Sommario: 1. Premessa - 2. I lavori della prima sessione (Discrezionalità e giurisdizione) - 3. Sui lavori della seconda sessione (Discrezionalità amministrativa e sindacato di legittimità) - 4. Sui lavori della terza sessione (Giudizio di cognizione e giudizio di ottemperanza) - 5. Sui lavori della sessione finale (gli interventi) - 6. Breve notazione conclusiva (con rinvio al saggio Brevi considerazioni sulla discrezionalità amministrativa, nell’ultima edizione di Principi e regole dell’azione amministrativa.
1. Premessa.
Desidero innanzitutto richiamare l’attenzione sulla valorizzazione del dialogo tra accademia e giurisprudenza, che è lo spirito e la ragione di questi nostri incontri. Ricordo ancora la cena organizzata prima della ripresa delle Giornate sulla Giustizia amministrativa, nate per celebrare la memoria di Eugenio Cannada Bartoli, l’illustre studioso Maestro di Fabio Francario, di cui avevo seguito le splendide lezioni di Giustizia amministrativa alla Sapienza (quando le teneva a pochissimi studenti alle 8 del sabato mattina) e con il quale avevo avuto l’onore di lavorare a stretto contatto quando era subentrato a Mario Nigro, a sua volta succeduto a mio padre, nella Direzione della Sezione di diritto amministrativo della rivista Giurisprudenza italiana.
Lo spirito di questi incontri, dicevo, nati in un momento un po’ critico per la Giustizia amministrativa (in cui la stampa quotidiana e alcune forze politiche accusavano il giudice amministrativo di ostacolare improvvidamente il rilancio dell’economia), era anche quello di una critica costruttiva, per riflettere, in un ambito ristretto e “amico”, “insieme”, sulle questioni più complesse e “delicate” della “nostra” Giustizia, lavorando, “insieme”, per realizzare una tutela giurisdizionale nei confronti delle pp.AA. sempre migliore.
Come ha osservato poco fa Antonio Barone, queste Giornate sono una “Ineguagliabile occasione di confronto franco e serrato tra accademia e magistratura” e dobbiamo fare di tutto per tenerlo vivo.
Il nostro rispetto per l’istituzione Giustizia Amministrativa è noto, come lo è il mio autentico amore per l’istituzione Giudice amministrativo: non siamo professori e avvocati da una parte e giudici amministrativi dall’altra: siamo giuristi che “credono” in questa istituzione e vogliono, anche attraverso critiche costruttive all’interno di questo simposio, sentirla sempre più apprezzata e rispettata anche dall’esterno.
Vari giudici ci chiedono: che si dice di noi, che si dice del Consiglio di Stato e dei TAR dall’esterno? Il nostro auspicio e la nostra ambizione sono poter rispondere: “benissimo”. Da qui anche la scelta degli argomenti, sempre condivisi con i Presidenti del Consiglio di Stato, trattati in queste Giornate, tendenzialmente un po’ scomodi e apparentemente provocatori, come quello della “sentenza ingiusta”, affrontato nel 2017, e quello di questo incontro, del sindacato sulla discrezionalità.
Ma siamo “NOI”, insieme, contro la difficoltà che, come ben ricordato da Fabio nella sua Introduzione, i giudici amministrativi incontrano, oggi più che mai, a svolgere il loro ruolo: siamo solidali e dalla stessa parte, a tutela dell’effettività della giustizia nei confronti del potere amministrativo; e questo è fondamentale, perché, riprendendo il richiamo alla bella citazione tratta da Andrea Panzarola che ho apprezzato ieri, “la storia della libertà è stata anche la storia del rispetto delle garanzie procedurali”.
Ma veniamo al nostro tema: la discrezionalità e il suo sindacato.
Inizio anche io dalla citazione del saggio di Mario Nigro (di cui ho avuto l’onore di essere allieva) su Silvio Spaventa, richiamato da Beppe Morbidelli: “La discrezionalità amministrativa, sempre in crisi e sempre criticata, si ripropone d’altronde nuovamente ogni giorno come lo strumento più adatto a commisurare elasticamente l’azione statale agli scopi che essa prefigge, scopi che, nella loro molteplicità e imperiosità, sembrano essere il centro di gravità del nuovo stato”.
2. Sui lavori della prima sessione (Discrezionalità e giurisdizione).
Francesco Manganaro ha sottolineato la centralità del tema, oggetto di vari convegni, perché sempre più attuale e arricchito: lo ha affrontato da ultimo in modo assai interessante il volume di Fabio Saitta che rappresenta il giudice amministrativo come un “interprete senza spartito” di cui abbiamo discusso in uno degli incontri del lunedì di Giustizia insieme avviati quest’anno con il fondamentale apporto organizzativo di Enrico Zampetti.
Non è un caso, del resto, che negli ultimi anni ho aperto con questo tema il ciclo di lezioni sulla giustizia amministrativa della SSPPLL di Roma Tre, proprio con Fabio Francario, Marco Lipari e Paolo Carpentieri.
Oggi, per di più, si aggiungono i nuovi ambiti di discrezionalità offerti dal PNRR (di cui ci hanno parlato Antonio Barone e Paolo Gentili), dal Codice dei contratti pubblici (su cui abbiamo ascoltato Claudio Contessa, e, sotto diversi tagli, gli interventi di Francesco Cardarelli, Aristide Police, e Giuseppe Severini) e, tutt’altro che in ultimo, dalle decisioni robotiche (trattate da Anna Corrado e Vittorio Domenichelli)
L’interesse e la complessità del tema sono emersi al massimo livello nelle Relazioni introduttive di Beppe Morbidelli e di Fabio Francario.
Morbidelli ha messo l’accento sull’importanza dell’attività di indirizzo politico come “funzione di guida” degli atti amministrativi di gestione affidati alla discrezionalità (pura) delle pubbliche Amministrazioni diverse dalle Autorità indipendenti -una funzione costituzionalmente necessaria perché il Governo deve assumere la responsabilità di tale indirizzo- e ne ha poi rimarcato la differenza dalla predeterminazione e autolimitazione delle modalità di esercizio della gestione (di cui pure segnala la fondamentale importanza a garanzia dell’imparzialità amministrativa), che è anticipato esercizio della discrezionalità, ferma restando la discrezionalità dei dirigenti e dei funzionari nella gestione (discrezionalità concreta sul fatto, da determinarsi progressivamente attraverso l’istruttoria), che deve in ogni caso esplicarsi nel rispetto delle prescritte garanzie procedimentali.
Morbidelli ha parlato a questo riguardo di “diverse discrezionalità (o “discrezionalità divisa”), rilevando che l’atto di indirizzo, che quando non ha forma di legge, ha forma di direttiva (nozione molto dibattuta) è, sì, da un lato, espressione della separazione tra politica e amministrazione, ma costituisce, dall’altro, un indice rilevatore del peso politico che comunque incombe sull’amministrazione e aiuta a scrutinare con maggiore evidenza l’uso distorto (ovvero per ragioni politiche “non nobili”) di tale potere.
Sicché la presenza di un atto di indirizzo, che intermedia tra legge e provvedimento (o atto amministrativo generale), costituisce, per più ragioni, un elemento di rafforzamento e delle garanzie giurisdizionali e di ogni forma di controllo sia politico che amministrativo.
Fabio Francario ha rimarcato la difficoltà, aumentata in via esponenziale nel tempo, del lavoro dei giudici, stretti oggi tra un sistema normativo complesso e multilivello, che aumenta la confusione e l’incertezza nella individuazione della soluzione giusta (tema cui non a caso stiamo dedicando da anni costante attenzione), e l’esigenza di concludere rapidamente il giudizio. Difficoltà aggravata per il GA a causa della “dissoluzione”, ovvero della tendenziale scomparsa, della decisione amministrativa.
Sicché, come ben osservato da Fabio, la cura in concreto dell’interesse pubblico, sempre più spesso, non passa più per l’attività amministrativa. O perché l’Amministrazione non è in grado di decidere; o perché evita di decidere per evitare le responsabilità conseguenti alla decisione; o perché magari la decisione è stata già interamente consumata al livello legislativo.
In questo scenario, il nostro Relatore osserva che il GA è costretto a reinventarsi e tende a sostituirsi all’Amministrazione, con il rischio di polverizzare il confine -che è invece necessario e ben tracciato dal cpa- tra giudizio di legittimità (che è la regola generale) e giudizio di merito (che è l’eccezione e che delimita il potere di sostituzione del Giudice all’A).
Il tema è estremamente delicato, perché, a fronte di questo rischio, c’è la tendenza, non meno criticabile, a un “arretramento” del sindacato, non soltanto a fronte della discrezionalità pura (che non può comunque sfuggire al controllo di legittimità), ma anche a fronte della cd discrezionalità tecnica: la distinzione è importante, e persiste, come hanno ben rimarcato quasi tutti i relatori, e lo riconosce, in linea teorica, anche la giurisprudenza, che però, al momento di censurarne l’esercizio, richiede la stessa “evidente e macroscopica illogicità/irragionevolezza, contraddittorietà o abnormità del giudizio”, lo stesso “manifesto” errore nei presupposti, che si richiede per censurare le decisioni caratterizzate da “amplissima discrezionalità” (tanto da fare talvolta riferimento a una “amplissima discrezionalità tecnica”) e mostra una ingiusta ritrosia a disporre CTU o verificazioni nei giudizi sugli atti delle AAII. A tale ultimo proposito ho del resto più volte evidenziato e criticato l’arretramento della giurisprudenza nel negare la sindacabilità nel merito delle decisioni delle AAII sull’an delle sanzioni, quando invece l’art 134 cpa fa generico riferimento ai provvedimenti sanzionatori, senza quindi legittimare alcuna distinzione tra an e quantum.
Il tema della completezza dell’istruttoria, che il cpa ha vanamente cercato di anticipare alla fase cautelare (esigenza che abbiamo ribadito anche nel nuovissimo codice dei contratti pubblici) avrebbe bisogno di un incontro a parte, come del resto ci segnalava prima della “bolla Covid” Luigi Carbone, anche per affrontare e auspicabilmente aiutare a risolvere le numerose questioni create dall’assenza di un albo dei CTU e, soprattutto, di regole sulle verificazioni (profilo su cui credo si sarebbe concentrato l’intervento di Flavia Risso).
Anche Fabio Francario ha opportunamente sottolineato l’assoluta necessità che, nei casi -eccezionali- in cui il Giudice può sostituirsi all’Amministrazione, lo faccia attraverso una attenta istruttoria, non solo sugli atti di causa, ma anche, ovviamente, sui fatti che ne sono alla base. Non basta, invero, che il Giudice “possa” accedere al fatto, ma “deve” in concreto accedervi e svolgere, in luogo dell’Amministrazione di cui ha censurato l’operato e che sta sostituendo, quella “adeguata istruttoria” che è necessaria per una “decisione giusta”.
Un concreto accesso al fatto e una reale cognizione dello stesso sono del resto, in termini generali, condizione fondamentale per un sindacato effettivo sull’eccesso di potere. Gli esempi delle pronunce cautelari sugli atti ablatori portati da Fabio sono emblematici: al di là dei casi in cui può parlarsi di formale sostituzione dell’Amministrazione, soprattutto quando ha a che fare con decisioni discrezionali che incidono su rilevanti interessi pubblici, prima di annullarle o di sospenderle il Giudice deve fare una istruttoria particolarmente attenta sui fatti.
3. Sui lavori della seconda sessione (Discrezionalità amministrativa e sindacato di legittimità).
Andreina Scognamiglio, nell’introdurre i relatori del pomeriggio, ha sottolineato l’importanza di capire esattamente cosa è fatto e cosa è valutazione. La questione è centrale in quanto la linea di confine è evidentemente sottilissima, dal momento che anche la qualificazione del fatto si risolve in un giudizio di diritto.
Paolo Carpentieri ci ha ancora una volta offerto una raffinata lezione storico-filosofico-giuridica sulla discrezionalità, anzi sulle discrezionalità, rimarcando la variabilità dei relativi confini, richiamando le origini della categoria e ricercandone la ratio nella scuola dei neo francofortesi e dei neo pragmatisti.
Sottolinea che la questione dell’ambito della discrezionalità sia annosa e irrisolta: la discrezionalità è l’essenza della funzione amministrativa e, di conseguenza, sconta le sue diverse epistemologie; inoltre si è forgiata nelle aule di giustizia e risente della “coperta troppo corta o troppo lunga” sul tipo di sindacato.
Osserva poi che ci sono comunque varie tipologie di discrezionalità in base ai vari tipi di funzione e che la distinzione non è solo tra discrezionalità pura, che si riscontra nel raffronto tra i diversi interessi (ravvisabile a suo avviso anche nei pareri espressi dalle Sovrintendenze in sede di conferenza di servizi) e di discrezionalità tecnica, in cui questo raffronto manca, ma anche tra i diversi tipi di discrezionalità tecnica, a seconda che investa le scienze tecniche e quelle sociali: e questo si riflette sul sindacato, inevitabilmente differenziato.
Sono considerazioni che trovano riscontro nell’indubbia incertezza giurisprudenziale sulla categoria, che porta in molti casi al già criticato arretramento e che conseguentemente non mancano di destare preoccupazione sul fronte dell’effettività della tutela.
Opportunamente Andreina Scognamiglio ha commentato la Relazione sottolineando l’importanza del controllo giurisdizionale e della partecipazione procedimentale.
Bruno Tonoletti ha sottolineato l’opportunità di un approccio descrittivo: la giurisprudenza deve essere prima conosciuta e compresa per poter effettuare considerazioni di ordine prescrittivo.
Ha peraltro preliminarmente rilevato che la problematicità risiede nella contiguità con l’applicazione delle norme che regolano queste ipotesi, ma non dettano un criterio esaustivo della valutazione dei fatti e sembrano quindi affidare la valutazione all’Amministrazione in sede di cura del pubblico interesse e questo determina la posizione del Giudice sull’insindacabilità, ma l’esigenza di conformità alla norma spinge in senso opposto verso la sindacabilità.
Per rispettare entrambe le specificità -valutazione del p.i. riservata all’Amministrazione- e controllo del rispetto della norma -riservato al Giudice- è quindi importante la considerazione dell’effettivo sindacato sul caso singolo, ponendo attenzione al rigore del controllo sulla adeguatezza o meno della motivazione del provvedimento impugnato, compiuto dal Giudice sulla base dei fatti di causa, all’esito di apposita istruttoria.
Il nostro Relatore rimarca quindi l’importanza delle cd “interpretazioni definenti”, che, specificando i concetti indeterminati utilizzati dalla legge per definire i presupposti del provvedimento, consentono al Giudice di effettuare un test di coerenza della decisione del caso concreto con la norma attributiva del potere. Per quanto riguarda l’autonomo accesso del Giudice al fatto di fronte a valutazioni amministrative opinabili, ferma poi l’accento sulla verificazione, sottolineando il ruolo fondamentale della dialettica tra le parti per fare emergere la verità processuale.
In conclusione, con riferimento al sindacato sull’attendibilità della valutazione tecnica, sottolinea che la nota sentenza 601/99 non ha affermato un sindacato forte, di carattere sostitutivo, ma solo un sindacato sulla resistenza della decisione al vaglio del criterio tecnico-scientifico pertienente, osservando come a volte, invece, il Giudice affermi che basta un “basso livello di plausibilità” della decisione (es. caso in tema di misure di emergenza ambientale), seguendo il criterio del “più probabile che non”, e libera così l’Amministrazione dall’onere probatorio, mentre altra giurisprudenza, a fronte della prova di inattendibilità data da una perizia di parte, afferma la necessità di disporre una verificazione (es. caso in materia di compatibilità paesaggistica).
Riprendendo lo spunto iniziale, chiude il ragionamento nel senso che i giudici devono conservare margini di manovra per adattare il sindacato alle particolarità dei singoli casi concreti, ma proprio per questo la dottrina deve esercitare un’attenta vigilanza sulla coerenza delle pronunce giurisdizionali su casi simili e sulla loro rispondenza ai requisiti costituzionali della tutela del cittadino nei confronti del potere amministrativo.
Antonio Barone ha inizialmente sottolineato l’importanza della pianificazione e la tradizionale posizione di self restraintdel GA sulle scelte di piano, modificata nel tempo.
Ha quindi rilevato come ormai, peraltro, ci sia un nuovo modello pianificatorio orientato al risultato (“ortodossia finanziaria”), di cui il PNRR è l’emblema, con i forti condizionamenti che ha posto, a causa del “cigno nero” costituito dalla pandemia. E la fortissima limitazione che ne è derivata: alla discrezionalità amministrativa, ma anche ai poteri del GA, fortemente erosi dal nuovo rito speciale per le controversie sugli atti attuativi del PNRR introdotto, in sede di conversione in legge, dall’art. 12-bis d.l. n. 68 del 2022.
In termini più generali, Barone ha nettamente criticato, come molti di noi, l’art 125 cpa -nato come norma eccezionale e divenuto la regola- e l’ingiusta trasformazione della tutela ripristinatoria in quella risarcitoria: e il suo contrasto con il diritto dell’Unione Europea. Suggestiva l’affermazione: “ecco il nuovo cigno nero: nel campo dei diritti presi sul serio, un ambito di ineffettività della tutela giurisdizionale”.
Tornando alla pianificazione, Barone conclude nel senso che il GA deve sindacare il rispetto del piano (anche per condotte omissive).
Sergio Perongini, nel ricordare in apertura due importanti elementi caratterizzanti della nostra tradizione accademica (la sottoposizione, attraverso i nostri lavori, al giudizio complessivo dell’Accademia, di cui siamo interpreti e il senso di umiltà nel dialogo con i ns maestri, anche scomparsi), ha affrontato, anche in forza della sua duplice esperienza di giudice e di avvocato, il delicatissimo tema delle interdittive antimafia e dei limiti del sistema di tutela, soprattutto per la mancanza di adeguate garanzie procedimentali e di adeguata istruttoria da parte del Prefetto, rimarcando che essa dovrebbe essere profonda, concreta e specifica, mentre manca un vero confronto con la realtà.
Riprendendo il tema affrontato da Tonoletti, Perongini osserva che la valutazione è una attività di sussunzione e trattandosi di attività di interpretazione delle norme, il sindacato deve essere pieno, ma rileva, con apprezzamento, che il GA ha recuperato nel corso del tempo e sta svolgendo un sindacato vero, chiede contezza all’Amministrazione della sussistenza del fatto e della sua rilevanza probatoria.
Il sindacato sulle misure amministrative di prevenzione antimafia è un tema di massima importanza, sul quale con Sergio, Marco Lipari e altri colleghi e magistrati abbiamo aperto un osservatorio di giurisprudenza sul Portale di Diritto amministrativo della Giuffrè: un sindacato che potrebbe e dovrebbe essere vieppiù incisivo in ragione dell’introduzione, con la riforma del 2021, del nuovo modello di controllo alternativo all’interdittiva, che però crea indubbi problemi di rapporto con il controllo giudiziario, di cui condivide i presupposti.
Claudio Contessa ha affrontato il tema dei rapporti tra i due principi introduttivi del nuovo codice dei contratti pubblici (i noti e discussi principi del risultato e della fiducia) e la loro applicazione concreta, con specifico riferimento all’effettivo tasso di innovatività di questi principi sul piano della discrezionalità delle Amministrazioni pubbliche.
Contessa osserva preliminarmente che i suddetti principi (strettamente legati dall’art 1, co 4, sembrano andare nettamente nel senso di una maggiore discrezionalità, allontanandosi dalla tendenza ad amministrare con legge; il che inciderà evidentemente sul sindacato.
Osserva peraltro che il ccp utilizza solo due volte il riferimento alla discrezionalità: quindi è importante il fatto che la colleghi al risultato.
Richiama in particolare la discrezionalità negli affidamenti semplificati e diretti nel sottosoglia (a tale proposito l’Allegato 1 fa per la seconda e ultima volta riferimento alla discrezionalità e non indica i criteri), e quella sui gravi illeciti professionali: nell’individuazione del grave illecito, nella valutazione della sua idoneità a compromettere definitivamente l’affidabilità e l’integrità dell’operatore, e nell’individuazione e ammissione delle prove. Mi preme sottolineare che il sindacato in questo settore è particolarmente importante, per gli effetti devastanti che a volte possono conseguire dall’esclusione, anche per gli effetti che possono derivarne sulle altre gare (soprattutto se disposta da una grande SA per operatori specializzati in determinati settori).
Contessa rimarca poi un aumento della discrezionalità sulla valutazione delle anomalie e si chiede se il principio del risultato possa valere anche come criterio per il GA nella decisione sulla sorte del contratto.
Guido Greco, nell’ultima relazione della sessione pomeridiana, ha affrontato la vexata quaestio dell’eccesso di potere giurisdizionale sindacabile dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 111, co. 8, Cost.
Dopo aver premesso che non bisogna essere vittima degli schieramenti tra accezione dualistica e monistica della giustizia amministrativa, dichiara di essere dualista, ma contesta il fatto che l’istituto si ritiene esistente, ma non applicabile
Ricorda, in particolare, i paletti posti dalla sentenza n. 6 del 2018 della Corte costituzionale, preoccupata da alcune tendenze delle SSUU ad allargare l’ambito del co 8 alle interpretazioni contra legem, che però testualmente riconosce che vi sarebbe eccesso di potere giurisdizionale “quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore”.
Ricorda poi la vicenda Randstad e la prevedibilità della sentenza resa dalla CGUE per il tipo di quesiti posti dall’ordinanza di rimessione (la specialità della violazione del diritto UE rispetto al regime della violazione delle norme nazionali: tesi che la CGUE decisamente esclude).
Si chiede, allora, quando c’ è l’invasione della sfera riservata al legislatore? La Cassazione la rinviene, in astratto, quando il Giudice “crea” una nuova norma, ma poi dice che tale situazione non ricorre quando il Giudice, nonostante il tenore letterale, l’ha desunta dalla ratio. Ma allora, quando si versa nell’ipotesi astrattamente configurata?
Sta di fatto che la Cassazione non ha mai riconosciuto un caso concreto di “creazione di una norma nuova”.
Greco si sforza allora, da par suo, di chiarire quando tale ipotesi ricorra, e osserva che il Giudice invade la sfera del legislatore nei casi in cui dà conto della norma che intende applicare (enunciandola), ma questa non è rinvenibile nel dir positivo.
Aggiunge, quindi, come -evidente- “secondo limite” dell’inquadrabilità nella fattispecie dell’art. 111, co. 8, che la costruzione giurisprudenziale non deve essere frutto dell’iter interpretativo che istituzionalmente compete al Giudice; e che, per comprendere se lo sia o meno, occorre guardare alla motivazione, che, per giustificare la portata interpretativa, deve effettivamente dimostrarla e non può essere apparente o contraddittoria, né tanto meno assente.
Passando all’eccesso di potere giurisdizionale nei confronti dell’Amministrazione, Greco cita la sentenza delle Sezioni Unite n. 12339/2023, che cassa la pronuncia con cui la Corte dei conti aveva rinvenuto un’ipotesi di danno erariale nei confronti di un magistrato in ritardo con i depositi.
A mio parere, il caso è però piuttosto riconducibile all’eccesso di potere nei confronti del legislatore, come lo è la sentenza 1321 del Consiglio di Stato sulla nota vicenda La Macchia di cui aveva parlato Fabio Francario in apertura: in entrambi i casi, la sentenza aveva costruito una regola giuridica non rinvenibile nell’ordinamento positivo. E, dunque, nel primo, potremmo riconoscere la prima sentenza delle SSUU che riconosce un’ipotesi di “creazione” normativa.
Tra le ipotesi di eccesso di potere nei confronti del legislatore -in termini di diniego di giustizia- possono peraltro, a mio avviso, farsi rientrare anche l’arretramento del sindacato sulla discrezionalità tecnica e il rifiuto di sindacare nel merito l’an delle sanzioni pecuniarie.
Sono seguiti gli interventi di Paola Chirulli, che, prendendo le mosse dalla posizione di Eugenio Cannada Bartoli -che negava una separazione netta tra vizi di legittimità e vizi di merito, perché chi agisce deduce la violazione dei principi di buon andamento e di imparzialità di cui all’art 97 Cost.- ha poi osservato che ci sono varie discrezionalità, perché la discrezionalità è dinamica, è “il farsi della scelta” e questo incide sul sindacato, ma questo non significa che non ci siano questioni non decidibili: in sintesi, il Giudice non deve fare una scelta tra più soluzioni attendibili; non deve scegliere l’opinabile, ma (richiamando ancora una volta il Maestro) non perché è merito, ma perché è potere amministrativo; di Paolo Gentili, che ha messo in guardia contro i rischi di un’Amministrazione co-gestita dai Giudici con riferimento agli atti di attuazione del PNRR: se si dà troppa tutela, si ricade nell’ambito del controllo dell’Unione europea, dove la Commissione europea gode di ampia discrezionalità sul rispetto del Piano ed è sufficiente che porti argomenti plausibili per dire che l’attuazione datane sia negativamente incidente sul bilancio UE, senza possibilità di sindacato da parte della Corte di Giustizia; e di Marco Lipari, che ha, dapprima, rappresentato che, con riferimento alla discrezionalità, si possono individuare due tesi estreme e una di mezzo e il magistrato si muove nell’area intermedia, rimarcando poi che nelle decisioni cautelari, il Giudice fa normalmente il bilanciamento tra i diversi interessi e usa spesso l’espressione “è opportuno”, e, poi, sollevato la questione se sia giusto che, in caso di annullamento dell’atto per difetto di motivazione, il procedimento torni al medesimo funzionario (problema che a mio avviso ricorre altresì con riferimento alle valutazioni discrezionali sul possesso dei requisiti del concorrente a seguito dell’apertura delle offerte (anche economiche) e, in termini più generali, sulla possibilità di una motivazione della sentenza più mirata sull’esito della rivalutazione.
4. Sui lavori della terza sessione (Giudizio di cognizione e giudizio di ottemperanza).
Pino Caia, in apertura della presidenza dell’ultima sessione, ha sottolineato che il fattore orientante del momento odierno è la coesione, anche istituzionale e che occorre guardare non solo alle norme, ma anche all’organizzazione, in funzione della società civile.
Piera Vipiana, chiamata ad affrontare il tema della portata dell’art. 34, c. 1 lett. e, cpa, ha sottolineato che la novella costituisce un’importante risorsa contro il malcostume della p.a. di disattendere le pronunce dei giudici amministrativi, rimarcando peraltro l’importanza della precisazione “nei limiti della domanda”, sicché, quando la giurisprudenza va oltre tali limiti, opera contra legem e incorre in un vizio di ultrapetizione. Ha osservato peraltro che la disposizione non ha conseguenze sulla natura giuridica del giudizio di cognizione, perché non implica una giurisdizione estesa al merito, ma aggiunge solo un potere accessivo e dipendente rispetto ai poteri cognitori del caso concreto.
Marco Magri ha chiuso il nutrito gruppo delle relazioni, occupandosi del divieto di pronunciarsi con riferimento a poteri «non ancora esercitati», quale espressione del divieto di sostituzione generalizzata del giudice all’amministrazione e del principio di separazione dei poteri.
Magri muove dal rilievo che, a differenza del giudizio su poteri mai esercitati, quello su poteri già esercitati attraverso l’atto illegittimo, ma non ancora ri-esercitati, non solo non è precluso dall’art. 34, co. 3 (né dal principio di separazione dei poteri), ma è consentito in forma sostitutiva dall’art. 34, co. 1 lett. e c.p.a.; norma che andrebbe collocata entro una più ampia tendenza giurisprudenziale a valorizzare gli effetti costitutivi “puri” della sentenza di annullamento, riconoscendone l’operatività anche sul terreno propriamente conformativo (si citano ad esempio gli orientamenti sostanzialistici in tema di individuazione della domanda in caso di ricorso con pluralità di censure; di applicazione del principio iura novit curia; di rilevanza delle sopravvenienze fattuali in corso di giudizio, di modificazione della domanda, di conversione delle azioni).
Conclude poi osservando che la Costituzione, nel demandare alla legge la disciplina dei «casi» e degli «effetti» della sentenza di annullamento (art. 113, co. 3), tollera diversi sviluppi e non sarebbe impensabile configurare la sentenza di annullamento come pronuncia costitutiva che “esaurisce” il potere, quanto meno nel senso di attribuire immediatamente al potere giudiziario, per effetto della sentenza di annullamento, la responsabilità della sua cd. riedizione, purché sia garantita la legalità, l’imparzialità e la completezza decisionale dell’organo attuatore.
La scelta, secondo Magri, non arrecherebbe alcun vulnus alla separazione dei poteri, ben potendo il canone di effettività della tutela superare le vecchie teorie formalistiche della assoluta e categorica incapacità della funzione giurisdizionale di svolgersi nelle forme del procedimento.
5. Sui lavori della sessione finale (gli interventi).
Sono seguiti gli interventi di Chiara Cacciavillani (che, con voce in controcanto, ha ampiamente apprezzato la sentenza sul caso La Macchia, osservando che giustamente il Consiglio di Stato aveva “sanzionato” l’Amministrazione (nella specie le commissioni ASN) perché, esprimendo tre giudizi illegittimi, aveva rotto il rapporto di fiducia (e meritava quindi una sanzione esemplare, ancorché non prevista dall’ordinamento), di Vincenzo Caputi Iambrenghi, che ha rimarcato che il GA deve assicurare la giustizia nell’Amministrazione (tema, come noto, a me particolarmente caro), di Francesco Cardarelli, che ha ripreso il tema dei principi introdotti nei primi due articoli del nuovo ccp, sollevando il problema dei rapporti con la legge delega (che non parla di risultato e di fiducia, ma solo dell’accesso al mercato, che è l’obiettivo per il diritto dell’Unione europea, cui gli Stati membri si devono conformare) e osservando che, quanto al riflesso sul sindacato giurisdizionale, i margini di discrezionalità sulla sorte del contratto sono già nell’art 122 cpa: è una valutazione di complessiva efficienza economica nella proposta di transazione; di Michele Comporti, che, esprimendosi in termini critici sulle tecniche di tutela come il one shot temperato o l’estensione del giudicato al dedotto e al deducibile, aporia del riconoscimento di un bene della vita di cui non sia stato accertata l’effettiva spettanza nel procedimento o nel processo, a danno dell’interesse pubblico e della collettività, ha affermato che nel giudizio amministrativo dovrebbero meglio emergere anche gli elementi di fatto, valorizzando l’azione di accertamento della spettanza, per dare direttive più nette al prosieguo dell’azione amministrativo, perché si può esercitare un sindacato forte sulla discrezionalità con maggiore contenuto conformativo senza invadere il campo dell’amministrativo effettuando un’istruttoria più completa, con difese più complete e verificazioni, ma il problema sono i tempi, che costringono a una tutela formale e non effettiva; di Anna Corrado, che ha richiamato la nostra attenzione sulla posizione del GA di fronte alle procedure automatizzate e sull’ambito della cd “riserva di umanità”, ponendoci domande come “Quanto serve davvero accedere al cd codice sorgente? Cosa deve garantire il GA quando gli viene chiesto l’accesso ai dati e alle procedure digitali? Si può fare un’istruttoria riservata?” e sottolineando che il Giudice deve essere pronto a fare un sindacato diverso, che tenga conto di questa nuova realtà (temi su cui Pino Caia ha opportunamente richiamato la Berlin Declaration sulla società digitale, ma fondata sui valori); di Paola Di Cesare, che, con riferimento al sindacato sugli atti del GSE, ha, per un verso, confermato come il GA eserciti un sindacato a diversa intensità a seconda della funzione espletata dall’Amministrazione e, per l’altro, ripreso il tema primario del vuoto legislativo, che, lasciando ampi margini di amplissima discrezionalità amministrativa, lascia interamente al Giudice la funzione di delimitarla; di Vittorio Domenichelli, che ha sottolinea l’importanza della fiducia e ha affrontato il problema della discrezionalità della macchina e, correlatamente, dell’attribuzione della responsabilità per i suoi errori; di Giancarlo Montedoro, che ha posto l’accento sull’atto politico e sul conseguente confine del sindacato giurisdizionale, perché “un buon mondo è un mondo dove non tutto è giustiziabile” e “La politica è ciò che ci fa soggetti”; di Aristide Police, che ha ripreso il tema dei principi del ccp, a difesa della legalità di risultato, sostenendo la discrezionalità del Giudice nelle modalità di tutela, che può non essere di annullamento, a vantaggio dell’Amministrazione, che potrà comunque eseguire i servizi messi a gara (si tratta di un posizione che ho già più vote criticato e che mi sembra oltremodo pericolosa, come dimostrano tragici esempi di cattiva manutenzione di opere o di inadeguato espletamento di servizi di trasporto, per non parlare dei rischi derivanti, anche in campo medico, dall’inadeguatezza delle forniture); di Giuseppe Severini, che ha invece rilevato che il principio del risultato è un principio non totalizzante e ha richiamato l’attenzione sul principio di ripristino dell’equilibrio contrattuale sancito dagli artt 9 e 120 del nuovo ccp; di Raffaele Sestini, che ha osservato che il GA può estendere il proprio giudizio al sindacato estrinseco sul rapporto tra interesse pubblico e interesse privato nel rispetto della legge (interna e UE) alla stregua dei principi costituzionali ed eurounitari e, se resta in questi parametri, non entra nella sfera della pA, dal momento che il potere del Giudice che attiva una valutazione di ragionevolezza estrinseca del provvedimento si giustifica in base agli artt 1, 2 e 3 Cost e al principio di effettività della tutela: entra nel merito della decisione, ma non la sostituisce; di Dario Simeoli, il quale, con riferimento ai diversi livelli di intensità del sindacato, ha affermato che tutte le valutazioni complesse che riguardano le sanzioni amministrative non rientrano nella discrezionalità, mentre nelle valutazioni complesse sulla regolazione si configura una situazione di immunità che il Giudice non può superare, incontrando il limite dell’attendibilità, che la parte può tuttavia contestare, offrendo così al Giudice elementi per negarla, e, con riferimento ai poteri esercitabili in forza dell’art. 34, lett. e, cpa, ha osservato che il GA può proseguire il giudizio fino al raggiungimento del risultato pratico, senza che occorra un’azione specifica (fermi comunque i limiti della domanda) e che, diversamente dal Giudice civile, può accertare anche il diritto all’ottenimento di beni strumentali, non solo finali; e, infine, di Francesco Volpe, che si è espresso in termini nettamente critici sul cpa, ritenendo che esso abbia alterato gli equilibri della giurisdizione senza averne la delega, trasformando il GA in una super amministrazione e cambiando il fondamento dello Stato di diritto.
6. Breve notazione conclusiva (con rinvio al saggio Brevi considerazioni sulla discrezionalità amministrativa, nell’ultima edizione di Principi e regole dell’azione amministrativa)
Aggiungo solo poche brevissime parole di conclusione personale, rinviando per alcune ulteriori riflessioni al capitolo Brevi considerazioni sulla discrezionalità amministrativa (che aggiorna e sviluppa il testo di una lezione distribuito ai presenti alle Giornate) aggiunto nella IV edizione del volume “Principi e regole dell’azione amministrativa”, in corso di stampa per i tipi della GiuffrèFL.
Ancora una volta, mi sembra che il confronto sia stato estremamente utile: in termini di estrema sintesi, possiamo dire che il legislatore sta forse riallargando l’ambito della discrezionalità amministrativa e che l’effettività del suo sindacato è essenziale alla tenuta dello Stato di diritto e alla tutela dei nostri diritti e interessi civili, sociali ed economici.
I problemi principali emersi dal dibattito possono così riassumersi:
-esigenza di rispettare i confini della giurisdizione, nei confronti dell’Amministrazione, ma anche -e, direi, soprattutto, nei confronti del Legislatore: il GA, pur bravissimo nel redigere norme, non è costituzionalmente e democraticamente legittimato a farlo;
-si riscontra invece un eccessivo arretramento nel sindacato sulla discrezionalità, soprattitto tecnica, per la quale la giurisprudenza utilizza sintomaticamente le stesse formule riduttive “macroscopica irragionevolezza, manifesto travisamento dei fatti, macroscopico errore nei presupposti” coiate per limitare il sindacato sulla discrezionalità pura e troppe volte nelle sentenze si rinviene l’espressione “amplissima discrezionalità tecnica”, che è chiaramente un ossimoro;
-si rileva la necessità di un’istruttoria più attenta sui fatti e fare un maggiore -e migliore- utilizzo delle verificazioni e delle CTU;
-occorre, comunque, una istruttoria particolarmente attenta e profonda sui fatti, quando il Giudice si sostituisce alla pA o, sospendendo o annullando i provvedimenti che intervengono su situazioni di pericolo, le lascia “senza rete” (come negli esempi fatti nella relazione introduttiva di Fabio Francario);
-esigenza di rispettare il principio (e i limiti) della domanda.
Chiudo, ricordando le importanti -e, mi sia consentito dire, coraggiose- considerazioni espresse dalla III Sezione del Consiglio di Stato sotto la Presidenza dell’illustre e compianto Franco Frattini -che fu poi insigne Presidente del Consiglio di Stato e alla cui memoria mi permetto di dedicare queste Conclusioni- nell’ampia e argomentata ordinanza n. 7097/20 (su cui si v. il commento di G. Strazza, in Giustiziainsieme, 13 gennaio 2021) di sospensione del provvedimento con il quale l’AIFA aveva limitato la prescrittibilità dell’idrossiclorochina.
In particolare, invocando un potere di sindacato “intrinseco” sulla discrezionalità tecnica, anche nei confronti delle Autorità indipendenti, il Collegio (pres. Frattini est Noccelli) ha espressamente osservato che “la c.d. riserva di scienza che compete ad AIFA non si sottrae al sindacato del giudice amministrativo, nemmeno in sede cautelare e meno che mai nell’attuale fase di emergenza epidemiologica, per l’indefettibile esigenza, connaturata all’esistenza stessa della giurisdizione amministrativa e consacrata dalla Costituzione, di tutelare le situazioni giuridiche soggettive, a cominciare da quelle che hanno un radicamento costituzionale come il fondamentale diritto alla salute, a fronte dell’esercizio del potere pubblico e, dunque, anche della discrezionalità c.d. tecnica da parte dell’autorità competente in materia sanitaria”. E, in termini più generali, ha sottolineato che “Il controllo giurisdizionale, teso a garantire una tutela delle situazioni giuridiche effettiva, anche quando si verta in tema di esercizio della discrezionalità tecnica di una autorità indipendente, non può essere perciò limitato ad un sindacato meramente estrinseco, estendendosi al controllo intrinseco, anche mediante il ricorso a conoscenze tecniche appartenenti alla medesima scienza specialistica applicata dall’amministrazione indipendente, sulla attendibilità, coerenza e correttezza degli esiti, in specie rispetto ai fatti accertati ed alle norme di riferimento attributive del potere. 9.3. In tale contesto, per quanto attiene all’esercizio della discrezionalità tecnica dell’autorità indipendente, il giudice amministrativo non può sostituirsi ad un potere già esercitato, ma deve solo stabilire se la valutazione complessa operata nell’esercizio del potere debba essere ritenuta corretta, sia sotto il profilo delle regole tecniche applicate, sia nella fase di contestualizzazione della norma posta a tutela della salute che nella fase di raffronto tra i fatti accertati ed il parametro contestualizzato. 9.4. Sul versante tecnico, in relazione alle modalità del sindacato giurisdizionale, quest’ultimo è volto a verificare se l’autorità abbia violato il principio di ragionevolezza tecnica, senza che sia consentito al giudice amministrativo, in coerenza con il principio costituzionale di separazione dei poteri, sostituire le valutazioni, anche opinabili, dell’amministrazione con quelle giudiziali.
9.5. In particolare, è ammessa una piena conoscenza del fatto e del percorso intellettivo e volitivo seguito dall’amministrazione nelle sue determinazioni (cfr. ad es. Cons. St., sez. VI, 5 agosto 2019, n. 5559).
029.6. Per usare altri termini il giudice amministrativo deve poter verificare che l’amministrazione abbia applicato in modo corretto alla vicenda concreta, in conformità ai principî proprî del metodo scientifico prescelto (iuxta propria principia), le regole del sapere specialistico applicabili al settore dell’attività amministrativa sottoposta all’esercizio del potere regolatorio, ad evitare che la discrezionalità tecnica del decisore pubblico trasmodi in un incontrollabile, e dunque insindacabile, arbitrio (v. Cons. St., sez. III, 17 dicembre 2015, n. 5707 e Cons. St., sez. III, 2 aprile 2013, n. 1856)”.
Si tratta, come è agevole rilevare, di affermazioni estremamente importanti, che possono e devono costituire una guida per affrontare al meglio le questioni emerse in questo incontro.