Annullamento in autotutela del permesso di costruire, legittimo affidamento del privato e responsabilità dell’Ente comunale (nota a Cons. di Stato, 17 novembre 2023, n. 9879)
di Silia Gardini
Sommario: 1. Inquadramento della vicenda oggetto di controversia – 2. Note sulla tutela dell’affidamento del privato in relazione a un provvedimento illegittimo della pubblica amministrazione – 3. (segue) Affidamento, colpa e responsabilità – 4. La decisione del Consiglio di Stato.
1. Inquadramento della vicenda oggetto di controversia
Il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, ha avuto modo di esprimersi in merito alla configurabilità di una responsabilità in capo all’amministrazione comunale a seguito dell’annullamento d’ufficio di un permesso di costruire rivelatosi illegittimo.
Nel caso di specie, con il permesso di costruire era stata autorizzata l’installazione di un manufatto prefabbricato in legno su un’area confinante con un tratto autostradale, in violazione del vincolo di inedificabilità sussistente nella fascia di rispetto stradale. Tale vincolo non era stato evidenziato in sede di asseverazione dell’intervento (da parte del progettista incaricato dai privati richiedenti) e lo stesso Ente comunale non ne aveva rilevato la presenza nel corso dell’istruttoria, omettendo altresì di richiedere il prescritto parere della Società Autostrade per l’Italia (ASPI). Peraltro, anche gli strumenti urbanistici – in particolare, gli elaborati allegati al Piano generale del traffico urbano (PGTU) – vigenti al momento del rilascio del permesso di costruire non risultavano aggiornati, poiché classificavano il tratto autostradale interessato come strada extraurbana di tipo B, anziché come autostrada di tipo A.
Soltanto a seguito dell’espressa opposizione di ASPI, alla quale i privati – dopo aver ricevuto un controllo ispettivo – avevano avanzato istanza di parere in sanatoria, il Comune aveva disposto l’annullamento in autotutela del titolo e, contestualmente, ordinato la demolizione dell’opera abusiva e il ripristino dello stato dei luoghi.
L’annullamento posto in essere dal Comune era giustificato dal fatto che – come costantemente ribadito dalla giurisprudenza di merito – il vincolo di inedificabilità sussistente nella fascia di rispetto stradale ha carattere inderogabile. Esso, infatti, prescinde dalla stessa programmazione urbanistica e risulta correlato alla superiore necessità di mantenere la via libera da ostacoli materiali che potrebbero determinare pregiudizio alla sicurezza del traffico e delle persone, nonché all’esigenza di assicurare, nel tempo, la manutenzione e l’ampliamento delle strade. L’effetto che ne discende è, così, quello della inedificabilità assoluta e della insanabilità dei manufatti eventualmente realizzati nell’ambito della c.d. “fascia di rispetto”, «indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera (…) e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale»[i].
Il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, investito della vicenda in primo grado, aveva dunque correttamente rilevato l’infondatezza della domanda di annullamento presentata dai privati avverso il provvedimento demolitorio di secondo grado, qualificando l’agire comunale, in assenza di ulteriori vizi procedimentali, come pienamente legittimo[ii]. Il T.A.R. bolognese si era, però, pronunciato negativamente anche con riferimento alla domanda risarcitoria proposta in via subordinata, dichiarandola inammissibile.
Dirimente, in tale direzione, era stata considerata la colpa dei ricorrenti.
Infatti, sebbene il Comune non avesse né rilevato autonomamente la presenza del vincolo, né provveduto ad acquisire il parere dell’Ente gestore della strada, l’asseverazione del progettista in ordine alla conformità del manufatto alla normativa edilizia e urbanistica in vigore allegata alla richiesta di permesso di costruire (comprendente, nello specifico, anche la dichiarazione di assenza di vincoli impeditivi dell’edificazione) aveva – ad avviso del Collegio – fuorviato l’agire dell’Amministrazione comunale, contribuendo irrimediabilmente al deficit istruttorio e violando il principio di leale collaborazione posto in capo alla parte privata.
Da qui il “depotenziamento” della pretesa risarcitoria avanzata, tale da impedire ab origine la configurazione di un danno “ingiusto” in capo ai privati[iii].
Il Consiglio di Stato, investito in appello della controversia, è pervenuto a conclusioni diverse, riformando parzialmente la sentenza di primo grafo alla luce dell’iter argomentativo che sarà esaminato nei paragrafi successivi.
2. Note sulla tutela dell’affidamento del privato in relazione a un provvedimento illegittimo della pubblica amministrazione
Dall’analisi della pronuncia in commento emerge la necessità di approfondire il tema della “tutelabilità” dell’affidamento del cittadino rispetto a un provvedimento amministrativo di cui venga successivamente dichiarata l’illegittimità e – di riflesso – della possibilità di configurare, in tali casi, una responsabilità in capo all’amministrazione.
Com’è noto, l’affidamento è un istituto che trae origine nei rapporti di diritto civile e che risponde all’esigenza di riconoscere tutela alla fiducia ragionevolmente riposta o nell’esistenza di una situazione, apparentemente corrispondente a quella reale, da altri creata[iv] ovvero nella correttezza del comportamento altrui (caso, quest’ultimo, in cui trova diffusa applicazione il principio di buona fede[v]).
Nell’ambito dei rapporti di diritto amministrativo, il tema della tutela dell’affidamento assume rilevanza con riferimento al convincimento del privato sulla legittimità (e, dunque, stabilità) degli atti e dei provvedimenti della P.A. e, più in generale, sulla correttezza del suo operato, in virtù del quale può configurarsi una situazione giuridica soggettiva autonomamente tutelabile attraverso il rimedio del risarcimento del danno[vi]. L’affidamento viene, infatti, definito dal Consiglio di Stato come «principio generale dell’azione amministrativa che opera in presenza di una attività della pubblica amministrazione che fa sorgere nel destinatario l’aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito di tale attività»[vii]. In tali casi, «(…) è configurabile un affidamento del privato sul legittimo esercizio di tale potere e sull’operato dell’amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, fonte per quest’ultima di responsabilità […]»[viii].
È bene evidenziare che, in tale contesto, le regole di legittimità e quelle di correttezza operano su piani differenti: mentre l’uno è relativo alla validità degli atti amministrativi, l’altro prescinde dai vizi intrinseci del provvedimento e riflette la responsabilità dell’amministrazione per la violazione del principio di buona fede[ix]. In quest’ultimo caso, dunque, l’interesse materiale che si riconnette alla tutela dell’affidamento del privato risulta tutelabile in via risarcitoria non soltanto laddove la pretesa sia sorretta da legittime ragioni di diritto (che potrebbero essere “assorbite” dalla pronuncia sui vizi del provvedimento), bensì ogni qual volta l’amministrazione, con il proprio comportamento, susciti una ragionevole aspettativa all’ottenimento e al mantenimento del bene della vita, a prescindere dal fatto che esso sia effettivamente dovuto[x].
L’affidamento può sussistere ed essere risarcibile e, al contempo, l’interesse finale che si collega alla stessa situazione di affidamento potrebbe risultare (legittimamente) non soddisfatto. In altre parole, la lesione dell’aspettativa del privato può essere rilevante anche con riferimento all’affidamento su atti e provvedimenti di cui, attraverso un intervento – giurisdizionale o amministrativo – sia stata rilevata poi l’illegittimità e, dunque, disposto l’annullamento. In tale direzione, come autorevolmente rilevato in dottrina, «il fatto che il principio di buona fede si traduca nella tutela degli effetti di un atto invalido non è fenomeno abnorme, ma, al contrario, perfettamente conforme alla vettorialità dell’intero ordinamento giuridico»[xi].
Ben si comprende, allora, come dall’esercizio legittimo del potere di annullamento d’ufficio del provvedimento invalido possa emergere il dovere di ristorare il pregiudizio economico patito dal cittadino. Invero, la disciplina dell’annullamento d’ufficio, contenuta nell’art. 21-nonies della legge sul procedimento, è comunemente considerata espressione diretta del principio di tutela dell’affidamento del privato[xii], che si presenta come un vero e proprio “limite” (tradotto dal legislatore, nelle fattispecie espressamente previste, nel termine temporale dei dodici mesi) all’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione[xiii]. Ai nostri fini, come rilevato in dottrina[xiv], risulta necesario distinguere la figura dell’affidamento legittimo da quella dell’affidamento incolpevole di matrice civilistica, che fa capo al principio di buona fede. Poiché l’annullamento d’ufficio può intervenire legittimamente solo qualora le ragioni caducatorie prevalgano su quelle della conservazione della situazione esistente, la tutela del legittimo affidamento assume natura preventiva e dipende dal “peso” che assume l’interesse alla conservazione dello stato di fatto prodotto dal provvedimento rispetto all’interesse opposto al ripristino della legalità violata.
Diversamente, l’affidamento incolpevole emerge successivamente all’annullamento del provvedimento favorevole, laddove – in presenza di particolari circostanze idonee a giustificare l’affidamento nella conservazione della situazione giuridica acquisita – emerga la necessità di offrire protezione contro le conseguenze dannose derivanti da una fiducia mal riposta. La tutela, in questo caso, non è volta a ristorare il bene della vita perduto in conseguenza dell’annullamento del provvedimento, ma a risarcire il convincimento ragionevole che esso spettasse. Proprio in tale contesto si configura la responsabilità civile dell’amministrazione per il danno da affidamento[xv], connesso ai doveri di buona fede e correttezza.
La giurisprudenza ha inquadrato i limiti all’ammissibilità del risarcimento facendo leva principalmente sulla “bilateralità” dei principi di correttezza e buona fede[xvi], responsabilizzando dunque il privato nell’ottica della più proficua collaborazione alla formazione della decisione amministrativa che emerge, in particolare, dall’art. 1, comma 2-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241, a norma del quale: “(i) rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”.
L’elemento soggettivo del privato è considerato, dunque, elemento costitutivo dell’affidamento tutelabile in via risarcitoria.
3. (segue) Affidamento, colpa e responsabilità
Le coordinate ermeneutiche fornite dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ci dicono che l’affidamento, ai fini della tutela risarcitoria, «deve essere ragionevole, id est incolpevole»[xvii] e che deve avere alla base (anche ai fini del radicamento della giurisdizione amministrativa) una situazione di apparenza creata dall’Amministrazione o con il provvedimento, oppure con il comportamento correlato all’esercizio del potere.
L’assenza di colpa non dovrebbe, tuttavia, tradursi nell’assenza di qualsivoglia apporto del soggetto privato alla formazione della decisione amministrativa.
Assodato che, al fine della migliore estrinsecazione del potere pubblico, il procedimento necessiti del contributo di soggetti diversi dall’Amministrazione, nelle forme previste dalla legge n. 241/1990, rimane tuttavia necessario non dimenticare che l’unica titolare della cura dell’interesse pubblico è l’Amministrazione. L’introduzione degli istituti partecipativi e la più recente positivizzazione dei doveri di correttezza e buona fede in ambito procedimentale, pur avendo notevole rilevanza e meritando la più attenta valorizzazione, non fanno venir meno il carattere unilaterale del provvedimento amministrativo e soprattutto la sua inerenza all’esercizio di un potere correlato a finalità istituzionali tipizzate per legge, di cui l’Amministrazione è e resta unica responsabile. Così, nell’ambito dei procedimenti volti al rilascio di provvedimenti ampliativi della sfera giuridica del privato, l’interessato – a prescindere dall’aspettativa da esso vantata – potrà conseguire il provvedimento favorevole solo laddove l’Amministrazione lo ritenga, a ragione o torto, conforme al primario interesse pubblico.
Il T.A.R. Emilia-Romagna, investito in primo grado della vicenda contenziosa oggetto della pronuncia annotata, aveva assunto un orientamento restrittivo con riguardo alla possibilità di riconoscere la responsabilità dell’Amministrazione nella formazione dell’atto illegittimo (e alla conseguente configurabilità di un danno ingiusto), centralizzando invece l’attenzione sulla c.d. “autoresponsabilità” del privato[xviii], che aveva contribuito alla predisposizione di un provvedimento contra legem.
Sebbene la necessità di modulazione del principio di buona fede con quello di autoresponsabilità sia un dato non contestabile, almeno in relazione a quelli che il Consiglio di Stato ha definito come “oneri minimi di cooperazione”[xix],una interpretazione estrema in tale direzione – che consideri qualsivoglia contributo del privato all’emanazione dell’atto (poi dichiarato illegittimo) come elemento escludente – finirebbe per negare tout-court il ricorso alla tutela risarcitoria, dal momento che in tutti i procedimenti autorizzatori il privato titolare dell’interesse pretensivo mantiene un ruolo attivo rilevante, a partire dal momento della presentazione dell’istanza. È, dunque, necessario individuare il limite oltre il quale le azioni del privato assumano i connotati di una consapevolezza idonea ad escludere la configurazione di un affidamento incolpevole.
Della questione si è di recente occupata, come sopra ricordato, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che – con le sentenze del 29 novembre 2021, n. 19 e n. 20 – ha avuto modo di chiarire in presenza di quali condizioni, a fronte dell’annullamento di un provvedimento accrescitivo rivelatosi illegittimo, possa sorgere in capo al privato un affidamento giuridicamente rilevante e risarcibile[xx].
Punto di partenza è l’accostamento – ormai pacifico per la giurisprudenza amministrativa maggioritaria – della responsabilità della P.A. per illegittimo esercizio della funzione, sia pure con talune particolarità, all’art. 2043 c.c. Quando l’atto è illegittimo, l’elemento soggettivo della colpa previsto dallo schema di responsabilità aquiliana si intende presunto, ma (trattandosi di una presunzione semplice) rimane superabile dall’Amministrazione con la prova contraria dell’errore scusabile[xxi]. In particolare, per il danno da lesione dell’affidamento su un provvedimento favorevole poi annullato, la colpa dell’amministrazione può essere esclusa o attenuata avendo riguardo all’evidenza dell’illegittimità del provvedimento, tale da far ritenere che il privato potesse facilmente esserne consapevole. Sul punto l’Adunanza plenaria ha, infatti, affermato che «la responsabilità dell’amministrazione per lesione dell’affidamento ingenerato nel destinatario di un suo provvedimento favorevole (…) postula che sulla sua legittimità sia sorto un ragionevole convincimento, il quale è escluso in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza dell’impugnazione contro lo stesso provvedimento»[xxii].
Dunque, affinché possano configurarsi i presupposti per la tutela risarcitoria, non è richiesto il mancato apporto del privato alla costruzione di una decisione amministrativa poi rivelatasi illegittima, ipotesi non contemplabile nella realtà procedimentale; è tuttavia necessario che la causa di illegittimità o irregolarità (che ha, poi, condotto all’annullamento del provvedimento) non sia nota o, comunque, non sia conoscibile e comprensibile in base all’ordinaria diligenza da parte del privato.
4. La decisione del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato, come sopra accennato, ha ribaltato parzialmente la decisione assunta in primo grado dal T.A.R. Emilia-Romagna. L’importanza della pronuncia sta nel riconoscimento della corresponsabilità dell’amministrazione e, ancor di più, nella ammissione della tutela risarcitoria (seppur parziale) in presenza di un concorso di colpa espressamente riconosciuto in capo al privato.
Ad avviso del Collegio di Palazzo Spada, il Tribunale, dopo aver correttamente rilevato la “obiettiva negligenza degli uffici” nel non avvedersi del vincolo gravante sull’area degli appellanti, non aveva tratto dalle proprie affermazioni le dovute conseguenze sul piano giuridico. L’attenzione era stata, infatti, focalizzata esclusivamente sulla corresponsabilità dei privati nell’indurre in errore l’Ente comunale circa l’esistenza del vincolo medesimo, stabilendo che «la disattenzione [del Comune] avrebbe potuto essere rimediata con la puntuale indicazione dell’esistenza del vincolo»[xxiii].
In verità, lo stesso Comune non avrebbe dovuto ignorare l’esistenza del vincolo, dal momento che la vicenda era stata oggetto di una delibera di Giunta del 2010 (due anni prima del rilascio del permesso di costruire, del 2012), con la quale era stata rilevato che il tratto autostradale interessato era qualificato negli strumenti urbanistici come strada “Extraurbana principale” di tipo “B” (come tale non soggetta ad alcuna fascia di rispetto all’interno del centro abitato), anziché come “Autostrada”, di tipo “A”. Con la medesima delibera di Giunta era stato, dunque, stabilito di intervenire al fine di modificare gli elaborati allegati al Piano generale del traffico urbano (PGTU). La correzione era stata, tuttavia, realizzata soltanto nel 2014, dunque successivamente al rilascio del permesso di costruire ai ricorrenti.
Proprio tali circostanze di fatto, secondo il Consiglio di Stato, hanno determinato l’inescusabilità dell’errore commesso dall’Amministrazione in sede istruttoria, al punto tale da integrare l’elemento psicologico della colpa ai fini del risarcimento del danno. Nella sentenza viene richiamato, a riguardo, l’orientamento precedentemente espresso dallo stesso Giudice, alla luce del quale l’elemento psicologico della colpa della P.A. può essere individuato – oltreché nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione – anche in negligenze, omissioni d’attività o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili in ragione dell’interesse protetto di colui che ha un contatto qualificato con la stessa amministrazione[xxiv].
La responsabilità del Comune non assorbe, tuttavia, quella del privato.
I giudici di Palazzo Spada hanno, infatti, evidenziato come la presenza negli atti del procedimento dell’erronea asseverazione del progettista in ordine alla conformità del manufatto alla normativa edilizio-urbanistica in vigore (comprendente, nello specifico, anche la dichiarazione di assenza di vincoli impeditivi dell’edificazione), pur non essendo sufficiente ad escludere sic et simpliciter la risarcibilità del danno, determina l’estensione della colpa anche in capo al privato. In casi del genere, salvo che sia provata la mala fede o il dolo del proprietario o del progettista, non può parlarsi di “falsità” della rappresentazione dello stato dei luoghi, ma si configura un concorso di colpa al quale né il Comune, né il privato possono sottrarsi.
Emerge, in sostanza, un’ipotesi di corresponsabilità: la colpa del privato non riduce quella del Comune e non vale ex se a giustificare la negazione della tutela risarcitoria; tuttavia, l’evidente concorso colposo non consente di ammettere una tutela piena, ma richiama l’applicazione dell’art. 1227, comma 1 del Codice civile, in base al quale: “[s]e il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”. Si tratta di un principio che – come puntualizzato dalla sentenza annotata – è stato ripreso e sviluppato dall’art. 30, comma 3, del Codice del processo amministrativo, attraverso la precisazione secondo cui “[n]el determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti”.
Le argomentazioni del Consiglio di Stato si rifanno, in parte, ad un orientamento già espresso dalla Corte di Cassazione. La Suprema Corte – in un’analoga circostanza di commistione di responsabilità tra comune e beneficiario di un permesso di costruire (poi annullato) – ha, infatti, ritenuto configurata l’ipotesi del “fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell’evento dannoso”, applicando anche in quel caso la disposizione dell’art. 1227 c.c., comma 1, che impone la diminuzione del risarcimento, secondo la gravità della colpa ascrivibile al danneggiato[xxv].
La soluzione prospettata dal Consiglio di Stato appare di pieno bilanciamento del ruolo delle “parti” del rapporto procedimentale: poiché la condotta della parte privata e quella del Comune avevano avuto, nel caso di specie, la medesima incidenza causale nel determinare il rilascio del titolo edilizio illegittimo, l’amministrazione è stata condannata ex art. 1227, comma 1 c.c. a risarcire soltanto per metà il danno subito dai ricorrenti. Coerentemente, il Consiglio di Stato ha, poi, escluso dal computo del quantum del risarcimento – ex art. 1227, comma 2, c.c. (a mente del quale “[i]l risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”) – tutte le spese sostenute dai ricorrenti successivamente alla presa di coscienza dell’esistenza del vincolo autostradale (momento che è stato fatto coincidere con la richiesta del parere in sanatoria ad ASPI da parte degli stessi).
[i] Cfr., ex multis, T.A.R. Sicilia, Catania, 14 aprile 2023, n. 1271, Cons. di Stato, Sez. II, 22 luglio 2020, n. 1415, tutte in www.giustizia-amministrativa.it. La cornice legislativa di riferimento si rinviene nel Codice della Strada e nel Regolamento di esecuzione. L’ampiezza delle fasce è infatti specificamente disciplinata dal D. Lgs. n. 285/92 (artt. 16, 17 e 18) e dal D.P.R. n. 495/92 (artt. 26, 27 e 28), che pongono un divieto di edificabilità assoluta ed inderogabile nell’ambito della fascia di rispetto autostradale, per una distanza di 60 metri fuori dai centri abitati e di 30 metri all’interno di essi.
[ii] «La pacifica sussistenza di un interesse pubblico di spessore e la distanza ravvicinata dell’esercizio dell’autotutela giustificano di per sé l’adozione del provvedimento di annullamento». Cfr., T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, 29 ottobre 2020, n. 689, punto 3, in www.giustizia-amministrativa.it.
[iii] «Se il Comune non ha provveduto ad acquisire il prescritto parere dell’Ente gestore della strada, tuttavia la redazione della domanda del titolo edilizio è risultata fuorviante, non avendo il progettista dato conto dell’esistenza del vincolo. Certamente le planimetrie prodotte “fotografavano” l’esatto stato dei luoghi, come evidenziato dai ricorrenti, ma il progettista ha attestato la conformità dell’intervento alla normativa edilizia, urbanistica e di sicurezza vigenti: a pag. 14 ha barrato – in luogo dell’appropriata casella “esistono i seguenti altri vincoli” quella immediatamente successiva “NON sono presenti vincoli”, così come non ha compilato il campo di cui al paragrafo 8 “Altri pareri o atti di assenso dovuti per l’intervento in oggetto”. La rappresentazione grafica è sfuggita per un’obiettiva negligenza degli uffici, ma la disattenzione avrebbe potuto essere rimediata con la puntuale indicazione dell’esistenza del vincolo, per cui il privato ha “contribuito” al deficit istruttorio in violazione del principio di leale collaborazione». Cfr., T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, 29 ottobre 2020, n. 689, punto 1.5, in www.giustizia-amministrativa.it.
[iv] Si discorre, in tale ipotesi, della c.d. apparenza del diritto. Cfr., R. Sacco, voce Apparenza, in Digesto disc. civ., I, Torino, 1987, 353 ss.; Id., voce Affidamento, in Enc. dir., I, Milano, 1958, 661 ss.
[v] Nelle relazioni che riguardano soggetti non legati da vincoli contrattuali, come sono le relazioni di potere tra privato e pubblica amministrazione, gli obblighi di correttezza e buona fede sono riconducibili alla clausola generale dell’art. 2043 c.c, che sancisce la responsabilità civile di chi cagiona ad altri un danno ingiusto.
[vi] Di tutela dell’affidamento nel rapporto amministrativo si parla in contesti diversi, non di rado con generico riferimento alla ratio protettiva del privato che ispira talune disposizioni di legge o che ne orienta l’interpretazione; altre volte prospettando la mancata considerazione per le attese del privato come vizio nell’esercizio del potere discrezionale. Non è possibile, in tale sede, inquadrare pienamente un tema così ampio e complesso. Si rinvia, per un approfondimento, alla ricostruzione di F. Trimarchi Banfi, Affidamento legittimo e affidamento incolpevole nei rapporti con l’amministrazione, in Dir. proc. amm., 3/2018, 823 ss.
[vii] Cfr., Cons. di Stato, sez. VI, 13 agosto 2020, n. 5011.
[viii] Cfr., Cons. di Stato, Ad. plen., 29 novembre 2021, n. 19, in www.giustizia-amministrativa.it.
[ix] Cfr., F. Manganaro, Dal rifiuto di provvedimento al dovere di provvedere: la tutela dell’affidamento, in Itinerari interrotti. Il pensiero di Franco Ledda e di Antonio Romano Tassone per una ricostruzione del diritto amministrativo, a cura di L. Giani e A. Police, Napoli, 2017, 121 ss. Sul tema cfr., amplius, F. Manganaro, Principio di buona fede e attività delle amministrazioni pubbliche, Napoli, 1995.
[x] Cfr., Cons. di Stato, Ad. plen., 29 novembre 2021, n. 20, in www.giustizia-amministrativa.it. Viene, dunque, in considerazione un danno che oggettivamente prescinde da valutazioni sul corretto esercizio del potere pubblico, «fondandosi su doveri di comportamento il cui contenuto non dipende dalla natura privatistica o pubblicistica del soggetto che ne è responsabile, atteso che anche la pubblica amministrazione, come qualsiasi privato, è tenuta a rispettare nell’esercizio dell’attività amministrativa principi generali di comportamento, quali la perizia, la prudenza, la diligenza, la correttezza» (cfr., Cass. Sez. un., Ord. 23 marzo 2011, n. 6594).
[xi] Cfr., F. Merusi, L’affidamento del cittadino, Milano 2001, 105.
[xii] In tali casi viene in rilievo la nozione civilistica di affidamento nel senso di fiducia nell’altrui correttezza: cfr., Cons. Stato, Ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 8, punto 11.1, in www.giustizia-amministrativa.it.
[xiii] Sul tema, cfr., M. Allena, L’annullamento d’ufficio. Dall’autotutela alla tutela, Napoli, 2018.
[xiv] Cfr., F. Trimarchi Banfi, Affidamento legittimo e affidamento incolpevole nei rapporti con l’amministrazione, cit., 823 ss.
[xv] Ibidem.
[xvi] Il carattere della bilateralità del dovere di buona fede nel rapporto tra cittadino e amministrazione è stato rilevato, ben prima del consolidamento degli orientamenti giurisprudenziali, da F. Saitta, Del dovere del cittadino di informare la pubblica amministrazione e delle sue possibili implicazioni, I nuovi diritti di cittadinanza: il diritto d’informazione. Atti del Convegno di Copanello, 25-26 giugno 2004, a cura di F. Manganaro e A. Romano Tassone, Torino, 2005, 111 ss.
[xvii] Cfr., Cons. di Stato, Ad. plen., 29 novembre 2021, n. 20, in www.giustizia-amministrativa.it.
[xviii] Il principio di autoresponsabilità, di matrice privatistica, si connette al principio generale secondo cui ciascuno è responsabile delle proprie azioni ed omissioni, delle quali deve assumere il rischio. Cfr., P. Trimarchi, La responsabilità civile: atti illeciti, rischio, danno, Milano, 2017, 85 ss.
[xix] Cfr., Cons. Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2014 n. 9, in www.giustizia-amministrativa.it.
[xx] Per un esame approfondito delle importanti questioni sottoposte alla cognizione della Plenaria, che in questa sede possono essere solamente accennate, si rinvia a C. Napolitano, Risarcimento e giurisdizione. Rimessione alla plenaria sul danno da provvedimento favorevole annullato (nota a Cons. Stato, Sez. II, ord. 9 marzo 2021, n. 2013), in questa Rivista, 2021; G. Capra, La lesione dell’affidamento: i dubbi sulla giurisdizione e sulla tutela del privato (Nota a margine dell’ordinanza di rimessione all’Adunanza plenaria n. 3701 del 2021), in questa Rivista, 2021; C. Napolitano, Legittimo affidamento e risarcimento del danno: la Plenaria si pronuncia (nota a Cons. Stato, Ad. plen., 29 novembre 2021, n. 20), in questa Rivista, 2021; M. Baldari, Ultimi approdi in materia di responsabilità precontrattuale della p.a. (Nota a Cons. Stato, Ad. Plen., 29 novembre 2021, n. 21), in questa Rivista, 2022.
[xxi] Cfr., Cons. Stato, Ad. plen., 23 aprile 2021, n. 7, spec. punto 3 di diritto. Sul tema si vedano le note di E. Zampetti, La natura extracontrattuale della responsabilità civile della pubblica Amministrazione dopo l’Adunanza plenaria n. 7 del 2021, in questa Rivista, 2021 e M. Trimarchi, Natura e regime della responsabilità civile della pubblica amministrazione al vaglio dell’Adunanza plenaria (nota a Consiglio di giustizia amministrativa, sez. giur.,15 dicembre 2020 n. 1136), in questa Rivista, 2021, nonché A. Palmieri, R. Pardolesi, La responsabilità civile della pubblica amministrazione: così è se vi pare (nota a Cons. Stato, Ad. plen., 23 aprile 2021, n. 7), in Foro it., 2021, 406 ss.
[xxii] Cons. Stato, Ad. plen., 29 novembre 2021, n. 19, punto 21 e n. 20, punto 26, in www.giustizia-amministrativa.it.
[xxiii] Cfr., T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, 29 ottobre 2020, n. 689, punto 1.5, in www.giustizia-amministrativa.it.
[xxiv] Cfr., Cons. Stato, Sez. VI, 8 settembre 2020, n. 5409; Id., 4 febbraio 2020, n. 909, in www.giustizia-amministrativa.it.
[xxv] Cfr., Cass. Civ., Sez. I, 28 febbraio 2017, n. 5063.