Sommario: 1. Premessa: sulla progressiva implementazione di uno statuto garantistico per il c.d. diritto amministrativo ‘punitivo’. - 2. Sanzioni amministrative ‘punitive’ e standard probatorio: il caso concreto. - 3. (Segue): Il tradizionale orientamento giurisprudenziale: il canone della ‘ragionevole probabilità’ o della c.d. ‘preponderanza delle evidenze’. - 4. (Segue): Presunzione d’innocenza e ‘dubbio ragionevole’: lo standard probatorio enunciato dal Consiglio di Stato. - 5. Brevi conclusioni: per un allineamento della giurisprudenza (ordinaria e amministrativa) al canone dell’‘oltre ogni ragionevole dubbio’ nel sindacato sulle sanzioni amministrative ‘punitive’.
1. Premessa: sulla progressiva implementazione di uno statuto garantistico per il c.d. diritto amministrativo ‘punitivo’.
La Sesta Sezione del Consiglio di Stato, con la pronuncia n. 3570 del 9 maggio 2022 – qui brevemente annotata – interviene su una questione di fondamentale importanza per lo statuto giuridico del c.d. diritto amministrativo ‘punitivo’[i], ossia lo standard probatorio richiesto per il sindacato giudiziale sulle sanzioni amministrative sostanzialmente penali ai sensi CEDU.
È noto il progressivo percorso di trasposizione dei principî e delle regole garantistiche propri della materia penale agli illeciti amministrativi qualificabili come ‘criminal offences’[ii] secondo i c.d. criteri ‘Engel’[iii]. A tale riguardo, sia sufficiente richiamare[iv] l’acquisita applicazione dei canoni di irretroattività[v] e di sufficiente precisione[vi] delle norme incriminatrici, di retroattività delle disposizioni sopravvenute più favorevoli al trasgressore (c.d. retroattività ‘in mitius’)[vii], di proporzionalità dei regimi sanzionatori[viii], di ‘ne bis in idem’[ix] e di protezione contro l’auto-incriminazione[x].
Nondimeno, in disparte all’invocazione e al rispetto delle suddette garanzie di civiltà giuridica, autorevole dottrina[xi] ha segnalato le gravi difficoltà che i soggetti destinatari di sanzioni amministrative punitive incontrano, sul versante dell’effettività della tutela, nel contestare giudizialmente detta tipologia di provvedimenti per vedere accolte le proprie ragioni (il pensiero corre, in particolar modo, alle sanzioni irrogate dalle autorità amministrative indipendenti nelle materie finanziaria o antitrust). L’argomento, di tutta evidenza, involge i profili dello standard probatorio utilizzabile, in prima battuta, dall’autorità amministrativa sanzionante, ma soprattutto dall’organo giurisdizionale nel successivo riesame (in conformità ai canoni della c.d. ‘full jurisdiction’[xii]) della fattispecie, onde verificare la sussistenza dei fatti costitutivi dell’illecito contestato e, di riflesso, la sussistenza della responsabilità.
La questione, sebbene di rilevanza centrale, non è stata sinora posta ampiamente al centro del dibattito dottrinale e giurisprudenziale[xiii]; ragione per cui, la sentenza in commento risulta significativa e meritevole della massima attenzione.
2. Sanzioni amministrative ‘punitive’ e standard probatorio: il caso concreto.
Al fine di meglio delineare la portata (innovativa) del principio espresso dal Consiglio di Stato è opportuno rassegnare, di seguito, alcuni limitati profili di fatto relativi al contenzioso trattato dal giudice amministrativo.
Segnatamente, la sentenza in commento interviene su una fattispecie di intesa segreta restrittiva (per oggetto) della concorrenza, in violazione dell’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), contestata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) nei confronti di una pluralità di operatori economici, i quali – asseritamente legati da dinamiche concertative – hanno partecipato a diversi lotti di una procedura di gara aperta per la stipula di una convenzione quadro finalizzata all’erogazione di servizi di c.d. ‘facility management’ presso uffici pubblici e immobili in uso a enti universitari e di ricerca.
Il procedimento, avviato su impulso dell’AGCM, si è concluso con l’accertamento dell’illecito antitrust sulla scorta di un quadro probatorio di matrice prevalentemente indiziaria, con conseguente irrogazione di severe (ai sensi CEDU) sanzioni amministrative pecuniarie.
Il provvedimento disposto dall’AGCM è stato, dunque, impugnato – avanti al competente giudice amministrativo – da tutte le parti interessate che hanno sollevato plurime censure di ordine sostanziale e procedurale. Alcuni ricorsi sono stati accolti dal T.a.r per il Lazio, sede di Roma, limitatamente al c.d. ‘quantum’[xiv]; altri, invece, [xv] con riguardo a vizi relativi al c.d. ‘an’, con conseguente annullamento in parte qua del provvedimento sanzionatorio.
Avverso le sentenze di prime cure, le parti soccombenti hanno proposto impugnazione (in via principale o incidentale) avanti al Consiglio di Stato, la cui Sesta Sezione – disposta la riunione degli appelli per ragioni di connessione oggettiva e parzialmente soggettiva – ha infine definito la controversia con la pronuncia in esame n. 3570 del 9 maggio 2022.
La complessità del caso di specie discende dall’esigenza di sindacare l’articolato compendio probatorio indiziario, su cui si fonda il provvedimento sanzionatorio contestato, al fine di verificare la fondatezza della pretesa punitiva, e dunque la sussistenza dell’illecito nei suoi profili fattuali e nella relativa configurabilità in senso giuridico. Del resto, la necessità di impostare il c.d. ‘enforcement’ degli illeciti anticoncorrenziali e di abuso di mercato su ragionamenti presuntivi trova giustificazione nel principio dell’effetto utile del diritto europeo, atteso che si tratta di fattispecie rispetto alle quali è estremamente difficoltoso rinvenire prove dirette o rappresentative[xvi].
Ragion per cui, il Consiglio di Stato ha giustamente rimarcato che «[…] la prova delle intese restrittive della concorrenza può essere sostenuta da un compendio probatorio di natura indiziaria, ovvero un complesso di prove esclusivamente indirette, purché queste possano essere significative al pari della prova rappresentativa (anche il processo penale consente il ricorso alla prova indiziaria ed ai principi fondati sull’esperienza)» (§ 8.2).
Sennonché, al di là dell’astratta ammissibilità di presunzioni e prove di matrice inferenziale, ciò che risulta invero di fondamentale importanza per l’asserito trasgressore è l’intensità dello standard probatorio richiesto all’autorità per giustificare la concreta irrogazione della sanzione amministrativa punitiva. Questa è, per l’appunto, la questione sulla quale si incentra il nucleo essenziale del ragionamento garantistico svolto dal Consiglio di Stato con la sentenza in commento, per la cui miglior comprensione occorre dare conto – in estrema sintesi – del consolidato indirizzo che emerge dall’analisi del formante giurisprudenziale.
3. (Segue): Il tradizionale orientamento giurisprudenziale: il canone della ‘ragionevole probabilità’ o della c.d. ‘preponderanza delle evidenze’.
In particolare, nella prassi giudiziaria (pressoché unanime) non si afferma espressamente, pur al cospetto di fattispecie sanzionatorie punitive ai sensi CEDU, che il sindacato delle corti amministrative od ordinarie debba svolgersi in conformità all’elevato standard penalistico del c.d. ‘oltre ogni ragionevole dubbio’[xvii].
Pur in difetto di enunciazioni esplicite, salvo talune limitate eccezioni[xviii], la dinamica giudiziale risulta fattualmente assestata sul (meno intenso) paradigma probatorio della ‘ragionevole probabilità’ ovvero della c.d. preponderanza dell’evidenza o del ‘più probabile che non’ (sebbene in un senso a-tecnico, poiché l’anzidetta formula si riferisce propriamente al nesso di causalità in materia risarcitoria)[xix]. In altri termini, i provvedimenti sanzionatori vengono giudicati legittimi laddove il corredo probatorio portato dall’amministrazione, cui compete il relativo onere sostanziale[xx], sia connotato da un grado di probabilità prevalente o, comunque, superiore rispetto alle ricostruzioni alternative addotte dall’asserito trasgressore.
Si è consapevoli che quanto sommariamente evidenziato palesi la difficoltà di sintetizzare, entro schemi concettuali ‘rigidi’, modelli di ragionamento che – per loro natura – sono destinati a essere applicati, caso per caso, a fattispecie assai diversificate sul piano empirico-fattuale. Nondimeno, è possibile ritenere che il segnalato coefficiente probabilistico esprima comunque uno standard inferiore[xxi] al livello di certezza richiesto per le sanzioni ‘formalmente’ penali, ove – com’è noto – la sussistenza di un ‘ragionevole dubbio’ è di per sé idonea a incrinare la coerenza dell’impianto accusatorio.
Con larga frequenza, infatti, si rinviene la massima[xxii] secondo cui l’esistenza del fatto ‘ignoto’, ricavabile per effetto del processo logico sotteso alla prova presuntiva, debba risultare quale conseguenza naturalisticamente accettabile del fatto ‘noto’ secondo canoni di ‘ragionevole probabilità’: il che non significa pretendere un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva tra i due termini del ragionamento inferenziale, bensì una conclusione di prevalente attendibilità rispetto alle ipotesi ricostruttive alternative.
Ne discende, pertanto, una significativa difficoltà probatoria per il soggetto sanzionato, il quale potrà confutare il compendio probatorio fornito dall’autorità amministrativa soltanto convincendo il giudicante che l’allegata (e corroborata) spiegazione alternativa dei fatti superi – in termini di coefficiente probabilistico e logico – la tesi sulla quale si fonda la pretesa punitiva.
In via di estrema sintesi, si potrebbe definire il suddetto schema nei termini di un processo di falsificazione (richiamando, in un’accezione forse impropria, il lessico ‘popperiano’[xxiii]) che finisce per tradursi, nella concreta dinamica processuale, in un’inversione ‘mascherata’ dell’onere della prova sostanziale (anche se nella forma della prova contraria[xxiv]).
Ed è proprio su questi aspetti che interviene la pronuncia in commento.
4. (Segue): Presunzione d’innocenza e ‘dubbio ragionevole’: lo standard probatorio enunciato dal Consiglio di Stato.
Il Consiglio di Stato, prima di svolgere lo scrutinio sugli indici fattuali del caso concreto, ha cura di illustrare le coordinate teorico-giuridiche relative allo standard probatorio da osservare nel sindacato giudiziale sulle sanzioni amministrative ‘punitive’.
Il ragionamento muove, anzitutto, dalla pacifica constatazione della natura ‘penale’ (ai sensi CEDU) delle sanzioni amministrative comminate dall’Autorità antitrust[xxv]: il che è indubbio in ragione delle «[…] finalità repressive e preventive perseguite e del fatto che l’accertamento di antitrust infringement determina, oltre all’irrogazione di pesanti sanzioni amministrative pecuniarie e alla condanna al risarcimento del danno eventualmente cagionato, anche un significativo danno reputazionale» (§ 8.1.).
Trattandosi di sanzioni sostanzialmente penali, si impone – in via generale – l’applicazione del fondamentale principio garantistico di presunzione d’innocenza (rectius: di non colpevolezza), come peraltro sancito dalla giurisprudenza europea[xxvi] sulla scorta dell’art. 48, § 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea («Ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata») nonché dell’art. 6, § 2, della CEDU («Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata»)[xxvii].
Ai nostri fini, il passaggio logico successivo è di fondamentale importanza.
Se si ammette che le procedure (amministrative o giurisdizionali) aventi a oggetto fattispecie sanzionatorie ‘punitive’ debbano rispettare il principio di presunzione di innocenza[xxviii], è altrettanto necessario – quale corollario applicativo – che esse siano assoggettate al rigoroso standard probatorio dell’oltre ogni ragionevole dubbio: di talché, «[…] qualora sussista un dubbio nella mente del giudice, esso deve andare a beneficio dell’impresa destinataria della decisione che constata un’infrazione»[xxix] (§ 8.1.).
Per l’effetto, l’organo giudiziale è tenuto a caducare il provvedimento sanzionatorio qualora l’‘accusato’ sia in grado di fornire in giudizio una ‘plausibile’ spiegazione alternativa dei fatti accertati dall’autorità amministrativa[xxx], essendo allo scopo sufficiente che il dubbio trasferito al giudicante sia ‘ragionevole’[xxxi], ossia correlato a dati empirici riscontrabili e di rilievo non meramente ipotetico o congetturale.
Con riferimento agli illeciti anticoncorrenziali, la suddetta conclusione si correla alla specifica disciplina sull’onere della prova posta dall’art. 2 del Regolamento (CE) n. 1/2003[xxxii], ove si dispone che «[i]n tutti i procedimenti nazionali o comunitari relativi all’applicazione degli articoli 81 e 82 del trattato, l’onere della prova di un’infrazione dell’articolo 81, paragrafo 1, o dell’articolo 82 del trattato incombe alla parte o all’autorità che asserisce tale infrazione» (oggi artt. 101 e 102 TFUE).
Sennonché, fermo restando lo standard probatorio sopra richiamato, il Consiglio di Stato rileva che il medesimo regolamento – in altra sua parte[xxxiii] – sembra invece rimettere ai giudici domestici l’individuazione del ‘grado di intensità della prova’ richiesto per i procedimenti nazionali, beninteso in compatibilità con i principî generali del diritto euro-unitario.
Dal momento che il principio di presunzione di innocenza non osta – di per sé – all’utilizzo di prove presuntive, ai fini del giudizio di responsabilità in materia sostanzialmente penale è importante precisare il rilievo assunto dal canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio rispetto al procedimento logico-giuridico di matrice inferenziale.
Il Consiglio di Stato, allo scopo, analizza la struttura del ragionamento indiziario ricorrendo a uno schema concettuale ‘bifasico’. Segnatamente, si afferma che il giudicante deve, innanzitutto, apprezzare la ‘valenza qualitativa’ del singolo indizio, vale a dire «[…] la forza di necessità logica con la quale esso è in grado di dimostrare il fatto rilevante, al fine di eliminare gli elementi che appaiono semplici illazioni o supposizioni arbitrarie» (§ 8.5.); per poi, in secondo luogo, svolgere un esame globale degli indizi risultanti dal segnalato ‘filtro’ logico-giuridico onde accertare, valendosi dei canoni di gravità, precisione e concordanza ex art. 2729 c.c., se «[…] gli stessi, una volta integrati gli uni con gli altri, siano in grado di dissolvere la loro intrinseca ambiguità» (§ 8.5.).
All’esito della suddetta attività conoscitiva, da implementare nel rispetto del contraddittorio processuale, il giudice dovrà applicare al caso concreto il richiamato canone probatorio dell’oltre ogni ragionevole dubbio: l’ipotesi ‘accusatoria’ potrà ritenersi conforme allo standard della ‘certezza processuale’ solo se «[…] essa risulti l’unica in grado di giustificare i vari elementi probatori raccolti, ovvero la più attendibile rispetto alle altre ipotesi alternative, pure astrattamente prospettabili, ma la cui realizzazione storica, in quanto priva di riscontri significativi nelle emergenze istruttorie, appaia soltanto una eventualità remota» (§ 8.5.).
Ciò premesso, si ha cura di rimarcare che l’intensità del sindacato giudiziale in materia di sanzioni amministrative punitive non tollera limitazioni (nemmeno) al cospetto dei concetti giuridici indeterminati eventualmente presenti nella fattispecie incriminatrice di fonte legale. In questi casi, infatti, non è conferente il tradizionale modello di controllo giudiziale sull’esercizio della c.d. discrezionalità tecnica, nell’impostazione tipica dei processi di natura meramente impugnatoria aventi a oggetto provvedimenti amministrativi non sanzionatori[xxxiv], stante la rilevanza interpretativa dell’attività di accertamento dell’illecito soggetta a un sindacato giurisdizionale ‘parametrico’ e non ‘funzionale’[xxxv].
In altri termini, nella materia in esame, il giudicante – in coerenza con i connotati strutturali del giudizio sul c.d. ‘rapporto’[xxxvi] – non può confinare il proprio scrutinio a una (invero più deferente) verifica di mera ‘ragionevolezza tecnica’ della soluzione adottata dal provvedimento impugnato[xxxvii], nell’ambito della più ampia gamma di plausibili opzioni decisorie per lo specifico ‘problema amministrativo’. Invero, «[…] la sussunzione delle circostanze di fatto nel perimetro di estensione logica e semantica dei concetti giuridici indeterminati (ad esempio, quella del “mercato rilevante”) è una attività intellettiva ricompresa nell’interpretazione dei presupposti della fattispecie normativa» (§ 8.5.).
Ragione per cui, il sindacato sulle fattispecie sanzionatorie sostanzialmente penali deve necessariamente procedere attraverso una piena e diretta verifica, in conformità ai canoni della c.d. ‘full jurisdiction’, «[…] della quaestio facti sotto il profilo della sua intrinseca verità, per quanto, in senso epistemologico, controvertibile» (§ 8.5.)[xxxviii].
5. Brevi conclusioni: per un allineamento della giurisprudenza (ordinaria e amministrativa) al canone dell’‘oltre ogni ragionevole dubbio’ nel sindacato sulle sanzioni amministrative ‘punitive’.
Sulla scorta di quanto premesso, la sentenza annotata è di indubbia importanza.
Il Consiglio di Stato, infatti, riconoscendo l’applicabilità dello standard probatorio dell’oltre ogni ragionevole dubbio nel sindacato giudiziale sulle sanzioni amministrative punitive, aggiunge un ulteriore e rilevante ‘tassello garantistico’ allo statuto giuridico dei provvedimenti sostanzialmente penali ai sensi CEDU.
Si auspica, pertanto, che tale precedente assurga a ‘leading case’ non restando isolato nella futura prassi giurisprudenziale del giudice amministrativo, ma soprattutto di quello ordinario quando è chiamato a pronunciarsi sulle opposizioni a sanzione amministrativa (si pensi, a titolo di esempio, alle importanti potestà ‘punitive’ di competenza della Banca d’Italia e della Consob).
Invero, non sarebbe accettabile una marcata disarmonia tra le due giurisdizioni rispetto a garanzie che attengono al ‘core’ dell’effettività della tutela giurisdizionale. Sicché, fondamentali esigenze di eguaglianza e di unità della giurisdizione (nell’accezione ‘funzionale’ del termine[xxxix]) imporranno un allineamento al canone probatorio del c.d. ‘in dubio pro reo’[xl], evitando così che l’asserito trasgressore (beneficiario, sino a prova contraria, della presunzione di non colpevolezza) non subisca un’inaccettabile contrazione della tutela a seconda del plesso giurisdizionale ove, secondo criteri di riparto sovente espressione di contingenti esigenze di politica del diritto, sia radicata la singola controversia.
[i] Sulla definizione di sanzione amministrativa ‘punitiva’ cfr., per tutti, D. Simeoli, Le sanzioni amministrative ‘punitive’ tra diritto costituzionale ed europeo, in Riv. reg. merc., 2022, I, p. 47, ove si ricorre a tale espressione per identificare «[…] le misure afflittive che, per quanto applicate da organi di natura amministrativa e non giurisdizionale, sono attratte, per impulso degli impegni assunti a livello internazionale, nell’alveo protettivo delle principali garanzie riconosciute in ‘materia penale’, al di là della loro formale qualificazione giuridica».
[ii] Sull’autonomia della nozione di ‘materia penale’ nella CEDU cfr. G. Ubertis, L’autonomia linguistica della Corte di Strasburgo, in Arch. Pen., 2012, I, p. 21 e ss.
[iii] Cfr. Corte Edu, 8 giugno 1976 (‘Engel e altri c. Paesi Bassi’), § 82, ove si rinviene la formulazione dei tre criteri alternativi per la qualificazione di una sanzione amministrativa o disciplinare in senso ‘penale’ ai fini CEDU: la classificazione giuridica effettuata dall’ordinamento nazionale, la natura dell’infrazione e il grado di severità della sanzione («[…] it is first necessary to know whether the provision(s) defining the offence charged belong, according to the legal system of the respondent State, to criminal law, disciplinary law or both concurrently. This however provides no more than a starting point. The indications so afforded have only a formal and relative value and must be examined in the light of the common denominator of the respective legislation of the various Contracting States. The very nature of the offence is a factor of greater import. […] However, supervision by the Court does not stop there. Such supervision would generally prove to be illusory if it did not also take into consideration the degree of severity of the penalty that the person concerned risks incurring. In a society subscribing to the rule of law, there belong to the ‘criminal’ sphere deprivations of liberty liable to be imposed as a punishment, except those which by their nature, duration or manner of execution cannot be appreciably detrimental»). Si v., anche, quanto affermato dalla successiva (e fondamentale) decisione della Corte Edu, 21 febbraio 1984 (‘Öztürk c. Germania’), in Riv. it. dir. proc. pen., 1985, III, p. 894 e ss. (con nota di C. Paliero), § 49, ove si chiarisce che «[…] se gli Stati contraenti potessero, a loro piacimento, qualificare ‘amministrativo’ piuttosto che penale un illecito, l’effetto delle norme fondamentali degli artt. 6 e 7 sarebbe subordinato alla loro volontà sovrana. Una così ampia libertà rischierebbe di condurre a risultati incompatibili con l’oggetto e lo scopo della Convenzione».
[iv] Per ogni approfondimento si rinvia, per tutti, a D. Simeoli, Le sanzioni amministrative ‘punitive’ tra diritto costituzionale ed europeo, cit., p. 47 e ss.; F. Viganò, Garanzie penalistiche e sanzioni amministrative, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, IV, p. 1775 e ss.; e F. GOISIS, La tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni amministrative tra diritto nazionale ed europeo, Torino, 2018.
[v] Cfr., per tutte, Corte cost. 4 giugno 2010, n. 196, in Cass. pen., 2011, II, p. 528 e ss., ove si afferma che «[d]alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, formatasi in particolare sull’interpretazione degli artt. 6 e 7 della CEDU, si ricava, pertanto, il principio secondo il quale tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto. Principio questo, del resto, desumibile dall’art. 25, secondo comma, Cost., il quale - data l’ampiezza della sua formulazione (‘Nessuno può essere punito...’) - può essere interpretato nel senso che ogni intervento sanzionatorio, il quale non abbia prevalentemente la funzione di prevenzione criminale (e quindi non sia riconducibile - in senso stretto - a vere e proprie misure di sicurezza), è applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti già vigente al momento della commissione del fatto sanzionato»; Id., 18 aprile 2014, n. 104, in Cass. pen., 2015, V, p. 1825 e ss.; Id., 7 aprile 2017, n. 68, in Giur. Cost., 2017, II, p. 681 e ss.; e Id., 5 dicembre 2018, n. 223, in Giur. Cost., 2018, VI, p. 2575 e ss.
[vi] Cfr., per tutte, Corte cost. 13 giugno 2018, n. 121, in Giur. Cost., 2018, III, p. 1359 e ss., ove si afferma che «[…] il principio di legalità, prevedibilità e accessibilità della condotta sanzionabile e della sanzione aventi carattere punitivo-afflittivo, qualunque sia il nomen ad essa attribuito dall’ordinamento, del resto, non può, ormai, non considerarsi patrimonio derivato non soltanto dai principi costituzionali, ma anche da quelli del diritto convenzionale e sovranazionale europeo, in base ai quali è illegittimo sanzionare comportamenti posti in essere da soggetti che non siano stati messi in condizione di ‘conoscere’, in tutte le sue dimensioni tipizzate, la illiceità della condotta omissiva o commissiva concretamente realizzata»; e Id., 29 maggio 2019, n. 134, in Foro it., 2019, VII-VIII, p. 2217 e ss., ove si rimarca che le leggi «[…] che stabiliscono sanzioni amministrative debbono garantire ai propri destinatari […] la conoscibilità del precetto e la prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie: requisiti questi ultimi che condizionano la legittimità costituzionale di tali leggi regionali, al cospetto del diverso principio di determinatezza delle norme sanzionatorie aventi carattere punitivo-afflittivo, desumibile dall’art. 25, secondo comma, Cost.».
[vii] Cfr., ex multis, Corte cost. 21 marzo 2019, n. 63, in Giur. Cost., 2019, II, p. 819 e ss., ove si afferma che rispetto «[…] a singole sanzioni amministrative che abbiano natura e finalità ‘punitiva’, il complesso dei principi enucleati dalla Corte di Strasburgo a proposito della ‘materia penale’ - ivi compreso, dunque, il principio di retroattività della lex mitior […] - non potrà che estendersi anche a tali sanzioni. […] L’estensione del principio di retroattività della lex mitior in materia di sanzioni amministrative aventi natura e funzione ‘punitiva’ è, del resto, conforme alla logica sottesa alla giurisprudenza costituzionale sviluppatasi, sulla base dell’art. 3 Cost., in ordine alle sanzioni propriamente penali. Laddove, infatti, la sanzione amministrativa abbia natura ‘punitiva’, di regola non vi sarà ragione per continuare ad applicare nei confronti di costui tale sanzione, qualora il fatto sia successivamente considerato non più illecito; né per continuare ad applicarla in una misura considerata ormai eccessiva (e per ciò stesso sproporzionata) rispetto al mutato apprezzamento della gravità dell’illecito da parte dell’ordinamento». A siffatte conclusioni è possibile derogare unicamente nei casi in cui «[…] sussistano ragioni cogenti di tutela di controinteressi di rango costituzionale, tali da resistere al medesimo ‘vaglio positivo di ragionevolezza’, al cui metro debbono essere in linea generale valutate le deroghe al principio di retroattività in mitius nella materia penale».
[viii] Cfr., per tutte, Corte cost. 10 maggio 2019, n. 112, in Giur. Cost., 2019, III, p. 1364 e ss., ove si rimarca che «[…] non può dubitarsi che il principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell’illecito sia applicabile anche alla generalità delle sanzioni amministrative».
[ix] Cfr., nella giurisprudenza convenzionale, Corte Edu, 4 marzo 2014 (‘Grande Stevens e a. c. Italia’), in Giur. Cost., 2014, III, p. 2919 e ss.; e, con un parziale revirement, Id., Grande Chambre, 15 novembre 2016 (‘A e B c. Norvegia’), in Cass. Pen., 2017, III, p. 1227 e ss., ove – com’è noto – si rimette al giudicante la valutazione in ordine al ‘coordinamento’ (temporale e nell’oggetto) tra i due procedimenti nonché la proporzionalità della complessiva risposta sanzionatoria nei casi in cui operi il ‘cumulo’.
[x] Il riferimento è al diritto al silenzio dell’incolpato (‘nemo tenetur se detegere’), riconosciuto – con riguardo alle sanzioni amministrative punitive – da Corte cost. 30 aprile 2021, n. 84, in Giur. Cost., 2021, II, p. 1028 e ss. Sia consentito rinviare, per un commento alla pronuncia cit., a M. Allena - S. Vaccari, Diritto al silenzio e autorità di vigilanza dei mercati finanziari, in Riv. Dir. Banc., 2022, III, p. 689 e ss.
[xi] Cfr. M. Clarich, Quando i poteri delle autorità di Vigilanza possono anche sconfinare nell’arbitrio, in Milano-Finanza, 16 febbraio 2022, ove si rileva che «[…] al di là delle garanzie di difesa nei procedimenti sanzionatori, un altro versante critico è quello della tutela giurisdizionale a valle della sanzione o di altri provvedimenti repressivi». Invero, «[l]e statistiche, in particolare nei procedimenti della Consob e della Banca d’Italia, dimostrano che quasi mai le parti private riescono a far annullare nel merito i provvedimenti sanzionatori. I giudici tendono infatti a confermare le valutazioni delle autorità e le conclusioni raggiunte specie là dove si tratta di casi ad alta complessità tecnica».
[xii] Cfr., per la chiarezza, Cons. Stato, sez. VI, 26 marzo 2015, n. 1595, in Foro amm., 2015, III, p. 763 e ss.: «[i]l sindacato di full jurisdiction implica, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, il potere del giudice di sindacare la fondatezza, l’esattezza e la correttezza delle scelte amministrative così realizzando, di fatto, un continuum tra procedimento amministrativo e procedimento giurisdizionale. La piena giurisdizione implica il potere del giudice di condurre un’analisi “point by point” su tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti ai fini dell’applicazione della sanzione, senza ritenersi vincolato all’accertamento compiuto dagli organi amministrativi e anzi dovendo sostituire la sua valutazione a quella, contestata, dell’amministrazione. In altre parole, quando le garanzie del giusto processo non siano assicurate in sede procedimentale, esse devono essere necessariamente soddisfatte in sede processuale ove il giudice, per supplire alla carenza di garanzie del contraddittorio, di indipendenza del decisore, di parità delle parti, deve agire come se riesercitasse il potere, senza alcun limite alla piena cognizione dei fatti e degli interessi in gioco». Sul tema cfr., in dottrina, M. Allena, La full jurisdiction tra sindacato di “maggiore attendibilità” del giudice amministrativo e mito della separazione dei poteri, in A. Carbone (a cura di), L’applicazione dell’art. 6 CEDU nel processo amministrativo dei paesi europei, Napoli, 2020, p. 23 e ss.
[xiii] Si v., per tutti, S.L. Vitale, Le sanzioni amministrative tra diritto nazionale e diritto europeo, Torino, 2018, p. 27, ove si è, innanzitutto, evidenziato che «[…] una rilevante differenza tra processo volto alla irrogazione della sanzione penale e procedimento volto alla irrogazione della sanzione amministrativa risiede nello standard probatorio applicabile». Com’è noto, infatti, mentre «[…] nel processo penale, in considerazione della rilevanza degli interessi in gioco, può giungersi ad una sentenza di condanna solo ove la colpevolezza per il reato sia accertata ‘oltre il ragionevole dubbio’, per il processo civile e amministrativo, così come a fortiori per il procedimento amministrativo, è richiesto un minore standard probatorio, compendiato nella formula del ‘più probabile che non’. Di conseguenza, deve ritenersi che anche nei procedimenti di irrogazione delle sanzioni amministrative dovrà applicarsi tale ultimo standard probatorio». Preso atto di ciò, l’A. ha dovuto constatare che «[l]a questione non è stata messa pienamente in luce dalla dottrina che ha studiato la sanzione amministrativa, ma a nostro avviso assume oggi rilevanza nell’analisi degli aspetti differenziali che intercorrono tra questa e la sanzione penale».
[xiv] Il riferimento è alle sentenze T.a.r Lazio, Roma, sez. I, Id., 27 luglio 2020, n. 8769; Id. 27 luglio 2020, n. 8774; Id., 27 luglio 2020, n. 8775; Id., 27 luglio 2020, n. 8776; Id., 27 luglio 2020, n. 8777; Id., 27 luglio 2020, n. 8778; Id., 27 luglio 2020, n. 8779.
[xv] Cfr. T.a.r Lazio, Roma, sez. I, 27 luglio 2020, n. 8765; Id., 27 luglio 2020, n. 8767; Id., 27 luglio 2020, n. 8768.
[xvi] Cfr., nella giurisprudenza europea in materia di illeciti anticoncorrenziali, CGUE 7 gennaio 2004, in C-204/00 P, C-205/00 P, C-211/00 P, C-213/00 P, C-217/00 P e C-219/00 P (‘Aalborg Portland A/S e a. c. Commissione delle Comunità europee’), § 55 e ss., ove si chiarisce che «[p]oiché sono noti tanto il divieto di partecipare a pratiche e accordi anticoncorrenziali quanto le sanzioni che possono essere irrogate ai contravventori, di norma le attività derivanti da tali pratiche ed accordi si svolgono in modo clandestino, le riunioni sono segrete, spesso in un paese terzo, e la documentazione ad esse relativa è ridotta al minimo. Anche se la Commissione scoprisse documenti attestanti in modo esplicito un contatto illegittimo tra operatori, come i resoconti di una riunione, questi ultimi sarebbero di regola solo frammentari e sporadici, di modo che si rivela spesso necessario ricostituire taluni dettagli per via di deduzioni. Nella maggior parte dei casi, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale dev’essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi i quali, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole sulla concorrenza». Analogamente, cfr. CGUE 1° luglio 2010, in C-407/08 P (‘Knauf Gips KG c. Commissione europea’), § 49. In materia di sanzioni per violazione delle disposizioni sull’intermediazione finanziaria si v. Cass. civ., Sez. Un., 30 settembre 2009, n. 20930, in Foro it., 2010, XI, p. 3129 e ss., ove la Corte «[s]ulla generale premessa per cui la responsabilità va provata dall’amministrazione» e «[…] dopo avere ribadito il pieno rispetto del principio dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 c.c. in capo all’ente sanzionante» ritiene ammissibile la possibilità di «[…] ricorrere con ampiezza a presunzioni idonee in ordine alla prova, da parte dell’amministrazione, dell’elemento oggettivo della condotta».
[xvii] Cfr. l’art. 533, co. 1, c.p.p. ove, nella versione vigente (che segue alle modifiche apportate dall’art. 5, co. 1, della l. 20 febbraio 2006, n. 46), si dispone che «[i]l giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio». Sullo standard dell’oltre ogni ragionevole dubbio restano fondamentali, in giurisprudenza, i precedenti Cass. pen., Sez. Un., 30 ottobre 2003, n. 45276 (‘Andreotti’), in Cass. pen., 2004, III, p. 811 e ss.; Id., 10 luglio 2002, n. 30328 (‘Franzese’), in Foro it. 2002, II, p. 601 e ss.; Id., 21 aprile 1995, n. 11 (‘Costantino’), in Giust. pen., 1996, III, p. 321 e ss. Sul piano comparato, anche in chiave storica, cfr. il § 1096 del ‘Penal Code of California’, ove si rinviene la seguente (chiara) definizione di ‘ragionevole dubbio’ (rispetto al quale si v. l’altrettanto noto precedente ‘People of the State of California v. Orenthal James Simpson’, richiamato da Corte d’Assise di Milano 18 aprile 2005): «[a] defendant in a criminal action is presumed to be innocent until the contrary is proved, and in case of a reasonable doubt whether his or her guilt is satisfactorily shown, he or she is entitled to an acquittal, but the effect of this presumption is only to place upon the state the burden of proving him or her guilty beyond a reasonable doubt. Reasonable doubt is defined as follows: ‘It is not a mere possible doubt; because everything relating to human affairs is open to some possible or imaginary doubt. It is that state of the case, which, after the entire comparison and consideration of all the evidence, leaves the minds of jurors in that condition that they cannot say they feel an abiding conviction of the truth of the charge’». Per ogni approfondimento sullo standard in esame, cfr. in dottrina, oltre all’importante ricostruzione (anche sul piano culturale) offerta da F. Stella, Giustizia e modernità. La protezione dell’innocente e la tutela delle vittime, Milano, 2003, p. 116 e ss., quantomeno G. Canzio - M. Taruffo - G. Ubertis, Fatto, prova e verità (alla luce del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio), in Criminalia, 2009, p. 305 e ss.; F. Caprioli, L’accertamento della responsabilità penale ‘oltre ogni ragionevole dubbio’, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, I, p. 51 e ss.; M. Pisani, Riflessioni sul tema del ‘ragionevole dubbio’, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, IV, p. 1243 e ss.; F. D’Alessandro, L’oltre ogni ragionevole dubbio sulla valutazione della prova indiziaria, in Cass. pen., 2005, III, p. 764 e ss.; M.C. Galavotti - F. Stella, ‘Oltre il ragionevole dubbio’ come standard probatorio. Le infondate divagazioni dell’epistemologo Laudan, in Riv. it. dir proc. pen., 2005, III, p. 883 e ss.; G. Canzio, L’‘oltre ogni ragionevole dubbio’ come regola probatoria e di giudizio del processo penale, in Riv. it. dir proc. pen., 2004, I, p. 303 e ss.; C. Piemontese, Il principio dell’‘oltre ogni ragionevole dubbio’ tra accertamento processuale e ricostruzione dei presupposti della responsabilità penale, in Dir. pen. proc., 2004, VI, p. 757 e ss.
[xviii] Si v., per tutte, T.a.r. Lazio, Roma, sez. I, 8 marzo 2019, n. 3099, in Giustizia-amministrativa.it, ove – con riferimento alle sanzioni irrogate dall’AGCM in materia di tutela del consumatore (rilevanti, secondo un significativo orientamento, in senso penale ai sensi CEDU - cfr., in particolare, Cons. Stato, sez. VI, 11 novembre 2019, n. 7699, in Giustizia-amministrativa.it) – si afferma che «[…] l’adozione di un provvedimento sanzionatorio per pratica commerciale scorretta nei confronti di un professionista deve comunque basarsi su un sostrato probatorio sufficiente a far ritenere, secondo il criterio del più probabile che non, che effettivamente il comportamento abbia avuto una, quantomeno apprezzabile, potenzialità lesiva».
[xix] Cfr., per l’impostazione generale, Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 582, in Foro amm. CdS, 2008, I, p. 93 e ss., ove si afferma che «[…] ciò che muta sostanzialmente tra il processo penale e quello civile è la regola probatoria, in quanto nel primo vige la regola della prova ‘oltre il ragionevole dubbio’ (cfr. Cass. Pen. S.U. 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese), mentre nel secondo vige la regola della preponderanza dell’evidenza o ‘del più probabile che non’, stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa, e l’equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti, come rilevato da attenta dottrina che ha esaminato l’identità di tali standards delle prove in tutti gli ordinamenti occidentali, con la predetta differenza tra processo civile e penale […]. Anche la Corte di Giustizia CE è indirizzata ad accettare che la causalità non possa che poggiarsi su logiche di tipo probabilistico (CGCE, 13/07/2006, n. 295, ha ritenuto sussistere la violazione delle norme sulla concorrenza in danno del consumatore se “appaia sufficientemente probabile” che l’intesa tra compagnie assicurative possa avere un’influenza sulla vendita delle polizze della detta assicurazione; Corte giustizia CE, 15/02/2005, n. 12, sempre in tema di tutela della concorrenza, ha ritenuto che “occorre postulare le varie concatenazioni causa-effetto, al fine di accogliere quelle maggiormente probabili”)». La Corte di Cassazione ha cura di precisare che «[d]etto standard di ‘certezza probabilistica’ in materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa - statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana). Nello schema generale della probabilità come relazione logica va determinata l’attendibilità dell’ipotesi sulla base dei relativi elementi di conferma (c.d. evidence and inference nei sistemi anglosassoni)».
[xx] Si pensi, con riguardo alle sanzioni amministrative ‘depenalizzate’, all’art. 6, co. 11, del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, ove si dispone che «[i]l giudice accoglie l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente».
[xxi] In termini generali, sebbene con riferimento allo standard probatorio in materia di interdittive antimafia, cfr. Cons. Stato, sez. III, 26 settembre 2017, n. 4483, in Giustizia-amministrativa.it, ove – dopo lo svolgimento di talune premesse in ordine alla natura ‘abduttiva’ del ragionamento giudiziario – si afferma che «[è] nell’area del ragionevole dubbio che si colloca il criterio del ‘più probabile che non’: ciò che lo connota non è un diverso procedimento logico, ma la (minore) forza dimostrativa dell’evidence and inference».
[xxii] Cfr. Cass. civ., sez. III, 13 marzo 2014, n. 5787, in Foro it., 2014, XII, p. 3568 e ss., ove – riflettendo in termini generali sulle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. – si sostiene che «[l]a prova logica, qual è appunto quella presuntiva, presuppone invece non la certezza, ma la mera probabilità d’un legame logico-causale tra fatto noto e fatto ignorato». Secondo la Corte di Cassazione, infatti, esiste «[…] una inferenza presuntiva tra fatto noto e fatto ignorato quando il secondo sia probabilmente la conseguenza più attendibile del primo». In questo senso cfr. Cass. civ., sez. III, 13 ottobre 1962, n. 2971, ove già si precisava che una prova presuntiva deve ritenersi convincente quando da più indizi possa trarsi una ‘armonica spiegazione’, anche se alcuni di essi siano passibili di diversa interpretazione. Si v., anche, Cass. civ., sez. II, 10 agosto 2007, n. 17615, ove l’affermazione per cui «[i]n tema di sanzione amministrativa […] l’onere di provare tutti gli elementi oggettivi e soggettivi dell’illecito amministrativo sanzionato con l’ordinanza ingiunzione opposta, grava sull’autorità che ha emesso il provvedimento impugnato, escluso il ricorso a presunzioni legali che non possono ritenersi stabilite a favore della stessa autorità se non quando i fatti sui quali esse si fondano siano tali far apparire l’esistenza del fatto ignoto come la conseguenza del fatto noto, alla stregua di canoni di ragionevole probabilità sempreché il giudizio su tale connessione sia motivato adeguatamente in relazione ai suddetti canoni». In materia di illeciti anticoncorrenziali, cfr. T.a.r. Lazio, Roma, sez. I, 14 novembre 2018, n. 10997, in Foro amm., 2018, XI, p. 2004 e ss., ove si afferma che «[…] il giudice amministrativo, nella materia in esame, è chiamato comunque ad operare un sindacato estrinseco sulla correttezza logica dell’operato dell’Autorità, al fine di verificare l’‘iter’ ricostruttivo da questa seguito nell’analisi della norma e della sua applicabilità ai fatti concreti […], accertando, in sostanza, se la ‘possibilità’ di pregiudizio alla concorrenza su un dato mercato, a scongiurare la quale la legislazione in materia è volta, si sia tradotta o meno, nell’attuazione pratica posta in essere dagli operatori economici, in una situazione di apprezzabile ‘probabilità’ di lesione, valutando il potenziale impatto negativo delle relative condotte sulla concorrenza, con riguardo al contesto giuridico ed economico»; nonché Id., 2 dicembre 2014, n. 12168, in Foro it. 2015, I, p. 29 e ss., ove si conclude nel senso che l’autorità amministrativa «[…] ha dunque svolto una adeguata istruttoria, e ciò ha condotto al rinvenimento di numerosi ed univoci elementi indiziari circa la ragionevole sussistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza, […], è ciò rende non irragionevole, e quindi non sindacabile, la valutazione di rilevante gravità della condotta che l’Autorità ha adottato nella decisione impugnata».
[xxiii] Cfr. K. Popper, Poscritto alla logica della scoperta scientifica. I. Il realismo e lo scopo della scienza, I, Milano, 1984, p. 35: «[u]n’asserzione o teoria […] è falsificabile se e solo se esiste almeno un falsificatore potenziale, almeno un possibile asserto di base che entri logicamente in conflitto con essa».
[xxiv] Cfr., per tutte, Cass. civ., sez. I, 4 febbraio 2005, n. 2363, nella parte in cui si rileva che «[s]e è vero […] che l’opposizione all’ordinanza irrogativa di una sanzione amministrativa introduce un ordinario giudizio di cognizione sul fondamento della pretesa dell’autorità amministrativa, cui spetta l’onere di dimostrarne gli elementi costitutivi, è altrettanto vero che detta autorità può avvalersi di presunzioni che trasferiscono a carico dell’intimato l’onere della prova contraria, purché i fatti sui quali essa si fonda siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza del fatto noto, alla stregua di canoni di ragionevole probabilità e secondo regole di esperienza». In senso analogo cfr. Cass. civ., sez. I, 16 marzo 2001, n. 3837, in Foro it. 2002, I, p. 1502 e ss.
[xxv] La suddetta affermazione è assolutamente consolidata nella giurisprudenza convenzionale. Cfr., per tutte, Corte Edu, 27 settembre 2011 (‘Menarini Diagnostics S.r.l. c. Italia’).
[xxvi] Cfr., in particolare, Trib. UE, sez. II amp., 10 novembre 2017, in T-180/15 (‘Icap plc c. Commissione europea’), § 256 s., ove si osserva che il principio di presunzione di innocenza «[…] costituisce un principio generale del diritto dell’Unione attualmente sancito dall’articolo 48, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, il quale si applica alle procedure relative a violazioni delle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese, che possono sfociare nella pronuncia di multe o ammende». Il principio richiamato, inoltre, «[…] implica che ogni persona accusata è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata. Essa osta, quindi, a qualsiasi constatazione formale ed anche a qualsiasi allusione alla responsabilità della persona cui sia imputata una data infrazione in una decisione che pone fine all’azione, senza che la persona abbia potuto beneficiare di tutte le garanzie inerenti all’esercizio dei diritti della difesa nell’ambito di un procedimento che segua il suo corso normale e si concluda con una decisione sulla fondatezza dell’addebito». Cfr., anche, Corte Edu, 1° aprile 2007 (‘Geerings c. Paesi Bassi’), § 41 e ss.
[xxvii] Sul piano domestico è possibile riferirsi al principio di non colpevolezza di cui all’art. 27, co. II, Cost. («[l]’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva»). Il principio in discorso è sancito anche dall’art. 11, § 1, della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, ove si afferma che «[o]gni individuo accusato di un reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie necessarie per la sua difesa».
[xxviii] Con riferimento agli illeciti in materia antitrust, è stata avanzata in dottrina (cfr. M. Cappai, Il delicato equilibrio tra full jurisdiction ed effettività del diritto antitrust nel sindacato dei provvedimenti dell’Agcm, in Dir. soc., 2018, IV, p. 746), la proposta ricostruttiva secondo cui l’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell’art. 15, co. 1, della l. 10 ottobre 1990, n. 287, impedirebbe «[…] all’Autorità di accertare e sanzionare l’illecito in presenza di valide ragioni addotte dall’accusato a difesa dei propri comportamenti». Secondo questa tesi, infatti, il principio di presunzione di innocenza, di cui all’art. 6, § 2, CEDU, dovrebbe valere quale parametro interposto idoneo a conformare la disposizione cit. della l. n. 287/1990, abilitando per l’effetto il giudice amministrativo a censurare – nella forma della violazione di legge – le decisioni dell’Autorità che non abbiano adeguatamente esaminato le difese ‘attendibili’ o ‘maggiormente attendibili’ addotte dall’asserito trasgressore in sede procedimentale. In altri termini, laddove «[…] simili prospettazioni difensive siano state tempestivamente e ritualmente dedotte in sede procedimentale e l’Autorità nel provvedimento finale abbia omesso di prendervi specificamente posizione oppure vi abbia semplicemente preferito, a parità di pregio, la propria (diversa) ricostruzione, tale carenza potrebbe ridondare anzitutto in una semplice violazione di legge ex art. 21-octies legge n. 241/1990 (se, appunto, l’art. 15, comma 1 legge n. 287/1990 fosse letto in combinato disposto con l’art. 6, § 2 CEDU)».
[xxix] La sentenza, a sua volta, riprende una massima espressa dal giudice europeo. Cfr. CGUE 22 novembre 2012, in C-89/11 P (‘E.ON Energie AG c. Commissione europea’), § 72, nella parte in cui si afferma che «[…] qualora sussista un dubbio nella mente del giudice, esso deve andare a beneficio dell’impresa destinataria della decisione che constata un’infrazione […]. Infatti, la presunzione di innocenza costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, oggi sancito dall’articolo 48, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea».
[xxx] Cfr., ancora, CGUE 22 novembre 2012 cit., § 74, ove si sostiene che «[…] il giudice dell’Unione sarà indotto ad annullare la decisione di cui trattasi qualora le imprese interessate adducano un’argomentazione che ponga in una luce diversa i fatti accertati dalla Commissione e che consenta quindi di sostituire una diversa spiegazione plausibile dei fatti a quella indicata dalla Commissione per concludere per la sussistenza di un’infrazione. Infatti, in un’ipotesi del genere, non si può considerare che la Commissione abbia fornito la prova della sussistenza di un’infrazione al diritto della concorrenza»; nonché, già in precedenza, CGUE 31 marzo 1993, in C-89/85, C-104/85, C-114/85, C-116/85, C-117/85 e da C-125/85 a C-129/85 (‘Ahlström Osakeyhtiö e a. c. Commissione delle Comunità europee’), § 126, ove si è annullata la decisione impugnata sulla base della constatazione per cui «[…] nella fattispecie, la spiegazione del parallelismo di comportamenti basata sulla concertazione non è l’unica plausibile»; e CGUE 28 marzo 1984, in C 29/83 e 30/83 (‘Compagnie royale asturienne des mines SA e Rheinzink Gmbh c. Commissione delle Comunità europee’), § 16, nella parte in cui si rileva che «[i]l ragionamento della Commissione è basato sull’ipotesi che i fatti accertati non possano essere spiegati se non con un’intesa fra le due imprese. Di fronte ad un assunto del genere, basta alle ricorrenti provare delle circostanze che pongano in una luce diversa i fatti accertati dalla Commissione e che consentano quindi di sostituire una diversa spiegazione dei fatti a quella indicata nel provvedimento impugnato».
[xxxi] Cfr. G. Canzio, Il dubbio e la legge, in Dir. pen. cont., 20 luglio 2018, p. 2, ove si rinviene la seguente definizione di ‘dubbio ragionevole’: «[…] non qualsiasi, possibile dubbio, astrattamente sempre configurabile, né il dubbio marginale, ma solo quello che, sorretto da oggettive evidenze probatorie, sia in grado di destrutturare l’apparente solidità dell’enunciato di accusa e, grazie all’opera maieutica del contraddittorio, immettere nel ragionamento giudiziale una plausibile spiegazione alternativa del fatto». Sui riflessi che lo standard dell’oltre ogni ragionevole dubbio dispiega (in senso limitativo) sul principio del libero convincimento del giudice cfr. F. Stella, Giustizia e modernità, cit., p. 207, ove si chiarisce che «[l]a libertà del giudice è talmente vincolata che egli non può valutare le prove, la loro sufficienza o insufficienza, secondo un parametro purchessia, o, di nuovo, secondo il suo imperscrutabile giudizio; in particolare, non è libero di valutare le prove secondo il criterio della preponderanza dell’evidenza o del ‘più probabile che no’: se le prove presentate dall’accusa sono ‘preponderanti’ ma lasciano aperti dei dubbi, egli dovrà prosciogliere. E dovrà farlo perché glielo impone la legge: nel processo penale non basta che l’accusa presenti evidences ‘preponderanti’, giacché il suo onere probatorio si modella sullo standard molto più stringente dell’‘oltre il ragionevole dubbio’».
[xxxii] Sull’applicazione di tale previsione si v., in particolare, CGUE 8 luglio 1999, in C49/92 P (‘Commissione delle comunità europee c. Anic Partecipazioni SpA’), § 86, ove si rimarca che «[i]n caso di controversia sulla sussistenza di un’infrazione alle regole di concorrenza, spetta alla Commissione fornire la prova delle infrazioni che essa constata e produrre gli elementi di prova idonei a dimostrare l’esistenza dei fatti che integrano l’infrazione […]. In quest’ambito spetta in particolare alla Commissione produrre tutti gli elementi che portino a concludere nel senso della partecipazione di un’impresa a una simile infrazione e della sua responsabilità per i diversi elementi che comporta».
[xxxiii] Cfr. il 5° considerando del Regolamento n. 1/2003 cit.: «[i]l presente regolamento non incide né sulle norme nazionali in materia di grado di intensità della prova né sugli obblighi delle autorità garanti della concorrenza e delle giurisdizioni nazionali degli Stati membri inerenti all’accertamento dei fatti pertinenti di un caso, purché dette norme e detti obblighi siano compatibili con i principi generali del diritto comunitario».
[xxxiv] Sullo sfondo vi è l’idea della differente declinazione della legalità ‘penalistica’ (nel senso CEDU) rispetto a quella amministrativa. Si v., a riguardo, D. Simeoli, Le sanzioni amministrative ‘punitive’ tra diritto costituzionale ed europeo, cit., p. 76, ove si rileva che «[…] le norme penali “definiscono” da sé i termini del conflitto tra le sfere giuridiche coinvolte; le norme amministrative “indirizzano” l’azione regolatrice degli apparati amministrativi, per fare in modo che gli stessi ‒ in quanto delegati dall’ordinamento a “comporre” la gerarchia degli interessi coinvolti ‒ operino in modo imparziale e coerente con l’indirizzo politico-amministrativo». Per queste ragioni, «[…] l’atto di accertamento dell’illecito amministrativo si configura, sul piano strutturale e funzionale, in termini diversi dalla nozione di “provvedimento”». Per la differente tesi, volta a sostenere la compatibilità tra la discrezionalità e la potestà sanzionatoria dell’amministrazione, con conseguente titolarità della posizione giuridica di interesse legittimo in capo al privato, cfr. S. Cimini, Il potere sanzionatorio delle amministrazioni pubbliche, Napoli, 2017, p. 383 e ss., ma anche passim.
[xxxv] Cfr. D. Simeoli, Le sanzioni amministrative ‘punitive’ tra diritto costituzionale ed europeo, cit., p. 77.
[xxxvi] La formula ‘giudizio sul rapporto’ è qui utilizzata in funzione meramente descrittiva e non in chiave dogmatica. Cfr., in proposito, D. Simeoli, Le sanzioni amministrative ‘punitive’ tra diritto costituzionale ed europeo, cit., p. 80, ove giustamente si osserva che «[n]ei giudizi sulle sanzioni amministrative punitive, oggetto del processo è, dunque, sia l’atto, sia il fatto illecito»: di talché, il controllo giudiziale è incentrato (p. 81) «[…] sul fondamento della pretesa punitiva dell’autorità amministrativa, potendo l’incolpato contestare, non solo il modo con cui gli è stata applicata la sanzione, ma anche la stessa esistenza del “fatto”, nonché la concreta configurabilità giuridica della violazione».
[xxxvii] Cfr., in particolate, quanto affermato da Cass. civ., Sez. Un., 20 gennaio 2014, n. 1013, ove si afferma che – al cospetto di provvedimenti amministrativi – il giudice «[…] non può esercitare un controllo c.d. di tipo forte sulle valutazioni tecniche opinabili, che si tradurrebbe nell’esercizio da parte del suddetto giudice di un potere sostitutivo spinto a sovrapporre la propria valutazione a quella dell’amministrazione, fermo però restando che anche sulle valutazioni tecniche è esercitabile un controllo di ragionevolezza, logicità, coerenza». Cfr., tuttavia, quanto rilevato da G. Greco, L’illecito anticoncorrenziale, il sindacato del giudice amministrativo e i profili tecnici opinabili, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2021, III-IV, p. 487, ove si osserva che la prospettiva volta a limitare il sindacato del giudice amministrativo sui profili tecnici che caratterizzano – con larga frequenza – le fattispecie sanzionatorie si muove «[…] secondo la linea interpretativa che tende a stabilire il carattere illecito o lecito della condotta attraverso la legittimità o meno della decisione dell’Autorità (trasformando così un presupposto sostanziale in limite della discrezionalità)». Ad avviso dell’A. (p. 489), la condotta basata su una valutazione ‘possibile’, sebbene opinabile, deve essere considerata ‘lecita’ (o, quantomeno, non illecita). In termini generali, cfr. anche quanto autorevolmente osservato da F.G. Scoca, Giudice amministrativo ed esigenze del mercato, in Dir. amm., 2008, II, p. 257 e ss., ove – con riferimento ai provvedimenti delle autorità neutrali (e, in specie, dell’AGCM) – si è affermato che, trattandosi di atti che incidono su diritti soggettivi, si «[…] può pensare che il provvedimento amministrativo sia tale soltanto nella forma, ma non nella sostanza, e che, nel giudizio, venga ad emergenza non tanto l’atto (la legittimità dell’atto) quanto direttamente la situazione soggettiva, che ha natura, come si è detto, di diritto soggettivo» (p. 261). Di conseguenza, siccome «[…] non possono esservi scelte tecniche (tecnico-discrezionali) riservate all’Autorità, dato il carattere neutrale del suo potere, la natura decisoria dei suoi provvedimenti, e la loro incidenza su diritti soggettivi», sul piano processuale «[…] quello che viene qualificato come un giudizio di legittimità, si rivela in realtà essere un giudizio di verità e di fondatezza» (p. 265).
[xxxviii] Il ragionamento ripreso in corpo trova una più compiuta articolazione argomentativa nella precedente decisione, a firma del medesimo estensore, Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 2019, n. 4990, in Dir. proc. amm., 2020, III, p. 740 e ss. (con importanti argomentazioni – in chiave critica – di M. Del Signore), ove si riflette sull’intensità del sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti dell’AGCM nel quadro dei (più generali) rapporti tra diritto e tecnica. Ivi, infatti, si osserva che «[m]entre gli studiosi del diritto civile e penale non hanno mai dubitato del fatto che la “decodificazione” dei concetti giuridici indeterminati spetti al giudice, cui è deputata la responsabilità istituzionale di estrapolare la norma dalla disposizione, nel diritto amministrativo si è per lungo tempo pensato ad essi come ad un ambito di valutazioni riservate alla pubblica amministrazione, non attingibile integralmente dal sindacato giurisdizionale, se non attraverso i dettami della c.d. “discrezionalità tecnica”. Nella sua primigenia formulazione, il principale corollario di tale concetto ‒ che, peraltro, non ha mai raggiunto una definizione ed uno statuto univoco ed, anzi, ha dato luogo in passato a sofisticate categorizzazioni ‒ era quello di delimitare il controllo giudiziale sulle valutazioni complesse all’interno di una prospettiva critica del tutto estrinseca ed esterna rispetto alla fattispecie concreta». In materia sanzionatoria, invece, «[…] non pare corretto impostare il discorso sul grado di intensità del controllo giurisdizionale sugli atti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato in termini di possibilità o meno di sindacato sostitutivo del giudice. Non operano infatti i limiti cognitivi insiti nella tecnica del sindacato sull’esercizio del potere, quando il giudice è pienamente abilitato a pervenire all’accertamento della fondatezza della pretesa sostanziale invocata (nella specie, l’accertamento della realizzazione o meno dell’intesa illecita punita con una pesante sanzione pecuniaria)». Per una diversa impostazione, fondata sul presupposto teorico della presenza di discrezionalità (pura e tecnica) nell’attività sanzionatoria dell’AGCM, cfr. M. Cappai, Il problema del sindacato giurisdizionale sui provvedimenti dell’AGCM in materia antitrust: un passo in avanti, due indietro ... e uno in avanti. Una proposta per superare l’impasse, in Federalismi.it, n. 21/2019, p. 40, ove si perviene alla formulazione della proposta ricostruttiva – pur sempre incentrata sulla valorizzazione del principio di presunzione di innocenza – per cui «[r]imanendo all’interno di una giurisdizione di legittimità e senza andare dunque a snaturare la natura demolitoria del giudizio amministrativo di annullamento, si titolerebbe in questo modo il G.a. ad accogliere la censura di violazione o falsa applicazione di legge in tutti quei i casi in cui, specie con riferimento all’attività di contestualizzazione dei concetti generali al caso concreto e di applicazione della norma contestualizzata al fatto concreto, la parte sia riuscita a fornire una spiegazione “attendibile” dei propri comportamenti incorrendo nondimeno in una sanzione». Il suddetto precedente è stato, tuttavia, ‘ridimensionato’ dalla medesima Sezione con la sentenza – di pochi mesi successiva – Cons. Stato, sez. VI, 2 settembre 2019, n. 6022, in Foro amm., 2019, IX, p. 1471 e ss., ove si è affermato che «[i]l sindacato giurisdizionale volto ad accertare le intese anticoncorrenziali è finalizzato a verificare se l’Autorità ha violato il principio di ragionevolezza tecnica, senza che sia consentito, in coerenza con il principio costituzionale di separazione, sostituire le valutazioni, anche opinabili, dell’amministrazione con quelle giudiziali».
[xxxix] Cfr. Corte cost. 12 marzo 2007, n. 77, in Giur. cost., 2007, II, p. 726 e ss. (con nota di A. Mangia), ove si rimarca che «[s]e è vero, infatti, che la Carta costituzionale ha recepito, quanto alla pluralità dei giudici, la situazione all’epoca esistente, è anche vero che la medesima Carta ha, fin dalle origini, assegnato con l’art. 24 (ribadendolo con l’art. 111) all’intero sistema giurisdizionale la funzione di assicurare la tutela, attraverso il giudizio, dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi». Di talché, «[q]uesta essendo la essenziale ragion d’essere dei giudici, ordinari e speciali, la loro pluralità non può risolversi in una minore effettività, o addirittura in una vanificazione della tutela giurisdizionale».
[xl] Si badi, nell’accezione di standard effettivamente ‘applicato’ dal giudicante e non quale mera formula verbale richiamata dalle sentenze di merito.