L’accesso civico e la reinterpretazione della trasparenza amministrativa. La funzionalizzazione dell’interesse conoscitivo e il suo ‘affievolimento’ (nota a Cons. St., sez. III, sent. non definitiva 10 giugno 2022, n. 4735)
di Flavio Valerio Virzì
Sommario: 1. Introduzione - 2. L’accesso civico generalizzato alla prova di alcune prassi interpretative - 2.1. La funzionalizzazione dell’interesse conoscitivo - 2.2. …il suo ‘affievolimento’ - 3. Il tentativo di reinterpretazione dell’accesso civico semplice - 3.1. La sentenza del TAR Lazio - 3.2 La sentenza del Consiglio di Stato - 4. Conclusioni.
1. Introduzione
La vicenda giuridica da cui scaturisce la sentenza in commento trae origine dal diniego opposto dal Ministero dell’interno all’istanza di accesso civico a un accordo di cooperazione, concluso tra Italia e Gambia nel 2010, e al Memorandum of Understanding, sottoscritto dalle stesse parti nel 2015. Tale istanza era stata presentata assumendo che si trattasse di documenti soggetti a pubblicazione obbligatoria, presupposto che però era stato ritenuto insussistente dal Ministero, nonché dal Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, intervenuto in sede di riesame ([1]).
L’accesso ai documenti rappresenta l’istituto d’elezione per l’attuazione del principio di trasparenza amministrativa ([2]); nelle sue diverse forme esso conferisce a tale principio funzioni di volta in volta diverse, che vanno dal rafforzamento dei diritti di partecipazione nel procedimento e di difesa nel processo, al rafforzamento del controllo democratico, al contrasto della corruzione ([3]). L’accesso civico, com’è noto, è disciplinato dal d.lgs. n. 33 del 2013, contenente il Testo unico sulla trasparenza, che finalizza il principio di trasparenza verso «forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche», prevedendo, all’art. 5, comma 1, l’accesso civico semplice, che consente «a chiunque» e senza alcuna limitazione di accedere ai documenti e ai dati oggetto di un obbligo di pubblicazione, al comma 2, l’accesso civico generalizzato, che consente invece di accedere ai documenti e ai dati ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ([4]). Tale ultima forma di accesso, introdotta dal d.lgs. n. 97 del 2016, è stata ispirata al Freedom of Information Act (FOIA), già da tempo vigente nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea e della gran parte degli altri Stati membri, oltre che degli Stati Uniti, dando ingresso a un vero e proprio diritto alla conoscibilità (right to know), il cui esercizio però non è illimitato ([5]).
La relativa istanza, infatti, può essere denegata, ai sensi dell’art. 5-bis, al ricorrere di un’eccezione “relativa”, correlata alla valutazione di un interesse pubblico o privato alla riservatezza, legislativamente individuato, ovvero al ricorrere di un’eccezione “assoluta”, correlata alla sussistenza di un segreto di Stato o di un altro divieto di accesso o di divulgazione previsto dalla legge ([6]).
L’intervento di riforma è stato accolto non senza riserve da una parte della scienza giuridica ([7]). Alcuni studiosi rimproverano allo stesso di aver puntato su una forma di accesso non del tutto effettiva, soprattutto in ragione della formulazione eccessivamente vaga e generica delle numerose limitazioni legislativamente previste. Altri, pur apprezzando l’importante passo in avanti compiuto, auspicano interventi correttivi, al fine di superare prassi interpretative che riducono l’effettività del nuovo diritto ([8]). Quella in base alla quale lo stesso incontrerebbe dei limiti di tipo soggettivo, desumibili dalla sua funzionalizzazione a un interesse pubblico alla conoscibilità. Quella in base alla quale i limiti di tipo oggettivo determinerebbero un ‘affievolimento’ di detto interesse ogni volta in cui vi sia esposizione a pregiudizio per l’interesse pubblico alla segretezza o per l’interesse privato alla riservatezza ([9]).
La sentenza in commento, tuttavia, sembrerebbe avvalorare posizioni più caute in merito alla portata del d.lgs. n. 97. Essa, infatti, pur vertendo sull’accesso civico semplice, consente di pervenire a conclusioni che, a maggior ragione, possono valere per l’accesso civico generalizzato: il fatto che il Ministero dell’interno, dinanzi a un’istanza poco gradita, estenda alla prima forma di accesso gli stessi limiti soggettivi e oggettivi finora sperimentati per la seconda, per un verso, conferma che la funzionalizzazione e l’affievolimento dell’interesse conoscitivo non vanno imputate alla volontà legislativa o alle lacune del testo di legge del 2016, ma a interpretazioni distorsive, per altro verso, informa del rischio che eventuali interventi correttivi restino esposti allo stesso tipo di interpretazioni, che sottendono una certa riluttanza a una piena adesione alla cultura della trasparenza.
2. L’accesso civico generalizzato alla prova di alcune prassi interpretative
La vicenda giuridica in commento, si diceva, trae origine dal diniego opposto dal Ministero dell’interno a un’istanza di accesso civico, avente a oggetto un accordo di cooperazione concluso tra Italia e Gambia in materia di contrasto dell’immigrazione irregolare. Tale istanza, occorre ora precisare, era stata presentata ai sensi dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33, e solo limitatamente all’ostensione di alcune parti dell’accordo, ai sensi del comma 2. L’opzione tra l’accesso civico semplice e generalizzato, operata dall’istante, rappresenta il primo aspetto saliente della vicenda, poiché, sottendendo una precisa valutazione in ordine alle possibilità di ottenere i documenti menzionati, sembrerebbe avvalorare le riserve manifestate nei confronti del FOIA. Il ricorso all’accesso civico generalizzato, infatti, è stato osteggiato in alcune vicende assimilabili e ciò potrebbe aver scoraggiato il ricorso allo stesso da parte dell’amministrato: viene in rilievo la sentenza del Consiglio di Stato n. 1121 del 2020, che, oltre a essere stata resa nei confronti della stessa ricorrente, è accomunata a quella qui in commento per l’oggetto dell’istanza di accesso (il contenuto di accordi conclusi con Paesi terzi) per gli interessi coinvolti (l’interesse alla conoscibilità dei documenti concernenti la politica di contrasto dell’immigrazione irregolare e l’interesse alla riservatezza a tutela delle relazioni internazionali coinvolte in detta politica) nonché per aver legittimato quelle prassi interpretative che fondano le tesi sulla funzionalizzazione e sull’affievolimento alle quali si è accennato. Ma queste ultime trovano riscontro nella volontà legislativa e nel dettato legale? ([10]).
2.1. La funzionalizzazione dell’interesse conoscitivo
Le prassi sopra descritte, è necessario sin d’ora segnalare, originano tutte dalla tendenza di una parte dell’amministrazione a valorizzare, sia pure, per così dire, al rovescio, la ratio delle previsioni contenute all’interno del l. n. 241 del 1990 per l’interpretazione del d.lgs. n. 33 del 2013. Così, se quella impone di opporre diniego alle istanze di accesso documentale funzionali a un controllo generalizzato sull’azione amministrativa, questa impone di denegare istanze di accesso civico, che, al contrario, non siano finalizzate a un controllo di tal tipo. Se quella prefigura per l’amministrato un interesse all’accesso in grado di far fronte agli interessi alla riservatezza contrapposti, questa non può che configurare un interesse conoscitivo, che, dinanzi alle esigenze di riservatezza, tende ad affievolire ([11]).
Le tesi della funzionalizzazione e dell’affievolimento, segnatamente, vengono giustificate, oltre che facendo leva sul dettato legale, proprio sull’esigenza di risolvere il problematico rapporto tra accesso documentale e accesso civico, come declinato nella formula stereotipata della «diversa profondità ed estensione» dei due istituti ([12]). Tale formula, non a caso, ricorre anche all’interno della sentenza del Cons. St. 2020/1121, in cui si afferma che la fondamentale differenza tra accesso documentale ed accesso civico consiste in ciò, «il primo consente […] un’ostensione più approfondita, in ragione della sua strutturale correlazione con un interesse privato del richiedente (generalmente a fini difensivi)»; il secondo invece «è funzionale ad un controllo diffuso del cittadino, al fine specifico, da un lato, di assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa per l’ipotesi in cui non siano stati compiutamente rispettati gli obblighi al riguardo già posti all’amministrazione da una norma di legge, nonché – dall’altro – per operare un più incisivo e preventivo contrasto alla corruzione»; questo, in quanto tale, «consente sì una conoscenza potenzialmente più estesa rispetto a quella accordata dalla l. n. 241 del 1990 ai soggetti privati per la tutela dei propri interessi, ma d’altro canto meno approfondita, in quanto concretamente si traduce nel diritto ad un’ampia diffusione di dati, documenti ed informazioni, fermi però ed in ogni caso i limiti posti dalla legge a salvaguardia di determinati interessi pubblici e privati che in tali condizioni potrebbero essere messi in pericolo» ([13]).
La tesi della funzionalizzazione è stata fondata sul testo dell’art. 5, comma 1, specificamente nella parte in cui fa riferimento allo «scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico» ([14]). Tale riferimento, infatti, è stato sfruttato per giustificare la verifica sull’effettiva rispondenza dell’istanza di accesso generalizzato alle finalità legislativamente prescritte e, conseguentemente, l’eventuale diniego di accesso nei confronti di chi intende far valere un interesse di tipo ‘egoistico’ ([15]).
La tesi riportata è stata condivisa, di nuovo, nella sentenza del Consiglio di Stato n. 2020/1121. Il giudice, in tale occasione, rammentato che «uno solo è il presupposto imprescindibile di ammissibilità dell’istanza di accesso civico generalizzato, ossia la sua strumentalità alla tutela di un interesse generale» e che tale istanza dev’essere «disattesa ove tale interesse generale della collettività non emerga in modo evidente, oltre che, a maggior ragione, nel caso in cui la stessa sia stata proposta per finalità di carattere privato ed individuale», aveva ribaltato le conclusioni del TAR, che aveva ritenuto illegittimo il diniego, opposto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, all’istanza di accesso a documenti contenenti informazioni su talune operazioni di Search and Rescue. Il collegio, infatti, aveva ritenuto non fosse dato ravvisare nella stessa «gli specifici interessi generali – ossia, direttamente riferibili alla comunità dei cittadini o ad una parte significativa di essi – alla cui promozione e tutela sarebbero state preordinate le istanze medesime», arrivando, per tale via, a negare ciò che pure era stato conclamato nella sentenza di primo grado, vale a dire, che l’interesse generale all’accesso ai documenti sulle operazioni di ricerca e salvataggio in mare dei migranti, può essere di per sé rinvenuto nell’indubbio rilievo civico e nell’ampio risalto sociale del fenomeno migratorio ([16]).
La funzionalizzazione, nella prospettiva esposta, deriverebbe dalla previsione legislativa. Tuttavia, se è vero che il legislatore all’interno del comma 2 fa espresso riferimento alla funzione propria dell’accesso civico generalizzato, è altrettanto vero che lo stesso legislatore all’interno del comma 3 si preoccupa di specificare che la presentazione dell’istanza non può essere sottoposta «ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente», ma anche di far venir meno le condizioni per un’eventuale verifica sul rispetto di dette finalità, affermando che tale istanza «non richiede motivazione» ([17]).
I due commi, pertanto, andrebbero letti coordinatamente, in maniera tale da conciliare la prospettiva solidaristica dell’uno con la prospettiva individualistica dell’altro: le istanze di accesso potranno pure essere poste a presidio delle garanzie democratiche, ma di detta funzione – come precisato dal legislatore – non deve farsi carico il singolo istante, poiché ciò sarà il fine ultimo cui l’ordinamento vuole tendere attraverso la sommatoria di molteplici condotte individuali. Tale lettura è stata condivisa anche dalla Adunanza plenaria nella sentenza 10/2020, secondo cui il riferimento legislativo alla necessità di favorire forme diffuse di controllo sull’azione dell’amministrazione varrebbe a evidenziare la volontà di superare il limite funzionalistico previsto per l’accesso documentale e non a sottoporre a verifica le finalità per cui viene richiesto l’accesso civico generalizzato. Essa, pur definendo tale ultimo accesso come «dichiaratamente finalizzato a garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa», rinviene sotteso allo stesso «un interesse individuale alla conoscenza […] protetto in sé» ed esorta a non confondere «la ratio dell’istituto con l’interesse del richiedente, che non necessariamente deve essere altruistico o sociale né deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza, per quanto […] certamente non deve essere pretestuoso o contrario a buona fede» ([18]).
2.2. …il suo ‘affievolimento’ ([19])
La tesi dell’affievolimento, fondata sull’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 33, si manifesta sotto un duplice e diverso profilo ([20]). Il primo inerisce all’opzione tra l’harm test e il public interest o public interest ovveride test, da effettuarsi in vista dell’eventuale diniego di accesso ([21]). L’amministrazione, infatti, tende a rappresentare l’interesse alla conoscibilità dell’amministrato come necessariamente recessivo dinanzi alla valutazione sull’esposizione a pregiudizio concreto dell’interesse pubblico o privato alla riservatezza, escludendo di dover dare luogo a un bilanciamento. Il secondo inerisce proprio a tale valutazione. L’amministrazione tende a ritenere l’interesse alla conoscibilità recessivo dinanzi all’interesse alla riservatezza, a prescindere dalla sua esposizione a un pregiudizio concreto ([22]).
La tesi, in entrambi i suoi profili, viene anch’essa condivisa nella sentenza n. 1121 del Consiglio di Stato, che, riconosciuto al diniego di accesso civico natura «eminentemente discrezionale, che non di rado può involgere […] insindacabile merito politico», circoscrive il suo sindacato alla mera «logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell’istruttoria», salvo poi rinunciare di fatto persino allo stesso ([23]). Il collegio, infatti, ritiene «adeguatamente motivata e coerente con l’assolvimento delle loro funzioni istituzionali» la motivazione con cui il Ministero, senza preoccuparsi di attribuire rilievo all’interesse alla conoscibilità, si limita a valutare l’esposizione a pregiudizio dell’interesse pubblico alla riservatezza, reputando sufficiente l’apodittica affermazione per cui «l'eventuale accesso alle comunicazioni/documentazioni relative agli eventi SAR di cui trattasi, comporterebbe un pregiudizio concreto ai rapporti che intercorrono tra Stati ed alle relazioni tra soggetti internazionali, in particolare con il Governo libico e quello maltese» ([24]). Lo scostamento rispetto alla sentenza del TAR Lazio è evidente. Il giudice di primo grado, infatti, si era fatto apprezzare proprio per aver spostato l’attenzione sull’interesse alla conoscibilità, prospettando un vero e proprio bilanciamento con il contrapposto interesse alla riservatezza: per esso, «L’importanza e la frequenza delle operazioni [di salvataggio in mare], nonché la natura dei diritti fondamentali coinvolti non possono risultare esclusi dall’attuazione del principio di trasparenza, come concepito e disciplinato dalla normativa vigente»; l’istanza di accesso, pertanto, può pure porre ragioni di ordine pubblico, difesa militare o repressione di reati, ma «l’eventuale concorso di fattori, meritevoli di riservatezza» non possono di per sé «soverchiare totalmente il principio di trasparenza, in un settore di indubbio rilievo civico e ampio risalto, peraltro, anche nei mass-media» ([25]).
Ma la tesi dell’affievolimento trova veramente riscontro nel testo legislativo? L’art. 5-bis, in effetti, sembrerebbe avvalorare l’harm test, per la mancanza nel dettato legale della clausola tipica del public interest test, esemplificata nella formula europea «a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione» ([26]). Tale previsione, tuttavia, nel disporre che l’accesso civico «è rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto», sembrerebbe introitare un principio di proporzionalità, la cui applicazione logicamente presuppone un balancing test, da intendersi rettamente, non già nel senso che l’interesse all’accesso possa prevalere dinanzi all’interesse alla riservatezza, bensì nel senso – proprio della «regola del mezzo più mite» – che il primo interesse non debba soccombere del tutto allorché non sia strettamente necessario per evitare un pregiudizio al secondo, ciò che, peraltro, trova riscontro nella definizione dell’accesso parziale e dell’accesso differito, di cui ai commi successivi ([27]). Essa, soprattutto, non depone in alcun modo nel senso di far ritenere l’interesse all’accesso come recessivo dinanzi all’astratta prospettazione di un interesse alla riservatezza; in disparte l’insinuazione di chi ritiene che l’affievolimento deriverebbe di per sé dalla sua formulazione, per prevedere essa un’elencazione di interessi-limite eccessivamente vaga e generica, apparendo invece tale elencazione perfettamente in linea con i FOIA europei e internazionali, occorre sottolineare che la stessa attribuisce rilievo all’interesse alla riservatezza non già di per sé, ma in ordine al pregiudizio «concreto» che a esso ne potrebbe derivare ([28]).
L’Adunanza Plenaria sembrerebbe dello stesso avviso. Il collegio, infatti, soffermandosi sul «delicato bilanciamento tra il valore, fondamentale, dell’accesso e quello, altrettanto fondamentale, della riservatezza» afferma che «la circostanza che l’accesso possa prevedibilmente soccombere di fronte alle ragioni normativamente connesse alla riservatezza dei dati dei concorrenti non può condurre a un’aprioristica esclusione dell’accesso». Esso, soprattutto, sia pure sovrapponendo i termini dei due test descritti, conferma che «Tutte le eccezioni relative all’accesso civico generalizzato implicano e richiedono un bilanciamento da parte della pubblica amministrazione, in concreto, tra l’interesse pubblico alla conoscibilità e il danno all’interesse-limite, pubblico o privato, alla segretezza e/o alla riservatezza, secondo i criteri utilizzati anche in altri ordinamenti, quali il cd. test del danno (harm test) […] o il c.d. public interest test o public interest override […], in base al quale occorre valutare se sussista un interesse pubblico al rilascio delle informazioni richieste rispetto al pregiudizio per l’interesse-limite contrapposto»; per poi specificare che tale valutazione debba essere svolta di volta in volta sulla base del principio di proporzionalità ([29]).
Le considerazioni che precedono inducono a ritenere che le interpretazioni che fondano la funzionalizzazione e l’affievolimento dell’interesse conoscitivo vanno non già imputate alla volontà legislativa o alla scarsa perspicuità del dettato legale, bensì addebitate a una deliberata scelta dell’interprete e a una certa riluttanza da parte dello stesso ad aderire alla cultura della trasparenza. Tanto pare a maggior ragione avvalorato dalla vicenda da cui origina la sentenza in commento, su cui occorre ora tornare.
3. Il tentativo di reinterpretazione dell’accesso civico semplice
L’opzione per l’art. 5, comma 1, d.lgs. n. 33, da parte dell’istante, non vale a evitare gli atteggiamenti ostruzionistici del Ministero, che tenta di riparare in un’operazione interpretativa inedita, volta a estendere gli stessi limiti soggettivi e oggettivi sperimentati nell’ambito del comma successivo.
L’istante, segnatamente, si rivolgeva al Ministero, assumendo che l’accordo di cooperazione dovesse considerarsi oggetto di un obbligo di pubblicazione ai sensi dell’art. 4 della l. n. 839 del 1984, che pone in capo al Ministero degli affari esteri, Servizio del contenzioso diplomatico, trattati e affari legislativi, l’onere di trasmettere tutti gli atti internazionali cui la Repubblica italiana si obbliga nelle relazioni estere, ivi compresi i trattati, le convenzioni, lo scambio di note, gli accordi e gli altri atti diversamente denominati, per la loro pubblicazione trimestrale. Il Dipartimento della pubblica sicurezza – Direzione centrale dell’Immigrazione e della polizia delle frontiere, tuttavia, rifiutava di esibire i menzionati documenti, giustificando la propria determinazione in ragione della carenza di un interesse pubblico all’accesso e della prevalenza dell’interesse alla riservatezza, derivante dalla necessità di evitare un pregiudizio alla sicurezza pubblica e all’ordine pubblico, nonché alle relazioni internazionali. Esso, in altre parole, giustificava il proprio rifiuto facendo leva proprio sulla tesi della funzionalizzazione e dell’affievolimento dell’interesse conoscitivo, ai sensi dell’art. 5-bis.
Tali tesi neppure stavolta trovano riscontro, eppure, come si sta per vedere, vengono condivise in sede giurisdizionale.
3.1. La sentenza del TAR Lazio
Il TAR Lazio, il cui intervento viene sollecitato dall’istante, infatti, considera sufficientemente motivato il rifiuto del Ministero dell’interno e lo fa rinviando proprio alla sentenza n. 1121/2020, dalle cui statuizioni il collegio «non ravvede ragioni per discostarsi»; ragioni, che, però, a uno sguardo più attento, avrebbero potuto agevolmente essere rintracciate nella diversa causa petendi, l’illegittimità del diniego di accesso civico semplice qui, l’illegittimità del diniego di accesso civico generalizzato lì ([30]).
Quanto alla tesi della funzionalizzazione, innanzitutto, il TAR, assumendo che l’istanza debba essere finalizzata alla tutela di un interesse pubblico, conclude nel senso della mancanza di tale carattere: «L’interesse della ricorrente è – per sua stessa ammissione – un interesse legato alla sua attività professionale di difensore di cittadini gambiani trattenuti presso di centri di rimpatrio. Pertanto, non si ravvisa – né è stato allegato – un interesse proprio della generalità dei cittadini al riguardo». Esso, tuttavia, così argomentando, commette tre errori contemporaneamente, trascurando, in primo luogo, che il dettato dell’art. 5, comma 1, appare chiaro nel correlare all’obbligo di pubblicare i documenti e i dati previsti dalla normativa vigente, il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, allorché sia stata omessa la loro pubblicazione; in secondo luogo, che la giurisprudenza menzionata si è formata con specifico ed esclusivo riferimento all’art. 5, comma 2; quindi, che detta giurisprudenza deve ritenersi comunque inammissibile, tanto più che, come detto, l’art. 5, comma 3, prevede che «L'esercizio del diritto di cui ai commi 1 e 2 non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente» e che l’istanza di accesso civico «non richiede motivazione» ([31]).
Quanto alla tesi dell’affievolimento, invece, occorre osservare che il TAR, anziché verificare la riferibilità dei documenti oggetto dell’istanza agli obblighi di pubblicazione di cui all’art. 4 della l. n. 839 del 1984, al fine di stabilire la sussistenza o meno del diritto di richiedere gli stessi, si sofferma sui limiti che a tale diritto deriverebbero dall’art. 5-bis, comma 1, lett. a) e d), nonché dall’art. 24, comma 2, l. n. 241 del 1990 e dagli artt. 2, comma 1, lett. a), b) e 3, comma 1, lett. a) e d), del D.M. 415/94, peraltro, senza preoccuparsi di attribuire rilievo all’interesse alla conoscibilità e ritenendo sufficiente una motivazione superficiale, in cui il pregiudizio all’interesse pubblico alla riservatezza, per come prospettato, appare tutt’altro che concreto. La premessa del suo ragionamento è che «l’articolo 5-bis, comma primo del d.lgs. n. 33 del 2013, […] il legislatore individua una serie di interessi – di rilievo costituzionale – la cui tutela è imprescindibile per la funzionalità dell’apparato dello Stato, in quanto attenenti all’essenza stessa della sua sovranità (interna ed internazionale)» e che «la valutazione che l’Amministrazione è tenuta a fare sulla prevalenza di tali interessi rispetto all’interesse all’accesso, ha natura discrezionale e come tale è sindacabile solo ove manifestamente illogico o irragionevole, affetto da difetto di istruttoria o travisamento». La conclusione è che il diniego risulta adeguatamente motivato, rappresentando la circostanza per cui «La pubblicazione dell’accordo di cui sopra andrebbe a minare l’integrità dei rapporti internazionali intrattenuti dal nostro Paese con il Gambia, su quello che è il tema del contrasto all’immigrazione illegale, la lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata ed al traffico di esseri umani (cooperazione internazionale operativa di Polizia)» e correlativamente per cui «L’ostensione degli atti richiesti, […] oltre a minare la sicurezza di una attività operativa di cooperazione di polizia, produrrebbe un concreto e diretto pregiudizio all’integrità dei rapporti con un paese che rappresenta uno snodo fondamentale per gli equilibri euro-mediterranei, anche in ragione dei flussi migratori all’interno del continente africano»; per il giudice, la motivazione deve ritenersi legittima, pur prospettando solo dei «possibili pregiudizi concreti» ([32]).
L’errore in cui incorre il TAR stavolta è duplice, posto che esso estende all’accesso civico semplice dei limiti legislativamente previsti per il solo accesso civico generalizzato e lo fa facendo recedere l’interesse conoscitivo dinanzi all’astratta prospettazione di un interesse pubblico alla riservatezza. Il primo errore, invero, è talmente grave da offuscare il secondo, facendo sorgere il dubbio che si tratti di un vero e proprio travisamento dei fatti processuali, anche perché il giudice non si preoccupa neppure di esporre le ragioni che lo inducono a reinterpretare il combinato disposto tra l’art. 5, comma 2, e l’art. 5-bis, del cui significato non pare potersi affatto dubitare. Tali ragioni, che forse il Ministero rappresenta in atti, ma che non vengono riprodotte dal collegio, tuttavia, saranno esternate nell’ambito del giudizio di secondo grado, per essere finalmente censurate.
3.2 La sentenza del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato, nella sentenza in commento, torna sui limiti soggettivi e oggettivi che il Ministero dell’interno pretende di opporre all’accesso civico semplice, ribaltando le conclusioni del tribunale.
Sotto un primo profilo, il collegio si sofferma sulla pretesa funzionalizzazione dell’accesso civico semplice e lo fa riferendosi anche al riflesso che la stessa provocherebbe sul piano dell’identificazione dei documenti ostensibili. Per un verso, infatti, il collegio si limita a rammentare il dettato del d.lgs. n. 33 e l’interpretazione dello stesso fornita dall’Adunanza plenaria per accogliere il motivo di gravame: «Sulla base dei riferiti dati normativi, che hanno completato l’evoluzione, nel nostro ordinamento, “della visibilità del potere” pubblico, segnando il “passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere”, l’Adunanza plenaria di questo Consiglio – con affermazioni relative all’accesso civico “generalizzato” di cui all’art. 5, comma 2, citato, ma valevoli, a fortiori, per quello “semplice” di cui all’art. 5, comma 1 – ha chiarito che esso “non è sottoposto ad alcun limite quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e senza alcun onere di motivazione circa l’interesse alla conoscenza”» ([33]). Per altro verso, esso si premura, sia pure per il tramite di un obiter dictum, a escludere che la finalità propria dell’accesso civico, identificata nel controllo sulle funzioni amministrative, possa valere a estromettere i documenti aventi natura politica, in considerazione del fatto che il Testo unico «nell’enucleare i principi di trasparenza e conoscibilità sottesi all’intero decreto» fa riferimento «non già agli atti amministrativi ma ai dati, alle informazioni e ai documenti detenuti dalla pubblica amministrazione» ([34]). Sotto il secondo profilo, il giudice si sofferma invece sul tentativo di far ‘affievolire’ l’accesso civico semplice, sia pure a seguito di un riposizionamento strategico, di tipo metodologico, che gli consente di affrontare il problema della sussumibilità degli accordi tra Italia e Gambia negli obblighi legali di pubblicazione, per censurare il tentativo di riqualificazione degli stessi effettuato dall’amministrazione ministeriale, secondo la quale la natura tecnico-amministrativa del loro contenuto avrebbe dovuto indurre a escludere la loro natura di accordi internazionali e con ciò l’obbligo di pubblicazione ai sensi della l. n. 839 del 1994 ([35]).
Il Consiglio di Stato, infatti, rilevato l’obbligo di pubblicazione, passa a verificare che non sussistano altre ragioni ostative all’accesso, soffermandosi specificamente «sui rapporti tra gli obblighi di pubblicazione degli accordi internazionali, l’accesso civico semplice e quello generalizzato, e le cause di esclusione di quest’ultimo» e specificamente sull’opzione interpretativa secondo cui all’accesso civico semplice sarebbero estensibili le cause di esclusione che l’art. 5-bis del d.gls. n. 33 riferisce espressamente al solo accesso civico generalizzato ([36]). Il collegio finalmente palesa il fondamento dell’anzidetta opzione, che approfitterebbe di un’incongruenza generata dalla riforma dello stesso Testo unico della trasparenza a opera del d.lgs. n. 97 del 2016 e, segnatamente, del fatto che, mentre l’art. 5, comma 1, definisce il suo ambito di applicazione facendo riferimento agli obblighi di pubblicazione previsti «ai sensi della normativa vigente», l’art. 5, comma 2, definisce il suo ambito applicativo facendo invece riferimento agli atti ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione «ai sensi del presente decreto». Tale incongruenza, secondo il Ministero, ridurrebbe la portata operativa dell’accesso civico semplice, facendo così rispandere quella dell’accesso civico generalizzato e quindi delle clausole di esclusione per esso prescritte all’interno dell’art. 5-bis, comma 1; questo perché tale ultima forma di accesso opererebbe non soltanto rispetto agli atti non oggetto di pubblicazione obbligatoria, ma anche rispetto a quegli atti oggetto di pubblicazione obbligatoria in forza di norme esterne al Testo unico e, tra questi, degli atti assoggettati a pubblicazione dalla l. n. 839 del 1994 ([37]).
Il giudice, tuttavia, ritiene di dover avversare tale interpretazione, ritenendola del tutto incompatibile sia con il tenore letterale dell’art. 5, comma 1, sia con la ratio sottesa all’art. 5, comma 2, che introduce l’accesso civico generalizzato «per ampliare e non per ridurre la trasparenza dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni». La presa di posizione, del resto, trova conforto anche nell’art. 5-bis, comma 4, nella parte in cui si fanno salvi gli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente, la cui «unica funzione logica» non potrebbe che essere «di ulteriormente segnalare all’interprete che le cause di esclusione dall’accesso civico generalizzato – e quindi lo stesso accesso civico generalizzato – riguardano atti e documenti non oggetto di pubblicazione obbligatoria»([38]).
L’accesso civico semplice, in definitiva, deve intendersi esteso a tutti gli atti oggetto di un obbligo di pubblicazione, a prescindere dal fatto che la fonte che lo preveda sia interna o esterna al Testo unico. Tale accesso, soprattutto, non può essere in nessun caso negato; l’unica possibilità che residua in capo all’amministrazione per sottrarre allo stesso un documento oggetto di pubblicazione obbligatoria è l’apposizione del segreto di Stato, ovvero, si potrebbe forse aggiungere, la classificazione delle informazioni in esso contenute, ai sensi della l. n. 124 del 2007: «[n]onostante infatti, il d.lgs. n. 33 del 2013 non indichi espressamente il segreto di Stato quale clausola d’esclusione dall’accesso civico semplice (a differenza di quanto avviene per quello generalizzato), il principio di trasparenza, sotteso ad entrambe le forme di accesso, non può certamente rendere inoperante l’istituto del segreto, che resta strumento irrinunciabile per tutelare supremi ed insopprimibili interessi dello Stato […] quali la “integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali”, la “difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento”, la “indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi” e “la preparazione” e “la difesa militare dello Stato”» ([39]).
Il Consiglio di Stato accoglie così anche il secondo motivo gravame, ma le conclusioni cui perviene in generale, non gli consentono di definire la sua pronuncia in merito alla sussistenza del diritto di accesso civico semplice nel caso di specie. Tanto perché il giudice ritiene di non essere in grado di appurare se con gli accordi internazionali oggetto di accesso l’Italia si sia effettivamente impegnata nei confronti del Gambia, ciò che, in linea con i passaggi argomentativi riportati, diviene indispensabile determinare, per poi poter affermare la riferibilità di tali accordi alla l. n. 839. La ricorrente, infatti, riporta una serie di circostanze che farebbero deporre per l’assunzione di impegni di tal tipo. Il Ministero dell’interno, dal canto suo, affermato che gli accordi sarebbero stati stipulati da un organo della pubblica amministrazione «che non rappresenta un soggetto di diritto internazionale», non prende poi una specifica posizione a riguardo, anche in ragione delle dedotte esigenze di tutela della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico e delle relazioni internazionali con la controparte gambiana.
Il collegio, pertanto, emette una sentenza non definitiva, che veicola l’ordine, rivolto al Ministro dell’interno, di produrre, entro sessanta giorni, una relazione a firma congiunta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in cui si chiariscano tutti i pertinenti profili di interesse, anche in merito all’opposizione del segreto di Stato.
4. Conclusioni
La vicenda giuridica da cui scaturisce la sentenza commentata, si diceva in apertura, verte essenzialmente sull’accesso civico semplice, ma consente di pervenire a conclusioni, che, a maggior ragione, possono valere per l’accesso civico generalizzato. L’estensione alla prima forma di accesso degli stessi limiti soggettivi e oggettivi sinora sperimentati per la seconda conferma, infatti, che la tesi della funzionalizzazione e dell’affievolimento dell’interesse conoscitivo non vanno imputate alla volontà legislativa o alla scarsa perspicuità del d.lgs. 97/2016. Tali tesi, infatti, sono state riferite pure all’art. 5, comma 1, della cui portata testuale non pare potersi dubitare, a meno di non voler rimettere in discussione, accanto all’art. 5, comma 2, e all’art. 5-bis, l’intero disegno legislativo e il significato proprio delle parole in esso contenute. La sentenza commentata, soprattutto, conforta le riserve in ordine all’efficacia di eventuali interventi correttivi, non perché il Testo unico non sia perfettibile, ma per l’impossibilità di prevedere le effettive ricadute di detti interventi a fronte delle descritte prassi interpretative; ebbene, proprio su dette prassi, nelle ultime battute del presente scritto, si propone di agire ([40]).
La riforma del 2016 esprime un sicuro favor per la trasparenza amministrativa. Tale favor potrebbe essere valorizzato proprio nell’interpretazione delle sue previsioni normative, come fa l’Adunanza Plenaria in molti passaggi della sentenza sopra riportati, e come fa altresì lo stesso Ministero per la pubblica amministrazione all’interno della circolare n. 2/2017, che, nell’enunciare ciò che esso stesso definisce come principio della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo, esorta a dare prevalenza a tale ultimo interesse ogni volta in cui emergano dubbi in ordine alla portata delle suddette previsioni. Esso, si intende dire, potrebbe valere a risolvere i contrasti interpretativi in ordine al dettato legale, avvalorando, tra due o più letture plausibili, la soluzione che maggiormente conviene alla realizzazione del right to know. Il principio della tutela preferenziale, elevato a vero e proprio canone interpretativo, vanificherebbe in origine i tentativi di rilettura del Testo unico, costringendo le amministrazioni più riluttanti a recepire il cambio di paradigma culturale veicolato dallo stesso e proteggendo gli amministrati dai rivolgimenti giurisprudenziali ([41]).
([1]) Cfr. Cons. St., sez. III, sent. (non definitiva) 10 giugno 2022, n. 4735, resa su ricorso avverso TAR Lazio, sez. I-ter, sent. 22 luglio 2021, n. 8838.
([2]) Sulla rilevanza e sull’evoluzione storico-giuridica del principio di trasparenza nell’ordinamento italiano, cfr. almeno M. D’ALBERTI, La trasparenza amministrativa tra progressi e incertezze, in Lo sguardo del giurista e il suo contributo all’amministrazione in trasformazione. Scritti in onore di Francesco Merloni, Torino, 2021; A. CORRADO, Il principio di trasparenza, in M.A. SANDULLI, (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, Milano, 2017, p. 104; M. OCCHIENA, I principi di pubblicità e trasparenza, in M. RENNA - F. SAITTA (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, p. 141 ss.; E. CARLONI, La “casa di vetro” e le riforme. Modelli e paradossi della trasparenza amministrativa, in Dir. Pubbl., 2009, n. 3, p. 779 ss.; F. MERLONI, Trasparenza delle istituzioni e principio democratico, in Id. (a cura di), La trasparenza amministrativa, Milano, 2008, p. 9 ss.; G. ARENA, Trasparenza amministrativa, in S. CASSESE (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, vol. VI, Milano, 2006, e Id., Trasparenza amministrativa, in Enc. Giur., vol. XXX, Roma, 1995.
([3]) Sulla declinazione del principio di trasparenza in relazione ai diversi istituti dell’accesso ai documenti amministrativi, cfr. F. MANGANARO, Evoluzione ed involuzione delle discipline normative sull’accesso a dati, informazioni ed atti delle pubbliche amministrazioni, in Dir. Amm., 2019, n. 4, p. 793 ss.; C.E. GALLO, S. FOA, Accesso agli atti amministrativi, in Dig. Disc. Pubbl., Torino 2011; M. D’ALBERTI, La “visione” e la “voce”: le garanzie di partecipazione ai procedimenti amministrativi, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2000, n. 1, p. 5 ss.; M.A. SANDULLI, Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi, in Enc. dir., IV agg., 2000.
([4]) L’introduzione dell’accesso civico semplice all’interno del nostro ordinamento è stata commentata da G. GARDINI, Il codice della trasparenza: un primo passo verso il diritto all’informazione amministrativa?, in Giornale di diritto amministrativo, 2014, n. 8-9, 875 e M. SAVINO, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, in Giornale di diritto amministrativo, 2013, n. 8-9, 801 ss.
([5]) Il FOIA dell’Unione europea è disciplinato dal Reg. CE n. 1049 del 30 maggio 2001; sullo stesso D.U. GALETTA, La trasparenza, per un nuovo rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione: un’analisi storico-evolutiva, in una prospettiva di diritto comparato ed europeo, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2016, n. 5, 1019 ss.; G. SGUEO, L’accessibilità ad atti e informazioni nell’Unione europea: un percorso in divenire, in A. NATALINI, G. VESPERINI (a cura di), Il big bang della trasparenza, Napoli, 2015, 163 ss; sull’esperienza degli ordinamenti europei e internazionali, in prospettiva comparata, cfr. B.G. MATTARELLA - M. SAVINO (a cura di), L’accesso dei cittadini. Esperienze di informazione amministrativa a confronto, Napoli, 2018.
([6]) Il d.lgs. n. 97 del 2016 è stato commentato, tra gli altri, da E. CARLONI, Se questo è un FOIA. Il diritto a conoscere tra modelli e tradimenti, in Rassegna Astrid, 2016, n. 4, D.U. GALETTA, Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche alle disposizioni del Decreto Legislativo n. 33/2013, in federalismi.it, 2016, n. 5, G. GARDINI, Il paradosso della trasparenza in Italia: dell’arte di rendere oscure le cose semplici, in federalismi.it, 2017, n. 1, M. SAVINO, Il FOIA italiano. La fine della trasparenza di Bertoldo, in Giornale di diritto amministrativo, 2016, n. 5, p. 593; S. VILLAMENA, Il c.d. FOIA (o accesso civico 2016) ed il suo coordinamento con istituti consimili, in federalismi.it, 2016, n. 23. L’accesso civico generalizzato, si noti, sottende il riconoscimento di una vera e propria libertà individuale, che rinviene copertura costituzionale nel combinato disposto tra l’art. 117, comma 1, Cost. e l’art. 10 CEDU. La rappresentazione dell’accesso civico generalizzato come libertà induce a ritenere che esso non possa essere funzionalizzato e che, pertanto, il suo esercizio non possa essere denegato in ragione del fine precipuo perseguito (cfr. però infra § 2.1.). La rappresentazione di tale libertà come fondamentale indica invece che tale diniego possa essere opposto soltanto in ragione di eccezioni legislativamente previste, nel rispetto del principio di riserva di legge (cfr. però infra 2.2. e nota 17 e 40).
([7]) Per una ricostruzione del dibattito, cfr. M. SAVINO, Il FOIA italiano e i suoi critici: per un dibattito scientifico meno platonico, in Dir. Amm., 2019, n. 3, p. 453 ss.; per un’analisi delle tendenze giurisprudenziali, cfr. invece A. MOLITERNI, La via italiana al “FOIA”: bilancio e prospettive, in Giornale di diritto amministrativo, 2019, n. 1, p. 23 ss.
([8]) Le due prassi sono analizzate in A. CORRADO, Il tramonto dell’accesso generalizzato come “accesso egoistico”, in federalismi.it, 2021, n. 11.
([9]) Il termine “affievolimento” riporta alla mente dell’amministrativista la nota teoria con cui una parte della scienza giuridica e della giurisprudenza spiega la natura delle situazioni giuridiche soggettive. Tale termine, è allora necessario precisare, nel presente scritto non vuole alludere in alcun modo all’anzidetta teoria, né connotare l’accesso civico come diritto soggettivo o interesse legittimo. Esso, più semplicemente, viene inteso come sinonimo di “recessività” e utilizzato per rappresentare la tendenza ad applicare le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, assumendo che l’interesse alla conoscibilità debba necessariamente recedere dinanzi alla mera prospettazione di un pregiudizio per l’interesse alla riservatezza.
([10]) Cons. St., sez. V, sent. 12 febbraio 2020, n. 1121, resa su TAR Lazio, sez. III, sent. 1° agosto 2019, n. 10202.
([11]) Cfr. A. MOLITERNI, La natura giuridica dell’accesso civico generalizzato nel sistema di trasparenza nei confronti dei pubblici poteri, in Dir. Amm., 2019, n. 3, p. 577 ss., e in particolare p. 597 ss.: «L’istituto dell’accesso civico generalizzato è stato […] letto e interpretato attraverso le tradizionali e consolidate “lenti di osservazione” dell’accesso documentale» e proprio in ragione del confronto con tale disciplina, si è, tra l’altro, «eccessivamente valorizzato l’elemento teleologico volto ad assicurare un “controllo generalizzato sull’attività amministrativa” (poiché invece espressamente escluso dalla l. n. 241 del 1990)» e «sottolineata l’assenza di una posizione giuridica qualificata in grado di fronteggiare “ad armi pari” gli interessi pubblici e privati contrapposti (in quanto vero asse portante di tutta la disciplina sull’accesso documentale)».
([12]) Il problema inerente al coordinamento tra le diverse forme di accesso presenti nel nostro ordinamento è stato approfondito da F. FRANCARIO, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione retorica, in federalismi.it, 2019, n. 10, che avverte come «per il principio dell’eterogenesi dei fini, il moltiplicarsi degli interventi legislativi, anziché aumentare l’effettività della garanzia di trasparenza, abbia finito o potrebbe finire con il ridurre a mera declamazione il diritto di accesso». Lo stesso A. si sofferma proprio sulla formula della “diversa profondità ed estensione” delle due forme di accesso, denunciando la tendenza della scienza giuridica «a descrivere esteriormente la differenza e a parlare di maggiore o minore profondità dell’accesso nell’uno e nell’altro caso, senza attribuire alcun preciso significato giuridico alla suddetta diversa profondità». Sullo stesso problema si sofferma anche G. GARDINI, Il paradosso della trasparenza in Italia: dell’arte di rendere oscure le cose semplici, in federalismi.it, 2017, n. 1 e S. VILLAMENA, Il c.d. FOIA (o accesso civico 2016) ed il suo coordinamento con istituti consimili, in federalismi.it, 2016, n. 23.
([13]) Cons. St., 2020/1121, cit.
([14]) La tesi della funzionalizzazione può essere fatta risalire alla sentenza del TAR Lazio, sez. II-bis, 2 luglio 2018, n. 7326, ove per la prima volta si afferma che «per quanto la legge non richieda l’esplicitazione della motivazione della richiesta di accesso, deve intendersi implicita la rispondenza della stessa al soddisfacimento di un interesse che presenti una valenza pubblica e non resti confinato ad un bisogno conoscitivo esclusivamente privato, individuale, egoistico o peggio emulativo che, lungi dal favorire la consapevole partecipazione del cittadino al dibattito pubblico, rischierebbe di compromettere le stesse istanze alla base dell’introduzione dell’istituto»; da allora alcuni giudici amministrativi si sono espressi nello stesso senso, cfr. TAR Lazio, sez. I, 23 luglio 2018, n. 8302-8303, TAR Abruzzo, Pescara, sez. I, 22 novembre 2018, n. 347, TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 6 marzo 2019, n. 2019; TAR Lazio, sez. I-quater, 28 marzo 2019, n. 4122. La sua prospettazione, si noti, era stata anticipata da E. CARLONI, Se questo è un FOIA, cit. e F. FRANCARIO, Il diritto di accesso, cit., p. 5, ove si avvertiva come la confusione tra le diverse forme di accesso avrebbe potuto «portare a riferire anche all’accesso civico, e non solo all’accesso procedimentale, l’affermazione per cui il diritto di accesso non si sostanzierebbe in un’azione popolare e neppure potrebbe tradursi in un controllo generalizzato sulla legittimità dell’azione amministrativa, con l’effetto di consentire la introduzione di filtri della più varia natura finalizzati a circoscrivere, comunque sotto il profilo soggettivo, l’interesse ad agire nelle forme dell’accesso civico»; sulla funzionalizzazione dell’accesso civico cfr. altresì G. GARDINI, L’incerta natura della trasparenza amministrativa, in G. GARDINI e M. MAGRI (a cura di), Il FOIA italiano: vincitori e vinti. Un bilancio a tre anni dall’introduzione, Santarcangelo di Romagna, 2019, p. 54 ss.
([15]) La funzionalizzazione è alla base del tentativo di assimilazione del diritto di accesso civico alla c.d. azione popolare; in merito, oltre a G. GARDINI, L’incerta natura della trasparenza amministrativa, cit., p. 19 ss., cfr. G. TROPEA, Forme di tutela giurisdizionale dei diritti d’accesso: bulimia dei regimi, riduzione delle garanzie?, in Il Processo, 2019, n. 1, p. 20 ss., e V. PARISIO, La tutela dei diritti di accesso ai documenti amministrativi e alle informazioni nella prospettiva giurisdizionale, in federalismi.it, 2018, n. 11.
([16]) Cfr. Cons. St. 2020/1121, cit., secondo cui «Lo strumento in esame può […] essere utilizzato solo per evidenti ed esclusive ragioni di tutela di interessi propri della collettività generale dei cittadini, non anche a favore di interessi riferibili, nel caso concreto, a singoli individui od enti associativi particolari». Il collegio, peraltro, consapevole del fatto che il tentativo di funzionalizzazione esperito non trova riscontro all’interno del d.lgs. n. 33 del 2013, tenta di giustificare la propria presa di posizione sul piano processuale; secondo lo stesso «non si tratterebbe di imporre per via ermeneutica un onere non previsto dal legislatore, bensì di verificare se il soggetto agente sia o meno legittimato a proporre la relativa istanza. Nel giudizio amministrativo la sussistenza dell'interesse e della legittimazione ad agire è infatti valutabile d'ufficio in qualunque momento del giudizio. La mancanza dei presupposti processuali o delle condizioni dell'azione è rilevabile d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (art. 35, comma primo, Cod. proc. amm.), poiché essi costituiscono i fattori ai quali la legge, per inderogabili ragioni di ordine pubblico, subordina l'esercizio dei poteri giurisdizionali». Il giudice, tuttavia, così trascura che la titolarità della situazione giuridica soggettiva ai sensi – e alle condizioni – di cui all’art. 5, comma 2 e 3, è strettamente correlata alla legittimazione ad agire in giudizio a cui egli stesso fa riferimento.
([17]) La funzionalizzazione, peraltro, in mancanza di un fondamento legislativo, sarebbe incompatibile con il right to know, oltre che ontologicamente, per la natura di tale diritto, che, in quanto fondamentale, ai sensi del combinato disposto tra l’art. 117, comma 1, Cost. e l’art. 10 CEDU, non tollererebbe limitazioni finalistiche, giuridicamente, perché violerebbe la riserva di legge, che, proprio ai sensi del suddetto combinato disposto, dovrebbe presiedere alle anzidette limitazioni.
([18]) Cfr. Cons. St., Ad. Plen., sent. 2 aprile 2020, n. 10. La pronuncia è stata commentata da F. MANGANARO, La funzione nomofilattica dell’Adunanza plenaria in materia di accesso agli atti amministrativi, in federalismi.it, 2021, n. 20 A. CORRADO, L’accesso civico generalizzato, diritto fondamentale del cittadino, trova applicazione anche per i contratti pubblici: l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato pone fini ai dubbi interpretativi, in federalismi.it, 2020, n. 16; A. MOLITERNI, Pluralità di accessi, finalità della trasparenza e disciplina dei contratti, in Giornale di diritto ammnistrativo, 2020, n. 4
([19]) Il termine “affievolimento”, occorre ribadire, nel presente scritto è inteso come sinonimo di “recessività”, ed è utilizzato esclusivamente per rappresentare la tendenza ad applicare le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis come se l’interesse alla conoscibilità dovesse necessariamente recedere dinanzi alla mera prospettazione di un pregiudizio per l’interesse alla riservatezza (cfr. supra nota 9).
([20]) Cfr. A. MOLITERNI, La natura giuridica dell’accesso civico generalizzato, cit. La tesi dell’affievolimento interroga l’effettività dell’accesso civico generalizzato di fronte alla tendenza dell’amministrazione alla segretazione di “diritto” o di “fatto” dei documenti e dei dati da essa detenuti; in proposito, sia consentito rinviare a F.V. VIRZÌ, L’effettività dell’accesso civico generalizzato: il caso degli accordi in forma semplificata, in Giornale di diritto amministrativo, 2019, n. 5, p. 641 ss.
([21]) L’harm test, segnatamente, richiede che, in vista dell’eventuale diniego, si valuti soltanto se l’accesso danneggi uno degli interessi-limite; il public interest o public interest ovveride test richiede di considerare, in aggiunta, il danno che il diniego comporterebbe per l’interesse all’accesso, nell’ambito di una valutazione comparativa (c.d. balancing test).
([22]) L’opzione tra l’harm test e il public interest test, peraltro, reca con sé un ulteriore riflesso, inerente alla qualificazione dell’accesso generalizzato quale “diritto soggettivo” in senso stretto. La questione, a lungo dibattuta, non può essere qui adeguatamente trattata, è d’uopo però sottolineare che il test dell’interesse pubblico, postulando un bilanciamento di interessi e quindi l’esercizio di un potere discrezionale, sembrerebbe prefigurare una situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo, che peraltro, occorre precisare, non sarebbe di per sé incompatibile con la connotazione fondamentale del right to know.
([23]) TAR Lazio, 2019/10202, cit.
([24]) Cons. St. 2020/1121, cit.
([25]) TAR Lazio, 2019/10202, cit.
([26]) Cfr. Reg. CE n. 1049/2001, art. 4, par. 2.
([27]) La sentenza del Cons. St. 2020/1121, cit., in proposito, appare tutt’altro che isolata. La giurisprudenza di recente è intervenuta sul tema dell’accesso generalizzato alle politiche migratorie con le pronunce del Consiglio di Stato, Sez. III, sent. 2 settembre 2019, n. 6028 e del TAR Lazio, Sez. I ter, sent. 7 agosto 2018, n. 8892, rese sul diniego di accesso al Memorandum d’intesa con lo Stato della Libia, e del TAR. Lazio, Sez. III ter, sent. 16 novembre 2018, n. 11125, resa sul diniego di accesso all’accordo di cooperazione con la Repubblica del Niger, su cui cfr. F.V. VIRZÌ, L’effettività dell’accesso civico generalizzato, cit. L’accesso civico generalizzato nei suddetti casi era volto a rendere conoscibile il contenuto di accordi bilaterali, la cui sottoscrizione in forma semplificata (o semi-semplificata) aveva consentito al Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale di mantenere il riserbo su alcune pratiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera. Le tre sentenze lasciano tutte trapelare una certa superficialità da parte del giudice nella valutazione della motivazione allegata al diniego, che – in linea con l’art. 5-bis, commi 1, 4 e 5, del d.lgs. n. 33 del 2013 – dovrebbe rendere conto non soltanto della rilevanza dell’interesse alla riservatezza, ma anche della rilevanza dell’interesse all’accesso e della prevalenza dell’uno interesse sull’altro, all’esito di una valutazione comparativa condotta nel rispetto del principio di proporzionalità. Nel caso del Memorandum libico, il giudice non censura il diniego nonostante nella motivazione non si facesse alcun riferimento all’interesse all’accesso. Nel caso dell’accordo nigerino, si accontenta invece di una motivazione in cui ci si limita ad affermare di aver tenuto in considerazione tale interesse. L’atteggiamento di deferenza del giudice dinanzi alle esigenze di riservatezza, probabilmente, può essere spiegato in ragione della sensibilità degli interessi pubblici che l’accesso generalizzato, nell’ambito delle politiche migratorie, può esporre a pregiudizio (nelle sentenze citate si richiama l’interesse sotteso alle relazioni internazionali, alla difesa, alle questioni militari, all’ordine e alla sicurezza pubblica). Tale atteggiamento, tuttavia, reca con sé il rischio di legittimare, nella prassi, l’integrale sottrazione delle suddette politiche al principio di trasparenza e la surrettizia introduzione, in luogo del diritto di accesso generalizzato, di un diniego generalizzato di accesso rispetto ai documenti che le riguardano.
([28]) Cfr. A. CORRADO, Il tramonto dell’accesso generalizzato come “accesso egoistico”, cit., p. 8, «Deve considerarsi che il richiamo normativo al “pregiudizio concreto”, da scongiurare da parte dell’amministrazione, impone che si proceda a valutare il rischio del pregiudizio non come astratta possibilità, ma come conseguenza realistica dell’ostensione», nonché F. FRANCARIO, Il diritto di accesso, cit., p. 16 ss., «[è]l’amministrazione che deve decidere se la conoscenza pregiudichi un contrapposto interesse, pubblico o privato che sia; il che significa apprezzare e ponderare i diversi interessi per giungere alla conclusione che il diniego è necessario per evitare il pregiudizio dell’interesse ritenuto prevalente dal legislatore». Il ruolo attivo dell’amministrazione nella valutazione sul pregiudizio dell’interesse, pubblico o privato, alla riservatezza, peraltro, secondo l’A., non può non retroagire sulla tesi della funzionalizzazione, confermandone la sua inadeguatezza: «Il fatto che l’interesse alla conoscenza venga fatto dipendere dall’apprezzamento discrezionale dell’amministrazione ha conseguenze significative sulla comprensione della natura di un tale interesse e delle modalità e dei limiti della sua protezione. Spiega e si correla al fatto che non è necessario vantare la titolarità di una situazione soggettiva qualificata per poter agire e che si può agire uti cives perché le forme e i limiti della protezione di tale interesse sono quelle consentite e riconosciute nei confronti del merito delle decisioni amministrative, ovvero quelle proprie dell’interesse semplice. Salva sempre la possibilità che nello specifico del caso concreto il mancato rispetto delle garanzie procedimentali o la violazione dei limiti intrinseci alla spendita della discrezionalità amministrativa consentano di sostanziare la situazione in termini d’interesse legittimo, in presenza di interessi sufficientemente differenziati».
([29]) L’Ad. Plen., 2020/10, facendo riferimento all’interesse privato alla riservatezza, afferma in particolare che la tutela dello stesso «può e deve essere conseguito appunto, in una equilibrata applicazione del limite previsto dall’art. 5-bis, comma 2, lett. c), del d. lgs. n. 33 del 2013, secondo un canone di proporzionalità, proprio del test del danno (c.d. harm test), che preservi il know-how industriale e commerciale dell’aggiudicatario o di altro operatore economico partecipante senza sacrificare del tutto l’esigenza di una anche parziale conoscibilità di elementi fattuali, estranei a tale know-how o comunque ad essi non necessariamente legati, e ciò nell’interesse pubblico a conoscere, per esempio, come certe opere pubbliche di rilevanza strategica siano realizzate o certi livelli essenziali di assistenza vengano erogati da pubblici concessionari».
([30]) TAR Lazio, sent. 2021/8838, cit., «Il Collegio non ravvede ragioni per discostarsi da quanto statuito dal Consiglio di Stato, Sezione III, in altro caso sovrapponibile a quello sub judice e deciso con sentenza n. 1121/2020, cui rinvia ai sensi e per gli effetti dell’art. 88, comma 2, lett. d) c.p.a.», ove, com’è noto, è previsto che la sentenza del giudice amministrativo debba contenere una concisa esposizione in fatto e in diritto della decisione «anche con rinvio a precedenti cui intende conformarsi».
([31]) TAR Lazio, sent. 2021/8838, cit. La prospettazione della tesi della funzionalizzazione rispetto all’accesso civico semplice, si diceva, appare inedita essendosi la stessa formata con specifico riferimento all’accesso civico generalizzato. Tale esito, tuttavia, era stato pronosticato da F. FRANCARIO, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva, cit., sulla scorta della sentenza della Corte costituzionale n. 20 del 2019: «la motivazione di una decisione sostanzialmente giusta, laddove garantisce e limita l’obbligo di trasparenza alla conoscenza di come vengano impiegate le risorse pubbliche, scivola sul terreno del sindacato sulle finalità perseguite dall’accesso civico, avallando la possibilità di limitazioni d’ordine generale sotto questo profilo. Apprezzamento della possibile esposizione al rischio corruttivo e effettiva utilità dell’informazione diventano in tal modo presupposti che condizionano l’esercizio del diritto di accesso civico». Lo stesso A., in proposito, non manca di ribadire come sia «indubbio che in ambedue i casi il diritto d’accesso venga configurato come diritto civico, azionabile cioè da qualsiasi cittadino uti cives». La sentenza della Corte Costituzionale citata è stata commentata, tra gli altri, da F. CAPORALE, La parabola degli obblighi di pubblicazione, in Riv. trim. dir. pub., 2021, n. 3, pag. 853.
([32]) TAR Lazio, sent. 2021/8838, cit.
([33]) Cons. St., 2022/4735, §7 ss. e in particolare §7.3., ove si conclude statuendo che «L’impugnata sentenza del Tar Lazio, che ha ritenuto necessarie l’allegazione e la prova di un interesse “proprio della generalità dei cittadini”, non essendo in linea con il dato normativo e con la riferita interpretazione dell’Adunanza plenaria, va pertanto riformata in parte qua».
([34]) Cons. St., 2022/4735, § 8.1. La tesi della funzionalizzazione è stata sfruttata in tal senso dal TAR Lazio, sez. III-bis, 30 marzo 2018, n. 3598, in cui, facendo leva sull’art. 5, comma 2, dlgs. n. 33/2013, si è ritenuto illegittimo il diniego all’istanza di accesso sulle «relazioni, appunti, informative ecc. che non hanno assunto natura provvedimentale né si sono trasfusi in atti ufficiali, neppure in fase istruttoria», poiché tali atti «non esprimono attività di gestione dell’amministrazione»; contra, TAR Emilia-Romagna, sez. I, 28 novembre 2018, n. 325: «non è possibile sostenere che le finalità identificate dall’art. 5, comma 2, […] debbano trovare diretta declinazione nella tipologia di documenti richiesti, innanzitutto perché è arduo individuare un atto pubblico che, in un regime di trasparenza e democraticità delle istituzioni, debba restare interno e non conoscibile – al di fuori dei limiti di tutela riconosciuti agli interessi pubblici e privati ‘sensibili’».
([35]) Cons. St., 2022/4735, § 8.2. Il collegio censura proprio tale tentativo, sottolineando come ai sensi della l. n. 839, «ciò che rileva ai fini dell’obbligo di pubblicazione degli accordi internazionali, compresi quelli in forma semplificata, non è […] la loro natura amministrativa o politica, quanto piuttosto l’assunzione, da parte dello Stato italiano, di impegni nei confronti di uno Stato estero»; e come tale interpretazione letterale possa trovare riscontro nella stessa ratio della l. n. 839, con cui il legislatore «ha inteso perseguire il duplice obiettivo di consentire il controllo democratico, dei cittadini e delle Camere, sulla politica estera del Governo e, per tale via, di contrastare il fenomeno, ben noto alla dottrina costituzionalistica, della “fuga” dall’autorizzazione parlamentare alla ratifica prevista dall’art. 80 della Costituzione per il caso di trattati “di natura politica”». La conclusione che ne deriva è che ove si ravvisi l’obbligo di pubblicazione ai sensi della menzionata previsione normativa, il suo inadempimento comporta che gli accordi in discussione possano essere oggetto di accesso civico semplice.
([36]) Cons. St., 2022/4735, § 8.3.
([37]) Cons. St., 2022/4735, § 8.3.
([38]) Cons. St., 2022/4735, § 8.3.
([39]) Cons. St., 2022/4735, § 8.4.
([40]) L’intervento legislativo, d’altra parte, è auspicabile rispetto a un’altra causa di affievolimento dell’accesso civico, vale a dire, l’identificazione dell’interesse alla riservatezza all’interno delle previsioni regolamentari, adottate per escludere determinate categorie di atti dall’accesso documentale. L’art. 5-bis, comma 3, in effetti, tra le cause di esclusione dell’accesso civico generalizzato annovera i «casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all'art. 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990». Tale previsione andrebbe modificata al fine di rafforzare il suddetto interesse, anche in considerazione del carattere fondamentale del diritto alla conoscibilità, che, ai sensi dell’art. 10 CEDU, è coperto da riserva di legge; è significativo, infatti, come lo stesso Ministero per la pubblica amministrazione, all’interno della circolare n. 2/2017, Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA)– su cui cfr. infra nel testo e in nota successiva – si appunti su tale riserva di legge per tentare di mitigare le conseguenze dell’incauto riferimento contenuto nel Testo unico: per essa «ciascuna amministrazione può disciplinare con regolamento, circolare o altro atto interno esclusivamente i profili procedurali e organizzativi di carattere interno. Al contrario, i profili di rilevanza esterna, che incidono sull'estensione del diritto (si pensi alla disciplina dei limiti o delle eccezioni al principio dell'accessibilità), sono coperti dalla suddetta riserva di legge» di modo che «diversamente da quanto previsto dall'art. 24, comma 6, legge n. 241/1990 in tema di accesso procedimentale, non è possibile individuare (con regolamento, circolare o altro atto interno) le categorie di atti sottratti all'accesso generalizzato».
([41]) Il principio della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo è enunciato nella circolare del Ministero della pubblica amministrazione n. 2/2017, cit., al § 2.2., let. i), ove si legge «Nei sistemi FOIA, il diritto di accesso va applicato tenendo conto della tutela preferenziale dell’interesse a conoscere. Pertanto, nei casi di dubbio circa l’applicabilità di una eccezione, le amministrazioni dovrebbero dare prevalenza all’interesse conoscitivo che la richiesta mira a soddisfare». Lo stesso principio, peraltro, è condiviso anche all’interno delle Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all'accesso civico di cui all’art. 5 co. 2 del d.lgs. 33/2013, adottate dall’A.N.A.C. con delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016, che al § 2.1. sollecitano a valorizzare i principi delineati dal Testo unico come «canone interpretativo in sede di applicazione della disciplina dell’accesso generalizzato da parte delle amministrazioni e degli altri soggetti obbligati, avendo il legislatore posto la trasparenza e l’accessibilità come la regola rispetto alla quale i limiti e le esclusioni previste dall’art. 5-bis del d.lgs. 33/2013, rappresentano eccezioni e come tali da interpretarsi restrittivamente».