di Filippo D’Angelo
1. Con sempre maggior frequenza accade di imbattersi in sentenze o pareri di organi giudiziari che maneggiano – talvolta con indubbia destrezza – istituti tradizionali del diritto amministrativo.
Un esempio in tal senso è offerto dal parere del Consiglio di Stato, 2 ottobre 2023, n. 1254 che si è soffermato sul meccanismo del «concerto» di amministrazioni pubbliche[1], ricavandone alcune conclusioni in tema di «cogestione» delle funzioni amministrative.
Il parere consultivo ricorda in via preliminare che il concerto realizza un «significativo momento codecisionale» in cui è «implicita (come fatto palese anche dall’etimologia, che evoca un confronto contestuale) la discussione, il confronto tra plurime volontà, che trovano una composizione proprio a seguito ed in virtù del concerto stesso, in un momento in cui la volontà definitiva non sia stata ancora formata»[2].
In tale prospettiva il concerto «esprime - in ordine alla proposta elaborata, in via preliminare, dall’autorità concertante - una adesione sostanziale, conseguente al concreto apprezzamento di compatibilità degli interessi pubblici a confronto(anche di ordine organizzativo ed infrastrutturale), che abilita del resto alla formulazione di eventuali suggerimenti e alla elaborazione di proposte di modifica o di integrazione»[3].
Per questo la natura del concerto è procedimentale: esso «realizza una effettiva compartecipazione alla elaborazione del provvedimento o dell’atto, per la quale l’autorità concertata esprime sulla proposta elaborata dall’autorità concertante una effettiva valutazione di compatibilità con gli interessi di cui è portatrice, con ciò realizzandosi una forma di concorso nel volere che è, ad un tempo, sostanziale codeterminazione del voluto»[4].
2. La giurisprudenza amministrativa - e ci si riferisce alla coeva sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 ottobre 2023, n. 8610 - ha detto qualcosa di simile anche a proposito del metodo formativo delle volontà espresse dalle amministrazioni coinvolte nell’esercizio della funzione consultiva vincolante[5].
Al riguardo la sentenza ha affermato che un parere che «non lasci nessuno spazio di scelta in capo all’organo di amministrazione attiva non esprime nessuna consulenza, ma pone in essere una decisione preliminare, sicché solo atecnicamente può essere definito alla stregua di «parere». Invero, anche dal punto di vista della collocazione in seno alla fattispecie procedimentale, dovrebbe concludersi che i pareri vincolanti determinano il contenuto della decisione finale, per cui bisognerebbe espungerli dal novero degli atti preparatori e ricondurli nell’ambito di quelli decisori o co-decisori»[6].
Pertanto la fattispecie configura un procedimento e una «decisione “a doppia chiave” e dunque - un’ipotesi di cogestione della funzione (cd. decisione pluristrutturata)»[7]; e ciò si ha quando le «due Amministrazioni (quella titolare del procedimento e quella interpellata) condividano la funzione decisoria, nel senso che entrambe devono essere titolari di una funzione decisoria sostanziale»[8]. Tale meccanismo sfocia nella decisione finale che «tenga in debita considerazione anche l’interesse pubblico sotteso all’atto di assenso»[9].
3. Le due pronunce annotate mettono in luce due aspetti sicuramente degni di nota.
Anzitutto che, tanto in caso di concerto quanto in caso di parere vincolante, vi è un fascio di competenze amministrative che s’intrecciano in un procedimento complesso e refluiscono nella determinazione finale imputabile all’autorità principale: è il meccanismo tipico dei procedimenti composti - non solo europei ma anche interni - in cui il momento della sintesi tra figure soggettive, a un esame non esteriore, disvela il profilo organizzatorio della fattispecie legale che si esprime in forma di relazioni organizzative a struttura procedimentale (riscontrabile in entrambi i casi descritti nella relazione organizzativa dell’equiordinazione decisoria)[10].
In secondo luogo le medesime pronunce valorizzano l’intero ragionamento rimarcando il ruolo degli interessi pubblici in gioco; specie quando alludono alla necessità di svolgere un «apprezzamento di compatibilità degli interessi pubblici» in concerto o di tenere in «debita considerazione anche l’interesse pubblico sotteso all’atto di assenso» vincolante: ovverosia di trovare, volta per volta, un punto di incontro tra interessi distinti secondo la logica tipica del coordinamento amministrativo[11].
Se sul primo aspetto si può senz’altro convenire, sembra però che ci sia spazio - probabilmente - per tentare di rimeditare in parte la seconda osservazione.
Valgano allora due esempi concreti.
Il primo è il caso del concerto previsto nel procedimento di VIA ai sensi dell’art. 25 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152; il secondo è il parere obbligatorio richiesto per l’autorizzazione paesaggistica dall’art. 146 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 22.
Procedendo con ordine.
È noto che l’art. 5, co. 1, lett. c) del d.lgs. n. 152/2006 precisa che il provvedimento di VIA serve a verificare gli «impatti ambientali» di un progetto; e cioè gli «effetti significativi, diretti e indiretti, di un piano, di un programma o di un progetto» su popolazione e salute umana; biodiversità; territorio, suolo, acqua, aria e clima; beni materiali, patrimonio culturale, paesaggio.
L’art. 23 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 stabilisce che per i progetti di competenza statale l’istanza di VIA è presentata dal privato all’autorità competente corredata dei documenti richiesti dalla leg-ge. Entro quindici giorni l’amministrazione raccoglie tutti i documenti e li pubblica. Dalla pubblicazione iniziano a decorrere i termini per avviare una consultazione pubblica anche nelle forme dell’inchiesta amministrativa (artt. 24 e 24-bis). Scaduti i termini la autorità competente, entro sessanta giorni, «adotta il provvedimento di VIA previa acquisizione del concerto del competente direttore generale del Ministero della cultura entro il termine di trenta giorni» (art. 25, co. 2).
Per contro l’art. 146 del d.lgs. n. 22/2004 stabilisce che i proprietari di immobili e aree di interesse paesaggistico tutelati dalla legge non possono modificarli senza l’autorizzazione degli enti regionali competenti (co. 2) che sono chiamati a verificare la «compatibilità fra interesse paesaggistico tutelato ed intervento progettato» (co. 3). È previsto che la regione si pronunci sull’istanza del privato dopo aver acquisito il «parere vincolante del soprintendente» ai beni culturali e paesaggistici (co. 5) che si pronuncia «limitatamente alla compatibilità paesaggistica del progettato intervento nel suo complesso ed alla conformità dello stesso alle disposizioni contenute nel piano paesaggistico» (co. 8).
4. Quanto precede sembra a offrire lo spunto per revisionare criticamente l’assunto della citata sentenza n. 8610/2023 per cui - in caso di parere vincolante e altrettanto per il concerto - la «amministrazione procedente valuta comunque l’interesse pubblico affidato alla cura dell’amministrazione interpellata», assumendo una «decisione conclusiva del procedimento (comunque necessaria) che tenga in debita considerazione anche l’interesse pubblico sotteso all’atto di assenso» acquisito[12].
Ciò per una ragione specifica: il fatto che i procedimenti composti appena descritti chiamino in causa due autorità amministrative distinte non dimostra di per sé che duplici siano anche gli interessi pubblici implicati nella decisione finale.
In effetti l’esame dei due testi legislativi non sembra d’ostacolo a una lettura parzialmente differente; e cioè a quella per cui in entrambi i casi l’interesse tutelato sia soltanto uno: nel primo che il progetto del privato non impatti negativamente sull’ambiente (interesse ambientale); nel secondo che il progetto sia compatibile con l’interesse paesaggistico[13].
In simili circostanze, piuttosto che di pluralismo d’interessi, si potrebbe parlare di interessi pubblici a struttura ‘mista’; tutelabili, cioè, attraverso un concorso di competenze intestate a figure soggettive distinte[14].
5. Si giunge così al punto finale.
Concerto e parere obbligatorio sono istituti nominalmente distinti, ma nella sostanza assai prossimi: così come il parere vincolante obbliga l’autorità consultante ad agire in conformità alle indicazioni ricevute; altrettanto avviene nel concerto dove l’autorità agente deve adottare una decisione che tenga in effettivo conto l’avviso espresso dal soggetto interpellato[15].
Se ne consideri più da vicino la struttura fondamentale: entrambi sono doverosi nell’architettura legale della funzione complessa; entrambi poggiano su competenze amministrative collegate; entrambi cospirano a fini comuni; entrambi richiedono una sintesi di volontà in una stessa direzione e quindi unità d’intenti.
A dispetto di quant’osserva la giurisprudenza avanti richiamata se ne potrebbe dedurre che i due istituti non servono solo a raggiungere una sintesi tra interessi distinti e imputabili ad autorità diverse; ma sono utilizzabili anche quando vi sia un solo interesse tutelato in concorso da più autorità amministrative.
In ciò sembra effettivamente risiedere l’essenza del concetto di «cogestione» di funzioni amministrative: nel concorso doveroso di più soggetti all’esercizio del potere - determinativo - di tratteggiare gli effetti della fattispecie legale[16]; ciò che proietta all’esterno il rilievo giuridico del concetto di «collaborazione» - e non di «coordinamento» - tra amministrazioni in vista di fini comuni[17].
È esattamente sul piano dell’unicità dell’interesse curato da competenze amministrative intrecciate che si potrebbe cogliere l’elemento in grado di differenziare la collaborazione dalle nozione finitima di coordinamento che nella sua intima sostanza consiste pur sempre in un’armonizzazione di attività e interessi intestati ad amministrazioni separate[18].
[1] In tema rimane ancora fondamentale lo studio monografico di G. Correale, Contributo allo studio del concerto, Padova, 1974, cui si rinvia.
[2] Pagina 11 del parere.
[3] Ivi.
[4] Ivi.
[5] Tra i molteplici contributi, e senza pretesa di esaustività, si rinvia a G. Ghetti, La consulenza amministrativa, I, Padova, 1974; F. Trimarchi, Funzione consultiva e amministrazione democratica, Milano, 1974; C. Barbati, L’attività consultiva nelle trasformazioni amministrative, Bologna, 2002.
[6] Punto 8.3 della parte motiva in diritto.
[7] Punto 8.4 della parte motiva in diritto.
[8] Punto 8.6 della parte motiva in diritto.
[9] Punto 10.2 della parte motiva in diritto.
[10] Per questi aspetti sia consentito rinviare a F. D’Angelo, Pluralismo degli enti pubblici e collaborazione procedimentale. Per una rilettura delle relazioni organizzative nell’amministrazione complessa, Torino, 2022.
[11] Cfr. V. Bachelet, Coordinamento, in Enc. dir., X, Milano, 1962, 630 ss.; si veda anche la sentenza della Corte costituzionale, 30 dicembre 2003, n. 380, punto 3 della parte motiva in diritto: il concerto è un «modulo procedimentale volto al coordinamento di una pluralità di interessi».
[12] Così ancora Cons. Stato, Sez. IV, 2 ottobre 2023, n. 8610, punto 11.3 della parte motiva in diritto.
[13] Cfr. P. Marzaro, Silenzio assenso tra Amministrazioni: dimensioni e contenuti di una nuova figura di coordinamento ‘orizzontale’ all’interno della ‘nuova amministrazione’ disegnata dal Consiglio di Stato, in Federalismi.it, 19, 2016, 32 ss.; citata da M. Occhiena - N. Posteraro, Pareri e attività consultiva della pubblica amministrazione: dalla decisione migliore alla decisione tempestiva, in Dir. econ., 3, 2019, 57.
[14] Per quest’ordine d’idee si veda A. Ruggeri, Riforma del titolo V ed esperienze di normazione, attraverso il prisma della giurisprudenza costituzionale: profili processuali e sostanziali, tra continuo e discontinuo, in Nuove aut., 6, 2005, 910.
[15] Si confronti sul punto M.S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 1981, 283.
[16] Il riferimento è a F.G. Scoca, La teoria del provvedimento dalla sua formulazione alla legge sul procedimento amministrativo, in Le trasformazioni del diritto amministrativo. Scritti degli allievi per gli ottanta anni di Massimo Severo Giannini, Milano, 1995, 286.
[17] Tema risalente e mai apertamente affrontato se non in una celebre occasione congressuale efficacemente intitolata Coordinamento e collaborazione nella vita degli enti locali, Milano, 1961, da cui però un preciso discrimine tra i due concetti non emerse del tutto (lo ricorda L. Arcidiacono, Organizzazione pluralistica e strumenti di collegamento. Profili dogmatici, Milano, 1974, 107, nota 27); e tuttavia che il coordinamento amministrativo richieda una sintesi di interessi pubblici contrapposti si può dedurre dall’art. 14, co. 1 della legge n. 241/1990 quando parla di “esame contestuale degli interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, ovvero in più procedimenti amministrativi connessi, riguardanti medesime attività o risultati” (e in simile prospettiva si veda il volume a cura di G. Amato – G. Marongiu, L’amministrazione della società complessa. In ricordo di Vittorio Bachelet, Bologna, 1982).
[18] È favorevole a riconoscere una pur sfumata discriminazione tra le due figure anche A. Police, Enti pubblici di Ricerca ed Università: le persistenti ragioni di una differenziazione e le indifferibili esigenze di uno sforzo comune, in Nuove aut., 1, 2021, 72.