Sommario: 1. La disapplicazione della legge di conversione del Milleproroghe, a pochi giorni dalla promulgazione dissenziente del Presidente della Repubblica. - 2. Nomofilachia balneare e processo amministrativo d’impugnazione. - 3. Tre argomenti non considerati. - 4. Proroghe giurisprudenziali, proroghe legislative e diritto nazionale vigente (sull’applicabilità dell’art. 16 D.lgs. n. 59/2010).
1. La disapplicazione della legge di conversione del Milleproroghe, a pochi giorni dalla promulgazione dissenziente del Presidente della Repubblica.
La stagione estiva 2023, oramai entrata nella sua fase culminante, vede ancora irrisolto l’interrogativo sulla scadenza delle concessioni demaniali marittime per uso turistico-ricreativo. Nelle osservazioni che seguono non si vorrà rivisitare, se non nei limiti dello stretto indispensabile, la problematica, lungamente e vivacemente dibattuta, del modo in cui l’adunanza plenaria ha assolto alla propria funzione di nomofilachia[1]. Ci si accontenterà di riflettere su uno degli ultimi sviluppi della vicenda, attorno al quale gli studiosi non hanno mancato di fornire un resoconto – anche perché si è imposto per qualche giorno all’attenzione della cronaca – ma che non è stato molto approfondito in sede dottrinale[2], quasi si trattasse di un episodio meritevole soltanto di essere menzionato come evoluzione lineare di una questione già ben definita.
Lo scorso mese di marzo il Consiglio di Stato[3] ha avuto occasione di applicare a sezioni semplici i princìpi stabiliti dall’adunanza plenaria nelle sentenze n. 17 e n. 18 del 2021, con una pronuncia che non rileva tanto per l’ennesima declaratoria di “anticomunitarietà” delle norme che prorogavano al 2033 le concessioni demaniali marittime – esito di per sé scontato (anche i termini del ricorso erano identici) – quanto per la chiosa che compare nell’ultima frase della motivazione: in cui si giudica incompatibile con il diritto U.E. e si dispone che dovrà essere ritenuto inefficace da parte di «qualsiasi organo dello Stato» l’art. 10-quater, comma 3, del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198 (cd. Milleproroghe), interpretato dal giudice come una nuova ipotesi di «proroga automatica delle concessioni demaniali marittime», anch’essa «in frontale contrasto» con l’art. 12 della direttiva n. 2006/123/CE.
Nel giudizio di primo grado, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, appellante al Consiglio di Stato, si era vista respingere dal TAR Puglia sezione di Lecce il ricorso proposto contro una delibera comunale di proroga delle concessioni demaniali marittime adottata nel 2020, ovviamente in applicazione delle uniche norme nazionali di proroga allora vigenti (art. 1 commi 682 e 683 legge n. 145/2018).
Il Consiglio di Stato, sulla base di un riepilogo dei «princìpi enunciati in sede di nomofilachia», ha capovolto l’esito del giudizio di primo grado, disapplicando l’art. 1 commi 682 e 683 della legge n. 145/2018 e annullando il provvedimento impugnato, ma si è fatto carico di «soggiungere», un attimo prima della formulazione del dispositivo di accoglimento, «che, sulla base di quanto affermato dall’Adunanza Plenaria, con le ricordate sentenze nn. 17 e 18 del 2021, non solo i commi 682 e 683 dell’art. 1 della L. n. 145/2018, ma anche la nuova norma contenuta nell’art. 10-quater, comma 3, del D.L. 29/12/2022, n. 198, conv. in L. 24/2/2023, n. 14, che prevede la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime in essere, si pone in frontale contrasto con la sopra richiamata disciplina di cui all’art. 12 della direttiva n. 2006/123/CE, e va, conseguentemente, disapplicata da qualunque organo dello Stato».
Come molti ricorderanno, il 23 febbraio 2023, sette giorni prima del deposito della sentenza, l’opinione pubblica aveva dato ampio risalto alla notizia che la legge di conversione del decreto n. 198/2022 era stata promulgata dal Presidente della Repubblica con lettera di motivazione contraria[4].
Ciò che il Quirinale aveva segnalato al Parlamento erano «molteplici profili critici» del decreto, tra i quali il «più evidente» erano le norme di proroga delle concessioni demaniali marittime, ritenute «contrastanti» con le sentenze del Consiglio di Stato e «difformi» dal diritto dell’Unione europea.
Il dissenso del Presidente della Repubblica nasceva da alcune disposizioni della legge 24 febbraio 2023 n. 14, di conversione del decreto-legge n. 198/2022, che hanno di nuovo allungato il periodo di efficacia delle concessioni demaniali marittime per uso turistico-ricreativo e sportivo rispetto al termine che il Parlamento aveva previsto, sul finire della XVIII^ legislatura, con la legge n. 118/2022, nel quadro di un intervento che intendeva adeguare la legislazione italiana agli obblighi comunitari sanciti dall’adunanza plenaria (e dalla sentenza Promoimpresa e Melis della Corte di Giustizia dell’Unione europea, V Sez., 14 luglio 2026, C-458/14 e C-67/15), mentre pendeva la procedura d’infrazione avviata dalla Commissione europea con lettera C(2020)7826 del 3 dicembre 2020.
Più precisamente, con la legge 5 agosto 2022, n. 118 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021), le Camere – già sciolte dal 21 luglio 2022[5] in vista delle elezioni politiche – avevano riconosciuto i princìpi affermati dalla plenaria e operato alcune importanti modifiche; in rapida sintesi:
a) abrogazione delle disposizioni (art. 1 commi 675-683 della legge 30 dicembre 2018 n. 145) che prevedevano la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime al 31 dicembre 2033, dichiarate dall’adunanza plenaria incompatibili con il diritto dell’Unione europea (art. 3 comma 5);
b) delega al Governo ad adottare, nel termine di sei mesi (inutilmente scaduto il 27 febbraio 2023), uno o più decreti legislativi in materia di affidamento delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità turistico-ricreative e sportive (art. 4);
c) delega al Governo ad adottare, nel termine di sei mesi, portati a undici dal decreto Milleproroghe (dal 27 febbraio 2023 al 27 luglio 2023), un decreto legislativo per la mappatura e la trasparenza dei regimi concessori di beni pubblici (art. 2);
d) fissazione una proroga “tecnica” di durata identica a quella individuata dall’adunanza plenaria (31 dicembre 2023), per consentire alle amministrazioni locali di espletare i nuovi affidamenti delle concessioni, una volta entrato in vigore il nuovo regime legislativo delegato (art. 3 comma 2).
Mette solo conto di aggiungere che il governo italiano ha fatto leva proprio sull’emanazione della legge n. 118/2022 e sull’abrogazione delle norme di proroga delle concessioni al 31 dicembre 2033 per sostenere, in un altro processo pendente davanti alla Corte di giustizia (C-348/22), la perdita di rilevanza della questione pregiudiziale sollevata dal TAR Puglia sezione di Lecce – l’unico giudice italiano di primo grado che notoriamente non condivide la tesi della plenaria[6] – in merito alla efficacia self-executing dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE. L’eccezione è stata respinta e la questione è stata decisa dalla Corte di giustizia nei termini che sappiamo, con la sentenza del 20 aprile 2023[7]. Non può tuttavia passare inosservato che, accreditando alla legge “concorrenza” il merito di aver cambiato la situazione giuridica nazionale, l’Italia abbia rappresentato ai Giudici dell’Unione europea un quadro normativo interno non più difforme dagli obblighi sanciti della sentenza Promoimpresa e Melis.
Nel frattempo, fuori dal contesto appena ricordato, la maggioranza parlamentare insediatasi con la XIX^ legislatura aveva confermato di non volersi attenere alle scelte operate dalla legge n. 118/2022[8]. Nel “punto stampa” tenutosi in occasione di una visita ad Algeri, sul finire del mese di gennaio 2023, la Presidente del Consiglio aveva dichiarato, a nome del Governo, che gli «imprenditori balneari» sarebbero stati «difesi» e messi «in sicurezza» da una direttiva europea (n. 2006/123/CE) che ad essi «non andava applicata»; e che tale intento politico sarebbe stato realizzato attraverso una soluzione «non temporanea», bensì di tipo «strutturale». Non era ancora certo che il disegno, com’è poi accaduto, si materializzasse negli «emendamenti» confluiti nella legge di conversione del decreto-legge n. 198/2022, dalla quale emerge un uso gravemente inappropriato del potere di conversione. Basti ricordare che il Governo stesso, con il decreto-legge n. 198/2022, si era disinteressato delle concessioni demaniali marittime per uso turistico-ricreativo. Anzi, per queste ultime aveva ribadito i termini previsti dalla legge “concorrenza”, disponendo un’unica ipotesi di proroga, giustificata da finalità di sostegno alla «società» e alle «associazioni sportive dilettantistiche senza scopo di lucro». Per il resto, doveva restare «fermo (…) in ogni caso quanto previsto per le concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali» dalla legge n. 118/2022.
La legge n. 14/2023 è intervenuta su quanto previsto per le concessioni dalla legge n. 118/2022, manifestando, appunto, quell’intento di riforma «strutturale» estraneo e scientemente accantonato dal decreto-legge convertito. Un simile modo di esercizio del potere di conversione meriterebbe un attento scrutinio di omogeneità rispetto al provvedimento governativo e, naturalmente, a questo punto il discorso dovrebbe ampliarsi in una direzione che qui non pare consentita. Una cosa però si può dire: tanto più si sottolinea il “divorzio politico” tra la legge n. 14/2023 e la legge n. 118/2022, e tanto più si pone l’accento sull’originalità della soluzione organizzativa che la nuova maggioranza parlamentare ha voluto tradurre in emendamenti creativi di nuovi articoli del testo del D.L. n. 198/2022, quanto più forte è il sospetto che la legge di conversione incorra nella violazione dell’art. 77 comma 2 Cost. per aver soggiunto disposizioni “intruse”, prive d’interrelazione con l’atto soggetto a conversione; vizio più volte acclarato dalla Corte costituzionale anche e proprio in merito ai decreti “Milleproroghe”[1].
La sentenza n. 2192/2023 non ha colto, e forse non poteva cogliere questo profilo, non foss’altro perché una questione di costituzionalità sarebbe risultata del tutto irrilevante, essendo la disapplicazione del Milleproroghe un mero obiter (come vedremo più avanti).
Resta da valutare se la Sezione VI^ abbia fatto bene a cogliere l’altro aspetto, il medesimo che ha formato oggetto delle già menzionate preoccupazioni del Presidente della Repubblica: l’inversione di rotta verso l’adempimento degli obblighi comunitari in materia di concessioni “balneari”, che con la legge n. 118/2022 sembrava aver finalmente raggiunto un punto di approdo.
2. Nomofilachia “balneare” e processo amministrativo d’impugnazione.
Ora non è dato sapere se il messaggio del Presidente della Repubblica abbia avuto un peso sulla decisione del giudice. Esiste tuttavia un motivo per cui la sentenza della Sezione VI^ n. 2192/2023 non può restare senza un commento. Si tratta di una pronuncia che fa riferimento a una singola disposizione del decreto Milleproroghe (art. 10-quater del D.L. n. 198/2022, convertito), non per “disapplicarla”, ma per compiere un’operazione interpretativa di più ampio rilievo sistematico: dichiarare che i princìpi enunciati in sede nomofilattica sono assimilabili a fonti di una vera e propria disciplina normativa transitoria delle concessioni, la cui derivazione sopranazionale non lascia al legislatore altro che un’attività di pura e semplice esecuzione.
Il principio sottinteso alla disapplicazione del Milleproroghe è che non può, il Parlamento, neppure variare il giorno di scadenza della proroga tecnica (31 dicembre 2023) autorizzata dalla plenaria per dar tempo alle amministrazioni di procedere ai nuovi affidamenti (e, al legislatore, di riformare la disciplina dell’affidamento delle concessioni demaniali marittime): o le Camere accettano tutto il pacchetto preconfezionato in sede di nomofilachia, oppure ogni legge sulla durata delle concessioni è contraria al diritto dell’Unione.
Sembra piuttosto evidente che in questo modo si innalzi ulteriormente il livello della “pretesa” del Consiglio di Stato, nonché la sua propensione – in parte manifestata anche dall’adunanza plenaria[9] – a far proprie le logiche di funzioni extragiudiziarie. Può darsi che l’idea di stringere le maglie del sindacato incidentale sulla compatibilità euro-unitaria della legge sia consequenziale alle pronunce di nomofilachia. Sta di fatto che la sentenza n. 2192/2023 non può essere intesa come una mera “propaggine” di queste ultime: l’impressione è di una sentenza con la quale la Sezione VI^ è stata probabilmente (si permetta l’espressione) «più realista del Re».
Il riferimento è anzitutto alla qualificazione del termine del 31 dicembre 2023, che per la Sezione VI^ è tanto inderogabile quanto lo è quello di recepimento di una direttiva; mentre nella realtà è solo una data equitativamente stabilita dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato nell’esercizio del suo potere di graduare nel tempo gli effetti di una sentenza di annullamento. La messa in mora con la quale la Commissione europea contesta a uno Stato membro di essere in ritardo nell’attuazione di una direttiva, ad esempio, ben può essere fondata su un anno di ritardo, a maggior ragione ove ciò derivi dalla volontaria posticipazione delle procedure di adattamento. Nel caso che ci occupa, il 31 dicembre 2023 non è fissato da un atto-fonte comunitario, ma è il risultato della valutazione prognostica di un giudice nazionale, che lo ha «congruamente» stabilito. E non si può dire, rispetto al diritto dell’Unione, che la data del 31 dicembre 2024 sia meno congrua del 31 dicembre 2023, solo perché il Milleproroghe, a differenza della legge n. 118/2002, nasce senza l’avallo del giudice amministrativo.
Gli elementi di frizione, peraltro, oltre che con il decreto Milleproroghe, sono anche con il Codice del processo amministrativo e, paradossalmente, con alcuni princìpi affermati dalla stessa plenaria.
Nessun dubbio che lo slancio della Sezione VI^ sia generosamente diretto ad anticipare la soglia d’intervento contro le leggi elusive di ciò che la plenaria ha stabilito. Ma, anche a sorvolare sul fatto che non siamo ancora al 31 dicembre 2023 – e che non si può dare per scontato che al 1 gennaio 2024 il Milleproroghe sia ancora in vigore – la Sezione VI^ allarga il suo potere di disapplicazione fino a ricomprendervi una norma della quale non aveva alcun obbligo di applicazione, trattandosi di norma sopravvenuta, non disciplinante il provvedimento del Comune di Manduria, il quale aveva prorogato le concessioni al 31 dicembre 2033 unicamente sulla base dell’art. 1 commi 682 e 683 della legge n. 145/2018, a carico dei quali la Sezione VI^ (questa volta correttamente) accerta, nella prima parte della sentenza, lo stesso regime d’inefficacia già acclarato in sede di nomofilachia.
Difficile sfuggire all’impressione che la “chiosa” sul Milleproroghe concretizzi un giudizio su poteri non ancora esercitati, non consentito dal Codice del processo amministrativo (art. 34 comma 2) e non richiesto, a me pare, neanche dalla plenaria. Quest’ultima, com’è noto, aveva soggiunto che una «eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire (…) andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E.». Perciò aveva concluso che l’obbligo di disapplicazione fosse da intendersi esteso ad eventuali disposizioni legislative che «in futuro dovessero ancora disporre» la «proroga automatica» delle concessioni.
Tuttavia, a parte ogni considerazione sulla fondatezza di simili assunti, non c’è motivo di ritenere che quest’obbligo di disapplicare leggi «ulteriori» non sottintendesse la pendenza di controversie concrete, nate da ricorsi contro provvedimenti amministrativi o, comunque, dalla censura di specifici atti o fatti di esercizio di potere conformi a nuove leggi di proroga delle concessioni; non vi è ragione di pensare che l’allusione della plenaria a proroghe future volesse derogare allo schema del processo amministrativo d’impugnazione.
La Sezione VI^ sembra invece essersi accontentata di due cose: il fatto che una legge del Parlamento avesse prorogato le concessioni demaniali marittime e, nel contempo, l’intuizione del pericolo che la nuova legge, ove non fosse stata dichiarata inapplicabile già in sede di cognizione, potesse in qualche misura interferire con l’attuazione del giudicato, frustrando l’effetto della sentenza che la stessa Sezione stava pronunciando.
3. Tre argomenti non considerati.
In margine a questo convincimento, giova puntualizzare tre aspetti.
In primo luogo, il decreto Milleproroghe, anche dopo la conversione nella legge n. 14/2023, sposta solo (o quasi) termini legislativi: mantiene inalterato l’intento della legge “concorrenza” e non rappresenta un ritorno al modello accolto dalla legge di bilancio 2019. È vero che i poteri del Tavolo tecnico istituito dall’art. 10-quater del decreto Milleproroghe, per la definizione dei criteri ricognitivi della scarsità della risorsa, ricordano (con qualche variazione di compagine) le funzioni di mappatura del litorale che i ministri avrebbero dovuto esercitare per l’emanazione del DPCM previsto dall’art. 1, commi 675, 676 e 677 della legge n. 145/2018. Così come è fuori di dubbio che il Milleproroghe voglia superare entrambe le deleghe legislative previste dalla legge concorrenza, non solo quella per la riforma delle procedure di affidamento (scaduta il 27 febbraio 2023), ma anche quella sulla mappatura della risorsa, prorogata di undici mesi, ma sostanzialmente svuotata e destinata anch’essa a cadere nel vuoto il 27 luglio 2023. Insomma è probabile che il reale obiettivo del decreto-legge n. 198/2022, dopo le modifiche apportate in sede di conversione, sia solo quello di restituire all’amministrazione, sottraendoli alla legislazione, i poteri di “regìa” (determinazione della scarsità della risorsa) che condizionano l’inizio delle nuove procedure.
Ciononostante resta in piedi, nel Milleproroghe, il fine ultimo della legge concorrenza: cambiare le regole in tempi brevi per avviare le procedure di affidamento. La proroga di un anno, dal 31 dicembre 2023 al 31 dicembre 2024, non può avere – non presuntivamente – lo stesso disvalore della proroga quindicinale che era stata stabilita dall’art. 1 comi 675 e seguenti della legge di bilancio 2019. Se non altro, al decreto-legge Milleproroghe non si può addebitare la restituzione di quel “diritto d’insistenza” sul bene demaniale marittimo, lacuale o fluviale, da cui ha avuto origine il contenzioso comunitario in merito alla durata delle concessioni.
In secondo luogo, sussiste il problema dell’individuazione dell’articolo del Milleproroghe da disapplicare. Nella sentenza n. 2192/2023 questo importante passaggio – la “focalizzazione” della norma responsabile della proroga anti-comunitaria – non sembra portato correttamente a compimento.
Sul punto occorre soffermarsi un attimo di più, non per semplice gusto di disquisizione logico formale o solo per sottolineare un errore del giudice d’appello; del resto è comprensibile che un convincimento maturato nello spazio di qualche giorno, come quello del Consiglio di Stato, origini da una valutazione sommaria e possa di conseguenza incontrare qualche inesattezza. Non può tuttavia sfuggire – ed è quello che interessa – l’origine dell’errore, a mio avviso da ricercare nella formulazione per più versi difettosa, nell’estrema disorganicità della legge di conversone del Milleproroghe, che suggeriva – e suggerisce obbiettivamente – molta prudenza prima di formulare un giudizio incidentale di inapplicabilità “astratta” di una o più disposizioni.
L’art. 10-quater comma 3, individuato dalla Sezione VI^, non prevede una proroga automatica e generalizzata delle concessioni. La norma è stata scritta «ai fini dell’espletamento dei compiti del tavolo tecnico di cui comma 1», che dovrà definire i «criteri tecnici per la determinazione della sussistenza della scarsità della risorsa disponibile». Se non che letteralmente la norma posticipa al 31 dicembre 2025 il solo termine previsto dai «commi 3 e 4» dell’art. 3 della legge n. 118/2022, i quali autorizzano la proroga delle concessioni durante l’iter dei nuovi affidamenti, a causa di sopravvenute «ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva» (pendenza di un contenzioso, difficoltà oggettive, ecc.). La fattispecie su cui interviene l’art. 10-quater è dunque quella di una procedura già avviata, posticipabile in conseguenza del verificarsi di situazioni obbiettive. La data non può eccedere il 31 dicembre 2025, che continua però a rappresentare, nell’art. 3 comma 3 della legge concorrenza, solo un termine massimo, all’interno del quale il differimento dev’essere disposto «con atto motivato» e per il «tempo strettamente necessario alla conclusione della procedura». La normalità di un differimento a data posteriore al 21 dicembre 2023, ma anteriore al 31 dicembre 2025, individuata volta per volta, emerge, d’altronde, anche dalla clausola con la quale la stessa disposizione (art. 3 della legge n. 118/2022) tollera, fino al 31 dicembre 2025, l’«occupazione dell’area demaniale da parte del concessionario uscente», che «è comunque legittima anche in relazione all’articolo 1161 del codice della navigazione».
La vera e propria proroga «automatica e generalizzata» delle concessioni – che nella legge concorrenza è disciplinata al comma 1 dell’art. 3 – è stabilita dal nuovo art. 12 comma 6-sexies, lettere a) e b) del D.L. n. 198/2022, che fissa la scadenza di tutte le concessioni alla data del 31 dicembre 2024.
Ora, non è chiaro cosa voglia stabilire, l’art. 10-quater comma 3, nella parte in cui prevede che «ai fini della conclusione del tavolo tecnico» le parole «31 dicembre 2024» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2025». Forse la norma vorrebbe dire che il “tavolo tecnico” può operare fino al 31 dicembre 2025.
Non, di certo, che le concessioni sono prorogate al 31 dicembre 2025.
Di nuovo sorge qualche dubbio, però, leggendo l’ultimo inciso dell’art. 10-quater comma 3, per cui le concessioni in essere continuano «in ogni caso» ad avere efficacia sino alla data di rilascio dei nuovi provvedimenti concessori. I dubbi nascono dalla circostanza che la norma – la quale, di per sé, non denoterebbe difficoltà interpretative – può apparire anch’essa come una regola che trae significato dalla combinazione con la finalità espressa all’art. 10-quater comma 1, ovverosia l’affidamento al Tavolo tecnico, ivi costituito, dell’attività di definizione dei criteri tecnici per la determinazione della sussistenza della scarsità della risorsa. Ove se ne dovesse ricavare che fino alla conclusione dei lavori del tavolo tecnico le concessioni sono prorogate[10], il termine della proroga diverrebbe più incerto e dovrebbe essere rimesso in discussione. Se non altro, ammesso che il tavolo possa operare fino al 31 dicembre 2025, la proroga al 31 dicembre 2024 assumerebbe un significato puramente “nominalistico”.
Ma le incongruità del decreto Milleproroghe non si fermano qui.
Si dovrebbe citare, per completezza, una terza disposizione, che in astratto concorre con quella disapplicata dalla Sezione VI^. Si tratta del nuovo art. 12 comma 6-sexies, lettera c), il quale, al pari dell’art. 10-quater comma 3, interviene sull’art. 3 comma 3 della legge n. 118/2022, dedicata al prolungamento per «ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva». La norma in parola lascia tuttavia invariato il termine al «31 dicembre 2024»: lo stesso previsto, dalla legge “concorrenza”, nella disposizione sostituita. Tutto lascia dunque supporre, di conseguenza, che si tratti di una svista, di un refuso legislativo.
Singolare è anche una quarta disposizione, che introduce una sorta di “proroga indiretta”, aggiungendo un nuovo comma 4-bisall’art. 4 della legge n. 118/2022, il quale vieta di procedere all’emanazione dei bandi di assegnazione fino all’adozione dei decreti legislativi di riforma dell’affidamento delle concessioni demaniali marittime per uso turistico-ricreativo e sportivo. Decreti legislativi che, come si è già avuto modo di precisare, dovevano essere adottati entro il 27 marzo 2023, in forza dell’art. 4 della legge n. 118/2022.
Sorge dunque immediatamente il dubbio che anche questa norma sia tamquam non esset, poiché il termine per l’esercizio del potere delegato, spirato proprio al momento dell’entrata in vigore della legge di conversione del Milleproroghe, avrebbe necessitato anch’esso di una proroga, che la legge di conversone non ha previsto, trasferendo i relativi compiti al Tavolo tecnico di cui all’art. 10-quater comma 1.
Anche qui però non v’è certezza, giacché, ora che il potere delegato si è estinto, resta in qualche modo consacrato l’intento del Parlamento di lasciare in essere le concessioni fino a nuova disciplina. Sarebbe probabilmente eccessivo dedurne una proroga sia sine die, ma qualche dubbio sulla durata della proroga rimane: fino al 31 dicembre 2024 o, in ogni caso di ritardo governativo, fino al 31 dicembre 2025, o anche oltre?
O si taglia alla radice il nodo interpretativo e si assume che l’unica norma di proroga, al 31 dicembre 2024, sia l’art. 12 comma 6-sexies, lettere a) e b) del decreto Milleproroghe – ed allora si dirà che la sentenza n. 2192/2023 è incorsa in un mero errore materiale – oppure permangono, anche solo in parte, i dubbi prospettati: nel qual caso occorrerà ammettere che la sentenza n. 2192/2023 è il prodotto di una difficoltà insita nel provvedimento legislativo interpretato, che una disapplicazione “astratta” non è forse possibile, perché soltanto un concreto atto di amministrazione, ritualmente impugnato, potrà permettere al giudice di focalizzare la norma alla quale risalire e, ove del caso, imporre la sua “disapplicazione” con effetti limitati al caso deciso.
Il terzo ed ultimo aspetto da precisare concerne l’accertamento incidentale del dovere di disapplicazione del decreto Milleproroghe, che, com’è stato scritto[11], si sostanzia un semplice obiter dictum. Notazione esattissima, in quanto il decreto-legge n. 198/2022, rispetto all’oggetto del processo amministrativo, era da considerare ius superveniens: irrilevante ai fini dell’effetto demolitorio dell’annullamento dell’atto impugnato, per cui bastava ed anzi s’imponeva la sola disapplicazione dell’art. 1 commi 682 e 683 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (in forza dei quali era stato adottato). Ma irrilevante anche ai fini dell’effetto conformativo del giudicato. Tocchiamo qui l’elemento che ha più verosimilmente persuaso la Sezione VI^: la necessità di neutralizzare l’effetto retroattivo dello ius superveniens anticipando in sede di cognizione la dichiarazione della sua inefficacia.
Tuttavia, a ben vedere, neppure questa tesi convincerebbe del tutto.
Mentre infatti fino al 31 dicembre 2023 è consentita la riedizione del potere (essendo operativa la proroga disposta dalla plenaria e dalla legge n. 118/2022, nessun obbligo di attuazione è “esigibile”), dal 1 gennaio 2024 un atto del Comune di Manduria potrebbe prorogare le concessioni solo fino al 31 dicembre 2024 e, per quanto invalido, sarebbe comunque il risultato di un autonomo esercizio del potere, non potendosi ritenere che gli effetti della sentenza n. 2192/203 siano tecnicamente “differiti” al 1 gennaio 2024, in difetto di una esplicita graduazione temporale che la Sezione VI^ avrebbe dovuto stabilire, se avesse voluto coinvolgere nell’effetto di giudicato eventuali atti di proroga successivi al 31 dicembre 2023. V’è da chiedersi allora se si possa persino astrattamente o ipoteticamente prospettare un qualche profilo di violazione o di elusione del giudicato formatosi con la sentenza n. 2192/2023. È indubbio che, per effetto della sentenza che stiamo commentando, al 31 dicembre 2023 le concessioni prorogate dal Comune di Manduria scadranno. Ma resta egualmente difficile supporre un’utilità pratica della sentenza, anche qualora si volesse ammettere, superando l’ostacolo sopra accennato, un effetto di giudicato “implicitamente” posticipato a una data successiva al 1 gennaio 2024. Ferma restando ovviamente, da quest’ultima data, l’illegittimità dell’occupazione del demanio, tutto ciò che si potrebbe immaginare è che le amministrazioni locali possano essere convenute nel giudizio di ottemperanza per vedere attuato il loro obbligo di avviare le attività amministrative tese all’affidamento delle concessioni, le quali occuperebbero approssimativamente il periodo che va dal 31 dicembre 2023 al 31 dicembre 2024, concretandosi così, nei fatti, una situazione non troppo diversa da quella prevista dal decreto Milleproroghe (disapplicato). Ciò che si vuol dire insomma è che la “disapplicazione” di una legge di proroga annuale rischia di sfuggire, nel concreto dell’esperienza giuridica, alle maglie del processo amministrativo di legittimità. Né si può dare per certo, come si accennava, che alla data del 1 gennaio 2024 il Milleproroghe sia ancora in vigore.
Ci si ritrova quindi, con qualche chiarimento in più, al punto di partenza: la natura meramente ipotetica della disapplicazione prescritta dalla sentenza n. 2192/2023, che incide sui rapporti concessori in modo tale da rendere imprevedibile il loro destino e conferma, in conclusione, i dubbi che la Sezione VI^ abbia fatto buon governo dell’art. 34 del Codice del processo amministrativo (rispetto ai princìpi enunciati dalla plenaria).
4. Proroghe giurisprudenziali, proroghe legislative e diritto nazionale vigente (sull’applicabilità dell’art. 16 D.lgs n. 59/2010).
Le critiche sviluppate fino a questo momento non devono far perdere di vista la sostanziale esattezza della sentenza n. 2192/2023, che si sarebbe tuttavia apprezzata maggiormente se il Consiglio di Stato avesse soprasseduto, nella parte conclusiva, al giudizio incidentale sul decreto Milleproroghe.
Così come formulato, il coinvolgimento del D.L. n. 198/2022 è solo apparentemente consequenziale alle pronunce dell’adunanza plenaria: in realtà non risponde alla questione sottoposta all’esame della Sezione VI^; non ha nemmeno più le caratteristiche di una decisone esecutiva dei princìpi enunciati in sede nomofilattica, costituendone piuttosto un’integrazione, dettata dalla medesima ratio di uniformità dell’interpretazione della legge e di unità del diritto oggettivo, motivata da una norma sopravvenuta il cui ambito applicativo è completamente estraneo al caso da decidere. Nel far giustizia, come doveva, di un atto amministrativo non conforme al diritto dell’Unione europea, la sentenza n. 2192/2023 finisce dunque per sbilanciare nuovamente il rapporto tra giustizia e politica, su un terreno già segnato da numerose contraddizioni: tra nomofilachia ed esercizio ordinario della giurisdizione, tra compiti della giurisdizione e compiti dell’amministrazione, tra sfera dell’interpretazione e sfera della produzione normativa[12].
Si permetta un ultimo cenno. L’art. 16 del D.lgs n. 59/2010 traspone nell’ordinamento nazionale l’art. 12 della direttiva n. 2006/123/CE, sulle modalità di rilascio dei titoli autorizzativi in caso di scarsità della risorsa. La norma è ordinariamente applicata dalla giurisprudenza nei vari settori di attività “contingentate”, quali ad esempio servizi di noleggio[13], di trasporto[14], di affissione pubblicitaria[15], talvolta attraverso il richiamo del giudice al proprio potere di ricercare autonomamente le norme giuridiche applicabili alla fattispecie e di porre a fondamento della decisione principi di diritto e ricostruzioni anche diversi da quelli richiamati dalle parti» (iura novit curia)[16].
Ogni riferimento all’art. 16 viene invece evitato dalla giurisprudenza amministrativa quando si tratta di concessioni demaniali marittime, per le quali si preferisce l’applicazione diretta dell’art. 12 della direttiva. Eppure l’art. 16 è una norma prodotta da un atto avente forza di legge: non è più generica, più vaga, più indeterminata, meno tassativa, di altre disposizioni di legge dedicate a procedure selettive. Esattamente al pari dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE, fornisce «tutti gli elementi necessari per consentire alle Amministrazioni di bandire gare per il rilascio delle concessioni demaniali» (sono parole della plenaria).
Moratorie generalizzate e proroghe “tecniche”, come quelle a cui abbiano assistito negli ultimi anni, possono essere ritenute incompatibili con il diritto dell’Unione europea. Ma nel dichiararle tali il giudice non ha motivo di avvertire il senso del vuoto legislativo, della lacuna, che obbiettivamente non esiste. E non ha motivo di graduare o differire nel tempo gli effetti delle proprie decisioni, onde «soccorrere» il legislatore. Non solo perché così facendo in realtà il giudice invade la sfera del potere legislativo, ma perché prima ancora travisa la consistenza dell’ordinamento giuridico, laddove la norma da applicare per l’affidamento delle concessioni demaniali marittime esiste già: non è quella comunitaria, è quella nazionale.
Non si sottovaluta in questo modo il delicato problema della definizione uniforme delle regole della procedura. Si ha tuttavia l’impressione che questo sia un problema diverso: di rispetto del principio costituzionale di riserva di legge da parte di norme già in vigore; non di violazione degli obblighi comunitari per via dell’inerzia nell’introdurre un riordino generale della materia delle concessioni demaniali marittime. Può darsi che le amministrazioni locali non sappiano cosa fare per riassegnare le concessioni. Ma non si comprende perché lo stesso problema non si sia aperto, almeno non con la stessa enfasi, per i servizi “contingentati” di cui si accennava. E del resto, considerazioni simili dovrebbero valere, ove ve ne fosse ragione, per tutte le leggi amministrative che recepiscono disposizioni di direttive europee senza aggiungere, né togliere alcunché alla loro formulazione originaria.
Si converrà allora che la proroga giudiziaria delle concessioni demaniali marittime sia basata non solo, com’è stato esattamente notato, su un «ennesimo, indebito slancio “paranormativo”»[17] della plenaria, ma anche sul discutibile presupposto che non esista in Italia una legge nazionale immediatamente applicabile. E non è tutto. Ove si ritenesse che l’obbligo di affidamento selettivo delle concessioni sia in qualche modo risalente alla sentenza Promoimprea e Melis della Corte di giustizia, un altro principio consolidato si imporrebbe. Non si può infatti non ricordare che spetta solo alla Corte di giustizia, «alla luce dell’esigenza fondamentale dell’applicazione uniforme e generale del diritto dell’Unione, decidere sulle limitazioni nel tempo da apportare all’interpretazione che essa fornisce». In altri termini, «la modulazione degli effetti temporali di una sentenza che decide su un rinvio pregiudiziale può essere disposta esclusivamente dalla medesima Corte e solo nell’ambito della stessa pronuncia». Questo principio è stato ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 263/2022, riguardo al caso della sentenza Lexitor della Corte di giustizia[18], i cui effetti erano stati “graduati” dal legislatore italiano in difformità dagli artt. 3, 11 e 117, primo comma, Cost. Ora non si vede perché il rilievo riguardo alla sentenza Lexitor non possa valere anche per la sentenza Promoimpresa e Melis: l’obbligo delle amministrazioni di procedere immediatamente con procedura selettiva, donde il divieto di modulazione degli effetti temporali, non viene meno solo perché è infranto, anziché dal legislatore, dal giudice amministrativo[19].
Ragione in più per notare che la sentenza n. 2192/2023, ove la Sezione VI^ indica la necessità di disapplicare una legge di proroga per permettere la riviviscenza di un’altra, a sua volta originata dalla volontà del Parlamento di conformarsi alle proroghe discrezionalmente individuate dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, è in ultima analisi essa stessa poco in linea con il diritto dell’Unione europea.
[1] Tra le più recenti, Corte cost., 9 dicembre 2022, n. 145.
[1] Senza pretesa di completezza, vista l’enorme quantità di contributi sul tema, si rimanda anzitutto al fascicolo monotematico dalla Rivista Diritto e Società n. 3/2021, La proroga delle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, con saggi di M.A Sandulli, Introduzione al numero speciale sulle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze nn. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria (anche in questa Rivista, 16 febbraio 2022); F. Ferraro, Diritto dell’Unione europea e concessioni demaniali: più luci o più ombre nelle sentenze gemelle dell’Adunanza Plenaria?; G. Morbidelli, Stesse spiagge, stessi concessionari?; M. Gola, Il Consiglio di Stato, l’Europa e le “concessioni balneari”: si chiude una – annosa – vicenda o resta ancora aperta?; R. Dipace, L’incerta natura giuridica delle concessioni demaniali marittime: verso l’erosione della categoria; M. Calabrò, Concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo e acquisizione al patrimonio dello Stato delle opere non amovibili: una riforma necessaria; E. Lamarque, Le due sentenze dell’Adunanza plenaria… le gemelle di Shining?; R. Rolli, D. Sammarro, L’obbligo di “disapplicazione” alla luce delle sentenze n. 17 e n. 18 del 2021 del Consiglio di Stato (Adunanza Plenaria); E. Zampetti, La proroga delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreativa tra libertà d’iniziativa economica e concorrenza. Osservazioni a margine delle recenti decisioni dell’Adunanza Plenaria; G. Iacovone, Concessioni demaniali marittime tra concorrenza e valorizzazione; M. Ragusa, Demanio marittimo e concessione: quali novità dalle pronunce del novembre 2021?; P. Otranto, Proroga ex lege delle concessioni balneari e autotutela; B. Caravita di Toritto e G. Carlomagno, La proroga ex lege delle concessioni demaniali marittime, e recensione di F. Francario, Se questa è nomofilachia. Il diritto amministrativo 2.0 secondo l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in questa Rivista, 28 gennaio 2022; Tra tutela della concorrenza ed economia sociale di mercato. Una prospettiva di riforma. Si veda inoltre A. Police, A.M. Chiariello, Le concessioni demaniali marittime: dalle sentenze dell’Adunanza Plenaria al percorso di riforma. Punti critici e spunti di riflessione, in amministrativ@mente, n. 2 (2022), 47 ss.; R. Caranta, Concessioni demaniali – Es gibt noch Richter in Berlin! Stop alle proroghe delle concessioni balneari, in Giur. it., 2022, 1204 ss.; E. Cannizzaro, Demanio marittimo. Effetti in malam partem di direttive europee?, in questa Rivista, 30 dicembre 2021; A. Cossiri, L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si pronuncia sulle concessioni demaniali a scopo turistico-ricreativo. Note a prima lettura, in Dir. pubbl. eur. rassegna online, n. 2, 2021, 234 ss.; P.G. Novaro, Spiagge: casus belli per una riflessione sulla concessione di bene pubblico, in Ist. Fed., 2022, 231 ss.; E. Zampetti, Le concessioni balneari dopo le pronunce Ad. Plen. 17 e 18 2021. Definito il giudizio di rinvio innanzi al C.G.A.R.S., in questa Rivista, 27 gennaio 2022; M.C. Girardi, Nel “mare magnum” delle proroghe. Riflessioni a partire dalle sentenze nn. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza plenaria, in Osservatorio AIC, fasc. 2/2022, 5 aprile 2022; M. Crisci, Risorse scarse e interesse transfrontaliero nelle concessioni demaniali marittime. Il giudice che si sostituisce all’amministrazione?, in Dir. dell’econ., n. 3/2022. In prospettiva comparata, A. Persico, Le concessioni demaniali marittime nell’impatto con il diritto dell’Unione. Spunti comparatistici per una gestione sostenibile “a tuttotondo” del patrimonio costiero nazionale, in federalismi.it, 10 agosto 2022.
[2] Alcune considerazioni in G. Parodi, La proroga delle concessioni demaniali marittime tra disapplicazione e incidente di costituzionalità. Questioni aperte, opacità della giurisprudenza, in DPCE online, n. 2/2023, 1607 ss.; nel senso indicato nel testo, L. Pasanisi, Le concessioni balneari: una questione politica di particolare importanza, in www.giustizia-amministrativa.it, 4 luglio 2023, 7; N. Durante, Concessioni balneari: avviso ai naviganti, ivi, 30 giugno 2023, 4. Questi ultimi due contributi riproducono le relazioni svolte dai Presidenti di Sezione del TAR Campania – Salerno al Convegno ASD e Concessioni demaniali marittime – Lo scoglio della Bolkestein e le opportune correzioni di rotta, organizzato ad Ischia il 14 giugno 2023 su iniziativa dell’Associazione Circoli Nautici della Campania.
[3] Sez. VI, 1 marzo 2023, n. 2192; per qualche richiamo a questa sentenza, nella giurisprudenza di primo grado, TAR Puglia, Bari, 11 maggio 2023, n. 755; TAR Campania, Salerno, 24 aprile 2023, n. 935.
[4] D. Casanova, Una nuova promulgazione dissenziente: la lettera del Presidente della Repubblica in relazione alla legge di conversione del c.d. decreto milleproroghe (l. n. 14/2023), in Osservatorio AIC, fasc. 3/2023, 6 giugno 2023; S. Curreri, Sull’auto-attribuzione da parte del Presidente della Repubblica del potere di promulgazione parziale dei testi legislativi, in laCostituzione.info, 8 marzo 2023.
[5] D.P.R. 21 luglio 2022, n. 96, in GU Serie Generale n. 169 del 21 luglio 2022.
[6] R. Dipace, Concessioni “balneari” e la persistente necessità della pronuncia della Corte di Giustizia, in questa Rivista, 14 ottobre 2022; E. Chiti, False piste: Il Tar Lecce e le concessioni demaniali marittime, in Giorn. dir. amm., 2021, 801.
[7] R. Tumbiolo, Il Demanio Costiero come risorsa naturale e ambientale, in RGA online, 2 giugno 2023;
[8] C. Curti Gialdino, Il Governo Meloni e l’Unione europea: gli esordi del nuovo Esecutivo, in federalismi.it., 7 dicembre 2022, 18.
[9] F. Francario, Se questa è nomofilachia, cit.
[10] Come sembra ritenere, sia pure con riferimento alla pendenza del termine per l’emanazione dei decreti legislativi prevista dalla legge n. 118/2022, TAR Puglia, Lecce, 21 aprile 2023, n. 523.
[11] G. Tropea, Concessioni balneari: stessa spiaggia stesso mare?, in laCostituzione.info, 15 aprile 2023.
[12] F. Francario, Se questa è nomofilachia, cit.
[13] Cons. Stato, sez. V, 15 marzo 2022 n. 1811.
[14] TAR Sicilia, Catania, 21 aprile 2023 n. 1142.
[15] TAR Puglia Lecce 4.1.2023 n. 25.
[16] TAR Sicilia, Catania, n. 1142/2022, cit.; Cons. Stato, sez. V, 14 marzo 2019, n. 1684.
[17] M.A. Sandulli, Sulle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze nn. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, cit.
[18] CGUE, Prima Sezione, 11 settembre 2019, C-383/18.
[19] M.A. Sandulli, op. cit.; R. Mastroianni, L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato e le concessioni balneari: due passi avanti e uno indietro?, in Eurojus, n. 1/2022, pp. 105 ss., spec. 115 ss.