesso agli atti serbato dalla pubblica amministrazione.
Alla luce di quanto fin qui esposto, è possibile affermare che nella sentenza in commento il Consiglio di Stato abbia adottato una soluzione che si pone del tutto in linea con i principi di diritto enucleati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 4/2021 in materia di accesso difensivo.
L’analisi dell’apparato motivazionale posto a corredo della decisione in esame, anzi, costituisce l’occasione per vedere “attraverso la lente di ingrandimento” come, nella prassi, la pubblica amministrazione e il giudice amministrativo siano tenuti a scrutinare le istanze di accesso agli atti, onde verificare sussistenza, nel caso concreto, del requisito del nesso di necessaria strumentalità tra esigenze difensive rappresentate nell’istanza e documenti cui la stessa si riferisce.
La sentenza in commento, come già evidenziato, ribalta l’esito cui erano pervenuti i giudici di prime cure[20], i quali invece avevano ritenuto sussistente il nesso di necessaria strumentalità sulla base dell’assunto per cui non si può astrattamente escludere che l’ostensione della documentazione di gara possa rivelarsi utile per la coltivazione del giudizio volto a contestare la decisione della stazione appaltante di avviare la procedura di project financing.
Tuttavia, se in linea teorica tale affermazione può apparire condivisibile, ciò che in ogni caso effettivamente mancava nel caso concreto era una adeguata rappresentazione delle esigenze difensive nella motivazione dell’istanza di accesso. In questa, infatti, si sarebbe dovuta evidenziare la possibilità che, dall’accesso agli atti di gara, il soggetto istante mirava ad individuare degli specifici vizi relativi alla fase a monte della procedura, tali per cui si riusciva a dimostrare che quell’opera pubblica per la quale la gara era stata indetta in realtà mai si sarebbe potuta realizzare. Solo così si può cogliere quel collegamento tra l’esigenza di opporsi alla decisione a monte di realizzare un’opera pubblica e gli atti della procedura di gara indetta per la sua realizzazione che è necessario che attribuire la titolarità del diritto di accesso al soggetto istante.
Pur condividendo la soluzione accolta dal Consiglio di Stato, occorre infine svolgere ulteriori alcuni brevi considerazioni.
La sentenza in commento, infatti, ha sicuramente il pregio di mettere in risalto l’importanza che il nesso di necessaria strumentalità ha nell’ambito dei requisiti di legittimazione all’accesso difensivo. Tuttavia, appare comunque opportuno precisare come i concetti di interesse ad accedere agli atti e di interesse a ricorrere vadano tenuti nettamente distinti. Il giudizio circa la sussistenza nel caso concreto di un collegamento tra le esigenze difensive paventate nell’istanza e gli atti amministrativi richiesti non può (e non deve) coincidere con la valutazione circa la sussistenza di un interesse a ricorrere avverso quegli atti.
Mentre il primo spetta al giudice chiamato a valutare ex art. 116 c.p.a. la legittimità o meno del diniego serbato dalla pubblica amministrazione in materia di accesso agli atti; la seconda spetta unicamente al giudice della causa principale[21].
Il diritto di accesso e il relativo giudizio instaurato ex art. 116 c.p.a. davanti al giudice amministrativo hanno una valenza strumentale, ma comunque autonoma, rispetto sia alla situazione giuridica di base che si intende tutelare, sia all’eventuale giudizio principale instaurato o ancora da instaurare in cui quella situazione si intende far valere.
Pertanto, seppure negli anni, sia il legislatore, con la riforma del 2005, sia la giurisprudenza, con l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, abbiano accentuato l’importanza che il nesso di strumentalità ha nell’individuare la platea dei soggetti legittimati ad esercitare il diritto di accesso difensivo, bisogna comunque tenere nettamente distinti i concetti di interesse ad accedere e di interesse a ricorrere, per evitare rischiose sovrapposizioni.
[1] Oltre all’accesso documentale di cui alla legge n. 241/1990, il nostro ordinamento conosce altre due tipologie di accesso, di più recente introduzione, aventi una portata applicativa generalizzata, ossia l’accesso civico semplice e l’accesso civico generalizzato, disciplinate dal d. lgs. 33/2013, alle quali si affiancano altre forme di accesso settoriali (tra le quali si segnalano l’accesso ambientale di cui al d.lgs. 195/2005 e l’accesso nell’ordinamento degli enti locali di cui all’art. 10 del d. lgs. 267/2000 (TUEL). Per un approfondimento sulle distinzioni e i rapporti tra le varie forme di accesso agli atti, in dottrina si vedano: A. Celotto, La trasparenza e l’accesso ai documenti amministrativi, in C. Contessa, R. Greco (a cura di), L’attività amministrativa e le sue regole (a trent’anni dalla legge n. 241/1990), Piacenza 2020, p. 541; F. Manganaro, Evoluzione ed involuzione delle discipline normative sull’accesso a dati, informazioni ed atti delle pubbliche amministrazioni, in Diritto amm., 2019, p. 743; F. Patroni Griffi, La trasparenza della pubblica amministrazione tra accessibilità totale e riservatezza, in federalismi.it, 2013, 8; S. Sergio, Il diritto di accesso procedimentale e il diritto di accesso civico, fra differenze e analogie. In particolare, la legittimazione ad esercitare il diritto di accesso, in federalismi.it, 2020, fasc. 20; A. Simonati, I principi in materia di accesso, in M.A. Sandulli (a cura di) Codice dell’azione amministrativa, Milano 2017, pag. 1209.
[2] G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, Ottava edizione, Torino 2017, p.245.
[3] M.C. Cavallaro, Garanzie della trasparenza amministrativa e tutela dei privati, in Diritto amm., 1° marzo 2015, fasc. 1, pag. 121, in cui l’A. sottolinea come “se prima la regola era il segreto e l’accesso rappresentava l’eccezione, la 241 capovolge tale rapporto, facendo divenire l’accesso ai documenti la regola generale e il segreto la relativa eccezione”.
[4] Questo a differenza di quanto previsto dal progetto di legge predisposto dalla Commissione Nigro, che legittimava all’accesso “tutti i cittadini”. Sul punto si veda F. Caringella, R. Garofoli, M.T. Sempreviva, in L’accesso ai documenti amministrativi – profili sostanziali e processuali, II edizione, Milano 2003, pag. 59, in cui si evidenzia come “la scelta della restrizione soggettiva, operata dal legislatore, trova la sua ratio in motivi di ordine pubblico, riconducibili al rischio che il riconoscimento a chiunque della facoltà di proporre istanza di accesso avrebbe comportato una mole di lavoro tale da provocare conseguenziali difficoltà organizzative da parte dell’amministrazione”. Sul punto cfr. Cons. St., Sez. VI, 20 novembre 2013, sent. n. 5515: “Il legislatore ha, inoltre, inteso configurare il diritto di accesso come strumento di composizione di interessi antagonisti incisi dall’azione amministrativa. Le disposizioni in materia di accesso mirano a coniugare la “ratio” dell’istituto, quale fattore di trasparenza e garanzia di imparzialità dell’Amministrazione – nei termini di cui all’art. 22 della citata legge n. 241/1990 – con il bilanciamento da effettuare rispetto ad interessi contrapposti, inerenti non solo alla riservatezza di altri soggetti coinvolti, ma anche alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione, che appare da salvaguardare in presenza di richieste pretestuose e defatiganti, ovvero introduttive di forme atipiche di controllo”.
[5] R. Leonardi, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi: a proposito dei soggetti attivi per un’azione amministrativa trasparente, ma non troppo, in Foro Amm., 2006, pagg. 2155 ss.
[6] La norma è il frutto di una modifica legislativa intervenuta ad opera della legge n. 15 del 2005, che ha completamente riscritto la fattispecie legittimante il diritto di accesso agli atti, rendendola molto più dettagliata e restrittiva della precedente. Per un commento sulle novità introdotte dalla riforma avutasi con l. n. 15 del 2055, si veda A. Sandulli, L’accesso ai documenti amministrativi, in Giorn. dir. amm., 2005, 5; M. Ciommola, La legittimazione ad accedere ai documenti amministrativi prima e dopo la l. 11 febbraio 2005 n. 11, Foro Amm. TAR, 2007, 3, pag. 1181.
[7] G. Virga, L’erba fenice della natura giuridica del diritto di accesso, in Lexitalia.it, 2006, fasc. 5.
[8] L’accesso civico semplice costituisce una forma di accesso di tipo “reattivo”, nel senso che serve da parte di “chiunque” per ottenere l’adempimento, da parte della pubblica amministrazione, degli obblighi di pubblicazione legislativamente previsti (art. 5, primo comma, d. lgs. n. 33/2013); l’accesso civico generalizzato (introdotto nell’impianto del d. lgs. n. 33/2013 con la l. n. 97/2016), invece, è un accesso di tipo “proattivo”, nel senso che consente a chiunque, a prescindere dall’esistenza di obblighi di pubblicazione rimasti inadempiuti – di accedere a dati o documenti concernenti lo svolgimento dell’attività amministrativa. Sull’accesso civico semplice, ex multis: E. Carloni, L’obbligo di pubblicazione, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017, p. 1397. Sull’accesso civico generalizzato, ex multis: M. Savino, Il FOIA italiano. La fine della trasparenza di Bertoldo, in Giornale di diritto amministrativo, 2016, n. 5, pagg. 593 ss.
[9] Consiglio di Stato, Ad. Pl, 02/04/2020, n. 10: “Nell’accesso documentale ordinario, “classico”, si è dunque al cospetto di un accesso strumentale alla protezione di un interesse individuale, nel quale è l’interesse pubblico alla trasparenza ad essere […] “occasionalmente protetto” per il c.d. need to know, per il bisogno di conoscere, in capo al richiedente, strumentale ad una situazione giuridica pregressa. Per converso, nell’accesso civico generalizzato si ha un accesso dichiaratamente finalizzato a garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa, nel quale il c.d. right to know, l’interesse individuale alla conoscenza, è protetto in sé, se e in quanto non vi siano contrarie ragioni di interesse pubblico o privato, ragioni espresse dalle cc. dd. eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 3 del d. lgs. n. 33 del 2013”. Sulla pronuncia, ex multis: F. Manganaro, La funzione nomofilattica dell’Adunanza Plenaria in materia di accesso agli atti amministrativi, in federalismi.it, 2021, fasc. n. 20, pagg. 159 ss.
[10] T. Raimo, Le potenzialità probatorie dell’accesso difensivo, in Urbanistica e appalti, 2021, fasc. 6, p.785.
[11] Consiglio di Stato, Ad.Pl., 25/09/2020, n. 19.
[12] G. Delle Cave, L’accesso difensivo post Adunanza Plenaria n. 4/2021 tra potere valutativo della P.A. e apprezzamento del giudice (nota a Consiglio di Stato, Sez. III, 25 febbraio 2022, n. 1342), in questa Rivista, 28 aprile 2022.
[13] F. Francario, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione teorica, in federalismi.it, 2019, n.10, pagg. 9 ss.: “La regola è quindi che l’accesso, strumentale – si ripete – al soddisfacimento di un bisogno di tutela proprio di una situazione giuridica soggettiva, prevalga. L’eccezione è che rimanga insoddisfatto. Perché venga impedito è necessario che si contrapponga un interesse di “pari rango”, che vi sia cioè una eccezione espressamente contemplata sul piano normativo; e non già una semplice esigenza discrezionalmente apprezzabile della pubblica amministrazione”.
[14] M. Ciommola, op.cit., ove si sottolinea come il termine diretto, riferito all’interesse ostensivo, deve essere interpretato o come sinonimo di personale. Con tale requisito il legislatore ha voluto esprimere l’esigenza che ogni istanza di accesso riguardi interessi propri del soggetto richiedente e non interessi di terzi.
[15] Tale requisito è interpreta in senso ampio dalla giurisprudenza, la quale non richiede la sussistenza di una lesione attuale alla situazione giuridica soggettiva di base. Con. St., Ad. Pl., 24 aprile 2012, sent. n. 7: “la legittimazione all’accesso va riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell’accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l’autonomia del diritto d’accesso, inteso come interesse ad un bene della vita distinto rispetto alla situazione legittimante all’impugnativa dell’atto”.
[16] Consiglio di Stato, Ad. Pl. 18/03/2021, n. 4, par. 14.
[17] I. Piazza, Strumentalità dell’accesso difensivo e sindacato giurisdizionale (nota a Consiglio di stato, sez. III, 31 dicembre 2020, n. 8543), in questa rivista, 2021.
[18] V. Parisio, La tutela dei diritti di accesso ai documenti amministrativi e alle informazioni nella prospettiva giurisdizionale, in federalismi.it, 2018, 11, pagg. 345 ss.
[19] Consiglio di Stato, Ad. Pl. 18/03/2021, par. 20.4.
[20] TAR Lazio, Roma, Sez. II, 13/12/2023, n. 18915.
[21] In questi termini, TAR Toscana, Firenze, Sez. I, 21 marzo 2013, n. 442: “L’accesso ai documenti amministrativi […] può essere esercitato indipendentemente dal giudizio sull’ammissibilità o sulla fondatezza della domanda giudiziale eventualmente proponibile sulla base dei documenti acquisiti mediante l’accesso, con la conseguenza che la circostanza che gli atti oggetto dell’istanza ostensione siano divenuti inoppugnabili non preclude l’esercizio del suddetto diritto, in quanto l’interesse presupposto dall’art. 22, l. 241/1990è nozione diversa e più ampia dell’interesse all’impugnazione”. Conforme: Cons. St., Sez. II, 28 aprile 2021, n. 3426.