di Renato Rolli e Martina Maggiolini***
Sommario: 1. Ricostruzione della vicenda contenziosa; 2. Sulle questioni di legittimità Costituzionale (già note); 3. Sull’occasionalità della permeabilità mafiosa; 4. Osservazioni conclusive: ancora lacune da colmare.
1. Ricostruzione della vicenda contenziosa
Il tema relativo al contrasto dell’infiltrazione mafiosa richiede un bilanciamento costante di diritti pubblici e privati. Per tale ragione è necessario indagare la pervasività del fenomeno mafioso al fine di attivare gli strumenti più idonei al contrasto e meno invasivi per le società destinatarie del provvedimento prefettizio.
L’attuale vocazione imprenditoriale delle mafie ha imposto la previsione di più duttili strumenti di bonifica aziendale in alternativa a quelli ablatori. Ci si allontana dallo scopo sanzionatorio-ablatorio per giungere al recupero di economie che, seppure incise da tentativi di infiltrazione mafiosa, mostrano una possibilità di risanamento.
Si è progressivamente affermata la tendenza ad individuare svariati strumenti alternativi di tipo preventivo e di controllo, calibrati sul diverso grado di condizionamento mafioso, volte a tutelare la continuità dell’attività dell’impresa (bonifica prima e successiva riabilitazione)[1].
Dalla ricostruzione della pronuncia in commento è possibile cogliere non pochi spunti riflessivi sull’evoluzione del tema.
Il ricorrente, titolare della società a conduzione familiare operante nel settore navale impugnava due distinti provvedimenti il primo proposto per l’annullamento dell’interdittiva adottata dalla Prefettura di Reggio Calabria sull’istanza di aggiornamento ex art. 91 co. 6 D.lgs. n. 159/2011 di precedente inibitoria, il secondo proposto per l’annullamento di un nuovo provvedimento interdittivo ovvero per la dichiarazione di applicabilità delle misure alternative di prevenzione collaborativa applicabili in caso di agevolazione occasionale.
Preliminarmente la società, con istanza di riesame, chiedeva l’aggiornamento dell’interdittiva sulla base della risalenza nel tempo dei precedenti penali e di polizia, dell’immutata composizione a base familiare della società e l’assenza di qualsiasi interessamento alle vicende societarie da parte dei parenti controindicati, allegando la sopravvenuta sentenza penale di assoluzione ottenuta dai parenti del ricorrente, imputati per il reato di associazione mafiosa.
Medio tempore la Prefettura adottava una nuova informazione interdittiva ritenendo attuale il pericolo di condizionamento mafioso della società.
Con altro ricorso la società impugnava la nuova informazione interdittiva e sollevava diverse eccezioni di incostituzionalità. Il ricorrente sosteneva che l’atto impugnato sarebbe viziato per illegittimità costituzionale degli art. 92 e 94 bis D.lgs. 159/2011 in relazione agli artt. 3 co.2, 4, 24 e 41 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che l’autorità prefettizia possa limitare gli effetti dell’interdittiva, circoscrivendo le decadenze e i divieti scaturenti dalla sua adozione, ove “per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all’interessato e alla famiglia” [2].
Si prospetta l’incostituzionalità dell’art. 94 bis D.lgs n. 159/2011, nella parte in cui prevede che le misure di prevenzione collaborativa siano sempre applicabili nei casi di agevolazione occasionale anche a soggetti avulsi da controindicati rapporti di parentela e non lo siano, invece, quando i tentativi di infiltrazione mafiosa derivano esclusivamente dalla mera esistenza di relazioni con familiari presuntivamente portatori di pericolosità ma senza presupporre un’agevolazione né cronica né estemporanea.
Il ricorrente, poi, contestava l’omessa e/o la contraddittoria valutazione di nuovi elementi evidenziati in sede di richiesta di aggiornamento dell’informativa antimafia, allegando provvedimenti giurisdizionali, antecedenti all’impugnata interdittiva, a sé favorevoli, e recenti provvedimenti favorevoli ottenuti dai fratelli. A sostegno di una comprovata estraneità all’ambiente criminoso, il ricorrente introduceva le risultanze delle indagini difensive che, ripercorrendo la vita della società, avrebbero negato contatti dei soci con l’ambiente mafioso scongiurando il rischio di ingerenze illecite [3].
La Prefettura, infine, avrebbe omesso di valutare i margini per l’applicazione delle misure di prevenzione collaborativa, verificando in concreto se i tentativi di infiltrazione mafiosa fossero “riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale”.
Il ricorrente, dunque, concludeva per l’annullamento dei provvedimenti impugnati ovvero per la dichiarazione di applicabilità delle misure alternative di cui all’art.94 bis e, in ogni caso, per la condanna al risarcimento dei danni o in forma specifica, derivanti dall’illegittimità del provvedimento impugnato.
Le misure cautelari urgenti venivano respinte dal Presidente del TAR e l’Amministrazione costituendosi chiedeva la reiezione del gravame.
Il Collegio disponeva la riunione dei due ricorsi per evidenti ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva, riservando a separato provvedimento la decisione del ricorso inerente ad atti consequenziali all’interdittiva e, per le motivazioni che seguono riteneva fondata la violazione dell’art. 94 bis D.lgs. n. 159/2011 e pertanto annulla il provvedimento interdittivo nella parte de qua.
2. Sulle questioni di legittimità Costituzionale (già proposte)
È sempre utile in tema di interdittiva richiamare l’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità al fine di analizzare eventuali, ulteriori e nuovi profili.
Il Collegio, sul ricorso per l’annullamento dell’interdittiva adottata dalla Prefettura sull’istanza di aggiornamento ex art. 91 co. 6 D.lgs. n. 159/2011 di precedente inibitoria, rilevava la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità avanzate alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale n.180/2022 e n. 57/2020.
La Corte Costituzionale ribadiva che “L'informazione antimafia interdittiva adottata dal Prefetto nei confronti dell'attività privata delle imprese oggetto di tentativi di infiltrazione mafiosa non viola il principio costituzionale della libertà di iniziativa economica privata perché, pur comportandone un grave sacrificio, è giustificata dall'estrema pericolosità del fenomeno mafioso e dal rischio di una lesione della concorrenza e della stessa dignità e libertà umana”; “l'ampio potere amministrativo non si può ritenere sproporzionato rispetto all'interesse della collettività al mantenimento di una situazione di concorrenza sul mercato, la cui tutela impone di colpire in anticipo il grave e pericoloso fenomeno mafioso [4].
Con più recente pronuncia, la Corte Costituzionale dichiarava inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 92, D.lgs. 159/2011, sollevate, in riferimento agli artt. 3, comma 1, 4 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non viene riconosciuto al prefetto la facoltà di escludere decadenze e divieti stabiliti dal comma 5 dell’art. 67 del medesimo decreto legislativo, ove valuti che, in conseguenza degli stessi, verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all’interessato e alla sua famiglia [5].
Il ricorrente deduceva, poi, l’incostituzionalità dell’art. 94 bis D.lgs. n. 159/2011 nella parte in cui non prevede l’applicazione delle misure di prevenzione collaborativa anche a beneficio dell’imprenditore non occasionalmente agevolato dalla mafia ma legato da parentele a soggetti che possono essere ricondotti all’apparato mafioso.
Il TAR adito riteneva irrilevante e manifestamente infondata l’eccezione poiché il ricorrente non indicava specificamente i profili costituzionali effettivamente violati poiché la norma indicata richiede quale unico presupposto al fine dell’applicazione delle misure alternative a quella di tipo interdittivo la riconducibilità dei tentativi di infiltrazione criminosa “a situazioni di agevolazione occasionale” a prescindere dalla sussistenza di controindicati rapporti di parentela.
Ed ancora il provvedimento interdittivo è ritenuto in contrasto con diversi dettati costituzionali (art. 3, 27, 111 Cost.) e convenzionali (art. 6 paragrafi 2 e 3 del Trattato CEDU).
Il ricorrente, sul punto, riteneva inadeguato il criterio probabilistico come effettivamente probatorio al fine di individuare la presenza di situazioni di permeabilità mafiosa condizionanti l’attività economica della singola impresa.
In realtà, la giurisprudenza è ormai unanime nel ritenere che la regola probatoria del “più probabile che non” non è connotata da un diverso procedimento logico, bensì dalla minore forza dimostrativa dell’inferenza logica richiesta.
Il Consiglio di Stato [6] ha chiarito a più riprese che “il pericolo di infiltrazione mafiosa deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento (…) penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa” [7].
La formula "elastica" scelta nella materia che ci occupa fondata su base indiziaria trova giustificazione nella ragionevole ponderazione tra l’interesse privato al libero esercizio dell’attività imprenditoriale e l’interesse pubblico alla salvaguardia del sistema socioeconomico dagli inquinamenti mafiosi.
Sovente il primo pare recessivo rispetto al secondo, poiché collegato alle preminenti esigenze di “difesa dell'ordinamento contro l’azione antagonistica della criminalità organizzata” [8]. Dunque, il criterio del "più probabile che non" è conforme al sistema della Convenzione EDU e della Costituzione [9] per cui non può essere condivisa l’eccezione di legittimità.
3. Sull’occasionalità della permeabilità mafiosa
Il provvedimento in commento impone di analizzare il concetto di occasionalità della permeabilità mafiosa che non appare di immediata comprensione.
Il provvedimento impugnato è la risposta all’istanza di riesame della prima interdittiva, la cui legittimità è già stata definitivamente dichiarata con sentenza passata in giudicato [10].
L’amministrazione nel valutare l’istanza di riesame è tenuta a determinazioni diverse rispetto alla fase genetica del provvedimento interdittivo.
Già consolidata giurisprudenza ha chiarito che l’autorità prefettizia in sede di riesame deve limitarsi a “verificare se la domanda sia accompagnata da un fatto realmente nuovo, perché sopravvenuto ovvero non conosciuto, che possa essere ritenuto effettivamente incidente sulla fattispecie e a valutare se possano ritenersi venute meno quelle ragioni di sicurezza e di ordine pubblico in precedenza ritenute prevalenti sull'iniziativa e sulla libertà di impresa del soggetto inciso” [11].
Ciò che rileva in sede di riesame non è il mero trascorso del tempo bensì il sopraggiungere di elementi oggettivi diversi o contrari che ne facciano venire meno la portata sintomatica, in quanto ne controbilanciano, smentiscono o superano la forza indiziante [12].
Dalla documentazione allegata non si evince alcun elemento che faccia presumere la totale estraneità della società al contesto criminoso anzi il giudice adito ritiene che sui soci gravi il fermo sospetto che essi non siano né possano davvero considerarsi estranei o comunque indifferenti a logiche, interessi e profitti di derivazione illecita. Per tale ragione, il Collegio reputa che l’impugnata interdittiva resista alle censure formulate dal ricorrente.
Ciò che si evince è uno stretto legame di parentela dei soci con soggetti ritenuti appartenenti alla criminalità organizzata e per questo esposti ampiamente a una loro influenza che allontana la società dal reingresso nel sistema dell’economia sana.
Seppur alcuni fatti riportati appaiono come risalenti nel tempo, sia dottrina che giurisprudenza sono unanime nel ritenere che “il mero decorso del tempo, di per sé solo, non implica, cioè, la perdita del requisito dell’attualità del tentativo di infiltrazione mafiosa e la conseguente decadenza delle vicende descritte in un atto interdittivo, né l’inutilizzabilità di queste ultime quale materiale istruttorio per un nuovo provvedimento, donde l’irrilevanza della “risalenza” dei dati considerati ai fini della rimozione della disposta misura ostativa, occorrendo, piuttosto, che vi siano tanto fatti nuovi positivi quanto il loro consolidamento”[13].
Ciò che rileva è l’ampiezza del reticolo parentale che innesta famiglie e interessi economici convergenti nello stesso settore commerciale aventi lo stesso bacino territoriale d’utenza, da cui è del tutto logico e ragionevole prefigurare come attendibile l’eventuale rischio di “contagio” tra le due imprese e pertanto non è concepibile un’analisi atomistica dei fattori ma è necessaria una lettura complessiva dell’apparato probatorio (probabilistico) [14].
Seppur il ricorrente abbia fornito una ricca documentazione tesa a dequotare gli elementi che vedono la società legata ad ambienti criminosi, da tentativi di infiltrazione mafiosa a situazioni di agevolazione non cronica ma occasionale, l’amministrazione, in sede di riesame, non ha considerato la possibilità di ricorrere all’applicazione di misure alternative a quella inibitoria, violando l’art. 94 bis D.lgs n. 159/2011.
Il Collegio riteneva tale profilo di censura fondato.
L’art. 94 bis D.lgs n. 159/2011 prevede che l’autorità prefettizia, ove accerti che i tentativi di infiltrazione mafiosa sono da ritenersi riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale, dispone con provvedimento motivato, all'impresa, l’adozione, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a dodici mesi, di una o più delle misure di prevenzione collaborativa.
Lo stesso Collegio[15] ha già precisato che “Con la misura di prevenzione collaborativa, prevista dall’art. 94 bis del codice antimafia introdotta dal D.L. 6 novembre 2021, n. 152 “Disposizioni urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose”, si struttura un nuovo modello collaborativo con il mondo produttivo che modula l’afflittività della misura preventiva antimafia in relazione all’effettivo grado di compromissione dell’impresa rispetto al contesto criminale. Tale provvedimento si pone come alternativa all’informazione antimafia interdittiva, ed è attivabile nei casi in cui l’influenza mafiosa abbia un’intensità tale da farla reputare esclusivamente occasionale. L’impresa raggiunta dal provvedimento, pur continuando ad operare nel proprio settore economico, preservando i propri contratti d’appalto, è tenuta ad adottare modelli aziendali orientati all’auto accreditamento della propria affidabilità imprenditoriale (self cleaning) e a fornire comunicazioni inerenti la propria vita economica e imprenditoriale che consentiranno ai componenti del Gruppo Interforze Antimafia per la provincia di Reggio Calabria di monitorare il suo comportamento operativo, escludendo in tal modo che possa essere oggetto di infiltrazione mafiosa”.
L’obiettivo delle misure di prevenzione collaborativa, come, del resto, nel controllo giudiziario è quello di “decontaminare” l’economia delle imprese non del tutto attagliate dall’infiltrazione mafiosa e reinserirle nel mercato sano mediante un apparato fondato sul principio di progressività proprio delle misure di prevenzione, che si adatta allo stato di necessità di prevenzione del singolo imprenditore.
Appare necessario ora chiarire se le misure di prevenzione collaborative siano precluse dal rinnovato accertamento dello status di impresa mafiosa anche ove ciò sia dipeso da “influenze” che, pur essendo state consolidate in passato, siano ora divenute solo “occasionali” e potenzialmente tramutabili in attività sane.
Il Prefetto è tenuto a verificare ragionevolmente se i fatti oggetto di riesame siano idonei a far degradare la condizione permeabilità mafiosa dell’impresa da cronica ad occasionale, senza determinare un’immediata liberazione dell’impresa destinataria di interdittiva.
Dunque, accanto al criterio probabilistico indeterminato si affianca oggi un nuovo concetto se possibile ancora più indeterminato: l’occasionalità.
Esso, dunque, diventa una nuova misura del livello del rischio di infiltrazione.
Se dottrina e giurisprudenza hanno contribuito nel delineare la portata del principio probabilistico, ora dovranno impegnarsi nel definire un ulteriore criterio, prima facie privo di contenuto.
Un primo contributo chiarificatore sul presupposto dell’agevolazione occasionale proviene dalla giurisprudenza che ha dichiarato come “la verifica dell’occasionalità dell’infiltrazione mafiosa, pertanto, non deve essere finalizzata ad acquisire un dato statico, consistente nella cristallizzazione della realtà preesistente, ma deve essere funzionale a un giudizio prognostico circa l’emendabilità della situazione rilevata, mediante gli strumenti di controllo previsti dalla suddetta disposizione, ivi compresi gli obblighi informativi e gestionali previsti dal comma 3 dell’art. 34-bis [16].
Dunque, l’ammissione alle misure di prevenzione collaborativa deve essere accolta ove l’infiltrazione non risulta cronica ma solo "occasionale" e dunque sia possibile raggiungere la bonifica dell’impresa tramite sistemi virtuosi e la successiva immissione della stessa nel mercato sano.
Pertanto, il grado di infiltrazione deve essere talmente esiguo da scongiurare l’ipotesi che l’azienda, anche dopo l’esperimento della misura, risulti ancora sensibile ai condizionamenti esterni. In altre parole, laddove l’infiltrazione, lungi dall’essere solo “occasionale”, si configuri, al contrario, come stabilmente radicata, cronica, insanabile, non è ragionevole, secondo il criterio del più probabile che non, formulare un giudizio prognostico positivo circa l’eliminazione del pericolo concreto di nuovi tentativi.
Il dato ultimo è quello di accompagnare l’impresa all’interno di un circuito economico privo di ingerenze criminose con l’obiettivo di salvaguardare l’economia e lo stato occupazionale di alcune ‘zone private’, per le più disparate ragioni, dalla possibilità di esercitare attività lavorative. Valorizzare la cooperazione pubblico-privata salvaguardando la continuità aziendale risponde alle diverse necessità. Per cui l’autorità prefettizia dovrà decidere motivatamente sulla scorta della documentazione allegata dall’impresa se essa possa allontanarsi definitivamente dai tentativi di infiltrazione e/o condizionamento.
4. Osservazioni conclusive: ancora lacune da colmare
Le misure ex art. 94 bis non rappresentano una completa novità, ma appaiono assimilabili a quelle che l’autorità giudiziaria può disporre con il controllo giudiziario delle aziende di cui all’art. 34-bis cod. ant di cui abbiamo detto altrove [17].
In dottrina si è osservato come la «ratio sottesa alla prevenzione collaborativa è la stessa del controllo giudiziario» e si rinviene nell’esigenza di «non travolgere le imprese solo macchiate da marginali presenze mafiose, spesso inevitabili in alcuni territori»; si può trattare «di un “controllo amministrativo” che, in caso di esito positivo, anticipa e sostituisce il controllo giudiziario, e in caso di insuccesso ne ritarda o ne rende solo eventuale l’applicazione» [18].
Così agendo, il legislatore ha aperto «la strada ad una forma di cooperazione partecipata, questa volta però non tra impresa e tribunale, bensì tra impresa e autorità amministrativa, consentendo a quest’ultima di entrare in azienda e verificare la presenza o meno dei pericoli di infiltrazione mafiosa senza però esporla al rischio di una paralisi e salvaguardando il going concern aziendale e i livelli occupazionali» [19].
Il controllo amministrativo, in caso di esito positivo, anticipa e sostituisce il controllo giudiziario, e in caso di insuccesso ne ritarda o ne rende solo eventuale l’applicazione [20].
Dunque, l’interdittiva si configura quale extrema ratio, da utilizzarsi solo al fine di contrastare croniche infiltrazione mafiose.
Il grado di esposizione dell’impresa al pericolo di condizionamento mafioso risulta imprescindibile ai fini del dosaggio delle misure da adottare sin dalla fase prefettizia.
Il regime interdittivo diviene dunque la misura più rigida e risulta contornata dalle “misure amministrative di prevenzione collaborativa” di cui all’art. 94-bis d.lvo n. 159/2011, dirette – sulla falsariga di quelle che sostanziano lo strumento del controllo giudiziario ex art. 34-bis – al risanamento di economie insane.
La ratio del più recente intervento legislativo è riconducibile all’esigenza di non espellere integralmente dal circuito economico le imprese non irrimediabilmente compromesse dal contatto mafioso, in quanto fatte solo “occasionalmente” oggetto degli interessi della criminalità organizzata, e quindi, piuttosto che alla finalità di ampliare l’ambito applicativo degli strumenti preventivi, a quella di modificarlo qualitativamente ove ricorra tale forma “debole” di condizionamento.
La verifica dell’occasionalità solleva non poche perplessità.
Di recente, la giurisprudenza ha mostrato abbracciare una soluzione ben precisa che, somministrando un’interpretazione delle modalità con le quali il suddetto accertamento deve avvenire, guarda al futuro e non al passato, cogliendo l’esigenza di salvaguardare quanto più possibile la continuità delle aziende colpite dal controllo.
Ed invero, Cass. pen., sez. II, 16 marzo 2023, n. 11326, specifica che «la verifica dell'occasionalità dell'infiltrazione mafiosa non deve essere finalizzata ad acquisire un dato statico, consistente nella cristallizzazione della realtà preesistente, ma deve essere funzionale a un giudizio prognostico circa l'emendabilità della situazione rilevata, mediante gli strumenti di controllo previsti dall'art. 34-bis, commi 2 e 3, d.lgs. n. 159 del 2011».
In altri termini, a nostro parere gli stessi soggetti che applicano il controllo giudiziario dovrebbero essere in grado di comprendere, già nel momento in cui si trovano a dover scegliere se ricorrere a quest’ultimo o alla più rigida misura dell’amministrazione giudiziaria, e anche attraverso la possibilità di adottare tutti gli strumenti che ne garantiscano una adeguata sorveglianza, quante possibilità concrete esistano per l’azienda colpita dalla misura di intraprendere un fruttuoso cammino per il suo riallineamento a contesti economici sani, completamente depurati da fenomeni criminosi.
La Suprema Corte distingue fra l’agevolazione occasionale di cui al primo comma dell’art. 34-bis ed il contesto giuridico e fattuale in cui può operare il controllo giudiziario su richiesta dell’impresa interessata, ex comma 6 del medesimo articolo, che pure deve essere connotato dal carattere della occasionalità.
Secondo tale orientamento, tanto nel caso di controllo giudiziario cd. “prescrittivo” (quello ex comma 1) quanto nel caso di controllo giudiziario cd. “volontario” (quello ex comma 6) la relativa misura è disposta qualora si possa verificare che in futuro, anche in esito all’esperimento della misura stessa, l’attività dell’impresa risulti scevra da qualsivoglia tentativo di contagio mafioso.
Tuttavia, essendo diversi sia i soggetti cui i due commi si riferiscono (il primo comma dell’art. 34-bis rimanda alla condotta di cui all’art. 34, co.1 ma in forma occasionale, mentre il comma 6 riferisce specificamente alle imprese attinte da informazione antimafia che impugnano il provvedimento interdittivo stesso) e diverse pure le modalità di esecuzione di controllo giudiziario eventualmente esperibili (il comma 6 rimanda solo alla lett. b) del comma 2 della stesso articolo), diversi sono, di conseguenza, i termini in cui bisogna intendere verificato il presupposto dell’occasionalità. Nella prima ipotesi, l’occasionalità rileva come dato qualitativo e quantitativo del grado di infiltrazione in base al quale il giudice della prevenzione decide per l’applicazione della misura del controllo. Nell’ipotesi ex comma 6, invece, l’occasionalità non va intesa secondo la nozione tecnica di cui al comma 1, bensì in previsione di una futura depurazione dell’azienda da nuovi tentativi di penetrazione mafiosa. Nel testo della sentenza sopracitata si legge: “la verifica dell’occasionalità dell’infiltrazione mafiosa non deve essere finalizzata ad acquisire un dato statico, consistente nella cristallizzazione della realtà preesistente, ma deve essere funzionale a un giudizio prognostico circa l’emendabilità della situazione rilevata, mediante gli strumenti di controllo previsti dall’art. 34- bis, commi 2 e 3, D.Lgs. N. 159 del 2011(Sez. 6, n. 1590-2021, cit.)”.
In sintesi, il requisito dell’occasionalità che, laddove accertato, permette l’applicazione su richiesta del controllo giudiziario, sospendendo di conseguenza gli effetti della misura interdittiva che insiste sull’impresa interessata, si deve riscontrare sulla base di un duplice giudizio: in negativo, verificando la non stabilità e non attualità dell’agevolazione; in positivo, formulando una prognosi favorevole di bonifica e radicale risanamento dell’impresa[21].
Dunque, il controllo giudiziario si conferma essere un nuovo paradigma di prevenzione patrimoniale, fondato su di un livello di azione certamente più ridotto anche rispetto alla simile amministrazione giudiziaria, ma indubbiamente proporzionato alle esigenze del caso concreto.
È solo con lo sguardo al futuro che il controllo giudiziario dovrebbe garantire un reale sostegno alle imprese vittima del giogo criminale.
Da ultimo il Consiglio di Stato ha chiarito come “nel segno della anticipazione della soglia di difesa dell’ordine pubblico economico e del tessuto economico legale dall’ingerenza mafiosa, tipica del provvedimento interdittivo, anche la meramente occasionale disponibilità dell’impresa ad accettare di “venire a patti” con la criminalità organizzata, pur senza entrare stabilmente a fare parte dei relativi ranghi, con lo scopo di trarre vantaggio dalla sua protezione o anche solo di sottrarsi alle conseguenze negative derivanti dal rifiuto della sua prossimità, integri una situazione oggettivamente allarmante, in quanto idonea a manifestare un elemento di fragilità nella rete di contenimento apprestata dallo Stato nei confronti della invadenza mafiosa” [22].
Appare evidente che al fine di attivare le misure di prevenzione collaborativa è necessario riempire di contenuto il concetto di “occasionalità” per scongiurare il rischio che l’indeterminatezza possa causare una non attivazione della misura in commento. Probabilmente il processo evolutivo che ha visto consolidarsi il principio del “più probabile che non” sarà lo stesso sentiero che percorrerà il concetto di “occasionalità”.
*** Seppur frutto di un lavoro unitario è possibile attribuire i primi due paragrafi al Prof. Renato Rolli i restanti alla dott.ssa Martina Maggiolini
[1] Cfr. Marcella Vulcano, Le modifiche del decreto-legge n. 152/2021 al codice antimafia: il legislatore punta sulla prevenzione amministrativa e sulla compliance 231 ma non risolve i nodi del controllo giudiziario, Giurisprudenza penale, 2021
[2] V. Corte Costituzionale n. 532 del 2002
[3] Si consenta il rinvio su diverse questioni relative ai provvedimenti prefettizi a R. Rolli, L’informativa antimafia come “frontiera avanzata” (Nota a sentenza Cons. Stato, Sez. III, n. 3641 dell’8 giugno 2020), in Questa rivista, 3 luglio 2020
[4] V. Corte Costituzionale, 26.03.2020, n. 57
[5] v. TAR Reggio Calabria 20 marzo 2023 n. 252
[6] A partire dalla fondamentale sentenza n. 1743/2016
[7] V. Cons. Stato, sez. III, 26 settembre 2017, n. 4483; Cons. Stato, sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758; Cons. Stato, sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743; Corte Cost. 26 marzo 2020, n. 57 e la giurisprudenza successiva ad essa conforme, da aversi qui per richiamata. Dunque, l’interprete è sì vincolato a sviluppare un’argomentazione rigorosa sul piano metodologico, “ancorché sia sufficiente accertare che l’ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero, con formulazione più appropriata, la c.d. probabilità cruciale”.
[8] T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 14 febbraio 2018, n. 1017
[9] V. Cons. Stato, Sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758; Cons. Stato, Sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343
[10] Cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 4979/2020
[11] Cfr. TAR Reggio Calabria 5 luglio 2019 n. 444
[12] Cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. III, 13 dicembre 2021, n. 8309; Cons. Stato, sez. III, 21 maggio 2021, n. 3915; TAR Napoli, sez. I, 11 maggio 2021 n. 3113
[13] Cfr. Cons. Stato sez. III, 9 dicembre 2021 n. 8187
[14] È indubbio, infatti, che “uno degli indici del tentativo di infiltrazione mafiosa nell'attività d'impresa - di per sé sufficiente a giustificare l'emanazione di una interdittiva antimafia - è identificabile nella instaurazione di rapporti commerciali o associativi tra un'impresa e una società già ritenuta esposta al rischio di influenza criminale” (v. Cons. Stato, sez. III, 25 novembre 2021 n. 7890)
[15] V. TAR Reggio Calabria 3 maggio 2023 n. 392
[16] Cfr. Sez. 2, n. 9122 del 28/01/2021; Sez. 6, n. 30168 del 07/07/2021
[17] Cfr. Ampiamente M.A. Sandulli, Rapporti tra il giudizio sulla legittimità dell’informativa antimafia e l’istituto del controllo giudiziario, in questa rivista, 2022
[18] V. M. VULCANO, Le modifiche del decreto-legge n. 152/2021 al codice antimafia: il legislatore punta sulla prevenzione amministrativa e sulla compliance 231 ma non risolve i nodi del controllo giudiziario, in Giur. pen. web, 11, 2021, p. 11.
[19] Ibidem
[20] V. Corte di Cassazione, sez. II penale - 16 marzo 2023 N. 11326 “La verifica dell'occasionalità dell'infiltrazione mafiosa non deve essere finalizzata ad acquisire un dato statico, consistente nella cristallizzazione della realtà preesistente, ma deve essere funzionale a un giudizio prognostico circa l'emendabilità della situazione rilevata, mediante gli strumenti di controllo previsti dall'art. 34-bis, commi 2 e 3, D.Lgs. n. 159 del 2011”.
[21] La stessa pronuncia richiama un precedente delle Sezioni Unite, SS.UU. n. 46898 del 26/09/2019, ponendo l’attenzione “sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni che il giudice delegato può rivolgere nel guidare l’impresa infiltrata”.
[22] Cfr. Consiglio di Stato, sez. III, n. 6144 del 22/06/2023