Presupposti dell’azione nei ricorsi avverso i codici di comportamento dei dipendenti pubblici: le diverse modalità di tutela degli interessi diffusi (nota a T.A.R. Lazio, Roma, sez. IV-ter, 27 ottobre 2023, n. 15978)
di Giacomo Biasutti
Sommario: 1. L’oggetto del contendere e le doglianze formulate nel ricorso; 2. La decisione del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio; 3. Sulla natura del Codice (o meglio, dei codici) di comportamento dei pubblici dipendenti; 4. Regolamenti, volizioni preliminari, interesse ad agire; 5. Alcuni spunti ricostruttivi sull’interesse all’impugnazione dei regolamenti ad opera delle associazioni di categoria; 6. Conclusioni
1. L’oggetto del contendere e le doglianze formulate nel ricorso
La Federazione Lavoratori della Conoscenza - CGIL impugnava avanti al T.A.R. per il Lazio[i] il decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 13 giugno 2023 recante modifiche al Codice di comportamento dei dipendenti pubblici[ii]. Nello specifico, l’oggetto del gravame erano gli art. 11-bis e 11-ter introdotti con il rimaneggiamento, afferenti, il primo, all’utilizzo delle tecnologie informatiche, il secondo, alla fruizione dei c.d. social media da parte dei pubblici dipendenti[iii].
I motivi di ricorso risultavano piuttosto variegati: si contestava l’omessa considerazione delle osservazioni rassegnate dal Consiglio di Stato in sede di parere obbligatorio preliminare sugli atti regolamentari[iv], l’omessa tipizzazione delle condotte individuate dal regolamento ai fini dell’ascrizione della responsabilità disciplinare e, infine, il contrasto delle norme regolamentari con i principi costituzionali generali afferenti alla libera espressione del pensiero[v]. In altri termini, sotto il profilo sostanziale, ad essere contestata era la possibilità che il regolamento generale garantisse margini di discrezionalità -in tesi eccessivamente ampi- in favore delle pubbliche amministrazioni nella definizione concreta delle ipotesi di illecito disciplinare, quasi a formare una sorta di norma -potenzialmente- afflittiva c.d. in bianco[vi].
2. La decisione del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Nel prendere le mosse alla soluzione della questione giuridica ora sinteticamente individuata, il T.A.R. per il Lazio premette l’inquadramento normativo dell’atto sottoposto alla propria attenzione. Si tratta, infatti, di un c.d. regolamento attuativo delegato[vii] che ha l’obbiettivo di individuare in concreto gli obblighi minimi di diligenza, lealtà e, più in generale, buona condotta che debbono essere tenuti dai pubblici dipendenti[viii]. Nondimeno, il Tribunale precisa immediatamente che questa “specificazione” delle condotte non esaurisce la definizione dei comportamenti rilevanti dal punto di vista disciplinare. Infatti, proprio l’art. 54, d.lgs. n. 165/2001 e lo stesso d.P.R. n. 62/2013, art. 1, comma 2, prevedono un vero e proprio obbligo per le singole amministrazioni di dotarsi di un ulteriore codice di comportamento interno che integri quello nazionale alla luce delle specificità di ogni singolo apparato burocratico. In altri termini, il codice nazionale di comportamento costituisce la base minima e indefettibile rispetto all’individuazione dei doveri di lealtà dei dipendenti[ix] laddove le singole P.A. possono dettagliarne e “adeguarne” il contenuto in base alle rispettive esigenze. Con riguardo poi alle nuove tecnologie, l’inserimento di un articolato specifico è stato ritenuto dovuto, alla luce delle modifiche apportate dal d.l. n. 36/2022 all’art. 54 del T.U. pubblico impiego, ove si è inserito un comma 1-bis, a prevedere che i codici di comportamento contengano disposizioni precipue relative all’utilizzo degli strumenti informatici e dei mezzi di informazione[x].
Definita in questi termini l’architettura normativa, il T.A.R. trae le proprie conclusioni rispetto alla res litigiosa.
Anzitutto il d.P.R. viene definito solo un “punto di partenza” per le singole amministrazioni nella redazione dei propri codici di comportamento. La relativa integrazione ad opera delle P.A. non solo è consentita ma, anzi, è ritenuta obbligatoria siccome prescritta dal legislatore[xi]. Anzi, seppur tale eventualità non fosse prefigurata nel 2013, le nuove forme di lavoro agile che si sono sviluppate successivamente alla pandemia Covid-19[xii], renderebbero a dire del giudice ancor più necessario “conformare” le disposizioni generali alle modalità concrete di erogazione della prestazione lavorativa da parte dei pubblici dipendenti che utilizzano oggi le tecnologie informatiche per adempiere ai propri obblighi contrattuali.
Le prescrizioni di cui agli art. 11-bis e 11-ter, pertanto, forniscono un quadro generale che consenti di applicare anche ai nuovi mezzi utilizzati dai funzionari i generali principi di lealtà dei pubblici dipendenti all’ordinamento costituzionale. Proprio per tale ragione, le norme impugnate del novellato regolamento nazionale sono apparse al Tribunale di tale astrattezza e generalità da non poter essere considerate lesive in via diretta e immediata a danno della federazione sindacale ricorrente. Si tratterebbe, infatti, di una “volizione preliminare”, ovverosia di un atto di carattere programmatico generale privo come tale di valenza precettiva diretta[xiii].
Proprio riferimento specifico agli artt. 11-bis e 11-ter, infatti, si è ritenuto applicabile proprio quel meccanismo di integrazione necessaria operante allorquando il regolamento individui dei referenti minimi che debbono essere tradotti per mano delle singole amministrazioni sulla base della relativa struttura organizzativa. La stessa modalità di redazione delle norme, infatti, invita la singola P.A. a individuare previsioni di dettaglio (ad esempio laddove si rinvia alle modalità di firma dei messaggi di posta elettronica stabiliti dall’amministrazione di appartenenza del dipendente o laddove si impone a quest’ultima l’adozione di una social media policy).
Di converso, allora, non trova accoglimento la prospettazione della ricorrente, la quale affermava che proprio la genericità della formulazione normativa finisse con l’essere veicolo di abusi da parte delle singole amministrazioni, le quali sarebbero a loro volta rimaste libere di determinare il contenuto dei propri regolamenti in materia[xiv] senza referenti precisi. Afferma, infatti, il T.A.R. che nemmeno in tale prospettazione il regolamento avrebbe potuto essere fonte di danno per i lavoratori – singoli o raccolti in categoria – bensì solo ed eventualmente il regolamento attuativo illegittimo[xv], se non addirittura i singoli provvedimenti disciplinari. Ulteriormente, seppur in via implicita, il T.A.R. ha pure riscontrato l’assenza di alcuna disposizione che imponesse un maggiore dettaglio delle norme impugnate ad opera del regolamento nazionale[xvi].
Per tali ragioni quindi, il Tribunale Amministrativo Regionale, non ravvisando un interesse al ricorso della federazione dei lavoratori, ha dichiarato il ricorso inammissibile.
3. Sulla natura del Codice (o meglio, dei codici) di comportamento dei pubblici dipendenti
Il primo profilo di interesse nell’esaminare la pronuncia in rito è costituito dalla qualifica data al Codice di comportamento nazionale dei pubblici dipendenti. Si è infatti visto che lo stesso viene adottato con decreto del Presidente della Repubblica, sulla base dell’art. 17, l. n. 400/1988. In quanto tale esso è definito essere di natura regolamentare[xvii]. Si è trattato di una novità di non poco momento laddove, seppur inizialmente vi fossero norme di comportamento del pari adottate con d.P.R. (ci si riferisce al decreto 10 gennaio 1957, n. 3, c.d. Testo unico degli impiegati civili dello Stato[xviii]), successivamente il c.d. codice Cassese[xix] e il c.d. codice Bassanini[xx] erano stati invece adottati con semplice decreto ministeriale (o decreto della Presidenza del Consiglio dei ministrai), il che ne rendeva incerta la natura[xxi].
Tuttavia, stante l’attuale formulazione dell’art. 54, d.lgs. n. 165/2001[xxii], la giurisprudenza ha alfine chiarito che i codici adottati con d.P.R. trovano la propria “fonte e legittimazione in atti di normazione primaria”, risultando avere essi stessi natura normativa sub specie di regolamenti dell’esecutivo[xxiii]. Come tali essi presentano quei requisiti di generalità e astrattezza, in uno con l’assenza di motivazione[xxiv], tali da renderli non direttamente operanti ma da applicarsi invece attraverso atti attuativi – nella specie, provvedimenti disciplinari ove si tratti di violazione dei principi etici dei codici di comportamento ovvero ulteriori codici attuativi. Seguendo inoltre i referenti di cui all’Adunanza Plenaria 4 maggio 2012, n. 9, è invero agevole constatare che, nel caso di specie, le disposizioni regolamentari contengono la predefinizione astratta della disciplina di un numero di casi indefinito e non determinato nel tempo di procedimenti ed ipotesi disciplinari. Si tratta, dunque, anche dal punto di vista strutturale e sostanziale di prescrizioni generali e astratte, destinate a trovare applicazione indefinite volte, e per di più i relativi destinatari non sono individuabili né a priori né a posteriori.
Ciò implica un duplice livello di conseguenze in punto di tutela giurisdizionale. Da un lato, il regolamento di cui al d.P.R. n. 62/2013 non è atto di per sé autonomamente lesivo, donde impugnabile dal dipendente uti singuli. Dall’altro, esso è sindacabile nei modi con i quali si contesta la legittimità dei provvedimenti amministrativi con l’ulteriore conseguenza che lo stesso è sottratto al sindacato di costituzionalità in ragione della natura sua propria[xxv]. Esso, infatti, pur avendo funzione normativa, è atto formalmente e sostanzialmente amministrativo. Semmai, con riferimento a tale secondo profilo, è possibile un sindacato indiretto del regolamento, nella misura in cui questo presenti dei vizi che gli sono derivati dalla legge autorizzativa alla sua emanazione – ma questo è sindacato ben debole in molti casi, poiché le ipotesi di illegittimità si concentrano invece nelle modalità attuative minute che esulano (o meglio, specificano) delle disposizioni di legge giocoforza “imprecise”[xxvi].
Dal combinato disposto di tali elementi si deduce che questa tipologia di provvedimenti amministrativi risulterà impugnabile avanti al giudice amministrativo e, salvo casi particolari, solo quale atto presupposto di un provvedimento concretamente lesivo[xxvii]. Deriva, pertanto, già da tale preliminare inquadramento, la regola generale di non impugnabilità del codice di comportamento nazionale che troverebbe eccezione solamente ove quest’ultimo fosse direttamente lesivo – ad esempio nel caso in cui ammettesse sanzione disciplinare su di un ambito della vita del lavoratore che invece dovrebbe essere sottratta al potere di controllo datoriale. Si tratta tuttavia di ipotesi, se non di scuola, quantomeno piuttosto rare[xxviii]. Ciò si converte, in definitiva, non già in un vuoto di tutela, ma nel fatto che il singolo dipendente pubblico risulti sollevato dall’onere di impugnazione immediata del regolamento, siccome non lesivo[xxix].
Diversa questione, invece, attiene alla qualificazione dei codici di comportamento delle singole amministrazioni che, come visto, sono a dire del T.A.R. Lazio espressamente tenute ad integrare i contenuti del d.P.R. n. 62/2013 pur non essendo ammantate di un potere regolatorio generale come quello del Governo.
Ebbene, anche il codice etico interno della singola amministrazione presenta indubbi caratteri di astrattezza, pur mancando quelli di generalità in senso lato[xxx] – essendo il provvedimento destinato alla collettività individuata costituita dai dipendenti della singola P.A. Dunque, in buona sostanza, i principi affermati dalla sentenza in commento troveranno applicazione anche in questi casi, ritenendosi regola generale quella dell’assenza di onere di immediata impugnazione dei provvedimenti generali ad opera dei singoli salvo il caso di diretta lesione ad opera degli stessi di interessi meritevoli di tutela[xxxi].
Nondimeno, vi è un ulteriore aspetto dei codici adottati “a valle” che merita essere posto in luce, ossia il delicato rapporto che vi è per questi ultimi tra componente effettivamente disciplinare (in quanto normativa rispetto a comportamenti dei dipendenti) e le disposizioni che invece attengono più propriamente all’organizzazione degli uffici. Come sottolineato dalla giurisprudenza[xxxii], infatti, ove le previsioni trascendano le norme comportamentali, esse non hanno più a referente il d.P.R. n. 62/2013 e le disposizioni allo stesso presupposte[xxxiii], bensì si rapportano direttamente con le norme dell’ordinamento nel rispetto del principio di legalità sostanziale[xxxiv]. Pertanto, sulla base di questa distinzione, a valle, la singola previsione del codice etico adottato da ogni amministrazione potrà trovare censura, alternativamente, per violazione di legge ove attenente all’organizzazione, ovvero per eccesso di potere qualora si ritenga invece vi sia stato cattivo uso della discrezionalità residua in capo alla P.A. in attuazione del regolamento nazionale. Tanto, però, evidentemente a patto di ammettere che detti codici per così dire “derivati” possano effettivamente disciplinare anche aspetti organizzativi: diversamente, il solo fatto che vi siano norme di tal foggia contenute negli stessi li renderebbe ipso facto illegittimi[xxxv]. Invero, pur non recando una disposizione precisa in tal senso, l’art. 54, d.lgs. n. 165/2001, pare preludere alla possibilità che le norme del regolamento di comportamento incidano in via indiretta sull’organizzazione del lavoro dei dipendenti pubblici[xxxvi]: basti pensare, in tal senso e proprio in relazione all’oggetto specifico della pronuncia in commento, alla circostanza per cui il relativo comma 1-bis, stabilisce che il regolamento debba prescrivere le modalità di utilizzo delle risorse tecnologiche ed informatiche[xxxvii]. Diversamente opinando, peraltro, si finirebbe con il depotenziare eccessivamente la portata conformativa dei comportamenti dei dipendenti pubblici propria dei codici di condotta, che sta alla base di quell’obbiettivo di lotta alla corruzione che ha portato alla relativa adozione[xxxviii].
Insomma, se da un lato le regole circa l’interesse al ricorso sembrano chiare con riguardo ai codici di condotta, occorre tuttavia prestare particolare attenzione alle tipologie di norme negli stessi inserite poiché queste ultime non solo determinano il momento dell’insorgere dell’onere di impugnazione, ma individuano pure il referente di legittimità con il quale la disposizione censurata si rapporta.
4. Regolamenti, volizioni preliminari, interesse ad agire
Ulteriore interesse muove il termine utilizzato dal T.A.R. per il Lazio nel definire il codice nazionale di comportamento: volizione preliminare. Si tratta di una locuzione che ha radici risalenti[xxxix] ed è usata a livello di diritto amministrativo per gli atti privi di contenuto precettivo. La teoria distingue, infatti, tra volizioni preliminari, ossia atti di carattere programmatorio e astratto, dalle volizioni-azione, ovverosia provvedimenti di carattere puntuale direttamente incidenti su situazioni giuridiche soggettive individualmente determinate o determinabili. A valle, poi, questa distinzione trova contrappunto anche con riguardo ai regolamenti, nell’ambito dei quali, a loro volta, si distinguono regolamenti-volizioni preliminari e regolamenti-volizione-azione, dal contenuto specifico[xl].
Collaterale a questa distinzione, che, come visto, ha riverberi diretti in termini di interesse al ricorso, è la parallela questione in ordine alla possibile disapplicazione del regolamento ad opera del giudice amministrativo[xli]. In linea generale, infatti, la giurisprudenza esclude la possibilità di disapplicare i provvedimenti direttamente lesivi della sfera giuridica soggettiva del cittadino, poiché questi ultimi sono soggetti a obbligo di impugnazione[xlii]. Nondimeno, vista la distinzione nei termini ora precisati potrebbe farsi questione della possibilità di disapplicazione di un regolamento-volizione preliminare, in quanto atto non direttamente lesivo e non impugnabile. Questo, come sottolineato da autorevole dottrina[xliii], a maggior ragione ove il provvedimento in questione venga ad incidere su diritti soggettivi nei casi di giurisdizione esclusiva affidati al giudice amministrativo[xliv] poiché applicato da atti esecutivi. Tradizionalmente, infatti, l’ipotesi della disapplicazione in seno alla giurisdizione amministrativa viene rifiutata dalla giurisprudenza con l’unica eccezione del caso in cui si faccia questione della illegittimità di un atto amministrativo avente contenuto astratto e generale[xlv]. E questo perché utilizzare come referente di legittimità un atto illegittimo consentirebbe di propagare nell’ordinamento gli effetti distorsivi della relativa illegittimità[xlvi].
Ebbene questo potrebbe proprio essere un meccanismo di tutela applicabile alle vertenze inerenti ai codici di comportamento laddove, prevedendo ipotesi illegittime -quantomeno in tesi- di controllo o ingerenza sull’attività dei dipendenti pubblici, questi ultimi potrebbero potenzialmente incidere su posizioni di diritto soggettivo, ancorché in via derivata, con specifico riferimento ai procedimenti disciplinari[xlvii]. Altro campo elettivo nel quale può venire in rilievo la distinzione può essere pure quello interno al plesso amministrativo dei ricorsi gerarchici, ove tipicamente si spende potere discrezionale di merito e trovano applicazione regolamenti di carattere generale[xlviii]. Anche in questo caso, la possibilità di disapplicare il regolamento illegittimo potrebbe venire in rilievo. Qui però si dovrebbe ulteriormente superare lo scoglio costituito dalla natura non giurisdizionale dei ricorsi[xlix]: alle P.A. è preclusa la disapplicazione dei provvedimenti illegittimi[l]. Tuttavia, la questione si riproporrebbe tale e quale nel momento in cui si contestasse avanti al T.A.R. la decisione sul ricorso gerarchico operata in applicazione del regolamento illegittimo[li].
In questi termini, allora, il percorso ermeneutico che si è sopra proposto consente di ampliare ulteriormente il ventaglio di tutele del dipendente pubblico, sollevandolo dalla necessità di impugnazione diretta del regolamento laddove questo sia applicato in danno di diritti soggettivi, o comunque e più in generale, ogniqualvolta ci si trovi nell’alveo delle ipotesi ascritte alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo[lii] e consentendo l’ulteriore possibilità di disapplicazione successiva.
5. Alcuni spunti ricostruttivi sull’interesse all’impugnazione dei regolamenti ad opera delle associazioni di categoria
Pur non essendo un tema direttamente affrontato dalla pronuncia in commento, la sentenza del T.A.R. capitolino suggerisce ulteriori riflessioni circa l’interesse ad agire nei confronti dei regolamenti, in particolare declinando l’esame del presupposto dell’azione distinguendo tra posizione degli enti esponenziali e posizione dei singoli individui appartenenti alla categoria di dipendenti pubblici interessata dal provvedimento generale[liii].
Con riferimento, anzitutto, alla posizione del singolo, la giurisprudenza in buona sostanza ritiene che questo non abbia nella generalità dei casi una posizione realmente differenziata, come già visto supra. Il relativo interesse, allora, permane in senso proprio adespota, essendo uno degli innumeri potenziali destinatari dell’atto[liv] e necessita di concretarsi puntualmente onde trovare rilevanza giurisdizionale.
Queste considerazioni, tuttavia, non si riproducono sic et simpliciter allorquando ad impugnare il regolamento sia un soggetto esponenziale di interessi diffusi[lv]. Questa tipologia di soggetti giuridici, infatti, agglutinano l’interesse adespota elevandolo a interesse di categoria[lvi]: proprio per questo essi potenzialmente possono vantare legittimazione e interesse ad agire in via anticipata per il fatto di rappresentare una intera collettività che diviene destinataria del provvedimento[lvii]. Dunque, nel caso specifico delle associazioni di categoria, non vi è quella preclusione all’impugnazione[lviii] delle norme regolamentari -generali ed astratte- che invece opera ex ante per i singoli appartenenti alla categoria rappresentata[lix]. E questo perché, proprio sulla base dei recenti referenti della Corte di Cassazione[lx], limitare la tutela di categoria al solo momento della applicazione concreta -eventuale- del regolamento, si convertirebbe in buona sostanza nel rischio di vedere negata in via generalizzata la tutela della relativa posizione giuridica soggettiva[lxi].
Con queste premesse, quindi, lo spettro di indagine circa l’impugnabilità dei regolamenti e più in generale degli atti amministrativi non a contenuto puntuale, da parte degli enti esponenziali, si sposta piuttosto sulla reale omogeneità di interessi tutelati con l’azione. Ricordando infatti che la figura dell’ente esponenziale nasce nella giurisprudenza[lxii]quale veicolo di tutela delle posizioni adespote, si deve infatti concludere per l’assenza di interesse all’impugnazione laddove il regolamento crei una situazione di conflitto di interesse all’interno della categoria[lxiii] e non già soltanto in ragione del fatto che le relative disposizioni siano astratte e generali.
Ciò che si può concludere, pertanto, è che l’analisi preliminare su legittimazione e interesse a ricorrere avverso un atto amministrativo a contenuto generale -sub specie di un Codice di comportamento nel caso in esame- ha un diverso oggetto a seconda del soggetto che propone l’impugnazione. In caso di ricorso presentato ad opera di una associazione di categoria, infatti, l’indagine atterrà l’insussistenza di conflitto di interesse interno piuttosto che in linea diretta la sussistenza di una lesione giuridica ad un bene della vita determinato attraverso disposizioni puntuali contenuto nel regolamento[lxiv].
6. Conclusioni
La pronuncia in commento, ponendosi nel solco della giurisprudenza oramai consolidata nel campo dell’impugnazione degli atti amministrativi a contenuto normativo, sollecita diverse riflessioni in ordine a questioni processuali di carattere generale. Da un lato, infatti, vi è la valutazione dell’interesse a ricorrere rispetto al Codice di comportamento nazionale, ove in buona sostanza si conclude per la relativa non impugnabilità diretta da parte dell’associazione di categoria[lxv] - ma con riflessioni la cui portata esclude in effetti in apicibus la possibilità di impugnazione anche dei singoli dipendenti. Dall’altro, vi è la distinzione, che nella sentenza invero passa sotto traccia, da operarsi in ordine ai presupposti dell’azione con riferimento alla natura singola o collettiva del soggetto ricorrente.
Con riferimento al primo dei profili in parola, l’impossibilità di impugnare – o meglio, l’assenza di onere di impugnazione immediata – da parte dei singoli o dell’ente esponenziale è in realtà una soluzione che avvantaggia il cittadino, posto che gli consente sempre di contestare il provvedimento generale solo allorquando questo divenga per lo stesso realmente lesivo. Con riguardo, invece, alla impugnazione a opera delle associazioni di categoria, tuttavia, questo meccanismo non si riproduce in maniera lineare, poiché gli interessi tutelati non sono i medesimi del singolo dipendente. Infatti, la sigla sindacale tutela una categoria che può essere lesa nel suo complesso già da una volizione preliminare. La questione è risolta dalla pronuncia ritenendo “troppo astratte” le disposizioni contenuto nel codice persino per ledere interessi di classe, nondimeno il passaggio non è stato appieno sviscerato. E, comunque, la soluzione adottata dal T.A.R. per il Lazio può dirsi applicare una eccezione alla regola: la norma dovrebbe dirsi essere l’impugnabilità diretta degli atti normativi da parte delle associazioni.
Ciò onde non restringere eccessivamente la possibilità di tutela nelle azioni i classe.
Invero, v’è di contro da domandarsi se l’omessa impugnazione iniziale di disposizioni direttamente lesive per la classe abbia effetti preclusivi. Ossia se, una volta non impugnato inizialmente il regolamento lesivo, l’associazione di categoria si veda preclusa la possibilità di contestare successivamente il provvedimento, ovvero di intervenire ad adiuvandum[lxvi]nei contenziosi instaurati da singoli appartenenti alla classe tutelata dei dipendenti pubblici. Parrebbe infatti maggiormente coerente con la ricostruzione teorica operata dalla giurisprudenza in tema di lesività immediata degli interessi di categoria ritenere che questo effetto maturi. E, cionondimeno, allora, dovrebbe dirsi impedito anche l’intervento in giudizio del singolo appartenente alla categoria laddove quest’ultimo contesti proprio le norme che avrebbe avuto l’onere di impugnare[lxvii]. Tale meccanismo, tuttavia, rimetterebbe forse eccessivamente all’interpretazione del caso concreto la reale consistenza delle tutele garantite dall’ordinamento, con il rischio di creare disassamenti tra giudicati[lxviii]. Meglio allora dire che, effettivamente, la preclusione operi solo in via diretta per le impugnazioni autonome delle associazioni di categoria, lasciandole libere di aderire al contenzioso instaurato da altri e “giovandosi” della relativa tempestività[lxix]. E questo perché in tali giudizi esse non vantano una posizione autonoma “di categoria” ma si giovano di una situazione legittimante del dipendente che trova scaturigine nell’atto applicativo del regolamento.
Ulteriore tema che merita approfondimento è poi quello della possibile disapplicazione del regolamento disciplinare. Come visto, infatti, la giurisprudenza tende a ritenere disapplicabile il provvedimento normativo illegittimo solo entro il perimetro della giurisdizione esclusiva. Forse alla luce delle mutate linee di tendenza della giurisdizione amministrativa[lxx], sempre più rivolta alla garanzia dell’effettività della tutela, detto perimetro applicativo potrebbe essere oggi ripensato. Invero, la sua radice si riconnette alla circostanza per cui applicare un atto normativo sostanzialmente illegittimo comporta il propagarsi della relativa illegittimità – dacché tale propagazione si estende un numero indeterminato di volte, data la natura generale ed astratta dell’atto. Ecco, quindi, che dedurre l’intangibilità dell’atto per chi non lo abbia tempestivamente impugnato precludendone ulteriormente la disapplicazione[lxxi]porterebbe ad una diminuzione della possibilità di tutela in effetti difficilmente compatibile con quelle stesse ragioni che portano la giurisprudenza a consentire l’impugnazione del regolamento-volizione preliminare solo in uno con l’atto applicativo[lxxii]. E, ulteriormente, vi è poi da domandarsi, ulteriormente, se il sistema di disapplicazione sia sempre precluso alle associazioni di categoria, che, come visto, vantano la possibilità di impugnazione diretta dei regolamenti. Ebbene, anche qui pure alla luce della recente evoluzione giurisprudenziale[lxxiii], non paiono esservi ragioni ostative generalizzate che consentano di ridurre il perimetro di tutela sulla base della soggettività giuridica del ricorrente.
Insomma, l’impugnazione degli atti amministrativi a contenuto normativo -sub specie di codice di comportamento- si rapporta con diverse questioni giuridiche che, ancorché meno “apparenti” ad una prima lettura, chiamano l’interprete a interrogarsi sulla perdurante effettività del consolidato sistema di tutela approntato dalla giustizia amministrativa. La sintesi raggiunta concentrando l’attenzione sulla posizione del dipendente pubblico, con l’affacciarsi nel processo con sempre maggior prepotenza delle zioni di classe, merita forse alcuni interventi manutentivi, onde consentire la piena esplicazione di quel principio di effettività che è oggi l’architrave su cui si regge -e il metro con cui si misura- l’architettura processuale[lxxiv].
[i] Come noto, il Tribunale Amministrativo Regionale capitolino ha competenza quanto al sindacato degli atti amministrativi che producono i propri effetti sull’intero territorio statale ai sensi dell’art. 13 c.p.a. Cfr. C. Guacci, La competenza nel processo amministrativo, Torino, 2018 eM.M. Fracanzani, La competenza per territorio, materia e grado del giudice amministrativo. Il regolamento di competenza, in G.P. Cirillo (a cura di), Il nuovo diritto processuale amministrativo, Milano, 2014, pag. 245 ss. nonché, quanto ai profili strutturali dell’assetto di competenze, Corte costituzionale, 18 giugno 2007, n. 237, con commento di F. De Leonardis, La Corte costituzionale accresce la competenza territoriale del Tar Lazio: verso un nuovo giudice centrale dell’emergenza?, in Diritto processuale amministrativo, II, 2008, pag. 476 e ss.
[ii] Regolamento adottato, giusta d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, a norma dell’art. 54 del d.lgs. n. 165/2001, c.d. Testo unico sul pubblico impiego. Per un inquadramento generale su detto regolamento si veda S. Cimini – C. Bozzi, L’evoluzione del codice di comportamento dei pubblici dipendenti e l’incerta valenza delle sue violazioni, in AmbienteDiritto, IV, 2021, oltre a R. Caridà, Codice di comportamento dei dipendenti pubblici e principi costituzionali, in Federalismi.it, XXV, 2016, B.G. Mattarella, Le nuove regole di comportamento dei pubblici funzionari, Relazione al IX Convegno di studi amministrativi di Varenna, 19-21 settembre 2013, in Astrid online, 2014, F. Merloni, Codici di Comportamento, in AA.VV., Libro dell’anno del Diritto, Roma, 2014, AA.VV., Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, Milano, 2005, C. Gegoratti – R. Nunin, I codici di comportamento, in F. Carinci – L. Zoppoli (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, Torino, 2004 e E. Carloni, Ruolo e natura dei c.d. “codici etici” delle amministrazioni pubbliche, in Diritto Pubblico, I, 2002.
[iii] Come si avrà meglio modo di specificare, l’idea di fondo di entrambe le disposizioni era quella di limitare l’utilizzo delle apparecchiature elettroniche pubbliche nella disponibilità del dipendente per i soli fini istituzionali, da un lato, e impedire che le opinioni espresse nell’“agorà digitale” dal dipendente risultassero riferibili alla – o comunque andassero in danno all’immagine della – pubblica amministrazione di appartenenza. Invero, le tematiche attinenti all’utilizzo degli strumenti digitali ad opera dei pubblici dipendenti sono salite da tempo all’onore delle cronache tanto che in diverse occasioni anche la dottrina, nell’incertezza applicativa delle regole disciplinari, aveva auspicato un intervento chiarificatore da parte del legislatore. Ad esempio, sul punto, si veda R, Panariello, La pubblica amministrazione ai tempi della rete tra codice di comportamento, etica pubblica e “galateo social dei dipendenti”: verso una nuova codificazione. Osservazioni e proposte, in Expact.unipg.it. In linea più generale, in ogni caso, E. Carloni, Il nuovo Codice di comportamento ed il rafforzamento dell’imparzialità dei funzionari pubblici, in Istituzioni del federalismo, II, 2013, aveva già al tempo dell’adozione dell’originario d.P.R. n. 62/2013 riconosciuto come i “Codici di comportamento sin qui adottati ... non hanno giocato un ruolo significativo nella ricostruzione dell’etica del funzionario pubblico o nella riduzione dei fenomeni di corruzione, ma neppure, più semplicemente, nell’interiorizzazione di obblighi e valori inerenti all’esercizio di funzioni pubbliche”, pag. 390, cit.
[iv] Laddove l’art. 17 della legge n. 400/1988 prevede invece specificamente che i regolamenti vengano adottati con d.P.R. sentito il Consiglio di Stato.
[v] Nell’evidenza che detti principi generali dovessero trovare applicazione indistinta anche ai pubblici dipendenti in regime privatizzato – come sono coloro i quali soggiacciono al codice di comportamento oggetto del contendere. Cfr. V. Tenore, La libertà di pensiero tra riconoscimento costituzionale e limiti impliciti ed espliciti: gli argini normativi e giurisprudenziali per giornalisti, dipendenti pubblici (e privati) e magistrati nell’uso dei social media, in Rivista Corte dei conti, I, 2019.
[vi] Tale espressione, utilizzata specialmente nell’ambito delle discipline penalistiche, indica quelle disposizioni che completano il proprio contenuto precettivo facendo riferimento ad altre fonti normative dell’ordinamento. Cfr. ex multis, D. Castronuovo, Clausole generali e prevedibilità delle norme penali, in Questione giustizia, IV, 2018, M. Papa, Dal codice penale “scheumorfico” alle playlist. Considerazioni inattuali sulla principio della riserva di codice, in Diritto penale contemporaneo, V, 2018, pag. 129 e ss., L. Riscato, Gli elementi normativi della fattispecie penale, in Studium iuris, I, 2005, pag. 159 e ss., G. Fiandaca, voce Fatto nel diritto penale, in Digesto delle discipline penalistiche, V, Torino, 1991, pag. 152 e ss., F. Palazzo, Tecnica legislativa e formulazione della fattispecie penale in una recente circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in Cassazione penale, I, 1987, pag. 230 e ss., G. Amato, Sufficienza e completezza della legge penale, in Giurisprudenza costituzionale, II, 1964, pag. 494 e ss., nonché in giurisprudenza, parimenti ex multis, Cass. pen., sez. IV, 29 gennaio 2013 e C. cost., 30 gennaio 2009, n. 2.
[vii] Tale essendo la categoria che ricomprende quei regolamenti che possono essere adottati per espressa previsione normativa al fine di dare concreta attuazione alle disposizioni di legge. In questi termini classifica proprio gli atti normativi adottati ai sensi dell’art. 17 sub lett. a), l. n. 400/1988, A. Romano Tassone, Le normazione secondaria. I regolamenti, in L. Mazzarolli – G. Pericu – A. Romano – F.A. Roversi Monaco – F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, Milano, 1993, pag. 202.
[viii] E che sono, più in generale, espressione di quell’obbligo di fedeltà alla Nazione che è previsto in via generale già all’art. 54 della Costituzione, come sottolineato da B.G. Mattarella, I doveri di comportamento dei dipendenti pubblici, in F. Merloni – L. Vandelli (a cura di), La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, Passigli, 2010. L’Autore, in particolare, mette in evidenza “Un’ulteriore area di doveri dei funzionari pubblici” che, nello specifico, “attiene alla cura dell’immagine esterna dell’amministrazione. Questi doveri possono esplicarsi in regole inerenti ai rapporti con i cittadini, ai rapporti con la stampa e anche alla vita privata. La loro violazione può non essere sanzionata, ma può anche essere sanzionata pesantemente, come dimostrato dalla giurisprudenza della Corte dei conti in materia di responsabilità per danno all’immagine dell’amministrazione”. È proprio in questa specifica sfera di doveri del pubblico funzionario che si concentrano le modifiche in ultimo operate al codice di comportamento dei pubblici dipendenti oggetto del contendere. In punto vedasi anche R. Rordorf, L’art. 54 della Costituzione, in La magistratura, 22 aprile 2022.
[ix] In questi termini, peraltro, l’ANAC, con delibera n. 75/2013 di adozione delle Linee guida in materia di codici di comportamento delle pubbliche amministrazioni (art. 54, comma 5, d.lgs. n. 165/2001), ha chiarito il rapporto tra regolamento nazionale di comportamento e codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni.
[x] Dacché, correlativamente, il T.A.R. ha ritenuto che le modifiche apportate al d.P.R. n. 62/2013 dal regolamento impugnato avessero il preciso scopo di dare attuazione a questa previsione di legge. Questa porzione del ragionamento costituisce già di per sé, come si vedrà, la radice della motivazione della sentenza in commento.
[xi] In questi termini, infatti, si ritiene che l’individuazione di doveri “minimi” preluda necessariamente alla necessità di integrare gli stessi ad opera delle singole amministrazioni con ulteriori precisazioni contenutistiche rispetto alle condotte dei propri dipendenti.
[xii] S. Cairoli, Lavoro agile alle dipendenze della pubblica amministrazione entro ed oltre i confini dell’emergenza epidemiologica, in Lavoro, diritti, Europa, I, 2021, sottolinea in particolare la necessità da parte del datore di lavoro pubblico di individuare ed indicare al lavoratore in maniera puntuale quelli che sono i contenuti della prestazione lavorativa resa da remoto. Questo, con il duplice obbiettivo di consentirne la produttività valutandone a valle i risultati e di mantenere una disciplina del rapporto che abbia requisiti di ragionevole certezza e obbiettività anche nell’eventualità di una contestazione di possibili inadempimenti ad opera del lavoratore. Vedasi anche, sul tema, M. Alessi – M. L. Vallauri, Il lavoro agile alla prova del Covid-19, in O. Bonardi – U. Carabelli – M. D’Onghia – L. Zoppoli (a cura di), Covid-19 e diritti dei lavoratori, Roma, 2020, M. Martone (a cura di), Il lavoro da remoto. Per una riforma dello smart working oltre l’emergenza, Piacenza, 2020 e A. Pileggi (a cura di), Il diritto del lavoro dell’emergenza epidemiologica, Roma, 2020.
[xiii] Il riferimento operato dalla pronuncia in commento è alla sentenza Cons. St., sez. III, 10 luglio 2020, n. 4464. Detta ultima decisione, a sua volta, fa riferimento a Cons. Stato, Sez. IV, 14 febbraio 2005, n. 450 nel distinguere “tra due categorie di atti regolamentari: da un lato, gli atti contenenti solo ‘volizioni preliminari’, cioè statuizioni di carattere generale, astratto e programmatorio, come tali non idonee a produrre una immediata incisione nella sfera giuridica dei destinatari; dall’altro, gli atti regolamentari denominati ‘volizione – azione’, i quali contengono, almeno in parte, previsioni destinate ad una immediata applicazione e quindi, come tali, capaci di produrre un immediato effetto lesivo nella sfera giuridica dei destinatari”. Cfr. E. Furno, La disapplicazione dei regolamenti alla luce dei più recenti sviluppi dottrinari e giurisprudenziali, in Federalismi.it, II, 2017 nonché N. Lupo, Dalla legge al regolamento. Lo sviluppo della potestà normativa del governo nella disciplina delle pubbliche amministrazioni, Bologna, 2003, pag.127 e ss.
[xiv] In altri termini, l’associazione sindacale si doleva dell’assenza di referenti minimi per le P.A. circa i contenuti dei propri regolamenti di comportamento. In mancanza di tali limiti positivi e negativi, dunque, si sarebbe ipso facto avallato l’arbitrio delle amministrazioni locali.
[xv] La pronuncia, in questa porzione motiva, segue pertanto lo schema che impone l’impugnazione del regolamento generale in uno con l’atto applicativo, ossia con quel provvedimento che, direttamente lesivo per la sfera giuridica soggettiva del destinatario, ne instilla l’interesse a ricorrere. Così chiarisce in particolare il rapporto tra atti presupposti e provvedimenti attuativi R. Bin - G. Pitruzzella, Le fonti del diritto, Torino, 2012, pag.224. Vedasi anche sul punto, ex multis, G. Morbidelli, La disapplicazione dei regolamenti nella giurisdizione amministrativa, in “Impugnazione” e “disapplicazione” dei regolamenti, in Atti del convegno organizzato dall’ufficio studi e documentazioni del Consiglio di Stato e dall’Associazione studiosi del processo amministrativo(Roma, Palazzo Spada, 16 maggio 1997), in Quaderni del Consiglio di Stato, III, Torino, 1998, pag.28 e ss.
[xvi] Poiché, in caso contrario, evidentemente si sarebbe del pari potuta postulare l’illegittimità del regolamento perché avrebbe omesso la disciplina minima imposta dalla legge.
[xvii] Vedasi C. Benussi, Il codice di comportamento dei dipendenti pubblici ha ora natura regolamentare in Diritto penale contemporaneo, 18 giugno 2013.
[xviii] Nello specifico, ci si riferisce al relativo art. 13.
[xix] D.m. 31 marzo 1994, adottato in specifica applicazione dell’art. 58-bis, d.lgs. n. 29/1993, il quale, a sua volta, all’art. 58-bis consentiva alla Presidenza del Consiglio dei ministri l’adozione di un codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, “anche in relazione alle necessarie misure organizzative da adottare al fine di assicurare la qualità dei servizi che le dette amministrazioni rendono ai cittadini”.
[xx] D.P.C.m. 28 novembre 2000.
[xxi] Con riferimento a questi ultimi, vedasi l’analisi critica operata da E. Carloni, Ruolo e natura dei c.d. "codici etici" delle amministrazioni pubbliche, in Diritto pubblico, I, 2002, pag. 319 e ss., il quale concludeva per la natura cogente quale fonte normativa comportamentale dei codici di comportamento per i dipendenti pubblici. Ancor prima, vedasi pure B.G. Mattarella, I codici di comportamento, in Rivista giuridica del lavoro, I, 1996, pag. 275 e ss.
[xxii] Esitante dalla riscrittura dell’articolo operata dalla c.d. legge anticorruzione, l. n. 190/2012.
[xxiii] Così, in ultimo, Corte di Cassazione civile, sez. IV-lavoro, 9 maggio 2018, n. 11160. La pronuncia risulta inoltre di particolare interesse laddove stabilisce un principio di stretta specialità tra i diversi codici di comportamento adottati con decreto del Presidente della Repubblica – dunque formalmente equiordinati nella gerarchia delle fonti di diritto. In tali casi gli Ermellini hanno affermato sussistere un principio di prevalenza della regola etica speciale a prescindere dalla eventuale precedenza cronologica del codice settoriale rispetto a quello nazionale del 2013.
[xxiv] In applicazione dell’eccezione generalizzata di cui all’art. 3, l. n. 241/1990, come sottolineato da C. Deodato, La motivazione della legge. Brevi considerazioni sui contenuti della motivazione degli atti normativi del Governo e sulla previsione della sua obbligatorietà, in Federalismi.it, XXII, 2014, ove l’Autore afferma peraltro come gli atti normativi si giustificano di per sé nella misura in cui sono espressione della volontà democratica dell’organo rappresentativo -dunque investito della funzione attraverso il mandato popolare- che li emana. Vedasi anche sul tema V. Crisafulli, Sulla motivazione degli atti legislativi, in Rivista di diritto pubblico e della pubblica amministrazione in Italia, I, 1937, pag. 415 e ss., nonché A. Romano Tassone, Sulla c.d. “funzione democratica” della motivazione degli atti dei pubblici poteri, in A. Ruggieri (a cura di), La motivazione delle decisioni della Corte costituzionale, Torino, 1994.
[xxv] In punto corre utile il riferimento a M. Massa, Le zone d’ombra della giustizia costituzionale: i regolamenti dell’esecutivo, in Astrid online, ove in particolare l’Autore richiama il fatto che la decisione di non sottoporre i regolamenti dell’esecutivo al sindacato giurisdizionale fu ben consapevole, ricordando in particolare il pensiero di P. Calamandrei che si volle espressamente distaccare dal modello di giustizia costituzionale austriaca, nel quale, invece, i regolamenti erano espressamente impugnabili avanti alla Corte costituzionale.
[xxvi] È questa, infatti, come si è visto la forma strutturale di redazione delle c.d. norma in bianco.
[xxvii] Come sottolineato, tra gli altri, da E. Carloni, op. cit., infatti, la natura normativa e cogente del regolamento di comportamento fa sì che quest’ultimo non possa essere disapplicato dall’amministrazione, costituendo di contro un atto per la stessa pienamente vincolante. In questi termini, dunque, esso deve considerarsi atto presupposto alla sanzione disciplinare e, dunque, esso dovrebbe essere impugnato a pena di inammissibilità della contestazione della sanzione medesima.
[xxviii] Ad esempio, ci si riferisce alla caso in cui dall’applicazione del regolamento derivino automatismi procedimentali che rendano vincolata l’attività amministrativa a valle, come sottolineato da Cons. St., sez. IV, 13 febbraio 2020, n. 1159. Vedasi anche, con riferimento alla metodica giurisdizionale dell’impugnabilità congiunta del regolamento con i singoli atti che ne facciano applicazione, Cons. St., sez. V, 7 ottobre 2016, n. 4130, 6 maggio 2015, n. 2260, e sez. VI, 29 marzo 1996, n. 512
[xxix] Così si realizza una sintesi tra quel principio di effettività della tutela che è cardine del sistema processuale amministrativo a partire dai principi stabiliti nel d.lgs. n. 104/2010, come sottolineato da G.P. Cirillo, I principi generali del processo amministrativo, in G.P. Cirillo (a cura di), Il nuovo diritto processuale amministrativo, Milano, 2014, pag. 15 e ss., ed un principio di economicità ed efficienza della funzione giurisdizionale che vuole evitare l’inutile esercizio della giurisdizione laddove non vi sia una lesione effettiva della posizione giuridica soggettiva del cittadino. Vedasi in punto anche M. Comoglio, Il principio di economia processuale, Padova, 1982 e, con specifico riferimento alla dottrina amministrativistica, G. Virga, Integrazione della motivazione nel corso del giudizio e tutela dell’interesse alla legittimità̀ sostanziale del provvedimento impugnato, in Diritto processuale amministrativo, IV, 1993, pag. 507 e ss., L. Iannotta, La considerazione del risultato nel giudizio amministrativo: dall’interesse legittimo al buon diritto, in Diritto processuale amministrativo, I, 1998, pag. 299 e ss., A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2000, in specie pag. 225 e R. Giovagnoli, Effettività della tutela e atipicità delle azioni nel processo amministrativo, Relazione al convegno “Giustizia amministrativa e 182 crisi economica”, Roma, 25-26 settembre 2013, in Giustamm.it, IX, 2013.
[xxx] Cfr. S. Neri, Il rilievo giuridico dei codici di comportamento nel settore pubblico in relazione alle varie forme di responsabilità dei pubblici funzionari, in Amministrazione in cammino, 18 ottobre 2016. In particolare, l’Autore sottolinea come la codificazione delle norme comportamentali abbia riportato la valutazione disciplinare dei dipendenti delle P.A. nell’alveo del diritto pubblico. Tale pensiero, peraltro, riprende quanto affermato da B.G. Mattarella, La prevenzione della corruzione in Italia, in Giornale di diritto amministrativo, II, 2013, pag. 123 e ss.
[xxxi] Nondimeno, si può però ulteriormente specificare che i codici delle singole amministrazioni, precisando le previsioni del d.P.R. n. 62/2013, verosimilmente verteranno con più frequenza in ipotesi ove potenzialmente potrebbero generarsi delle lesioni dirette, ad esempio laddove si limitino diritti sindacali o si impongano adempimenti puntuali ai dipendenti imponendo agli stessi aggravi di oneri nell’espletamento della prestazione lavorativa.
[xxxii] Cfr. T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, sez. II-quater, 10 agosto 2017, n. 9289.
[xxxiii] Ossia, in altri termini, un eventuale sindacato sul codice non riguarda il rispetto dei limiti della discrezionalità concessa alla singola amministrazione in attuazione delle previsioni generali del regolamento nazionale.
[xxxiv] Nello specifico, la precitata sentenza del T.A.R. Lazio, n. 9289/2017, precisa ad esempio, nell’esaminare una disposizione che riguardava l’affidamento degli incarichi dirigenziali contenuta nel codice etico adottato dall’allora Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, che “Propriamente parlando, la disposizione in questione - per questa parte - non si colloca nell’area delle regole di comportamento, ma nell’ambito della materia dell’organizzazione e della provvista degli uffici, che postula l’applicazione del principio di legalità (art. 97 Cost.)”.
[xxxv] Verosimilmente per violazione di legge derivante direttamente dal d.P.R. n. 62/2013 e indirettamente a monte dall’art. 54 del d.lgs. n. 165/2001.
[xxxvi] Tanto, peraltro, in analogia a quanto in allora previsto dall’art. 58-bis, d.lgs. n. 29/1993, in attuazione del quale è stato adottato il primo codice di comportamento di cui al d.m. 31 marzo 1994. Tale disposizione, infatti, correlava espressamente le previsioni di cui al codice di comportamento con le misure organizzative della P.A.
[xxxvii] Si tratta, per vero, di una disposizione che pare andare ad impingere in maniera piuttosto evidente nelle modalità concrete di svolgimento della prestazione lavorativa.
[xxxviii] Si deve infatti ricordare che il d.P.R. n. 61/2013 è stato introdotto a seguito delle modifiche operate al d.lgs. n. 165/2001 ad opera della c.d. legge anticorruzione, n. 190/2012. Sul punto, funditus, B.G. Mattarella, La prevenzione, op. cit., nonché Il diritto dell'onestà. Etica pubblica e pubblici funzionari, Bologna, 2007, ove l’Autore sottolinea in particolare il possibile ruolo centrale dei codici di comportamento all’interno del novero complessivo degli strumenti approntati dal legislatore per combattere il malcostume e i fenomeni corruttivi.
[xxxix] Per tutti, cfr. A. Romano, Osservazioni sull’impugnativa dei regolamenti della pubblica amministrazione, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, IV, 1956, pag. 870 e ss. .Più recentemente vedasi pure F. Cintioli, Potere regolamentare e sindacato giurisdizionale. Disapplicazione e ragionevolezza nel processo amministrativo sui regolamenti, Torino, 2005.
[xl] Utile in punto ricordare quanto affermato da T.A.R. per la Puglia, sede di Bari, sez. I, 27 luglio 2016, n. 988, e cioè che “Da un lato gli atti contenenti solo “volizioni preliminari”, cioè statuizioni di carattere generale, astratto e programmatorio, come tali non idonei a produrre una immediata incisione nella sfera giuridica dei destinatari; detta tipologia di regolamenti andrà impugnata necessariamente assieme ai relativi atti applicativi (cd. tecnica della doppia impugnazione). Dall’altro, gli atti regolamentari denominati “volizione – azione”, i quali contengono, almeno in parte, previsioni destinate ad una immediata applicazione e quindi, come tali, capaci di produrre un immediato effetto lesivo nella sfera giuridica dei destinatari; gli stessi devono essere gravati immediatamente, a prescindere dalla adozione di atti applicativi. Sul punto, Cons. Stato, Sez. IV, 14 febbraio 2005, n. 450 parimenti distingue i “ … regolamenti c.d. volizioni preliminari, che, caratterizzati da requisiti di generalità e astrattezza, contengono previsioni normative astratte e programmatiche, che non si traducono in una immediata incisione della sfera giuridica del destinatario, a nulla rilevando che ciò possa accadere in futuro, e i regolamenti c.d. volizioni-azioni, che contengono, almeno in parte, previsioni destinate alla immediata applicazione, in quanto capaci di produrre un immediato effetto lesivo della sfera giuridica del destinatario””. In questo tipo di provvedimenti, pertanto, l’amministrazione dispone direttamente la produzione di un preciso effetto giuridico al verificarsi dei presupposti dell’atto generale, come chiarito da G. Carcaterra, Norme giuridiche e valori etici. Saggi di filosofia del diritto, Roma, 1991, in specie pag. 99 e ss.
[xli] È, infatti, noto che il giudice ordinario disapplica gli atti amministrativi illegittimi, non avendo il potere di annullarli. Più dibattuta, invece, è la sussistenza di analogo potere in capo al giudice amministrativo, posto che quest’ultimo può agire direttamente sul provvedimento attraverso il proprio potere annullatorio. Cfr. S. Perongini, La disapplicazione e le invalidità che ne costituiscono il presupposto, in AA. VV., Scritti per Franco Gaetano Scoca, Napoli, 2020, pag. 3999 e ss. e V. Domenichelli, Giurisdizione esclusiva e disapplicazione dell’atto amministrativo invalido, in Jus, I, 1983, pag. 162 e ss.
[xlii] In questi termini Cons. Stato, sez. III, 10 luglio 2020, n. 4464, nonché T.A.R. per l’Abruzzo, sede dell’Aquila, sez. I, 6 dicembre 2021 n. 543. In dottrina vedasi invece R. Dipace, La disapplicazione nel processo amministrativo, Torino, 2011
[xliii] F. Cintioli, Potere regolamentare, op. cit., nonché, del medesimo Autore, vedasi la voce Disapplicazione, in Enciclopedia del diritto, Milano, 2010, pag. 295 e ss.
[xliv] Sulla base di un ragionamento definito “di tipo analogico” da F. Follieri, Disapplicazione dell’atto amministrativo e giudicato, in P.A. – Persona e amministrazione, I, 2022, pag. 103, cit. Tanto perché, come noto, l’ascrizione di una materia alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo non potrebbe riconvertirsi in una diminuzione degli strumenti di tutela garantiti al cittadino. Per tale ragione, quindi, al giudice speciale debbono essere, in tali casi, garantiti i medesimi poteri riconosciuti al giudice proprio dei diritti (quello ordinario). Cfr. G.P. Cirillo, op. cit.
[xlv] Sul punto, ancora, F. Follieri, op. cit., pag. 104, cit.
[xlvi] Dunque, sebbene inizialmente solo per rigettare i motivi di ricorso – cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 febbraio 1992 n. 194 – la giurisprudenza ha alfine ammesso la possibilità di disapplicazione del regolamento illegittimo onde non doverlo utilizzare per saggiare la legittimità di provvedimenti dello stesso applicativi o rispetto ai quali lo stesso è presupposto.
[xlvii] Questioni analoghe, tuttavia, si avrebbero nel caso in cui il provvedimento fosse suscettibile di incidere sull’organizzazione amministrativa del pari in applicazione di disposizioni non conformi a norma. Anche in questo caso, potenzialmente, si avrebbero provvedimenti amministrativi di organizzazione – che a loro volta non dovrebbero essere motivati a mente dell’art. 3, l. n. 241/1990 – che potrebbero riverberare sulla posizione lavorativa del dipendente pubblico, dunque sulla sua sfera di diritto soggettivo.
[xlviii] Un esempio tipico è costituito dalle c.d. valutazioni caratteristiche dei graduati delle forze armate, che sono le valutazioni applicate in determinati casi al contegno in servizio dei militari. In questi casi, infatti, è generalmente ammessa la possibilità di contestare la valutazione attraverso i ricorsi amministrativi gerarchici propri. Cfr. R. Balduzzi, “Principio di legalità̀ e spirito democratico nell’ordinamento delle Forze Armate”, Milano, 1988, F. Bassetta, Il pubblico impiego militare, in Quaderni della Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, III, suppl. VI. 2003 e P. Carrozza, La giurisdizione amministrativa e le procedure di avanzamento, in Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, III, 2003.
[xlix] Vedasi E. Tamburrino, I ricorsi amministrativi ordinari, in G.P. Cirillo (a cura di), Il nuovo diritto processuale amministrativo, Milano, 2014, pag. 1487 e ss. e A. De Roberto, La tutela avverso l’atto non definitivo, in Studi in onore di N. Papaldo, Milano, 1975, pag. 327 e ss.
[l] Per tutti, cfr. T.A.R. per la Puglia, sede di Lecce, 27 novembre 2020, n. 1321, ove il giudice chiarisce che il potere di disapplicazione degli atti aventi carattere normativo è onere dell’apparato giurisdizionale e non costituisce invece obbligo ascrivibile alla P.A.
[li] Invero, avanti al plesso giurisdizionale non possono essere elevate contestazioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle decise attraverso il ricorso gerarchico, come già anticipato da S. Cassarino, Rapporti tra ricorsi amministrativi e ricorso giurisdizionale, in Foro amministrativo, II, 1975, pag. 83 e ss.
[lii] Cfr. nello specifico F. Sciarretta, Giurisdizione amministrativa 'esclusiva' nella tutela dei diritti soggettivi nei confronti delle pubbliche amministrazioni, in Federalismi.it, III, 2018, il quale sottolinea l’importanza del compito del giudice amministrativo alla luce dell’aumento esponenziale dei casi di giurisdizione esclusiva negli anni, che ha riguardato in maggiormente diritti particolarmente sensibili e “strategici” per l’ordinamento. Vedasi anche R. Rordorf, Pluralità delle giurisdizioni ed unitarietà del diritto vivente: una proposta, in Foro italiano, V, 2017, pag. 123 e ss., ove in particolare l’Autore afferma che il giudice amministrativo è oramai divenuto giudice di tutela piena dei diritti nelle materia a lui affidate alla pari del giudice ordinario.
[liii] Avviene, peraltro, sovente, che all’associazione esponenziale – spesse volte si tratta di una sigla sindacale, come nel caso oggetto della pronuncia in commento – si associno quali ricorrenti uno o più soggetti persone fisiche direttamente interessati dal provvedimento, al fine di garantire non vi siano pronunce in rito per difetto di legittimazione ad agire. Alternativamente, ove il ricorso sia attivato dalla persona fisica, può esservi il caso in cui l’associazione presenti invece un intervento ad adiuvandum nel corso del processo. Nondimeno, in questi casi, si deve porre attenzione a possibili posizioni di conflitto di interessi trattandosi di contenziosi cumulativi dal punto di vista soggettivo, laddove la giurisprudenza ha in particolare avuto modo di sottolineare che “è solo proiettato nella dimensione collettiva che l’interesse diviene suscettibile di tutela, quale sintesi e non sommatoria dell’interesse di tutti gli appartenenti alla collettività o alla categoria, e ... seppur è lecito opinare circa l’esistenza o meno, allo stato dell’attuale evoluzione sociale e ordinamentale, di un interesse legittimo collettivo, deve invece recisamente escludersi che le associazioni, nel richiedere in nome proprio la tutela giurisdizionale, azionino un “diritto” di altri. La situazione giuridica azionata è la propria. Essa è relativa ad interessi diffusi nella comunità o nella categoria, i quali vivono sprovvisti di protezione sino a quando un soggetto collettivo, strutturato e rappresentativo, non li incarni”. (cfr. Cons. St., Adunanza Plenaria, 20 febbraio 2020, n. 6). In ordine, invece, ai limiti dell’intervento ad adiuvandum si rinvia per dovere di sinteticità a A. Police, Il ricorso di primo grado, la costituzione delle altre parti, l’intervento, il ricorso incidentale, in G.P. Cirillo (a cura di), Il nuovo diritto processuale amministrativo, Milano, 2014, pag. 407 e ss., nonché M. D’Orsogna – F. Figorilli, Lo svolgimento del processo di primo grado Sezione prima: La fase introduttiva, in F.G. Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino, 2023, pag. 363 e ss.
[liv] Nello specifico, è stato detto che “La generalità e l’astrattezza che caratterizza l’atto normativo fa sì che la posizione che il singolo può vantare rispetto ad essa si presenti, di regola, come posizione “indifferenziata”. Proprio per questo, “L’interesse del singolo all’eliminazione di una norma generale e astratta è, infatti, perfettamente identico a quello che può vantare qualsiasi altro soggetto che appartenga alla “platea” dei potenziali destinatari della norma regolamentare”. Così Cons. St., sez. I, parere 14 febbraio 2013, n. 677. Come sopra anticipato, peraltro, il Consiglio di Stato non ritiene che questa sistematica di tutela, che onera dell’impugnazione il cittadino solo allorquando il regolamento viene applicato con un provvedimento puntuale, sia lesiva degli interessi del ricorrente.
[lv] Sul punto cfr. G. Manfredi, Interessi diffusi e collettivi (dir. amm.), in Enciclopedia del diritto, Annali, Milano, 2014, ove l’Autore chiarisce che “l’espressione “interessi diffusi” in genere viene impiegata per indicare gli interessi che pertengono a un insieme indefinito di soggetti, e quella “interessi collettivi” per indicare gli interessi che pertengono a gruppi di soggetti definiti e dotati di strutture organizzative”, pag. 513, cit.
[lvi] In ordine all’astratta giustiziabilità degli interessi rappresentati dalle associazioni di categoria, infatti, si è recentemente espressa la Corte di Cassazione rispetto alla annosa questione delle concessioni balneari nella sentenza Cass., Sez. un., 23 novembre 2023, n. 32559, specie al par. 16, ove si afferma che: “Si è trattato di un diniego o rifiuto della tutela giurisdizionale sulla base di valutazioni che, negando in astratto la legittimazione degli enti ricorrenti a intervenire nel processo, conducono a negare anche la giustiziabilità degli interessi collettivi (legittimi) da essi rappresentati, relegandoli in sostanza al rango di interessi di fatto. La sentenza impugnata, di conseguenza, è affetta dal vizio di eccesso di potere denunciato sotto il profilo dell’arretramento della giurisdizione rispetto ad una materia devoluta alla cognizione giurisdizionale del giudice amministrativo”. In dottrina, invece, il riferimento corre a F. Francario – M.A. Sandulli (a cura di), Profili oggettivi e soggettivi della giurisdizione amministrativa, Napoli, 2017, A. Cassatella, L’eccesso di potere giurisdizionale, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, III, 2018, pag. 643 e ss.; A. Lamorgese, Eccesso di potere giurisdizionale e sindacato della Cassazione sulle sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, in Federalismi.it, I, 2018.
[lvii] In questi termini, si veda per tutti, S. Casilli, Legittimazione, accertamento e risarcimento: il punto sulla capacità delle associazioni esponenziali (nota a Consiglio di Stato, Sezione Terza, 28 maggio 2021 n. 4116), in questa Rivista, 6 ottobre 2021, C. Cudia, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, Santarcangelo di Romagna, 2012, nonché, con declinazione dello studio rispetto alla legittimazione al ricorso nelle diverse tipologie di azioni esperibili innanzi al giudice amministrativo, del medesimo Autore, Legittimazione a ricorrere e pluralità delle azioni nel processo amministrativo (quando la cruna deve adeguarsi al cammello), in Diritto pubblico, II, 2019, pag. 393 e ss.
[lviii] Con specifico riferimento, in particolare, all’assenza di una posizione legittimante all’azione, come invece potrebbe dedursi del pari per il singolo componente della categoria rappresentata.
[lix] In termini di interesse al ricorso, dunque, il soggetto esponenziale non agisce a tutela di una possibile lesione individuale che si è già prodotta in una o più sfere giuridiche soggettive, ma prelude alla rimozione di atti che possono potenzialmente essere lesivi per la categoria intera sulla base di una valutazione ex ante ed in astratto. Vedasi sul punto, seppur nella diversa materia degli appalti pubblici, D. Capotorto, Le condizioni dell’azione nel contenzioso amministrativo in materia di appalti: “l’interesse meramente potenziale” nuovo paradigma dell’ordinamento processuale?, in Diritto processuale amministrativo, III, 2020, pag. 665 e ss. Questa conclusione, peraltro, opera in analogia a quanto specificato supra in ordine alla disapplicazione degli atti a contenuto generale, poiché l’impugnazione immediata evita la propagazione dell’illegittimità del provvedimento normativo.
[lx] Il riferimento è, ancora, alla sentenza n. 32559/2023 delle Sezioni Unite.
[lxi] In questo caso, dunque, il giudice verosimilmente incorrerebbe in una ipotesi di denegata giustizia, cfr. G. Tropea, Il Golem europeo e i «motivi inerenti alla giurisdizione» (Nota a Cass., Sez. un., ord. 18 settembre 2020, n. 19598), parimenti in questa Rivista, 7 ottobre 2020, B. Nascimbene – P. Piva, Il rinvio della Corte di Cassazione alla Corte di giustizia: violazioni gravi e manifeste del diritto dell’Unione europea?, in questa Rivista, 24 novembre 2020, F. Francario, Il sindacato della Cassazione sul rifiuto di giurisdizione, in Libro dell’Anno del Diritto 2017, Roma, 2017, Diniego di giurisdizione, in Il libro dell’Anno del Diritto 2019, Roma, 2019 Il pasticciaccio parte terza. Prime considerazioni su Corte di Giustizia UE, 21 dicembre 2021 C-497/20, Randstad Italia spa, in, Federalismi.it, IX, 2022, M. Magri, Rifiuto di rinvio pregiudiziale per travisamento dell’istanza di parte: revocazione della sentenza o “semplice” obbligo del giudice amministrativo di risarcire il danno? (Consiglio di stato, ordinanza 3 ottobre 2022, n. 8436, rimessione all’adunanza plen, in questa Rivista, 15 dicembre 2022 e M.A. Sandulli, Rinvio pregiudiziale e giustizia amministrativa: i più recenti sviluppi, in questa Rivista, 20 ottobre 2022.
[lxii] Per un riferimento circa la ricostruzione storica di come le associazioni di categoria hanno progressivamente raggiunto la legittimazione ad agire cfr. C. Casilli, op. cit. oltre a F.G. Scoca, La tutela degli interessi collettivi nel processo amministrativo, in AA.VV., Le azioni a tutela degli interessi collettivi, Atti del convegno di Pavia, Padova, 1976 e Tutela dell'ambiente: la difforme utilizzazione della categoria dell'interesse diffuso da parte dei giudici amministrativo, civile e contabile, in Diritto e società, III, 1988, pag. 649 e ss., F. Saitta, La legittimazione a ricorrere: titolarità o affermazione?, in Diritto pubblico, III, 2019, pag. 544 e ss. nonché C’era una volta l’azione popolare … mai nata, in Rivista giuridica dell’edilizia, I, 2021, pag. 239 e ss., L. Ferrara – F. Orso, Sulla legittimazione ad agire nel processo amministrativo. A proposito di due monografie, in Diritto pubblico, III, 2020, pag. 717 e ss. e P.L. Portaluri, Ascendenze del creazionismo giurisprudenziale e ricadute sul processo amministrativo: il controllabile paradigma dell’accesso al giudice, in Diritto processuale amministrativo, I, 2021, pag. 232 e ss.
[lxiii] Ossia, in altre parole, laddove il regolamento finisca con l’avvantaggiare alcuni a discapito di altri nell’ambito della categoria stessa (ad esempio prevedendo un vantaggio economico limitato solo ad alcuni soggetti e non ad altri). In questi termini si segnala, ex multis, C.G.A.R.S. sez. giur., 27 giugno 2022, n. 769 oltre a Cons. St. sez. III, 2 novembre 2020, n. 6697, di particolare interesse poiché riferita alla impugnabilità di un bando di gara d’appalto da parte di una associazione di categoria.
[lxiv] Peraltro, nello specifico della sentenza in commento, questa questione non si è posta in concreto poiché risolta dalla circostanza per cui il Codice di comportamento nazionale non conteneva in sé disposizioni idonee a ledere in concreto gli interessi di categoria essendo eccessivamente generico per poter essere applicato. In altri termini, il regolamento, anche per gli enti esponenziali, a dire del giudice avrebbe dovuto poter essere concretamente applicato onde instillare l’interesse al ricorso. Sul punto, pertanto, in effetti le posizioni dei soggetti singoli e associativi finisce con il sovrapporsi quanto ai presupposti dell’azione.
[lxv] In luogo, come si accennava, di un onere di impugnazione congiunto con gli atti applicativi conseguenti (ossia in buona sostanza, in uno con le sanzioni disciplinari che vengono comminata sulla base del Codice).
[lxvi] Vedasi in particolare sul punto, nel diritto processuale civile, E. Silvestri, L’“amicus curiae”: uno strumento per la tutela degli interessi non rappresentati, in Rivista di diritto e procedura civile, III, 1997, pag. 698 e ss. Mentre nel diritto amministrativo costituiscono utile riferimento M. Ricciardo Calderaro, Recenti sviluppi in tema di intervento e di opposizione di terzo ordinaria nel processo amministrativo (nota a CGARS, 13 gennaio 2021, n. 27), in questa Rivista, A. Salmaso, Le Associazioni di Avvocati Amministrativisti in Corte di Giustizia contro il rito superaccelerato in materia di appalti pubblici su ammissioni ed esclusioni dei concorrenti, nota di commento a T.A.R. Piemonte, sez. I, ord. 24 gennaio 2019, n. 77, in amministrativistiveneti.it, Cons. Stato, Ad. Plen., 11 gennaio 2007, n. 2, in Foro amministrativo – Consiglio di Stato, II, 2007, pag. 464 e ss., con note di A. Bertoldini, L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, l’intervento in appello ex art. 344, c.p.c. e la legittimazione all’opposizione di terzo e di A.L. Tarasco, Il contraddittorio degli interessi dei consumatori nel giudizio amministrativo: profili problematici dell’impugnazione dei controinteressati sostanziali, M. D’Orsogna, L’intervento nel processo amministrativo: uno strumento cardine per la tutela dei terzi, in Diritto processuale amministrativo, II, 1999, pag. 434 e ss., M. Ramajoli, Riflessioni in tema di interveniente e controinteressato nel giudizio amministrativo, nota a Cons. Stato, Ad. Plen., 8 maggio 1996, n. 2, in Diritto processuale amministrativo, I, 1997, pag. 118 e ss., R. Dickmann – M. Iannaccone, Osservazioni sull’intervento nel processo amministrativo, in Rivista Corte dei conti, VI, 1992, pag. 293 e ss. La giurisprudenza amministrativa, di contro, ha specificato, in relazione all’ammissibilità dell’intervento in corso di causa, che “per la legittimazione attiva di associazioni rappresentative di interessi collettivi si rivela necessario che: a) la questione dibattuta attenga in via immediata al perimetro delle finalità statutarie dell'associazione e, cioè, che la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale, e non della mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati; b) l'interesse tutelato con l'intervento sia comune a tutti gli associati, che non vengano tutelate le posizioni soggettive solo di una parte degli stessi e che non siano, in definitiva, configurabili conflitti interni all'associazione (anche con gli interessi di uno solo dei consociati), che implicherebbero automaticamente il difetto del carattere generale e rappresentativo della posizione azionata in giudizio; restando, infine, preclusa ogni iniziativa giurisdizionale sorretta dal solo interesse al corretto esercizio dei poteri amministrativi, occorrendo un interesse concreto ed attuale (imputabile alla stessa associazione) alla rimozione degli effetti pregiudizievoli prodotti dal provvedimento controverso (cfr. anche C.d.S., Ad. plen., 2 novembre 2015, n. 9; 27 febbraio 2019, n. 2)”, così Cons. Stato, sez. V, 23 agosto 2023, n. 7925.
[lxvii] Il riferimento corre infatti all’art. 34, comma 2, del d.lgs. n. 104/2010, secondo il quale “il giudice non può conoscere della legittimità degli atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare con l'azione di annullamento”.
[lxviii] Peraltro, non è detto che sia lo stesso T.A.R. per il Lazio a valutare gli atti applicativi del codice di comportamento, così non risultando nemmeno una sorta di vincolo di coerenza interna al giudicante a garantire l’omogeneità interpretativa quanto alla qualificazione delle disposizioni regolamentari impugnate.
[lxix] Fermo restando, evidentemente, il requisito della omogeneità di interessi che si è visto essere il faro attraverso il quale leggere i temi dell’interesse al ricorso e della legittimazione ad agire in questa tipologia di azioni giurisdizionali.
[lxx] È noto il dibattito intorno alla progressiva evoluzione storica del processo amministrativo da processo di diritto oggettivo a processo di diritto soggettivo. Non potendone dare conto in maniera estesa per questioni di sinteticità, si rinvia, per tutti e senza pretesa di esaustività, a R. Villata, Ancora “spigolature” sul nuovo processo amministrativo?, in Diritto processuale amministrativo, IV, 2011, pag. 1512 e ss,. V. Cerulli Irelli, Legittimazione “soggettiva” e legittimazione “oggettiva” ad agire nel processo amministrativo, in Diritto processuale amministrativo, II, 2014, pag. 342 e ss., F. Francario – A. M. Sandulli (a cura di), op. cit., N. Paolantonio, La dicotomia tra giurisdizione soggettiva e oggettiva nella sistematica del codice del processo amministrativo, in Diritto processuale amministrativo, II, 2020, pag. 237 e ss., L. Gizzi, La dimensione soggettiva della giurisdizione amministrativa tra Corte costituzionale e Corte di giustizia dell’Unione europea, in Questione giustizia, I, 2021.
[lxxi] In ipotesi poiché non era nella condizione di impugnarlo, non trovandosi ancora nella situazione prevista dalla norma al momento della relativa emanazione.
[lxxii] Fermo restando come la giurisprudenza di legittimità ritiene invero che possa sempre essere garantita una doppia tutela al cittadino ove l’atto generale abbia doppia rilevanza -organizzativa e disciplinare- consentendo sia l’impugnazione avanti al giudice amministrativo che l’azione avanti al giudice ordinario. Cfr. Cass. civ., Sez. Un. ordinanza 7 novembre 2008, n. 26799; Cass. civ., Sez. Un., ordinanza 1° aprile 2003, n. 6220; Cass. civ., sez. lav., 5 marzo 2003, n. 3252.
[lxxiii] Il riferimento corre ulteriormente alla sentenza delle Sezioni Unite n. 32559/2023.
[lxxiv] Per tutti, G.P. Cirillo, op. cit., nonché M.A. Sandulli, Premesse al codice: fonti e principi. I principi costituzionali e comunitari, in M.A. Sandulli (a cura di), Il nuovo processo amministrativo, Milano, 2013, pag. 2 e ss.