Nelle gare pubbliche per servizi di ingegneria e architettura il compenso deve sempre essere equo (nota a T.A.R. Veneto, sez. III, 03 aprile 2024, n. 632 e T.A.R. Lazio, Roma, sez. V ter, 30 aprile 2024, n. 8580)
di Giuseppe La Rosa
Sommario: 1. Breve inquadramento del tema. – 2. La legge n. 49/2023: l’equo compenso da principio a norma cogente. – 3. I rapporti con il d.lgs. n. 36/2023 e le gare pubbliche. – 4. I rilievi del TAR Veneto e del TAR Roma: osservazioni di dettaglio. – 5. (Segue) sulla compatibilità dell’equo compenso con il diritto eurounitario. – 6. Riflessioni conclusive: l’equo compenso nella convergenza di interessi.
1. Breve inquadramento del tema.
Le pronunce oggetto del presente scritto[1] offrono un utile spunto per la trattazione del rapporto tra la l. n. 49/2023 sul c.d. “equo compenso”[2] e il d.lgs. n. 36/2023, recante il (nuovo) Codice dei Contratti Pubblici; ciò non solo con uno sguardo rivolto ai principi che regolano la materia (si pensi alla concorrenza, di cui meglio si dirà nel seguito), ma anche con riferimento alle regole procedurali che devono necessariamente presiedere allo svolgimento dei procedimenti ad evidenza pubblica (nel dettaglio, gli affidamenti dei servizi di ingegneria e architettura). Proprio con riferimento a questi temi, i giudici amministrativi hanno ritenuto - a valle di un articolato ragionamento giuridico - che la disciplina dell’equo compenso è da ritenere applicabile alla materia dei contratti pubblici, non sussistendo alcuna antinomia[3] con la disciplina di cui al d.lgs. n. 36/2023[4] (o d.lgs. n. 50/2016, nella fattispecie al vaglio del TAR Veneto[5]), comportando anzi una etero-integrazione della lex specialis, dal momento che la disciplina dell’equo compenso sarebbe sottratta alla disponibilità della stazione appaltante e, quindi, non sarebbe dalle stesse mai derogabile.
Ma non solo. L’analisi pretoria si è concentrata pure su ulteriori aspetti di dettaglio che immediatamente discendono dalla dichiarata compatibilità tra le due richiamate discipline, ossia: da un lato, il ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa in ragione del rapporto qualità/prezzo pure in presenza di condizioni economiche (quelle di cui all’equo compenso) apparentemente “fisse” nel senso di “non ribassabili”, in quanto un importo inferiore rispetto alla somma equivalente all’equo compenso costituirebbe una violazione di un norma imperativa; dall’altro, la compatibilità della l. n. 49/2023 con la normativa europea e con la Costituzione.
2. La legge n. 49/2023: l’equo compenso da principio a norma cogente.
Con l’approvazione della legge 21 aprile 2023, n. 49, pubblicata sulla G.U. del 05 maggio 2023, n. 104 (ed entrata in vigore in data 20 maggio 2023), il Legislatore ha riscritto – in modo organico e sistematico - le regole in materia di compenso per le prestazioni professionali, con il chiaro obiettivo di garantire che ogni[6] prestazione professionale possa godere di un corrispettivo equo, specie laddove i prestatori d’opera professionale si trovino in rapporto con committenti “forti”[7]; sono considerati tali le imprese bancarie e assicurative, le imprese che nell'anno precedente al conferimento dell'incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di cinquanta lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro, le pubbliche amministrazioni, nonché le società da queste controllate o partecipate (art. 2)[8]. La novella normativa, che trova applicazione ai rapporti professionali fondati sulla prestazione d’opera intellettuale ex art. 2230 c.c., ha previsto (art. 1), che per compenso equo deve intendersi la corresponsione di un corrispettivo proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai criteri previsti rispettivamente: (a) per gli avvocati, dal decreto del Ministro della giustizia emanato ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247; (b) per i professionisti iscritti agli ordini e collegi, dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27); (c) per i professionisti di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 2013, n. 4, dal decreto del Ministro delle imprese e del Made in Italy. In altre parole, con la legge n. 49, il professionista riceve una consistente rete di protezione al fine di evitare che il rapporto fisiologicamente impari con clienti “forti” si traduca in una ingiustificabile contrazione del compenso rispetto alla quantità e qualità della prestazione professionale richiesta. Esso, in sostanza, viene equiparato, sebbene con specifico riferimento a tale profilo economico, al lavoratore dipendente, tant’è che riecheggia nella definizione di equo compenso proprio la formulazione letterale dell’art. 36 Cost., a tenore del quale «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa».
Il Legislatore ha, quindi, previsto una serie coordinata di conseguenze nel caso in cui fossero conclusi accordi in violazione della richiamata disciplina, accettando, quindi, compensi non rispettosi dei parametri normativi: alla nullità delle relative pattuizioni, con richiesta di rideterminazione del compenso, che può essere fatta valere dal professionista innanzi al tribunale competente ove egli ha la residenza o il domicilio, al fine di far valere la nullità della pattuizione (art. 3)[9], si affianca la previsione di un indennizzo a cui il giudice può altresì condannare il cliente in favore del professionista fino al doppio della differenza tra quanto pagato e quanto effettivamente dovuto, fatto salvo il risarcimento dell'eventuale maggiore danno (art. 4); laddove siano accettati compensi inferiori alla soglia normativamente stabilita, è prevista altresì l’irrogazione di sanzioni disciplinari, la cui determinazione è rimessa ai competenti ordini professionali (art. 5, comma 5), con specificazione che la prescrizione della relativa azione di responsabilità professionale decorre dalla data di compimento della prestazione (art. 8); la dimensione ultra-individuale della disciplina, infine, viene consacrata grazie alla possibile esperibilità dell’azione di classe, ai sensi del titolo VIII-bis del libro quarto del codice di procedura civile, esperibile dal Consiglio nazionale dell'ordine al quale sono iscritti i professionisti interessati o dalle associazioni maggiormente rappresentative (art. 9).
Dal quadro sopra delineato, quindi, risulta chiaro come l’equo compenso non sia trattato alla mercé di principio generale, ma assurge piuttosto a regola imperativa e cogente, al cui rispetto concorrono in modo coordinato una pluralità di presidi, il cui minimo comun denominatore è rappresentato dall’obiettivo di assicurare al professionista un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale.
3. I rapporti con il d.lgs. n. 36/2023 e le diverse posizioni espresse.
Focalizzando l’attenzione sui rapporti tra equo compenso e contratti pubblici non può farsi a meno di rilevare come, prima della l. 49, la giurisprudenza amministrativa abbia assunto posizioni non sempre univoche, contribuendo a determinare un quadro interpretativo assai frammentato, fino a disancorare la pubblica amministrazione dal rispetto del principio in parola[10]. In particolare, seppur con qualche voce contraria[11], la giurisprudenza amministrativa ha confermato la legittimità di bandi che prevedono quale base d’asta compensi meramente simbolici[12], giungendo finanche a riconoscere che «la normativa sull’equo compenso sta a significare soltanto che, laddove il compenso sia previsto, lo stesso debba necessariamente essere equo, mentre non può ricavarsi dalla disposizione l’ulteriore (e assai diverso corollario) che lo stesso debba essere sempre previsto (a meno di non sostenere, anche in questo caso, che non vi possa essere alcuno spazio per la prestazione di attività gratuite o liberali da parte dei liberi professionisti)»[13] e che l’equo compenso «esprime l’attenzione del legislatore ordinario per le libere professioni quando l’attività è esercitata al di fuori dei rapporti di lavoro dipendente, che di per sé ricadono sotto la copertura costituzionale dell’art. 36 Cost., in relazione alla necessità della congruità del compenso, qualora un compenso sia previsto, ferma rimanendo la possibilità che la prestazione sia resa anche gratuitamente»[14]. Sul versante del grado di vincolatività dei criteri di determinazione dell’equo compenso rispetto alla definizione del corrispettivo dell’affidamento pubblico, ad eccezione di qualche isolata pronuncia che ne ha valorizzato la imprescindibile inderogabilità[15], la giurisprudenza amministrativa ha piuttosto adottato un approccio elastico: quanto al profilo oggettivo, è stato osservato che il regime dell’equo compenso troverebbe applicazione unicamente laddove la pubblica amministrazione definisca unilateralmente la misura del compenso spettante al professionista, non trovando, invece, ragionevole applicazione ove la clausola contrattuale relativa al compenso per la prestazione professionale sia oggetto di trattativa tra le parti o, nella fattispecie di formazione della volontà dell’Amministrazione secondo i principi dell'evidenza pubblica, «ove l'Amministrazione non imponga al professionista il compenso per la prestazione dei servizi legali da affidare»[16]; in ordine ai profili quantitativi, si è largamente diffusa una applicazione “morbida” dei criteri di determinazione del compenso, dichiarandone il carattere meramente indicativo e non cogente, a tal fine valorizzando, vuoi le esigenze di contenimento della spesa pubblica, vuoi la eterogeneità delle prestazioni da rendere a favore delle pubbliche amministrazioni[17].
Il quadro normativo di riferimento è però profondamente mutato, nel 2023, allorquando si è assistito all’entrata in vigore, pure in tempi ravvicinatissimi, della l. n. 49/2023 (05 maggio 2023) e del d.lgs. n. 36/2023 (01 aprile 2023, ma con efficacia da 01 luglio 2023), rinverdendo, da un lato, l’interesse per la materia e ponendo, dall’altro, importanti interrogativi in termini di compatibilità, intersezioni e interferenze tra le due discipline, da cui è scaturita, sin da subito, una certa varietà di posizioni[18]. Con specifico riferimento alle gare pubbliche per l’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria, la ridetta questione di compatibilità è stata resa più complessa dalla sistematica lettura delle disposizioni poste dall’art. 41, comma 15, e 108, comma 2, del Codice: infatti, mentre l’art. 41, comma 15, dispone che «nell'allegato I.13 sono stabilite le modalità di determinazione dei corrispettivi [e che] i predetti corrispettivi sono utilizzati dalle stazioni appaltanti e dagli enti concedenti ai fini dell'individuazione dell'importo da porre a base di gara dell'affidamento», l’art. 108, comma 2, stabilisce che «sono aggiudicati esclusivamente sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo: […] b) i contratti relativi all'affidamento dei servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di natura tecnica e intellettuale di importo pari o superiore a 140.000 euro». A tutta prima, sembrerebbe dunque che i criteri ministeriali sarebbero da utilizzare ai fini della individuazione della base d’asta, salva l’applicabilità (obbligatoria per le gare con importo superiore a 140.000 euro) del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa che determinerebbe, quindi, la formulazione di offerte a ribasso e, quindi, al di sotto della soglia posta dalla legge 49.
Partendo da tali difficoltà interpretative[19], l’ANAC, in sede di predisposizione dello schema di Bando tipo n. 2/2023 (“Procedura aperta per l’affidamento di contratti pubblici di servizi di architettura e ingegneria di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo”, in consultazione), ha individuato possibili tre soluzioni interpretative: (i) necessità di svolgere gare a prezzo fisso, sulla base della inderogabilità del compenso individuato dalle tabelle ministeriali[20]; (ii) possibile ribasso limitato alle “spese generali”, quale parte del corrispettivo a base d’asta che esula dal compenso professionale tout court[21]; (iii) non applicabilità della disciplina dell’equo compenso alle procedure di evidenza pubblica, in quanto in contrasto con il principio di concorrenzialità sancito a livello di normativa comunitaria[22]. Tale ultima opzione applicativa, peraltro, è legata a doppio filo alla questione di compatibilità della disciplina posta dalla l. n. 49/2023 con le disposizioni eurounitarie a tutela della concorrenza, che la Corte di Giustizia[23], ancora recentemente[24], ha richiamato quali parametri per ritenere illegittima, in violazione dell’art. 101 T.F.U.E.[25], la determinazione “orizzontale” (per il tramite, cioè, di “accordi” infra categoria, resi vincolanti dalle norme locali) dei prezzi fissati direttamente dal Consiglio forense bulgaro in quanto determina un grado sufficiente di dannosità nei confronti della concorrenza[26] (a prescindere quindi dal livello a cui è fissato il prezzo minimo)[27].
4. I rilievi del TAR Veneto e del TAR Roma: osservazioni di dettaglio.
Con una evidente armonia di vedute, le pronunce oggetto di interesse hanno rilevato che non vi è alcuna antinomia tra la l. n. 49/2023 e la disciplina del codice dei contratti pubblici[28], ma, anzi, è proprio l’interpretazione “letterale e teleologica” della l. n. 49/2023 a deporre in maniera inequivoco per la sua applicabilità alla materia dei contratti pubblici. Evidenziano i giudici amministrativi che il Legislatore - al dichiarato intento di tutelare i professionisti intellettuali nei rapporti contrattuali con “contraenti forti” - ha «espressamente previsto l’applicazione della legge anche nei confronti della Pubblica Amministrazione e ha riconosciuto la legittimazione del professionista all’impugnazione del contratto, dell’esito della gara, dell’affidamento qualora sia stato determinato un corrispettivo qualificabile come iniquo ai sensi della stessa legge». Da tale angolo visuale, non a caso l’art. 8 del d.lgs. n. 36/2023 oggi prevede che le pubbliche amministrazioni - salvo che in ipotesi eccezionali di prestazioni rese gratuitamente - devono garantire comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso nei confronti dei prestatori d’opera intellettuale. Sul piano letterale e teleologico, quindi, a seguire il ragionamento del giudice amministrativo, gli elementi sopra evidenziati deporrebbero in maniera chiara per l’applicabilità delle previsioni della l. n. 49/2023 anche alla disciplina contenuta nel d.lgs. n. 36/2023; ciò a maggior ragione laddove si consideri che, diversamente opinando, «l’intervento normativo in questione risulterebbe privo di reale efficacia sul mercato delle prestazioni d’opera intellettuale qualora il legislatore avesse inteso escludere i rapporti contrattuali tra i professionisti e la Pubblica Amministrazione che, nel mercato del lavoro attuale, rappresentano una percentuale preponderante del totale dei rapporti contrattuali conclusi per la prestazione di tale tipologia»[29]. Del resto, pare appena il caso di rilevare che la l. n. 49/2023, oltre a perseguire obiettivi di protezione del professionista, mediante l’imposizione di un’adeguata remunerazione per le prestazioni da questi rese, contribuisce, tra l’altro, analogamente al richiamato giudizio di anomalia dell’offerta, a evitare che il libero confronto competitivo comprometta gli standard professionali e la qualità dei servizi da rendere a favore della pubblica amministrazione.
In aggiunta a quanto appena rilevato in punto di piena compatibilità tra la legge 49 e il Codice dei Contratti Pubblici, i giudici amministrativi si sono soffermati, in particolare, sull’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura. Partendo dall’assunto che, rispetto a tali affidamenti, il compenso del professionista costituisce una delle componenti del “prezzo” oggetto di offerta economica, al quale si affiancano altre voci, relative in particolare alle “spese ed oneri accessori”, viene ritenuto che la Stazione appaltante è chiamata a quantificare la base d’asta in applicazione del d.m. 17 giugno 2016, con la precisazione che, mentre la quota di compenso non può essere oggetto di ribasso, pena la violazione della disciplina sull’equo compenso, è invece possibile ribassare le ulteriori voci che concorrono a formare il prezzo, tra cui, come detto, le spese e gli oneri accessori.
Questa lettura, secondo quanto espressamente statuito nelle sentenze in commento, «oltre ad assicurare la coerente e coordinata applicazione dei due testi normativi, consente di escludere che la legge n. 49/2023 produca di per sé effetti anticoncorrenziali o in contrasto con la disciplina dell’Unione Europea». Sul punto, si osserva, in effetti, che escludere la proposizione di offerte economiche al ribasso sulla componente del prezzo rappresentata dai “compensi” non costituirebbe un ostacolo alla concorrenza o alla libertà di circolazione e di stabilimento degli operatori economici, ma al contrario rappresenta una sorta di tutela per questi ultimi, a prescindere dalla loro nazionalità, in quanto permette loro di conseguire un corrispettivo equo e proporzionato anche da un contraente forte qual è la Pubblica Amministrazione e anche in misura superiore a quella che sarebbero stati disposti ad accettare per conseguire l’appalto. Inoltre, si consideri pure che l’operatore economico che, in virtù della sua organizzazione d’impresa[30], dovesse ritenere di poter ribassare componenti accessori del prezzo (ad esempio, le spese generali), può avvantaggiarsi di tale capacità nell’ambito del confronto competitivo con gli altri partecipanti alla gara, fermo restando il dovere della Stazione appaltante di sottoporre a controllo di anomalia quelle offerte non serie o che, per la consistenza del ribasso offerto su componenti accessorie del prezzo, possano in qualche modo apparire volte a ottenere un vantaggio indebito traslando su voci accessorie il ribasso economico che, in mancanza della l. n. 49/2023, sarebbe stato offerto sui compensi.
Viene, altresì, confermato come la l. n. 49/2023 trovi applicazione a qualsiasi procedura di gara, a prescindere dal fatto che la lex specialis richiami o meno le disposizioni ivi recate: in particolare, viene affermato che la disciplina di gara, in assenza di richiami espliciti alla normativa sull’equo compenso, «deve ritenersi essere stata eterointegrata dalla legge n. 49/2023»; ciò dal momento che, vista la natura di norma imperativa della stessa e in virtù dei principi di imparzialità e buon andamento, «sarebbe irragionevolmente discriminatorio se i limiti imposti dalla normativa in esame non fossero rispettati, in modo particolarmente cogente, proprio dalla P.A. nell’ambito delle gare, laddove vengono in gioco anche interessi generali ulteriori correlati alla tutela della concorrenza e della par condicio dei concorrenti in gara». Infatti, a ben vedere, la norma in questione è di portata generale, ed è chiaramente pensata, in particolare, in funzione della già avvenuta stipula del contratto con il professionista, nell’ambito, quindi, del rapporto contrattuale con lo stesso instaurato. D’altronde, pur non contenendo la normativa in esame una previsione puntuale in ordine alle conseguenze derivanti dalla violazione in esame nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, è evidente che, in considerazione delle finalità di carattere generale sopra evidenziate, non può ammettersi un’aggiudicazione in palese violazione di una norma imperativa[31].
5. (Segue) sulla compatibilità dell’equo compenso con il diritto eurounitario.
Con riferimento alla piena compatibilità della disciplina dell’equo compenso con il diritto eurounitario (e in particolare con la libertà di stabilimento e di prestazione di servizi di cui agli artt. 49 e 101 TFUE), i giudici amministrativi hanno preliminarmente evidenziato come la disciplina in questione «non sia in grado di pregiudicare l'accesso, in condizioni di concorrenza normali ed efficaci, al mercato italiano da parte di operatori economici di altri Stati dell'Unione Europea», dal momento che si tratterebbe di «un rafforzamento delle tutele e dell’interesse alla partecipazione alle gare pubbliche, rispetto alle quali l'operatore economico, sia esso grande, piccolo, italiano o di provenienza UE, è consapevole del fatto che la competizione si sposterà eventualmente su profili accessori del corrispettivo globalmente inteso e, ancor di più sul profilo qualitativo e tecnico dell'offerta formulata», di guisa che il meccanismo derivante dall’applicazione della legge n. 49/2023 è tale da garantire sia margini di flessibilità e di competizione anche sotto il profilo economico, sia la valorizzazione del profilo qualitativo, in piena coerenza con il dettato normativo nazionale e unionale[32]. Né, del resto, potrebbe giungersi a conclusioni diverse in forza del richiamo alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e, in particolare, alla sentenza 04 luglio 2019, nella causa C-377/17 - pronuncia che non afferma, invero, la sussistenza di preclusioni assolute, riconoscendo, viceversa, in capo agli Stati Membri il potere di introdurre tariffe minime per le prestazioni professionali che siano non discriminatorie, necessarie e proporzionate alla realizzazione di un motivo imperativo di interesse generale ex art. 15, par. 3, della direttiva 2006/123/CE - o, ancora, alla recente sentenza 25 gennaio 2024, nella causa C-438/22, che ha affermato l’obbligo di rifiutare l'applicazione di una normativa che fissi importi minimi degli onorari degli avvocati. Va, infatti, sottolineato che nel caso oggetto di quest’ultima pronuncia gli importi erano stati determinati dal Consiglio superiore dell'Ordine forense della Bulgaria «in assenza di qualsiasi controllo da parte delle autorità pubbliche e di disposizioni idonee a garantire che esso si comporti quale emanazione della pubblica autorità»: la Corte ha, cioè, ritenuto come tale organismo agisse alla stregua di un'associazione di imprese, ai sensi dell'articolo 101 TFUE (par. 44, sentenza cit.), nel perseguimento di un proprio interesse specifico e settoriale (realizzando un'ipotesi di determinazione orizzontale di tariffe minime imposte, vietata dall'art. 101, paragrafo 1, TFUE), in un contesto, quindi, del tutto diverso da quello italiano, in cui rilevano norme di carattere generale (la l. n. 49/2023 e gli inerenti decreti ministeriali) adottate da autorità pubbliche e, per questo, non sussumibili nell’ambito - soggettivo e oggettivo - di applicazione dell'art. 101 TFUE (rivolto a vietare «tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno»).
Va da sé, quindi, come la previsione dell’inderogabilità al ribasso della voce compensi, oltre a trovare applicazione omogenea nei confronti di ogni operatore economico, non appare in grado di ostacolare la partecipazione alle gare pubbliche; ciò anche in considerazione degli effetti pro-concorrenziali in favore del piccolo operatore economico, che sarà incentivato a partecipare alle pubbliche gare nella consapevolezza che non si troverà più a competere sulla voce compensi con gli operatori di grandi dimensioni, che per loro stessa natura possono essere maggiormente in grado di formulare ribassi su tale voce, mantenendo comunque un margine di utile rilevante.
6. Riflessioni conclusive: l’equo compenso nella convergenza di interessi.
In modo del tutto condivisibile, le sentenze qui analizzate concludono per la piena compatibilità tra la legge n. 49/2023 e il d.lgs. n. 36/2023. Aldilà delle ragioni testuali e teleologiche, ben evidenziate nelle pronunce in commento, la compatibilità tra i due plessi normativi sembra trovare ulteriore e definitiva conferma in una lettura sistematica degli interessi, solo apparentemente discordanti, ad essi sottesi. L’interesse del prestatore d’opera intellettuale (inteso sia nella sua dimensione atomistica, che quale componente di una categoria professionale), di cui evidentemente la legge n. 49/2023 si fa carico, non solo non si pone in contrasto con gli interessi (pubblici) sottesi al d.lgs. n. 36/2023, ma anzi nei principi su cui esso si poggia trova stabile dimora. Il riferimento non è solo, né tanto, all’art. 8, che nell’affermare che «la pubblica amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso» potrebbe addirittura giustificare una lettura dell’equo compenso nei rapporti con la pubblica amministrazione solo quale principio cui l’attività amministrativa deve tendenzialmente tendere, svuotandone, dunque, la portata precettiva, quanto, piuttosto, all’art. 1 e al sotteso principio del risultato. Tale principio assegna alle Stazioni appaltanti l’obiettivo di perseguire l’affidamento del contratto, non solo in modo tempestivo, ma in modo tale che sia garantito il «migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo». Ebbene, laddove la prestazione abbia natura professionale, il principio del risultato, nella richiamata prospettiva anche qualitativa, sembra trovare un necessario aggancio nella legge n. 49/2023: essa, come visto, da un lato, prevede che il compenso deve essere equo, intendendosi tale solo laddove esso sia proporzionato alla «quantità e alla qualità del lavoro» (art. 1) e, dall’altro, con presunzione assoluta, stabilisce che il compenso non è equo se «inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali» (art. 3). Ora, la necessaria puntuale applicazione del principio del risultato - sulla cui base, peraltro, l’intero impianto della disciplina codicistica deve essere interpretato (ex art. 4) -, in altre parole, comporta che, nelle gare per l’affidamento dei servizi professionali, la discrezionalità della Stazione appaltante nell’individuazione della base d’asta trova un invalicabile limite (minimo) proprio nella legge n. 49/2023. Ed è proprio il rispetto dei criteri minimi di cui alla l. 49, cit., che consente di applicare il principio del risultato, nella sua richiamata declinazione qualitativa, consentendo l’individuazione dell’operatore economico chiamato a rendere la prestazione il cui livello qualitativo trova corrispondenza nell’adeguatezza del compenso. Diversamente opinando, la possibilità di prevedere per una certa prestazione un compenso che – in base alla presunzione assoluta derivante dalla legge 49 – non sia equo, non frustrerebbe soltanto l’interesse (privato) del professionista, ma conclamerebbe la compromissione del principio di risultato, determinando recidendo il rapporto biunivoco sussistente tra equità del compenso e qualità della prestazione, non potendo rilevare, in senso opposto, la necessità di tutelare la concorrenza[33], la cui assolutezza viene attenuata dal confronto comparativo con altri valori di pari rango, tra cui appunto il ridetto principio del risultato[34].
[1] Trattasi di T.A.R. Veneto, sez. III, 03 aprile 2024, n. 632 e T.A.R. Lazio, Roma, sez. V ter, 30 aprile 2024, n. 8580, in giustizia-amministrativa.it.
[2] In generale, sul tema dell’equo compenso, si veda. G. Manfredi, Appunti sull'affidamento degli incarichi legali nelle pubbliche amministrazioni: competenza, procedimento, forma, in Urb. e app., 2013, 8-9, p. 877 ss.; R. Danovi, L'onorario dell'avvocato tra parametri ed equo compenso, in Corr. giur., 2018, 5, p. 589 ss.; A. Grieco, Accordi amministrativi e contratti della pubblica amministrazione tra suggestione e necessità di sistema, Dir. Amm., 2002, p. 423 ss.; G. Impellizzieri, Sulla controversa questione della legittimità del lavoro gratuito per la Pubblica amministrazione, in Il Lavoro nella Giurisprudenza, 2022, 3, pp. 294-299; G. Alpa, L'equo compenso per le prestazioni professionali forensi, in Nuova giur. civ. comm., 2018; A. Carosi, L'economicità dell'azione amministrativa con particolare riguardo alla gestione dei contratti passivi, in Riv. Corte conti, 2006, p. 318 ss.; G. Cogliandro, Appunti sulla nozione di economicità delle Pubbliche Amministrazioni, in Riv. Corte conti, 2000, p. 177 ss.; B. De Mozzi, Le tariffe professionali: cosa rimane?, in Lav. dir. Eur., 2021, 4; S. Monticelli, L’equo compenso dei professionisti fiduciari: fondamento e limiti di una disciplina a vocazione rimediale dell’abuso nell’esercizio dell’autonomia privata, in Nuove leggi civ. comm., 2018, p. 299 ss.
[3] Si deve ricordare, in via generale, che un’antinomia può configurarsi “in concreto” allorché - in sede di applicazione - due norme connettono conseguenze giuridiche incompatibili ad una medesima fattispecie concreta. Ciò accade ogniqualvolta quest’ultima sia contemporaneamente sussumibile in due ipotesi normative diverse, l’applicazione delle quali, comporti, in conformità a quanto previsto dall’ordinamento giuridico, conseguenze giuridiche incompatibili tra loro. In tale ipotesi, l’interprete è chiamato ad effettuare una interpretazione letterale, teleologica e adeguatrice delle norme in apparente contrasto, al fine di determinarne il significato che è loro proprio, coordinandole anche in un più ampio sistema di norme, rappresentato dall’ordinamento giuridico.
[4] In punto di fatto, la questione al vaglio del TAR Roma può essere così riassunta. L'Agenzia del demanio - Direzione Roma Capitale indiceva una procedura aperta, ai sensi dell'art. 71 d.lgs. n. 36/2023, da espletarsi tramite piattaforma in modalità ASP di Consip s.p.a., per l'affidamento del servizio di verifica della vulnerabilità sismica, diagnosi energetica e rilievi da restituire in modalità BIM per taluni beni immobili di proprietà dello Stato siti in Roma, mediante il sistema informatico nella disponibilità di Consip s.p.a. Il disciplinare indicava altresì che l'importo a base di gara era stato calcolato ai sensi del decreto del Ministro della giustizia di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 17 giugno 2016 - recante “Approvazione delle Tabelle dei corrispettivi commisurati a livello qualitativo delle prestazioni di progettazione adottato ai sensi dell'art. 24, comma 8, del decreto legislativo n. 50 del 2026” - e che sulla base delle disposizioni dell'art. 41, comma 15, e dell'all. I.13 del d.lgs. n. 36/2023 e della l. n. 49/2023, in linea con la delibera dell'ANAC n. 343 del 20 luglio 2023, i compensi stabiliti per le prestazioni d'opera intellettuale attinenti ai servizi di ingegneria e architettura, determinati in base agli artt. 2 e ss. del suddetto d.m., avrebbero dovuto considerarsi inderogabili e non ribassabili. Accade che le offerte classificatesi al primo, secondo e terzo posto in graduatoria risultavano anomale; sicché, superata la fase dell'esame della documentazione amministrativa, il RUP chiedeva alla ricorrente di produrre i giustificativi ai sensi dell'art. 110 del d.lgs. n. 36/2023. Vista la relazione giustificativa della concorrente, la stazione appaltante ne disponeva l'esclusione perché avrebbe «operato di fatto un ribasso anche sui compensi determinati sulla base degli artt. 2 e ss. del DM 17 giugno 2016 in violazione della lex specialis che li ha qualificati come 'inderogabili e non ribassabili' ai sensi delle disposizioni in tema di equo compenso di cui al citato art. 41, comma 15 e dell’All. I.13 del d.lgs. 36/2023 e della l. n. 49/2023 in linea con la Delibera dell'ANAC n. 343 del 20 luglio 2023».
[5] Con riferimento alla sentenza del TAR Veneto in commento, infatti, diversamente dalla pronuncia del TAR Lazio, oggetto del contendere era la legittimità della procedura di gara per l’affidamento di un appalto, sottoposto al regime di cui al previgente d.lgs. n. 50/2016, avente ad oggetto l’affidamento dell’incarico di progettazione definitiva, con opzione della progettazione esecutiva e del coordinamento della sicurezza in fase progettuale inerente ai lavori di “Adeguamento alla normativa di prevenzione incendi e antisismica dei PP.OO. di San Donà di Piave e Portoguaro” da parte della AULSS n.4 “Veneto Orientale”, in base al criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa. La stazione appaltante, da un lato, aveva stabilito, negli atti di gara, che l’importo a base di gara era stato calcolato ai sensi del DM 17 giugno 2016 e che l’onorario ed il rimborso delle spese per l’esecuzione delle prestazioni erano stati determinati, «nel rispetto della dignità della professione in relazione all’art.2233 del Codice civile», tenendo conto delle previsioni della legge sull’equo compenso e vincolando così l’Amministrazione a tutelare gli operatori economici partecipanti, secondo le modalità ed i criteri previsti dalla legge n.49/2023. Dall’altro lato, però, l’Azienda sanitaria non era stata coerente con questa premessa, dato che aveva aggiudicato l’appalto ad un raggruppamento che (come tutti gli altri operatori economici partecipanti alla gara, fatta eccezione per il ricorrente) aveva formulato un’offerta economica con un ribasso sui compensi, in violazione delle disposizioni della legge sull’equo compenso. Di qui l’impugnazione degli esiti della gara, con richiesta di annullamento dell’aggiudicazione e di condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno, da parte del concorrente non vittorioso che aveva presentato un’offerta con un ribasso rispettoso dei parametri fissati dalla legge n. 49/2023.
[6] Si ricordi che l’art. 19 quaterdecies d.l. 148/2017 ha introdotto l’art. 13 bis alla legge 31 dicembre 2012, n. 247, prevedendo che il compenso si intende equo, con riferimento al settore legale, se è «proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale».
[7] Cfr. A. Buratti, A. Zoppo, L’equo compenso delle prestazioni professionali tra diritto soggettivo e interesse di categoria, in federalismi.it, 2024, 2, pp. 19-44; B. Armeli, Equo compenso: facciamo il punto, in App. e contr., 2023, 11, p. 33 ss.; M. Mangano, L'equo compenso degli avvocati tra decoro, qualità delle prestazioni e concorrenza nel mercato legale, in Urb. e app., 2023, 5, p. 591 ss.; G. Musolino, La prescrizione della responsabilità professionale dopo la legge n. 49/2023, in Resp. civ. e prev., 2023, 5, pp. 1694-1716.
[8] Si veda, sul punto, M. Gazzara, La nuova disciplina sull’equo compenso delle prestazioni professionali, con particolare riguardo ai servizi legali, in Le nuove leggi civili commentate, 2023, 3, p. 556 ss.; P. Ichino, La nozione di giusta retribuzione nell’art. 36 Cost., in Riv. it. dir. lav., 2010, p. 719 ss.
[9] Sul punto, si veda anche L. Carbone, La disciplina dell’equo compenso delle prestazioni professionali, in Foro it., 2023, 5, p. 181 ss.; F. Valerini, La legge sull'equo compenso delle prestazioni professionali, in Proc. civ., 2023, 3, p. 949 ss.; A.C. Fusco, Equo compenso e professionisti, in Arch. Giur. ass., 2023, 3, 209 ss.
[10] Si veda, sul tema dell’equo compenso nei rapporti con la P.A., A. Biagiotti, La pubblica amministrazione deve sempre garantire un equo compenso per le prestazioni rese dai professionisti?, in Arg. dir. lav., 2022, 2, p. 295 ss.; A.E. Basilico, Equo compenso degli avvocati e Pubblica Amministrazione, in Urb. e app., 2021, 4, p. 536 ss.; G. Musolino, L'equo compenso quale applicazione del principio di decoro professionale, in Riv. notar., 2020, 6, p. 1203 ss.
[11] Ad esempio, si v. TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 2 agosto 2018, n. 1507, secondo cui «è illegittimo il bando del Comune con il quale si intende affidare la redazione del piano regolatore senza alcun compenso al professionista ma soltanto il rimborso spese, atteso che la configurabilità di un appalto pubblico di servizi a titolo gratuito si pone in disarmonia rispetto al quadro di riferimento normativo, tenuto conto che non ogni servizio prestato reca con se vantaggi curricolari e di immagine tali da garantire, sia pure indirettamente, vantaggi economici tali da soddisfare il diritto a un equo compenso».
[12] Cons. Stato, 3 ottobre 2017, n. 4614.
[13] Cons. Stato, 09 novembre 2021, n. 7442.
[14] Cons. Stato, 28 febbraio 2023, n. 2084.
[15] Si v. TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 14 novembre 2022, n. 7037, secondo cui «la circostanza che il singolo professionista resti libero di valutare la convenienza dell'incarico e di rifiutarlo nel caso in cui ritenga non equo il compenso non esclude la violazione dell'art. 19-quaterdecies, comma 3, d.l. n. 148/2017, cioè la violazione dell'obbligo dell'Amministrazione di garantire un compenso equo. In altri termini, la disposizione violata impone all'Amministrazione di prevedere compensi equi e non consente la previsione di compensi non equi, anche se, ovviamente, il singolo professionista non è certo obbligato, ove inserito nell'elenco, ad accettare l'incarico e quindi di beneficiare di un compenso non equo».
[16] TAR Campania, Napoli, Sez. I, 18 febbraio 2022, n. 1114. In termini, T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 20 dicembre 2021, n. 1088.
[17] Ex multis, cfr. TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 14 marzo 2023, n. 815; TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. II, 17 novembre 2022, n. 919; TAR Liguria, Genova, Sez. I, 17 febbraio 2022, n. 137.
[18] In via di prassi, si v. il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, che con circolare n. 76 cit., ha rilevato la piena vigenza della l. 49 anche alle gare pubbliche; in questo senso, anche la circolare n. 100 del 17.11.2023 del Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori, nella quale si invitano le stazioni appaltanti a non richiedere alcun ribasso all’operatore economico, in quanto «i corrispettivi - in ottemperanza alla legge sull’equo compenso e al nuovo Codice dei contratti - devono essere quelli fissati dal decreto Parametri». In senso opposto, si v, F. Botteon, L’equo compenso nei servizi tecnici affidati dalla pubblica amministrazione e l’individuazione del diritto vigente: entrata in vigore o efficacia del codice?, in LexItalia, 2023, che milita, con lettura poco condivisibile, per l’abrogazione tacita della l. 49 a opera del d.lgs. 36, per il fatto che quest’ultimo sia entrato in vigore successivamente alla prima.
[19] Cfr. nota ANAC del 07 luglio 2023, avente ad oggetto “Criticità attinenti al coordinamento tra la disciplina del c.d. equo compenso e il decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36”, ove l’Autorità, ritenuto che «non può fornire indicazioni sulla percentuale legittima di ribasso, in quanto sussiste il rischio di individuazione di una nuova soglia minima per i compensi diversa da quella per i compensi fissati dai decreti ministeriali per i professionisti iscritti agli ordini e collegi, con l’ulteriore possibile effetto di trasformare la gara in una gara a prezzo fisso», ha segnalato la questione rimettendola alla competente Cabina di Regia presso la Presidenza del Consiglio, al fine di evitare pareri difformi e contenzioso, restando comunque a disposizione per ogni eventuale ulteriore approfondimento in un’ottica di collaborazione istituzionale.
[20] C.d. “Opzione 1: Necessità di svolgere gare a prezzo fisso”. Si prevede che «sulla base del dato normativo, potrebbe sostenersi che il compenso professionale individuato sulla base delle tabelle ministeriali da porre a base di gara sia in ogni caso inderogabile e, pertanto, non possa essere assoggetto al ribasso in sede di offerta. Conseguentemente le gare che hanno ad oggetto esclusivamente prestazioni professionali devono essere aggiudicate a prezzo fisso, in applicazione delle indicazioni fornite dall’articolo 108, comma 5, del codice dei contratti pubblici. La competizione tra i concorrenti, quindi, potrà essere soltanto di tipo qualitativo ed avere ad oggetto specifiche caratteristiche del servizio, ferma restando la possibilità di premiare l’offerta di un tempo di esecuzione inferiore rispetto a quello previsto nel bando di gara».
[21] C.d. “Opzione 2: Possibile ribasso limitato alle spese generali”. Si prevede che «fermo restando il divieto di sottoporre a ribasso il compenso professionale individuato sulla base delle tabelle ministeriali, si potrebbe mantenere ferma la possibilità di effettuare una gara con valutazione dell’offerta economica limitatamente alla parte di costo che esula dal compenso professionale e, pertanto, sostanzialmente, limitata alle spese generali. Con riferimento a tale possibilità, si evidenzia che consentendo il ribasso su una quota di tali spese, potrebbe verificarsi che i concorrenti più strutturati offrano il massimo ribasso sostenibile, attestandosi tutti su una quota fissa. In sostanza, ci sarebbe il rischio di attivare, anche in questo caso, ad una gara a prezzo fisso. Inoltre, si verificherebbe l’aspetto negativo che i professionisti singoli o le società di piccole dimensioni potrebbero essere costretti ad offrire un ribasso inferiore, non riuscendo ad abbattere nella stessa misura i costi. Quindi, sostanzialmente, la competizione verrà svolta sulle dimensioni dell’operatore economico o sulla capacità organizzativa e non sulla qualità del servizio».
[22] C.d. “Opzione 3: Non applicabilità della disciplina dell’equo compenso alle procedure di evidenza pubblica”. Si precisa che «i sostenitori di tale tesi affermano che la previsione di tariffe minime si pone in netto contrasto con il principio di concorrenzialità, con evidenti dubbi di compatibilità anche a livello di normativa comunitaria. Inoltre, occorre considerare che l'articolo 2, comma 1 della legge 49/2023 definisce il proprio ambito di applicazione in relazione ai rapporti professionali aventi ad oggetto prestazioni d'opera intellettuale di cui all'articolo 2230 del Codice civile. Ciò significa che la relativa disciplina è circoscritta alle ipotesi in cui la prestazione professionale trova fondamento in un contratto d'opera caratterizzato dall'elemento personale, in cui il singolo professionista assicura lo svolgimento della relativa attività principalmente con il proprio lavoro autonomo. Resterebbero, quindi, escluse dall’applicazione della disciplina sull’equo compenso le ipotesi in cui la prestazione professionale viene resa nell’ambito di un appalto di servizi, attraverso una articolata organizzazione di mezzi e risorse e con assunzione del relativo rischio imprenditoriale. Altro argomento portato a favore di tale ricostruzione è l’espressa applicazione della normativa sull’equo compenso alle ‘convenzioni’ che sarebbero identificabili in particolari rapporti contrattuali caratterizzati da una posizione dominante del committente, con conseguente necessità di ristabilire gli equilibri contrattuali proprio attraverso l’introduzione di tariffe minime. Tale situazione non ricorrerebbe nell’ambito delle procedure di gara caratterizzate dalla presentazione di offerte libere e adeguatamente ponderate da parte degli offerenti e dalla previsione di adeguati meccanismi atti proprio ad evitare la presentazione di offerte eccessivamente basse e quindi non sostenibili (anomalia dell’offerta). Ulteriori considerazioni muovono dall’esigenza di interpretare le disposizioni appartenenti a diversi ordinamenti in modo sistematico, tenendo conto del contesto ordinamentale complessivo in cui si inseriscono, pena l’annullamento dei principi di concorrenzialità e di evidenza pubblica che governano l'affidamento dei contratti pubblici».
[23] Secondo C.G.U.E., sez. IV, 04 luglio 2019, C- 377/17, le tariffe minime e massime in materia di prestazioni professionali (in specie di progettazione fornite da architetti e ingegneri), rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, lettera g), della direttiva 2006/123 se soddisfano le seguenti condizioni: (i) non essere discriminatorie e (ii) essere necessarie e proporzionate alla realizzazione di un motivo imperativo di interesse generale. Cfr. F. Casolari, La Corte di giustizia torna a pronunciarsi sugli onorari (minimi) previsti per l’esercizio della professione forense e sulla loro compatibilità col diritto UE antitrust: un passo avanti e due indietro?, in Giur. comm., 2018, 3, p. 406 ss.
[24] Si tratta di C.G.U.E., sez. IV, 25 gennaio 2024, C-438/22, ove è stato rilevato che «l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE , in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, dev’essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui un giudice nazionale constati che un regolamento che fissa gli importi minimi degli onorari degli avvocati, reso obbligatorio da una normativa nazionale, è contrario a detto articolo 101, paragrafo 1, esso è tenuto a rifiutare di applicare tale normativa nazionale nei confronti della parte condannata a pagare le spese corrispondenti agli onorari d’avvocato, anche qualora tale parte non abbia sottoscritto alcun contratto di servizi d’avvocato e di onorari d’avvocato».
[25] Art. 101 T.F.U.E.: «Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno».
[26] Si veda, G. Scassellati Sforzolini, A. Cardarelli, Tariffs in the Legal Professions and Article 101 TFEU: Cases C-128/21 Lietuvos notarų rūmai and C-438/22 Em Akaunt, in Journal of European Competition, 2024, 2; Aa.Vv., ECJ judgment on reference from Bulgarian court on compatibility with Article 101 of national regulation setting minimum remuneration for lawyers, in Practical Law, 2024.
[27] In generale, sull’argomento, si veda anche C. Garbuio, Proposta di direttiva sul salario minimo ed equo compenso: il caso del lavoro autonomo professionale, le tariffe professionali e regole della concorrenza, in Dir. Rel. Ind., 2021, 4, pp. 1101 ss.; M. Casiello, Note a caldo sugli Orientamenti della Commissione UE sull’applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione agli accordi collettivi dei lavoratori autonomi individuali, in Lavoro Diritti Europa, 2022, 3; A. Zoppo, Alcune considerazioni in ordine sparso in tema di equo compenso, salario minimo, tariffe orarie e politiche sulle libere professioni, in Bollettino ADAPT, 2022, n. 23.
[28] La tesi dell’antinomia è stata prospettata, con maggior precisione, dall’Amministrazione resistente, la quale ha osservato che l’art. 95, d.lgs.50/2016 (così come oggi l’art. 108, comma 1, d.lgs. 36/2023) ha previsto tre diversi criteri di aggiudicazione: 1) affidamento sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo; 2) affidamento sulla base dell’elemento prezzo; 3)affidamento sulla base del costo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia quale il costo del ciclo di vita, con competizione limitata ai profili qualitativi. Ora, poiché il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa è fondato sul miglior rapporto qualità/prezzo, a seguito dell’entrata in vigore della legge sull’equo compenso, le gare per servizi di architettura o di ingegneria dovrebbero essere strutturate e aggiudicate sulla base di un “prezzo fisso” non ribassabile, individuato dalla stessa P.A. come corrispettivo posto a base di gara, con competizione limitata alla sola componente tecnica dell’offerta.
[29] Si ricorda, a titolo esemplificativo, che, con riferimento al 2021, l’ANAC, in un periodo ancora condizionato dall’emergenza pandemica, ha stimato in circa 70 miliardi di euro il valore totale degli appalti di servizi aggiudicati dalle Pubbliche Amministrazioni.
[30] Sul punto, la sentenza dei giudici romani specifica che «la scelta di applicare la disciplina sull'equo compenso esclusivamente alle prestazioni di natura intellettuale rese in favore della P.A. dal singolo professionista, che non necessiti (o comunque non si avvalga) di un'organizzazione di mezzi e risorse, sarebbe difficilmente giustificabile dal punto di vista logico, considerata l'ontologica corrispondenza tra le prestazioni rese dal singolo e quelle rese nell'ambito di una società/impresa».
[31] Ancorché nell’ambito del rapporto contrattuale “a valle”, la nullità del contratto possa essere dedotta solo dal professionista. Diversamente, infatti, si rischierebbe, proprio nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, una pericolosa eterogenesi dei fini: il professionista concorrente potrebbe essere “tentato” di abusare della nullità di protezione in questione, volutamente presentando un’offerta “inferiore” ai minimi, per così ottenere l’aggiudicazione e, una volta stipulato il contratto far valere la nullità parziale al fine di attivare il “meccanismo” di cui al comma 6 dell’art. 3, l. n. 49/2023, ai sensi del quale il tribunale procede alla rideterminazione secondo i parametri previsti dai decreti ministeriali di cui al comma 1 relativi alle attività svolte dal professionista, tenendo conto dell'opera effettivamente prestata. È evidente, d’altronde, che ciò porterebbe ad un aggiramento del principio di tendenziale immutabilità dell’offerta anche in sede di esecuzione del contratto pubblico.
[32] In particolare, si ricorda che, sin dalle direttive del 2014, il legislatore dell’UE ha voluto superare il criterio del minor prezzo quale strumento predominante di aggiudicazione delle pubbliche gare, favorendo il ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che consente alla Stazione appaltante di strutturare l’aggiudicazione valorizzando la qualità dell’offerta tecnica, ma anche considerazioni ambientali, aspetti sociali o innovativi, pur tenendo conto del prezzo e dei costi. Cfr. CGUE, C-377/17 del 13.04.2028).
[33] Sulla concorrenza la dottrina è copiosa. Recentemente, con riferimento al d.lgs. n. 36/2023, alla concorrenza e ai suoi principi, si veda F. Vetrò, G. Lombardo, M. Petrachi, L’avvio del nuovo Codice tra concorrenza, legalità e istanze di semplificazione: l’equilibrio instabile dei contratti pubblici, in Dir. econ., 2023, 1, p. 31 ss.; A.M. Chiariello, Una nuova cornice di principi per i contratti pubblici, in Dir. econ., 2023, 1, 141 ss.; F. Cintioli, Il principio del risultato nel nuovo codice dei contratti pubblici, in giustizia-amministrativa.it, 2023; F. Saitta, I principi generali del nuovo codice dei contratti pubblici, in Giustizia Insieme, 2023; L.R. Perfetti, Sul nuovo Codice dei contratti pubblici. In principio, in Urb. e app., 2023; G. Napolitano, Committenza pubblica e principio del risultato, in Astrid, 2023; S. Perongini, Il principio del risultato e il principio di concorrenza nello schema definitivo del codice dei contratti pubblici, in L’Amministrativista, 2023; G. Tulumello, Il diritto dei contratti pubblici fra regole di validità e regole di responsabilità: affidamento, buona fede, risultato, in giustizia-amministrativa.it, 2023; M.A. Sandulli, Prime considerazioni sullo Schema del nuovo Codice dei contratti pubblici, in Giustizia Insieme, 2022. Sulla rilevanza dell’esecuzione del contratto anche in tema di concorrenza, cfr. R. Cavallo Perin, G. Racca, La concorrenza nell’esecuzione dei contratti pubblici, in Dir. amm., 2010, p. 325 ss.
[34] Prendendo le mosse dall’art. 1 del d.lgs. n. 36/2023, per come illustrato nella Relazione di accompagnamento al Codice, si evince come la concorrenza sia «funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti». Si collega così il risultato, inteso come fine, alla concorrenza, intesa come metodo (sulla scorta di quanto avviene per l’art. 97 Cost., in cui il buon andamento è legato all’imparzialità, al punto da essere stati considerati per lungo tempo una vera e propria endiadi). Il nesso tra “risultato” e “concorrenza”, la seconda in funzione del primo, è già rafforzato dalla dizione del comma 1, dove si specifica che non si persegue “un risultato purché sia”, ma un risultato “virtuoso”, che accresca la qualità, diminuisca i costi, aumenti la produttività.