Profili applicativi della fiscalizzazione degli abusi edilizi. Nota a Consiglio di Stato, Sez. II, 25 ottobre 2023, n. 9243
di Rocco Parisi
Sommario: 1. Premessa; 2. La vicenda contenziosa; 3. La riedizione del potere amministrativo a seguito dell’annullamento del titolo edilizio; 4. L’interpretazione dell’art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 nella sentenza n. 17/2020 della Plenaria; 5. I principi chiarificatori espressi dalla sentenza n. 9243/2023 del Consiglio di Stato; 6. Conclusioni.
1. Premessa.
Con la sentenza 25 ottobre 2023, n. 9243, la seconda Sezione del Consiglio di Stato torna ad occuparsi della c.d. fiscalizzazione dell’abuso di cui all’art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 (c.d. «T.U.E.»), svolgendo alcune importanti riflessioni in merito ai presupposti applicativi ed alle modalità di riesercizio del potere a seguito dell’annullamento del titolo edilizio.
Com’è noto, la «fiscalizzazione dell’abuso» rappresenta un ampio genus di matrice interpretativa in cui confluiscono diverse ipotesi, tassativamente previste dalla legge, in cui l’ordinamento giuridico ammette una mitigazione del trattamento sanzionatorio per la repressione di alcune tipologie di abusi edilizi, consentendo l’irrogazione di una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione delle opere abusive.
Invero, il T.U.E. prefigura diverse ipotesi di fiscalizzazione[1], inerenti ad abusi originati i) da interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti in assenza di permesso di costruire o in totale difformità (art. 33), ii) da interventi edilizi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire (art. 34) e iii) da interventi edilizi eseguiti in conformità ad un titolo illegittimo e successivamente annullato (art. 38). Peraltro, le varie fattispecie di fiscalizzazione, essendo ancorate a ratio e logiche del tutto distinte, sono subordinate dalla legge a presupposti applicativi (nell’an) e criteri di quantificazione (nel quantum) altrettanto diversificati.
Per quanto qui di interesse, l’art. 38 del d.p.r. n. 380/2001[2] disciplina il regime sanzionatorio dei c.d. «abusi edilizi sopravvenuti», realizzati in conformità ad un titolo abilitativo originariamente rilasciato dall’amministrazione (o formatosi ai sensi di legge) ma successivamente annullato, prevedendo che qualora non sia possibile procedere alla «rimozione dei vizi delle procedure amministrative» o alla «restituzione in pristino», l’amministrazione, «in base a motivata valutazione», applica in luogo della demolizione «una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite»[3].
La ratio della disposizione in esame è di graduare la risposta sanzionatoria in relazione alla gravità dell’abuso realizzato[4], introducendo un regime sanzionatorio più mite, rispetto a quello demolitorio ordinariamente previsto per la repressione degli abusi edilizi realizzati sine titulo, per le ipotesi in cui il privato abbia edificato confidando incolpevolmente nella legittimità del titolo edilizio rilasciato dall’amministrazione (o formatosi ai sensi di legge)[5], successivamente rivelatosi illegittimo ed annullato.
La gradualità del trattamento sanzionatorio si giustifica proprio in virtù della differenza tra l’animus di colui che realizza (in buona fede) un’opera conforme ad un titolo edilizio successivamente annullato, confidando nella legittimità dello stesso e dunque nella conformità dell’opera alla normativa urbanistico-edilizia[6], e lo stato soggettivo di colui che vìola scientemente la disciplina vigente, realizzando un’opera edilizia già in origine abusiva[7].
L’obiettivo perseguito dal legislatore è di individuare un giusto punto di equilibrio tra interessi antagonisti, ovvero – da una parte – quello del costruttore, che abbia legittimamente confidato nella conformità dell’opera edilizia realizzata sulla base di un titolo rilasciato dall’amministrazione, e – d’altra parte – l’interesse pubblico al corretto sviluppo urbanistico e l’interesse dei terzi danneggiati dalla realizzazione dell’opera abusiva. Composizione che, nell’ottica del legislatore, si realizza «per il tramite di una “compensazione” monetaria di valore pari al «valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite»»[8].
Peraltro, l’integrale pagamento della sanzione pecuniaria irrogata dall’amministrazione realizza ex lege i medesimi effetti sananti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’art. 36 del T.U.E.[9]
Tuttavia, deve precisarsi che l’equiparazione della fiscalizzazione dell’abuso ex art. 38 al permesso in sanatoria di cui all’art. 36 opera solo sul piano degli effetti, fermo restando la distinzione ontologica, strutturale e finalistica tra i due istituti. Nel caso della fiscalizzazione dell’abuso, infatti, il temperamento dell’obbligo di demolizione della costruzione abusiva si giustifica «in ragione, non già della sostanziale conformità urbanistica (passata e presente) della stessa (oggetto della diversa fattispecie prevista dall’art. 36 cit.), ma della presenza di un permesso di costruire che ab origine ha giustificato l’edificazione e dato corpo all’affidamento del privato alla luce della generale presunzione di legittimità degli atti amministrativi»[10].
Invero, a differenza del permesso di costruire in sanatoria, la fiscalizzazione dell’abuso è una sanzione amministrativa, diversa da quella ordinaria della demolizione, costituente il prezzo che il privato è tenuto a pagare per accedere agli effetti sananti previsti dalla legge[11]. Proprio in ragione della diversa natura, l’importo viene determinato in base a criteri differenti, a seconda che si versi nell’ipotesi di sanatoria ex art. 36 o di fiscalizzazione dell’abuso di cui all’art. 38.
2. La vicenda contenziosa.
La sentenza in commento si pone all’esito di una vicenda sostanziale e processuale alquanto articolata, in cui, a seguito di diverse pronunce giudiziali ed altrettante riedizioni del potere amministrativo, gli appellanti contestavano la scelta dell’amministrazione di procedere, a fronte dell’annullamento dei titoli edilizi dei proprietari di unità immobiliari limitrofe, all’irrogazione nei confronti di questi ultimi della sanzione amministrativa pecuniaria in luogo della demolizione ex art. 38 del T.U.E.
La vicenda origina dal ricorso con cui la proprietaria di un fondo impugnava le concessioni edilizie rilasciate dal Comune di Parma per la realizzazione di due edifici sul terreno confinante, asserendone la contrarietà alle disposizioni urbanistico-edilizie sulla volumetria, le altezze e le distanze tra le costruzioni.
All’esito dei due gradi di giudizio, il Consiglio di Stato accertava la sussistenza dei profili di illegittimità contestati e, pertanto, annullava i titoli abilitativi impugnati[12].
In sede di riesercizio del potere, nel 2013 l’amministrazione adottava un provvedimento di rinnovazione dei titoli edilizi annullati, anch’esso impugnato in sede giurisdizionale e dichiarato nullo dal giudice dell’ottemperanza per violazione del giudicato[13].
A fronte della predetta declaratoria di nullità, l’amministrazione avviava un nuovo procedimento sanzionatorio degli abusi edilizi, all’esito del quale, accertata l’impossibilità di procedere alla demolizione delle parti abusive senza pregiudizio della stabilità e della sicurezza delle parti conformi, disponeva l’irrogazione della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione, ai sensi dell’art. 38 del d.p.r. n. 380/2001.
Anche quest’ultimo provvedimento veniva impugnato dinanzi al TAR Parma dai proprietari del terreno confinante (aventi causa della ricorrente del primo giudizio), i quali asserivano che, a fronte delle precedenti pronunce di annullamento e di nullità dei titoli edilizi, l’amministrazione avrebbe dovuto necessariamente disporre la demolizione degli edifici abusivi.
Nel corso del giudizio di primo grado veniva disposta apposita verificazione, volta ad accertare l’effettiva possibilità di procedere alle demolizioni delle parti abusive degli edifici senza pregiudizio per le parti conformi.
Acquisite le risultanze istruttorie, da cui emergeva che gli interventi di demolizione sarebbero risultati – in parte – non eseguibili senza pregiudizio delle parti conformi e – per la restante parte – inidonei a consentire la conformazione del fabbricato alla normativa urbanistica, con sentenza n. 308/2022 il TAR rigettava il ricorso, accertando la legittimità della sanzione amministrativa pecuniaria irrogata dal Comune.
La predetta sentenza veniva impugnata dalla parte soccombente dinanzi al Consiglio di Stato.
Con la sentenza 25 ottobre 2023, n. 9243, qui in commento, la seconda Sezione del Consiglio di Stato ha rigettato integralmente l’appello, ponendo fine ad una vicenda contenziosa durata circa vent’anni.
3. La riedizione del potere amministrativo a seguito dell’annullamento del titolo edilizio.
L’art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 disciplina una peculiare ipotesi di riedizione del potere successivo all’annullamento, demandando all’amministrazione la scelta tra tre diverse alternative: i) esercizio del potere di convalida di cui all’art. 21-nonies della l. n. 241/1990 con rinnovazione del titolo edilizio annullato, qualora l’annullamento fosse stato disposto per vizi procedurali o formali emendabili; ii) applicazione della sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere abusive, qualora il titolo fosse stato annullato per vizi procedimentali non emendabili o (indipendentemente dalla natura del vizio) sia comunque impossibile procedere alla rimessione in pristino; iii) demolizione delle opere abusive, ove non sussistano le condizioni per procedere secondo alcuna delle alternative precedenti.
Sicché, la demolizione dell’opera abusiva non rappresenta una conseguenza fisiologica ed automatica della pronuncia di annullamento, ricompresa tra i suoi effetti conformativi, costituendo al contrario una delle possibili soluzioni alternative (recte: quella di extrema ratio) che l’amministrazione può adottare in base alle condizioni del caso concreto[14].
La vicenda amministrativa, dunque, si riapre per intero al riesercizio del potere, che non appare affatto incastonato tra gli effetti conformativi del sindacato giurisdizionale, circoscritto invece alla sola caducazione dei titoli illegittimi, riferendosi di converso a segmenti di attività nuovi ed ulteriori rispetto a quello che in precedenza aveva condotto all’adozione del titolo abilitativo annullato.
L’unica eccezione è costituita dall’ipotesi in cui l’amministrazione proceda alla rinnovazione dei titoli edilizi annullati, così ritornando sullo stesso segmento di potere già esercitato e sindacato dal giudice[15].
Sul punto, la sentenza in commento, muovendo dal presupposto per cui l’annullamento del titolo edilizio non è idoneo a conformare in senso vincolato la successiva attività amministrativa, ha condivisibilmente sostenuto che la sentenza di annullamento «ha per oggetto il mero annullamento dei titoli edilizi e non si estende all’obbligo di demolizione delle opere realizzate sulla base dei titoli annullati»[16]. Infatti, dal giudicato deriva per l’amministrazione «un mero obbligo di risultato, consistente nell’eliminazione dei riscontrati vizi di legittimità dei titoli edilizi», demandandosi «alla discrezionalità amministrativa il quomodo, ossia l’individuazione della modalità più opportuna, tra quelle consentite dall’ordinamento, per realizzarlo alla luce delle circostanze del caso concreto»[17].
Ne deriva che la scelta dell’amministrazione di disporre la fiscalizzazione dell’abuso edilizio in luogo della demolizione, afferendo ad un’attività amministrativa del tutto diversa ed ulteriore rispetto a quella che ha condotto all’annullamento del titolo, non può essere sindacata dal giudice dell’ottemperanza (per violazione o elusione del giudicato), né tantomeno può essere assoggettata ai limiti del c.d. «one shot temperato»[18].
Diversamente opinando, infatti, verrebbe a realizzarsi un indebito sconfinamento del sindacato giudiziale, da parte del giudice dell’ottemperanza[19], in ambiti riservati a poteri amministrativi non ancora esercitati, connotati da presupposti e valutazioni del tutto diverse da quelle già compiute dall’amministrazione nell’adozione dei titoli edilizi.
L’esame realizzato dall’amministrazione a seguito dell’annullamento del titolo edilizio, nell’alternativa tra fiscalizzazione o demolizione, semplicemente non è un “riesame” dell’attività svolta in precedenza, riferendosi a profili fattuali e giuridici del tutto diversi da quelli che avevano condotto all’adozione dei titoli annullati[20], di tal guisa che viene necessariamente a realizzarsi “un azzeramento” della vicenda amministrativa ai fini dell’applicazione del «one shottemperato».
4. L’interpretazione dell’art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 nella sentenza n. 17/2020 della Plenaria.
L’art. 38 del T.U.E. subordina l’applicazione della fiscalizzazione dell’abuso a taluni presupposti, che l’amministrazione deve puntualmente accertare ed esplicitare sulla scorta di una «motivata valutazione».
In particolare, la norma riporta due condizioni distinte ed alternative, accomunate dal medesimo presupposto costituito dall’annullamento (giudiziale o amministrativo)[21] del titolo edilizio: i) l’impossibilità di procedere alla «rimozione dei vizi delle procedure amministrative»; ii) l’impossibilità di procedere alla «restituzione in pristino» dell’opera abusiva.
A fronte di una certa genericità del dettato normativo, è sorto un acceso dibattito in ordine all’esatta perimetrazione del significato e della portata applicativa dell’istituto de quo.
In rifermento al primo presupposto delineato dalla norma, si è dibattuto circa l’effettivo significato della nozione «vizi delle procedure», discutendosi in merito alla possibilità di farvi rientrare i vizi solo formali o procedurali, ovvero anche quelli di natura sostanziale.
L’orientamento più restrittivo ha ritenuto che la fiscalizzazione dell’abuso per impossibilità di rimozione dei vizi delle procedure possa essere disposta soltanto ove il titolo edilizio sia stato annullato per vizi formali o procedurali, in caso contrario dovendo l’amministrazione necessariamente ordinare la demolizione dell’opera abusiva[22]. Secondo tale indirizzo, la fiscalizzazione non sarebbe viceversa possibile nel caso in cui il titolo sia stato annullato per vizi sostanziali, non potendo operare con effetti di condono extra legem.
Secondo un diverso orientamento, la fiscalizzazione degli abusi sopravvenuti sarebbe applicabile anche in presenza di vizi sostanziali emendabili, ammettendosi che il privato, apportando al progetto iniziale le modifiche necessarie a consentirne la conformazione alla normativa urbanistica, possa ottenere dall’amministrazione un provvedimento sanzionatorio con effetti sananti, anche in assenza della condizione della “doppia conformità” imposta dall’art. 36 del T.U.E.[23].
In virtù di una tesi ancor più permissiva, volta a massimizzare la tutela dell’affidamento del privato, la fiscalizzazione dell’abuso non sarebbe ex se preclusa neppure in presenza di vizi sostanziali non emendabili, dovendosi considerare «vizi delle procedure» tutti quelli idonei a condurre all’invalidità del titolo edilizio, indipendentemente dalla loro natura formale o sostanziale[24]. Sicché, la scelta di disporre o meno la fiscalizzazione in luogo della demolizione sarebbe demandata ad una valutazione prettamente discrezionale dell’amministrazione, da esplicitarsi attraverso una motivazione particolarmente approfondita, sindacabile dal giudice amministrativo in sede di legittimità.
Anche il riferimento normativo alla impossibilità della «restituzione in pristino» è stato oggetto di differenti ricostruzioni interpretative in giurisprudenza.
Alcune pronunce minoritarie hanno declinato l’impossibilità di demolire in senso ampio, secondo un’accezione economico-giuridica, attribuendo all’amministrazione la possibilità di effettuare una valutazione discrezionale sull’equità e sull’opportunità di disporre la fiscalizzazione in luogo della demolizione, attraverso un bilanciamento in concreto degli interessi in gioco[25].
Secondo la tesi maggioritaria, invece, l’impossibilità di demolire deve essere intesa restrittivamente, in senso tecnico-materiale, dovendo l’amministrazione accertare, all’esito di una valutazione squisitamente tecnica, l’impraticabilità concreta della demolizione, in virtù dei gravi pregiudizi (statici, antisismici, ecc.) che potrebbero derivare per le parti legittimamente edificate[26]. In tal senso, peraltro, l’interpretazione della norma risulterebbe coerente con quanto disposto dall’art. 34, comma 2, del T.U.E. in relazione all’ipotesi di fiscalizzazione per interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire.
Orbene, a fronte dell’eterogeneità delle tesi emerse, la questione inerente la corretta interpretazione dell’art. 38 del T.U.E. è stata rimessa all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato[27], sia pur con precipuo riferimento al primo dei presupposti applicativi previsti dalla norma, su cui il Supremo Consesso si è pronunciato con la sentenza n. 17/2020.
In particolare, dopo aver ricostruito puntualmente i diversi orientamenti giurisprudenziali emersi sulla nozione di «vizi delle procedure», la Plenaria ha ritenuto di aderire a quello più restrittivo, ritenendo che l’art. 38 si riferisca esclusivamente a vizi formali e procedurali che, pur astrattamente emendabili, risultino in concreto, all’esito di una valutazione operata dall’amministrazione, di impossibile rimozione.
Invero, nel ragionamento seguito dalla Plenaria, a seguito dell’annullamento del titolo edilizio, l’amministrazione è tenuta anzitutto ad accertare la natura del vizio causa dell’illegittimità e, solo nel caso in cui si tratti di illegittimità formali, verificata preliminarmente l’impossibilità della loro emendabilità attraverso il potere di convalida ex art. 21-nonies della l. n. 241/1990, può procedere alla fiscalizzazione di cui all’art. 38.
Viceversa, qualora il titolo sia stato annullato per violazioni (sostanziali) della disciplina urbanistica, la fiscalizzazione risulterebbe preclusa, non potendo in ogni caso operare come forma di condono amministrativo extra legem demandato alla discrezionalità dell’amministrazione.
Tale impostazione tende a preservare il giusto bilanciamento tra tutela dell’affidamento del costruttore, tutela dell’assetto urbanistico del territorio e tutela del terzo, atteso che, ove anche la fiscalizzazione non risulti possibile (per la sussistenza di vizi sostanziali), la tutela del legittimo affidamento del costruttore potrebbe essere garantita in sede risarcitoria, in ragione della possibilità di richiedere ed ottenere in sede giudiziale il ristoro dei danni derivanti dalla lesione dell’affidamento legittimamente riposto sulla legittimità del titolo e dell’opera realizzata[28].
La tesi della Plenaria risulta condivisibile[29], specie in virtù delle argomentazioni letterali e sistematiche[30] addotte dal Supremo Consesso.
Sennonché, la pronuncia della Plenaria ha destato qualche dubbio esegetico nella parte in cui è stato sostenuto che «il riferimento ad un vizio procedurale astrattamente convalidabile delimita operativamente il campo semantico della successiva e connessa proposizione normativa riferita all’impossibilità di rimozione, dovendo per questa intendersi una impossibilità che attiene pur sempre ad un vizio che, sul piano astratto sarebbe suscettibile di convalida, e che per le motivate valutazioni espressamente fatte dall’amministrazione, non risulta esserlo in concreto»[31].
È stato sostenuto, infatti, che sulla scorta di tale assunto il Supremo Consesso sia andato oltre il tenore letterale della norma e la ratio che la connota, individuando nei «vizi delle procedure» la condizione prioritaria d’accesso all’impianto normativo dell’art. 38, per nulla prevista dalla legge, rispetto alla quale l’impossibilità della riduzione in pristino resterebbe sullo sfondo. Ne deriverebbe una chiara alterazione in via interpretativa del rapporto di alternatività in cui i due presupposti sono collocati dalla norma, giungendo ad escludere a priori la fiscalizzazione dell’abuso ogniqualvolta vengano in rilievo vizi sostanziali, indipendentemente dalla possibilità o meno di procedere alla demolizione.
È di piana evidenza che tale lettura della sentenza della Plenaria[32] non potrebbe essere accolta con favore, in quanto foriera di una vera e propria interpretazione creativa e manipolativa del dato normativo[33], conducendo peraltro ad un effetto sostanzialmente abrogativo dell’art. 38 in ragione della crescente dequotazione dei vizi procedimentali o formali, ad oggi cristallizzata dall’art. 21-octies comma 2 della legge n. 241/1990, e della natura vincolata diffusamente attribuita al permesso di costruire[34].
Tuttavia, si ritiene che tali dubbi possano essere superati, oltre che per ragioni di coerenza giuridica-sistematica, soprattutto in virtù di un’accurata lettura della sentenza della Plenaria.
Anzitutto, è la stessa Plenaria a delimitare preliminarmente l’oggetto della propria pronuncia, rilevando che i quesiti posti dalla Sezione rimettente si riferivano unicamente alla proposizione normativa dei «vizi delle procedure», così riconducendo a tale proposizione i principi interpretativi enunciati[35].
In secondo luogo, nel ragionamento logico seguito dal Supremo Consesso, la natura procedimentale o formale del vizio assume una priorità logica nell’alternativa tra fiscalizzazione e rinnovazione del titolo nell’esercizio dei poteri di convalida di cui all’art. 21-nonies, precludendo la fiscalizzazione ove l’amministrazione possa emendare il vizio procedimentale, ristabilendo la conformità del caso di specie al paradigma normativo. Ove ciò non sia possibile, per la non emendabilità in concreto del vizio, la natura procedimentale o formale di quest’ultimo connota di significato la successiva proposizione normativa riferita all’impossibilità della «rimozione», per tale dovendosi intendere pur sempre l’impossibilità di rimozione dei vizi procedimentali o formali. Sicché, il principio espresso dalla Plenaria risulta saldamente circoscritto al primo presupposto applicativo descritto dall’art. 38, lasciando impregiudicato ogni ulteriore accertamento sull’applicazione della fiscalizzazione per impossibilità della riduzione in pristino (a prescindere dalla natura del vizio).
Infine, ad ulteriore conferma della lettura in esame, si consideri che, dopo aver interpretato «i vizi delle procedure» nel senso di ricomprendervi solo i vizi procedurali o formali, in riferimento al caso di specie la Plenaria ha rilevato l’impossibilità di ritenere integrato tale presupposto in ragione della sussistenza di vizi sostanziali, demandando tuttavia alla Sezione rimettente ogni accertamento in fatto circa la sussistenza «dell’altra condizione, pur prevista dall’art. 38, di “impossibilità della riduzione in pristino”».
È evidente, dunque, come la stessa Plenaria abbia riconosciuto che la sussistenza di vizi sostanziali, pur escludendo l’applicazione della fiscalizzazione dell’abuso sulla scorta del primo presupposto, non impedisca tout court l’applicazione dell’istituto de quo, dovendo l’amministrazione ulteriormente accertare l’impossibilità di procedere alla restituzione in pristino.
5. I principi chiarificatori espressi dalla sentenza n. 9243/2023 del Consiglio di Stato.
Conformandosi all’orientamento consolidato in giurisprudenza[36], la sentenza in commento ha fornito un’interpretazione dell’art. 38 conforme al tenore letterale della norma ed alla logica sistematica prefigurata dal legislatore.
Anzitutto, uniformandosi all’indirizzo più restrittivo espresso dalla Plenaria, i Giudici hanno circoscritto la nozione di «vizi delle procedure amministrative» ai soli vizi procedimentali o formali non emendabili, riconoscendo alla seconda condizione (della impossibilità della «restituzione in pristino») una valenza alternativa e distinta.
Invero, nel rimarcare il rapporto di alternatività tra i due presupposti applicativi previsti dalla norma in esame, il Collegio ha espressamente sostenuto che «l’art. 38 d.p.r. 380/2001 non trova applicazione nel solo caso di impossibilità di rimozione dei vizi delle procedure amministrative, ma anche nel caso di impossibilità di riduzione in pristino del bene, laddove il titolo edilizio sia stato annullato non per vizi formali o procedurali, bensì sostanziali. Si tratta, infatti, di due condizioni eterogenee poiché la prima attiene alla sfera dell’amministrazione e presuppone che l’attività di convalida del provvedimento amministrativo (sub specie del permesso di costruire), ex art. 21 nonies comma 2, mediante rimozione del vizio della relativa procedura, non sia oggettivamente possibile; la seconda attiene alla sfera del privato e concerne la concreta possibilità di procedere alla restituzione in pristino dello stato dei luoghi»[37].
Peraltro, riprendendo tale principio espresso dalla Plenaria nella sentenza n. 17/2020, il Collegio ha precisato che la pronuncia de qua «si è occupata unicamente della prima delle due condizioni», così escludendo fermamente che il riferimento ai vizi procedurali possa precludere, in caso di vizi sostanziali, la fiscalizzazione dell’abuso per impossibilità della riduzione in pristino. È interessante notare come, nel sostenere tale assunto, il Collegio abbia espressamente rigettato il motivo di gravame con cui gli appellanti, richiamando proprio i principi espressi dalla Plenaria n. 17/2020, censuravano la sentenza di primo grado nella parte in cui il TAR non aveva considerato che «la sanzione pecuniaria dell’art. 38 T.U. non è applicabile ai titoli edilizi annullati per vizi sostanziali»[38].
Ciò posto, il Collegio si è ulteriormente soffermato sul secondo presupposto applicativo dell’art. 38, relativo alla impossibilità della riduzione in pristino.
In particolare, nel rilevare nel caso di specie l’effettiva impossibilità tecnico-costruttiva di procedere alla demolizione degli abusi senza pregiudizio per le parti conformi[39], la sentenza in commento riporta alcune importanti precisazioni in merito alla stessa possibilità di individuare la sussistenza di parti conformi dell’opera abusiva nelle ipotesi di annullamento integrale del titolo edilizio.
Tale questione, infatti, è attualmente dibattuta, essendo risolta in maniera tutt’altro che univoca dalla giurisprudenza amministrativa.
Da un lato, l’orientamento più restrittivo ritiene che dall’annullamento integrale del titolo edilizio derivi «la sopravvenuta abusività del fabbricato nella sua totalità», con conseguente preclusione in radice di «ulteriori valutazioni afferenti la possibilità, o meno, di procedere alla riduzione in pristino, posto che simili valutazioni sono finalizzate ad evitare la compromissione di opere – id est: parti del fabbricato – legittimamente realizzate, che nel caso di specie non sono esistenti»[40].
Dall’altro lato, la tesi più estensiva, cui aderisce la sentenza in commento, sostiene che l’annullamento integrale del titolo edilizio non renda necessariamente abusivo in toto il fabbricato, impedendo ex se l’individuazione di porzioni legittime (potenzialmente pregiudicate dalla demolizione delle parti abusive), dovendosi al contrario verificare se le abusività accertate abbiano «riguardato porzioni ben individuate e circoscritte degli immobili, con la conseguenza che la regula iuris discendente dal giudicato impone l’eliminazione delle sole parti abusive, senza incidere su quelle legittimamente realizzate»[41].
Di talché, la fiscalizzazione dell’abuso (per impossibilità tecnica della demolizione) può essere disposta anche ove il titolo edilizio sia stato annullato integralmente, purché la difformità (sopravvenuta) sia circoscritta ad una parte dell’edificio e ciò sia puntualmente desumibile dalla motivazione del provvedimento (amministrativo o giudiziale) di annullamento. Anche in tali casi, infatti, l’amministrazione, ove ritenga, sulla scorta di motivata valutazione tecnica[42], che la demolizione delle parti abusive non possa avvenire senza pregiudizio delle parti legittimamente edificate, potrà disporre l’irrogazione della sanzione pecuniaria con effetti sananti.
6. Conclusioni.
La sentenza in commento ricostruisce opportunamente la fiscalizzazione dell’abuso in maniera conforme alla ratio ed al tenore letterale dell’art. 38.
Invero, viene fermamente rimarcato il gradualismo logico sotteso alla disposizione legislativa in esame, per cui a seguito dell’annullamento del titolo edilizio, l’amministrazione, accertata preliminarmente l’impossibilità di procedere alla rinnovazione del titolo attraverso la rimozione dei vizi procedurali o formali ex art. 21-nonies della l. n. 241/1990, provvede, sulla scorta di «motivata valutazione», a disporre la fiscalizzazione dell’abuso in luogo della demolizione laddove: i) il titolo edilizio sia stato annullato per vizi procedimentali o formali non emendabili in concreto; ii)indipendentemente dalla natura del vizio, non sia tecnicamente possibile la riduzione in pristino, in quanto gravemente pregiudizievole per le parti conformi.
Così correttamente ricostruita, la disciplina della fiscalizzazione dell’abuso, nel mitigare il meccanismo sanzionatorio dei c.d. abusi sopravvenuti, è finalizzata a tutelare la buona fede ed il legittimo affidamento del privato che abbia costruito in virtù di un titolo legittimo successivamente annullato, individuando (attraverso la previsione di apposite condizioni applicative) un opportuno punto di equilibrio con gli altri (e contrapposti) interessi in gioco, costituiti dal corretto assetto urbanistico del territorio e dalla tutela dei terzi (controinteressati rispetto al titolo edilizio ed eventualmente ricorrenti vittoriosi nel giudizio di annullamento)[43].
Un punto di equilibrio che, risultando da una precisa scelta (lato sensu politica) del legislatore, non può in alcun modo essere alterato, in ossequio al fondamentale principio della separazione dei poteri, né in sede applicativa dall’amministrazione, attraverso un rinnovato bilanciamento in concreto degli interessi, né attraverso un’interpretazione (creativa) della giurisprudenza.
Non si trascura di certo che la fiscalizzazione dell’abuso per impossibilità della riduzione in pristino, ove disposta anche in presenza di difformità sostanziali dell’opera, possa arrecare un vulnus al corretto sviluppo urbanistico del territorio ed all’interesse dei terzi pregiudicati dall’edificazione abusiva, i quali potrebbero ottenere un vantaggio solo illusorio dall’accoglimento del ricorso di annullamento proposto avverso il titolo edilizio[44].
Limitazioni di tutela, tuttavia, che, oltre ad essere adeguatamente calibrate attraverso la previsione dei presupposti applicativi indicati dall’art. 38, devono essere accettate, in quanto espressamente autorizzate dalla legge, costituendo il “prezzo” individuato dal legislatore per ricucire il “corto circuito istituzionale” ingenerato dal rilascio di un titolo edilizio illegittimo e ciò nonostante idoneo, nelle more dell’annullamento, a legittimare l’edificazione in buona fede da parte del titolare.
Pare peraltro che la tutela dei terzi, pregiudicati dalla mancata demolizione delle opere abusive, possa essere sufficientemente recuperata in via risarcitoria, riconoscendo loro la possibilità di agire nei confronti dell’amministrazione[45] per ottenere il ristoro dei pregiudizi subiti in conseguenza del rilascio del titolo illegittimo.
La via del risarcimento dei danni, infatti, pare essere percorribile dai terzi, i quali possono dimostrare in giudizio la sussistenza di un danno ingiusto (non iure e contra ius) idoneo ad incidere negativamente sulla loro situazione giuridica sostanziale, avvinto causalmente all’esecuzione del titolo edilizio illegittimo adottato dall’amministrazione, dunque meritevole di risarcimento ai sensi dell’art. 2043 c.c.
[1] Per un esame delle diverse ipotesi di fiscalizzazione degli abusi edilizi tipizzate dal d.p.r. n. 380/2001, si veda: F. Salvia, C. Bevilacqua, Manuale di diritto urbanistico, III ed., Vicenza, 2017, 233 ss.; A. Fiale, E. Fiale, Diritto Urbanistico, Napoli, 2008, 903 ss.
[2] Le disposizioni dell’art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 ripropongono la disciplina previgente contenuta nell’art. 11 della legge n. 47/1985, introducendo l’obbligo di «motivata valutazione» in capo all’amministrazione procedente e modificando la competenza per l’irrogazione della sanzione pecuniaria (in precedenza attribuita al Sindaco).
[3] Cfr. G.G.A. Dato, Sanzioni amministrative relative ad interventi eseguiti in base a permesso annullato, in A. Cagnazzo, S. Toschei, F.F. Tuccari (a cura di), Sanzioni amministrative in materia urbanistica, Torino, 2014, 605 ss.; D. Caldirola, L’annullamento del permesso di costruire e della DIA, in S. Battini, L. Casini, G. Vesperini, C. Vitale (a cura di), Codice di edilizia e urbanistica, Milano, 2013, 1407; R. Leonardi, M. Occhiena, Commento all'art. 38, in M.A. Sandulli (a cura di), Testo unico dell'edilizia, II ed., Milano, 2009, 656 ss.; A. Fiale, E. Fiale, Diritto Urbanistico, op. cit., 945 ss. Per un inquadramento generale dell’art. 38 nell’ambito della disciplina dei controlli sull’attività edilizia e del sistema sanzionatorio di repressione degli abusi, si veda M.A. Sandulli, Edilizia, in Riv. Giur. Edil., 3, 2022, 171 ss.; Id., Controlli sull’attività edilizia, sanzioni e potere di autotutela, in Federalismi, n. 18/2019.
[4] Cfr. G. Pagliari, Manuale di diritto urbanistico, Milano, 2019, 743.
[5] Al contrario, non si ritiene sia configurabile, né tantomeno tutelabile, alcun affidamento in capo al proprietario/autore dell’abuso «giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo ad ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata», atteso che il decorso del tempo e l’inerzia dell’amministrazione nella repressione dell’abuso «non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo» (cfr. Cons. St., Ad. Pl., 17 ottobre 2017, n. 9. In termini, anche Cons. St., Sez. VI, 9 agosto 2016, n. 3559).
[6] Cfr. Cons. St., Sez. VI, 28 novembre 2018, n. 6753; Id., 9 aprile 2018 n. 2155 e 10 maggio 2017 n. 2160.
[7] Sulla scorta di tali considerazioni, la giurisprudenza ha sostenuto che la fiscalizzazione dell’abuso non possa applicarsi laddove il privato abbia consapevolmente concorso alla formazione o al rilascio del titolo edilizio illegittimo, celando all’amministrazione la realtà materiale-giuridico o ponendo in essere una condotta contrastante con le prescrizioni di legge confidando nel mancato (o parziale) esercizio dei poteri amministrativi di vigilanza. Infatti, «il mendacio non è equiparabile a vizio formale e l'invocata fiscalizzazione contrasterebbe con il principio di carattere generale che esclude la possibile di conformazione degli effetti di quanto dichiarato falsamente» (cfr. Cons. St., Sez. VI, 26 settembre 2022, n. 8285 e 8 aprile 2021, n. 2854).
[8] Cfr. Cons. St., Ad. Pl., 7 settembre 2020, n. 17.
[9] Su tale istituto, si veda A. Crosetti, Art. 36 Accertamento di conformità, in M.A. Sandulli (a cura di), Testo Unico dell’Edilizia, Milano, 2015, 434; S. Gatto Costantino, P. Savasta, Manuale dell’urbanistica, dell’edilizia e dell’espropriazione, II ed., Lecce, 2012, 656 ss.; G. Mengoli,Manuale di diritto urbanistico, Milano, 2009, 1157 ss.; P.F. Gaggero, Regolarizzazione edilizia successiva atipica e accertamento di conformità, in Riv. Giur. Ed., 2004, 4, 1397.
[10] Cfr. capo 10.2 della sentenza in commento.
[11] In tal senso anche A. Giusti, La fiscalizzazione dell’abuso edilizio fra esigenze punitive e di ripristino dell’equilibrio urbanistico, in Giur. It., 4, 2021, 925.
[12] Cfr. Cons. St., Sez. IV, 2 novembre 2010, n. 7731.
[13] Cfr. Cons. St., Sez. IV, 26 marzo 2019, n. 1986.
[14] Sulla scorta di tali premesse, TAR Campania, Sez. III, 2 dicembre 2022, n. 7543, ha sostenuto l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione adottata a seguito dell’annullamento del titolo edilizio, laddove nel corso del relativo procedimento l’amministrazione non abbia adeguatamente consentito al destinatario del provvedimento di esercitare le prerogative partecipative previste dalla legge n. 241/1990.
[15] La vicenda ad oggetto della sentenza in commento è emblematica delle diverse soluzioni amministrative e delle relative conseguenze processuali che si possono prospettare a seguito dell’annullamento del titolo edilizio. Si consideri, infatti, che a seguito del primo giudicato di annullamento dei titoli edilizi (intervenuto con la sentenza del Consiglio di Stato n. 7731/2010), l’amministrazione aveva adottato un provvedimento di riedizione dei titoli edilizi che, impugnato in sede di ottemperanza, era stato dichiarato nullo per contrasto con il precedente giudicato (cfr. sentenza del Consiglio di Stato n. 1986/2019). A seguito di quest’ultima declaratoria di nullità, l’amministrazione aveva deciso di procedere ai sensi dell’art. 38 con l’irrogazione della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione, che, in quanto afferente ad una porzione di attività amministrativa distinta dalla precedente, ha seguito la strada processuale del giudizio ordinario di legittimità, non incontrando alcun limite conformativo derivante dalle pronunce precedenti.
[16] Cfr. capo 8.3 della sentenza in commento.
[17] Cfr. capo 8.5 della sentenza in commento.
[18] Com’è noto, in virtù del principio del c.d. «one shot temperato» l’amministrazione che abbia subìto l’annullamento di un proprio atto ha il potere di rinnovarlo, ma per una sola volta, dovendo riesaminare l’affare nella sua interezza, sollevando tutte le questioni che ritenga rilevanti, senza poter in seguito tornare a decidere sfavorevolmente, per una terza volta, neppure in relazione a profili non ancora esaminati (cfr. T.A.R. Pescara, 1 marzo 2023, n. 107; C.G.A.R.S, 18 maggio 2022, n. 597; Cons. St., Sez. VI, 4 maggio 2022, n. 3480; Cons. St., Sez. II, 14 aprile 2020, n. 2378; Cons. St., Sez. V, 8 gennaio 2019, n. 144; Cons. St., Sez. III, 14 febbraio 2017, n. 660). Sulle più recenti evoluzioni giurisprudenziali in materia di «one shot temperato» e sulle questioni ivi sottese, sia consentito rimandare a R. Parisi, Il difficile punto di equilibrio tra l’effettività della tutela giurisdizionale e l’inesauribilità del potere amministrativo. Nota a T.A.R. Abruzzo - Pescara, 1 marzo 2023 n. 107, in Le note a sentenza di Giustizia insieme. Annuario della giurisprudenza amministrativa annotata 2023 (1° semestre), Napoli, 2023.
[19] Negli stessi termini si è espresso anche, in sede di ottemperanza, TAR Marche, Sez. I, 25 luglio 2022, n. 437.
[20] È interessante rilevare come nella diversa ipotesi in cui a seguito dell’annullamento del titolo edilizio l’amministrazione adotti un provvedimento di fiscalizzazione dell’abuso fondato sul primo dei presupposti previsti dall’art. 38, e questi sia annullato dal giudice amministrativo, in sede di riesercizio del potere l’amministrazione non perda comunque il potere di adottare un nuovo provvedimento di fiscalizzazione dell’abuso fondato sull’altro presupposto applicativo previsto dall’art. 38, ossia sull’impossibilità della riduzione in pristino, atteso che dal primo giudicato di annullamento non è derivato «alcun vincolo quanto all'inapplicabilità dell'art. 38 D.P.R. 380/2001 per la parte in cui consente la fiscalizzazione dell'abuso nel caso di impossibilità di riduzione in pristino» (cfr. T.A.R. Venezia, Sez. II, 3 giugno 2021, n. 736).
[21] La giurisprudenza amministrativa ormai consolidata, in cui si inserisce anche la sentenza in commento e la pronuncia n. 17/2020 della Plenaria, sostiene che ai fini dell’applicazione dell’art. 38 del T.U edilizia è indifferente che l’annullamento del titolo edilizio sia stato disposto (in autotutela) dall’amministrazione o in sede giurisdizionale, in ragione sia del tenore letterale della disposizione de qua – che «non si sofferma sulla natura giurisdizionale o amministrativa dell’annullamento» (Cons. di Stato, A.P., n. 17/2020) – che della sua ratio, volta a tutelare l’affidamento «del titolare del permesso di costruire circa la legittimità della progettata e compiuta edificazione conseguente al rilascio del titolo» (cfr. capo 8.7 della sentenza in commento). Al riguardo, TAR Parma, Sez. I, 7 novembre 2022, n. 308 (sul cui appello si è pronunciata la sentenza in commento), ha sostenuto in maniera ancor più approfondita che «dalla semplice lettura della norma […] si evince chiaramente che la stessa non distingue il tipo di annullamento del permesso di costruire (amministrativo o giurisdizionale) e, dunque, la predetta norma non può certo essere oggetto di una lettura restrittiva, del tutto illogica peraltro, in base alla quale l’annullamento previsto dalla medesima sarebbe unicamente quello disposto in sede amministrativa. Il fatto che l’art. 38 non parli di “annullamento giurisdizionale” non significa, dunque, che tale tipologia di annullamento sia esclusa ma solo che la norma si applica a tale tipologia ed anche a quella (diversa) dell’annullamento amministrativo. Senza considerare che, come rilevato dallo stesso Collegio, «la casistica concreta relativa all’applicazione dell’art. 38 del DPR n. 380/2001 concerne molto più spesso gli annullamenti intervenuti in sede giurisdizionale, a seguito dei quali l’Amministrazione riemette il titolo edilizio o irroga la sanzione pecuniaria».
[22] Cfr. Cons. St., Sez. VI, 9 maggio 2016, n. 1861; Id., 11 febbraio 2013, n. 753 e 16 marzo 2010 n. 1535.
[23] Cfr. Cons. St., Sez. VI, 10 settembre 2015, n. 4221; Id., 8 maggio 2014, n. 2355 e 17 settembre 2012, n. 4923.
[24] Cfr. Cons. St., Sez. VI, 19 luglio 2019, n. 5089; Id., 28 novembre 2018 n. 6753.
[25] Cfr. Cons. St., Sez. VI, 28 novembre 2018, n. 675; Id., 16 marzo 2010, n. 1535.
[26] Cfr. Cons. St., Sez. VI, 4 gennaio 2023, n. 136, laddove è stato precisato che «La riduzione in pristino, pertanto, deve risultare impraticabile alla luce di una valutazione tecnica e non di una ponderazione dei vari interessi in gioco, fra cui l'affidamento del privato nella legittimità delle opere». Infatti, «diversamente opinando, l’art. 38 d.P.R. 380/2001 si presterebbe a letture strumentali, consentendo sanatorie 'ex officio' di abusi attraverso lo strumento dell'annullamento in autotutela del titolo edilizio originario (Cons. di Stato, Sez. IV, 19/04/2022, n. 2919)». Negli stessi termini, anche Cons. St., Sez. IV, 26 settembre 2022, n. 8285; Id., 22 aprile 2021, n. 3270 e 15 dicembre 2020, n. 8032.
[27] Cfr. Cons. St., Sez. IV., 11 marzo 2020, ordinanza n. 1735, con cui si è chiesto alla Plenaria di pronunciarsi sulla «corretta interpretazione dell’art. 38 del T.U. 6 giugno 2001 n.380, nel senso di stabilire, nel caso di intervento edilizio eseguito in base a permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale, quale tipo di vizi consenta la sanatoria che la norma prevede, ovvero l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria il cui pagamento produce, ai sensi del comma 2 dell’articolo in questione, “i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria”, istituto che comunemente si chiama “fiscalizzazione dell’abuso”».
[28] Cfr. Cons. St., Ad. Pl., n. 17/2020, capo 8.1 in diritto.
[29] In senso contrario A. Giusti, La fiscalizzazione dell’abuso edilizio fra esigenze punitive e di ripristino dell’equilibrio urbanistico, op. cit., 926 ss., laddove l’Autrice mette in luce talune criticità derivanti dall’adesione all’indirizzo restrittivo sostenuto dalla Plenaria, soprattutto in riferimento all’incerta delimitazione della categoria dei vizi formali, alla dequotazione della tutela dell’affidamento del privato ed alla complessiva coerenza dell’istituto risultante dall’interpretazione della Plenaria.
[30] A fondamento di tale assunto, la Plenaria pone ragioni, sistematiche, di tutela del corretto sviluppo urbanistico del territorio – astrattamente compromesse ove per il tramite dell’art. 38 si attribuisse all’amministrazione «una sorta di condono amministrativo affidato alla valutazione dell’amministrazione, in deroga a qualsivoglia previsione urbanistica, ambientale o paesaggistica», nonché di tutela dei terzi, controinteressati rispetto al titolo abilitativo ed eventualmente ricorrenti vittoriosi nel giudizio di annullamento proposto dinanzi al giudice amministrativo, ritenendo che «la tutela dell’affidamento del costruttore, attraverso la fiscalizzazione dell’abuso anche in relazione a vizi sostanziali, di fatto vanificherebbe la tutela del terzo ricorrente, il quale, all’esito di un costoso e defatigante giudizio, si troverebbe privato di qualsivoglia utilità, essendo la sanzione pecuniaria incamerata dall’erario».
[31] Cfr. Cons. St., Ad. Pl., n. 17/2020, capo 5.3 in diritto.
[32] Tale lettura della Plenaria viene proposta in senso critico da C. Silvano, La “fiscalizzazione dell’abuso alla luce dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato: un istituto destinato a scomparire?, in Riv. Giur. Edil., 4, 2021, 1251B ss.
[33] Tendenza, che, a dire il vero, negli ultimi anni si è manifestata in alcune pronunce della Plenaria, come dimostrato dalle sentenze “gemelle” adottate in materia di concessioni balneari marittime (sentenze 9 novembre 2021, n. 17 e n. 18), per il cui approfondimento si rimanda a: M.A. Sandulli, Sulle «concessioni balneari» alla luce delle sentenze nn. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, in Giustizia insieme, 16 febbraio 2022; A. Police, A.M. Chiariello, Le concessioni demaniali marittime: dalle sentenze dell'Adunanza Plenaria al percorso di riforma. Punti critici e spunti di riflessione, in Amministr@tivamente, 2, 2022; F. Di Lascio, Le concessioni di spiaggia tra diritti in conflitto e incertezza delle regole, in Dir. Amm., 4, 2022, 1037; A. Giannelli, G. Tropea, Il funzionalismo creativo dell'adunanza plenaria in tema di concessioni demaniali marittime e l’esigenza del katékon, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 5-6, 2021, 723 ss.; M. Gola, Il Consiglio di Stato, l’Europa e le concessioni balneari: si chiude una annosa vicenda o resta ancora aperta?, in Dir. Soc., III, 2021, 401 ss.; M. Matassa, Il Consiglio di Stato “immagina” il nuovo regime giuridico delle concessioni demaniali, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 5-6, 2021, 825 ss.; R. Dipace, All’Adunanza plenaria le questioni relative alla proroga legislativa delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, in Giustizia Insieme, 15 luglio 2021. Com’è noto, peraltro, la sentenza n. 18/2021 della Plenaria è stata impugnata ex art. 111 Cost. dinanzi alla Corte di Cassazione, sulla scorta di plurimi motivi di gravame, tra cui: illegittimo diniego della giurisdizione (per dichiarata inammissibilità degli interventi spiegati in giudizio da alcune associazioni di categoria e dalla Regione); eccesso di potere giurisdizionale, superamento dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa ed indebito esercizio di poteri legislativi ed amministrativi. Sul punto, è recentemente intervenuta la sentenza 23 novembre 2023, n. 32559 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, accogliendo il primo motivo di ricorso inerente al diniego di giurisdizione e dichiarando assorbiti gli altri.
[34] Cfr. A. Giusti, La fiscalizzazione dell’abuso edilizio, op. cit., 926.
[35] Cfr. capo 4.3.1 in diritto della sentenza n. 17/2020 della Plenaria.
[36] In termini analoghi alla sentenza in commento, si segnala anche Cons. St., Sez. VI, 4 gennaio 2023, n. 136.
[37] Cfr. Cons. St., n. 9243/2023, capi 12.2 e 12.3.
[38] Cfr. Cons. St., n. 9243/2023, capo 12. Infatti, nella sentenza di primo grado (n. 308/2022), il TAR Parma aveva espressamente rilevato che «la distinzione tra “vizi sostanziali” e “vizi procedurali” assume significato nel solo caso in cui il provvedimento ex art. 38 del DPR n. 380/2001 sia motivato con il richiamo all’impossibilità della rimozione dei “vizi delle procedure amministrative” e non anche quando il provvedimento sia motivato (come nel caso di specie) con il richiamo all’impossibilità di procedere alla “restituzione in pristino” degli abusi».
[39] Sul punto, la sentenza in commento ritiene sufficientemente motivati i provvedimenti impugnati, che richiamano i pareri tecnici con cui gli uffici tecnici amministrativi rilevavano che «l’eventuale demolizione della porzione di fabbricato oggetto di abuso può ridurre in modo significativo i livelli di sicurezza per la parte di fabbricato rimanente» (cfr. capo 13.2 della sentenza in commento).
[40] Cfr. Cons. St., Sez. VI, 4 gennaio 2023, n. 136.
[41] Cfr. capo 13.7 della sentenza in commento.
[42] Alla luce del dato normativo, tale motivata valutazione può (e deve) essenzialmente riguardare due aspetti fondamentali: l’impossibilità della rinnovazione del titolo edilizio ex art. 21 nonies l. 241/1990 (ove non sia possibile e per quali ragioni); il dato tecnico, con precipuo riferimento alle ragioni sostanziali che rendono impossibile la riduzione in pristino.
[43] Aderendo a quanto recentemente sostenuto da Cons. St., Sez. II, 6 dicembre 2023, n. 10589, può definirsi «terzo» il soggetto «titolare di un interesse legittimo ‘oppositivo’, come tale legittimato ad impugnare l’altrui atto ampliativo e, specularmente, controinteressato sostanziale nel giudizio contro l’altrui diniego (o altro atto sanzionatorio-repressivo)», che «vanta una posizione qualificata nella misura in cui invoca l’osservanza di regole preordinate alla protezione (anche) della sua sfera giuridica», deducendo in giudizio «un interesse legittimo uguale e contrario a quello del destinatario dell’atto». Sulla definizione del «terzo», con particolare riferimento alla materia edilizia, si veda anche Cons St., Ad. Pl., 9 dicembre 2021, n. 22, con commento di M.A. Sandulli, La radicata incertezza intorno alla legittimazione a ricorrere in base al criterio della vicinitas, in S. Toschei (a cura di), L'attività nomofilattica del Consiglio di Stato, Roma, 2022.
[44] Il vulnus di tutela dei terzi era stato già evidenziato da G. Poli, La cd. fiscalizzazione dell’abuso edilizio nell’art. 38, t.u.e., in Riv. Giur. Edil., 4, 2020, 925.
[45] Diversamente, C. Silvano, La “fiscalizzazione dell’abuso” alla luce dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, op. cit., 1262, ritiene che i terzi possano agire nei confronti del «soggetto intestatario del permesso di costruire annullato», al fine di ottenere il risarcimento dei danni patiti a causa della costruzione illegittima.