La disapplicazione della norma nazionale contrastante con il diritto dell’Unione (nota a TAR Puglia-Lecce, sez. I, 18 novembre 2020 n. 1321)
di Renato Rolli e Martina Maggiolini*
Sommario: 1. Premessa: la vicenda contenziosa - 1.1 Sulla disciplina delle concessioni 2. La disapplicazione delle norme nazionali in contrasto con le disposizioni comunitarie - 3. L'atto amministrativo in contrasto con il diritto comunitario. Certezza del diritto - 4. La disapplicazione normativa e il regime giuridico degli atti amministrativi - 5. La disapplicazione nella giurisprudenza comunitaria; 6. Interpretazione autentica e interpretazione abrogante - 7. Considerazioni conclusive.
1. Premessa: la vicenda contenziosa
La disapplicazione giurisdizionale degli atti amministrativi invalidi, istituto tradizionale del nostro sistema di giustizia amministrativa [1], nei tempi più recenti ha acquisito rilevanza sempre crescente con riferimento al problema della influenza reciproca fra diritto interno e diritto comunitario.
In questo nuovo contesto merita di essere segnalata la recente pronuncia del TAR Puglia- Lecce, sez. I, del 18/11/2020 n. 1321.
In tale sede il giudice amministrativo è stato chiamato a decidere sul provvedimento comunale con cui è stato disposto l’annullamento d’ufficio dell’addendum all’atto concessorio avente ad oggetto la “proroga ex lege della Concessione Demaniale Marittima n. 3/2010.”
La ricorrente aveva ottenuto dal Comune il rilascio della proroga della concessione in essere per la durata di ulteriori 13 anni ai sensi dell’arti. 1 commi 682 e 683 della Legge 145/2018 e dunque con scadenza in data 31 dicembre 2033. Successivamente l’Amministrazione, dopo aver comunicato l’avvio del procedimento e invitato la ricorrente a produrre eventuali controdeduzioni, emetteva il provvedimento con cui annullava ex officio la proroga.
Tra i diversi motivi di diritto addotti, la ricorrente rileva che il provvedimento annullato d’ufficio risulterebbe supportato dall’erroneo convincimento del ritenere principio ormai consolidato in giurisprudenza quello secondo il quale “la disapplicazione della norma nazionale confliggente con il diritto dell’unione europea, a maggior ragione se tale contrasto sia stato accertato dalla Corte di Giustizia UE, costituisce un obbligo per lo stato membro in tutte le sue articolazioni e, quindi, anche per l’apparato amministrativo e per i suoi funzionari qualora sia chiamato ad applicare una norma interna contrastante con il diritto comunitario”.
Il Collegio adito, nell’accogliere il ricorso e, per l’effetto, annullare il provvedimento impugnato, evidenzia l’illogicità nel ritenere che il potere di disapplicare la legge nazionale, potesse essere riconosciuto sic et simpliciter al dirigente comunale. Invero tale facoltà è conferita esclusivamente al giudice nazionale e sovranazionale, supportata all’uopo dalla specifica attribuzione di poteri ad esso prodromici.
1.1. Sulla disciplina delle concessioni
Occorre, in primis, soffermarsi sulla disciplina delle concessioni demaniali [2] oggetto del contenzioso in commentoche nel corso degli anni ha subito diverse e profonde modifiche necessarie al coordinamento tra normativa nazionale e normativa comunitaria. In tale sede appare opportuno rilevare che il Parlamento Europeo con direttiva 2006/123/CE, ha dichiarato l’incompatibilità dei provvedimenti di proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime in assenza di procedura di selezione tra gli aspiranti. Il legislatore nazionale al fine di evitare l’avvio della procedura di infrazione, con L. 160/2016 ha previsto una sanatoria dei rapporti concessori in essere in via interinale e “nelle more della revisione e del riordino della materia in conformità ai principi di derivazione europea”.
Invero la novellata disciplina, volta a garantire la compatibilità con l’ordinamento comunitario non si è concretizzata ed avvicinandosi al termine del 31 dicembre 2020, il legislatore con la Legge Finanziaria del 2019 ha disposto un ulteriore proroga delle concessioni demaniali in vigore fino al dicembre 2033, integrando così una manifesta violazione delle prescrizioni contenute nella Direttiva. Tale situazione ha determinato assoluta incertezza per gli operatori e per le pubbliche amministrazioni creando forti dubbi circa la disapplicazione della norma nazionale inficiando così l’uniformità e l’armoniosità dell’applicazione della normativa sul territorio nazionale.
2. La disapplicazione delle norme nazionali in contrasto con le disposizioni comunitarie
È necessario partire, per avere una visione completa della disapplicazione, dal rapporto tra ordinamento comunitario ed ordinamento interno, che, a seguito dell'adesione dell'Italia al Trattato di Parigi del 1951 e ai Trattati di Roma del 1957 è stato affrontato dalla giurisprudenza costituzionale con il richiamo all'art. 11 della Costituzione, che consente "limitazioni di sovranità" in vista di un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni [3]. Tali limitazioni riguardano non soltanto l'attività normativa dello Stato, ma anche l'attività amministrativa e giurisdizionale.
La giurisprudenza costituzionale ha sottolineato che le limitazioni di sovranità, non trattandosi di cessione, sono ammissibili entro i limiti dei valori fondamentali del nostro ordinamento [4]. I Trattati comunitari, a loro volta, prevedono che le istituzioni comunitarie possano adottare regolamenti o direttive, a seconda dei casi, in determinate materie, con la conseguenza che le limitazioni di sovranità saranno una riserva di competenza a favore delle fonti comunitarie e l’invasione di tale sfera, da parte delle fonti interne, comporterà violazione mediata dell’art. 11 Cost. [5].
L’iniziale orientamento della Corte Costituzionale faceva riferimento ad una ripartizione di competenza desumibile dall’art. 11 Cost. da cui derivano alcune conseguenze sul piano del diritto interno. In primo luogo, gli atti normativi nazionali, che invadono la sfera riservata dai trattati alle fonti comunitarie, violano l’art. 11 Cost.. in secondo luogo, se le fonti comunitarie non disciplinano le materie loro riservate, continueranno a vigere le norme nazionali, in quanto la competenza verrà traferita con il primo atto di esercizio. In terzo luogo, l’emanazione di norme comunitarie nelle materie riservate alle Comunità, implica l’abrogazione di quelle nazionali contrastanti. Infine, la fonte nazionale incompatibile con la disciplina dettata dalla fonte comunitaria competente è illegittima e, competente a giudicare su tale illegittimità, era la stessa Corte Costituzionale. [6]
Tale orientamento non è stato accolto dalla Corte di Giustizia che, nella decisione del 9 marzo 1978, sentenza Simmenthal [7], ha affermato il principio della diretta applicabilità delle norme comunitarie da prevalere sul diritto interno incompatibile. Il giudice nazionale è tenuto a disapplicare [8] (indipendentemente dal filtro di un giudizio costituzionale) le norme statali contrastanti con la normativa comunitaria automaticamente operante. La posizione della Corte costituzionale, che configurava in termini di legittimità costituzionale il contrasto tra il diritto comunitario e le leggi interne successive, vietando al giudice il potere di disapplicare direttamente le leggi nazionali incompatibili, era pertanto in aperto contrasto con la giurisprudenza della Corte di Giustizia [9].
Successivamente nel 1984 la Consulta, nella sentenza Granital [10], ha escluso l'applicabilità del principio lex posterior derogat priori, ed ha riconosciuto che è dovere del giudice applicare "sempre" il diritto comunitario direttamente applicabile «sia che segua, sia che preceda nel tempo le leggi ordinarie con esso incompatibili>>. La decisione, imponendo al giudice di disapplicare le leggi contrastanti con le norme comunitarie, pone una forma di controllo diffuso sulla validità delle leggi. Tale controllo, in base all'art. 234 Trattato CE, che prevede il rinvio al giudice comunitario delle questioni attinenti all'interpretazione alla validità delle norme comunitarie, esalta la funzione della Corte di Giustizia, quale garante della corretta interpretazione ed applicazione del diritto comunitario [11]. Sembra evidente quindi che il principio della prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale, imponga che la norma interna contrastante con quella nazionale venga disapplicata. Il giudice nazionale ha l’obbligo di applicare il diritto comunitario attribuendo al singolo la tutela conferita da tale diritto, con la conseguenza della disapplicazione della norma nazionale confliggente, anteriore o successiva che sia [12].
La giurisprudenza della Corte di Giustizia sembra, sul punto, non mutare indirizzo. Infatti, secondo una consolidata giurisprudenza, ha ribadito che << il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni di diritto comunitario ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante con la legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale>> [13] .
Il Collegio ritiene che, in linea con la consolidata giurisprudenza, qui richiamata, la disapplicazione è una funzione riconosciuta esclusivamente al Giudice che possiede poteri prodromici all’esercizio di tale attività [14]. È il suddetto potere riconosciuto al Giudice a garantire che la disapplicazione non comporti una disomogenea applicazione della norma sull’intero territorio nazionale. Infatti riconoscere tale facoltà all’Amministrazione comporterebbe senza dubbio una incertezza circa l’applicazione della norma in contrasto con il diritto unionale. Il TAR Puglia, in tale sede, infatti, ha rilevato che proprio nella materia dell’odierna discussione, ovvero la concessione della proroga fino al 31 dicembre 2033, alcune amministrazioni hanno disapplicato la norma nazionale, altre sono rimaste inerti, altre ancora hanno in un primo momento concesso la proroga e successivamente hanno annullato d’ufficio il provvedimento- come nel caso in oggetto. Tutto ciò dunque allontanerebbe vistosamente l’obbiettivo di omogeneità e uniformità del diritto all’interno del territorio nazionale andando ad inficiare anche il principio della certezza del diritto.
3. L'atto amministrativo in contrasto con il diritto comunitario. Certezza del diritto
Chiarito il rapporto vigente tra l’ordinamento nazionale e comunitario, pare utile, ora, procedere verso una compiuta definizione del rapporto gerarchico tra le fonti nazionali e comunitarie. In particolare, occorre determinare la collocazione delle direttive all’interno del nostro ordinamento. I Giudici Amministrativi, nella sentenza in oggetto, hanno rilevato, supportati dalla giurisprudenza comunitaria, che le cd. direttive self- executing [15] hanno efficacia immediata nell’ordinamento nazionale limitatamente a quelle statuizioni che risultino compiutamente definite e prive di alcuna condizione. Circa la collocazione nella scala gerarchica delle fonti, le direttive autoesecutive, hanno natura di legge ordinaria rafforzata atteso che esse non possono essere derogate da una legge nazionale. Dunque tali direttive, trovano immediata applicazione con la conseguenza che il giudice nazionale è tenuto a disapplicare la normativa interna con essa confliggente [16].
Più complessa appare invece la determinazione circa le direttive non autoesecutive, che, rappresentano tuttavia, per la dottrina e per la giurisprudenza, un vincolo in rapporto alle autorità deputate a darvi esecuzione, sotto un doppio profilo. Per un verso, infatti, le direttive costituiscono un parametro di legittimità nei confronti dell'attività svolta al momento dell'attuazione; per un altro, le medesime sembrano impedire iniziative amministrative ad esse contrarie, anche precedentemente ed in assenza dell'attenzione. Secondo la Corte di Giustizia, invero, «lo Stato singolo non può opporre ai singoli l'inadempimento da parte sua, degli obblighi derivanti dalla direttiva stessa» [17]. Si potrebbe quindi dedurre che il contenuto delle direttive influenzi l'esercizio del potere discrezionale dell'amministrazione. Si presenterebbe pertanto, in caso di loro violazione, il vizio di eccesso di potere e non di violazione di legge.
Similmente, in relazione alle raccomandazioni, pareri e comunicazioni, si ritiene che tali atti «debbano essere presi in attenta considerazione dall'autorità amministrativa nazionale nell'esercizio dei propri poteri discrezionali, non diversamente da quanto accade per i pareri non vincolanti previsti dall'ordinamento nazionale>>. Pertanto <<l'amministrazione in="" sede="" di="" motivazione="" della="" propria="" deliberazione="" dovrà="" indicare="" le="" ragioni="" per="" quali="" si="" sia="" eventualmente="" discostata="" da="" tali="" atti="">>. In difetto, anche in caso di violazione, sembra rilevare il vizio di eccesso di potere e non violazione di legge [18].
Giova inoltre notare che il tema dei rapporti tra provvedimento amministrativo e diritto comunitario, deve essere esaminato con riguardo al potere di autotutela rimesso all'amministrazione nel caso di un atto amministrativo illegittimo perché contrastante con il diritto europeo. Secondo il giudice del Lussemburgo, affinchè sussista l’obbligo di riesame di una decisione amministrativa in contrasto con il diritto comunitario, è necessaria in primo luogo la circostanza secondo cui «il diritto nazionale riconosce all'organo amministrativo la possibilità di ritornare sulla decisione in discussione nella causa principale, divenuta definitiva>>.
In secondo luogo deve sussistere il fatto che «la decisione amministrativa ha acquisito il suo carattere definitivo solo in seguito alla sentenza di un giudice nazionale le cui decisioni non sono suscettibili di un ricorso giurisdizionale>>. Inoltre occorre che la sentenza si fondi su un'interpretazione del diritto comunitario, assunta senza previo rinvio pregiudiziale che risulti successivamente errata. Infine, la parte che ha interesse faccia istanza di riesame <<all'organo amministrativo="" immediatamente="" dopo="" essere="" stato="" informato="" di="" tale="" sentenza="" della="" corte».="" <="" p="">
Solo alla presenza di tali circostanze, sulla base del principio di leale cooperazione (art. 10 CE) ad un organo amministrativo investito di una richiesta in tal senso, è imposto «di riesaminare tale decisione al fine di tener conto dell'interpretazione della disposizione pertinente di diritto comunitario nel frattempo accolta dalla Corte» [19]. Il giudice comunitario, ancora una volta, offre chiare soluzioni alla vicenda processuale rimessa al suo esame.
Il modo puntuale con cui illustra le condizioni, alla presenza delle quali sussiste un obbligo di riesame di un provvedimento amministrativo in contrasto con il diritto comunitario, costituisce il minimo comune denominatore per la stabilità e la certezza dei rapporti giuridici. Si concorda nel ritenere che, nella fattispecie, la Corte di Giustizia <
In definitiva, un insieme di componenti consentono di individuare l'evoluzione della giurisprudenza della Corte di Giustizia. Innanzitutto va ricordato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui il giudice nazionale debba rilevare d'ufficio la violazione del diritto comunitario; l'innovativa decisione che ha stabilito il principio della obbligatoria disapplicazione per contrasto con il diritto comunitario del <
Continuano ad emergere nuove regole [20] che, da una parte, qualificano la primazia del diritto comunitario rispetto ad atti normativi nazionali che con esso contrastano; dall'altra, tali regole sembrano favorire una tendenziale armonizzazione ed omogeneizzazione nell'ambito delle discipline giuspubblicistiche [21]. Nel quadro dei rapporti tra diritto comunitario e diritto interno, si è constatato come l'atto amministrativo contrastante con il diritto comunitario, non è nullo, né inesistente, né annullabile. Esso deve essere disapplicato al fine di agevolare la massima espansione del diritto comunitario, favorita anche dalla diretta applicabilità dello stesso all'interno degli Stati nazionali.
4. La disapplicazione normativa e il regime giuridico degli atti amministrativi
La problematica in ordine al tema della cd. Illegittimità comunitaria dell’atto amministrativo, sembra provocata dall’influenza sempre più incisiva del diritto comunitario negli ordinamenti nazionali, nonché dall’adempimento delle azioni e dei settori in cui è intervenuta la normativa comunitaria.
Assume quindi rilevanza la qualificazione del regime giuridico del provvedimento amministrativo contrastante con il diritto comunitario. Tale qualificazione, si osserva in dottrina, si collega in modo diretto ed indiretto con la soluzione della più generale questione sui rapporti tra ordinamento nazionale e ordinamento comunitario. Da questo problema si possono trarre differenti soluzioni.
A riguardo, un indirizzo prospetta l'appartenenza della normativa comunitaria ad un ordinamento autonomo, seppur connesso con quello interno. Secondo un altro - accolto dal giudice comunitario - le disposizioni comunitarie contribuirebbero, sostanzialmente, a formare un ordinamento giuridico unitario di cui le norme del diritto interno costituiscono parte integrante [22].
Ordunque, volendo accogliere l'indirizzo della disgiunzione tra gli ordinamenti, ne conseguirebbe che le norme comunitarie non si integrano con l'ordinamento interno. Se così fosse, si verificherebbe per un verso che il contrasto tra norme comunitarie e norme di diritto interno non dà luogo d'invalidità di queste ultime, ma solo alla disapplicazione. Per un altro, la stessa norma comunitaria - non appartenendo all'ordinamento - non potrebbe essere ammessa come atto fonte del potere esercitato dall'autorità amministrativa con l'emanazione dell'atto. Ove si accettasse al contrario l'assunto in ordine all' integrazione normativa (ed amministrativa), si perverrebbe agevolmente a conclusioni diverse dalle precedenti, riferibili sia alla sorte della norma di diritto interno, da valutarsi invalida e non solo disapplicabile, sia alla possibilità che la norma comunitaria diventi il parametro di legittimità dell'atto amministrativo emanato in base ad essa. La dottrina ha evidenziato che una rigida applicazione derivante dal presupposto della separazione tra gli ordinamenti, porterebbe a rendere inefficace anche a livello di azione amministrativa, il principio della prevalenza del diritto comunitario [23].
Tale presupposto, secondo la dottrina <>.
Alle norme comunitarie viene, infatti, negata qualsiasi efficacia diretta sull'operato amministrativo, non potendo le stesse costituire né il presupposto normativo fondante la potestà amministrativa di adozione dell'atto, né il parametro alla cui stregua valutare l'eventuale illegittimità». La dottrina e la giurisprudenza hanno pertanto adottato soluzioni diverse, pur discostandosi dalla teoria della autonomia degli ordinamenti, al fine di confermare il principio del primato del diritto comunitario su quello interno.
Sono emersi infatti alcuni orientamenti in parte differenti tra loro. Intanto, si è elaborata la c.d. tesi della annullabilità. Secondo tale tesi, la violazione del diritto comunitario determina effetti simili alla violazione del diritto interno; per tal motivo si è parlato di invalidità/annullabilità. Ciò comporta quindi l'applicabilità dei principi relativi al regime dell'invalidità degli atti amministrativi, non solo in rapporto alla "tipologia" dei vizi, ma anche alle regole di carattere processuale per la caducazione dell'atto viziato.
Si è rilevata, in tal caso, l'esigenza di un immediato ricorso, pena l'inoppugnabilità dell'atto; in secondo luogo la necessità di specifici ricorsi per avversare l’'anticomunitarietà" diversamente non rilevabile d'ufficio dal giudice; infine la presenza di decisioni di annullamento al fine di eliminare dall'atto i suoi effetti giuridici. La dottrina perviene a queste conclusioni, presupponendo che le discordanze tra norme (interna e comunitaria) si debbano dirimere utilizzando i criteri ordinatori del rapporto tra norme appartenenti allo stesso ordinamento. Pertanto ne deriverebbe che «la legge italiana, incompatibile con un regolamento comunitario risulterà abrogata se ad esso anteriore>>.
Al contrario se la legge interna fosse successiva, presenterebbe «un vizio di invalidità (non già di nullità – inesistenza>>, così come accade nel caso di legge costituzionalmente illegittima [24]. Queste premesse consentono di concludere che l'atto amministrativo affetto «da un vizio scaturente dall'inapplicabilità della legge nazionale, presenta una patologia valutabile alla stregua dei comuni canoni della illegittimità - annullabilità, come si reputa avvenga nel caso di applicazione di legge incostituzionale [...]». Successivamente si è formulata la tesi della nullità. La legge nazionale, secondo tale tesi, in contrasto con il diritto comunitario sarebbe nulla. Anche l'atto amministrativo confliggente con il diritto comunitario, quindi, sarebbe nullo o addirittura inesistente per carenza di potere.
Così argomentando, da un lato, l'atto confliggente con il diritto comunitario non sarebbe più inoppugnabile; da un altro, diverrebbe dubbia la giurisdizione del giudice amministrativo, stante l'assenza della relativa degradazione del provvedimento; la questione, pertanto, sarebbe devoluta al giudice ordinario [25]. Un'altra tesi ha operato una distinzione tra il caso in cui la norma interna si limiti a disciplinare le modalità di esercizio del potere, da quello in cui esclusivamente la norma stessa attribuisca il potere che sta alla base dell'atto amministrativo emesso. Orbene, nel primo caso si ravviserebbe una patologia configurabile come annullabilità; nel secondo caso, si avrebbe l'inesistenza dell'atto medesimo poiché adottato in carenza di potere, stante la non applicabilità della norma attributiva del potere stesso [26].
A tal proposito, si richiama in giurisprudenza la decisione della Quinta Sezione del Consiglio di Stato, del 10 gennaio 2003, n. 35. Nel caso di specie, è stato esplicitamente sottolineato che allorquando un atto amministrativo viola una disposizione di natura comunitaria si configura un vizio di illegittimità - annullabilità dell'atto stesso [27]. In particolare il Consesso Amministrativo ha statuito che <primautè del diritto comunitario e con il suo carattere vincolante per i giudici, oltre che per i legislatori e le amministrazioni degli stati membri>>.
Si è a tal proposito osservato in dottrina che sia il Consiglio di Stato che la Corte di Giustizia <
5. La disapplicazione nella giurisprudenza comunitaria
È applicabile dunque il potere della disapplicazione degli atti nazionali in contrasto con il diritto comunitario, anzi, per gli atti amministrativi il principio della disapplicazione presenta un'efficacia ed un'estensione più ampia rispetto agli atti normativi. Successivamente alla disapplicazione - stante il carattere incidentale della pronuncia del giudice - l'atto normativo conserva sostanzialmente intatta la sua generale efficacia per le questioni diverse da quelle sottoposte alla cognizione giudiziale. Come si è osservato in precedenza - relativamente alla disapplicazione nell'ordinamento nazionale - l'atto continua ad estendere i suoi effetti giuridici nei confronti dei soggetti dell'ordinamento. Invece, per quanto attiene agli atti amministrativi, <
Sul punto è bene richiamare la sentenza Ciola [29] della Corte di Giustizia, con cui sembra aver condiviso l'orientamento favorevole ad applicare l'istituto della disapplicazione alla generalità dei casi di contrasto con il diritto comunitario di atti normativi e amministrativi nazionali. Nella fattispecie, il Tribunale superiore amministrativo austriaco poneva al Giudice comunitario il seguente quesito: «se un divieto posto anteriormente all’adesione di uno Stato membro all'unione europea non attraverso una norma generale o astratta, ma attraverso un provvedimento amministrativo individuale e concreto divenuto definitivo, che sia in contrasto con la libera prestazione dei servizi, vada disapplicato nella valutazione della legittimità di un'ammenda irrogata per inosservanza di tale divieto dopo la data di adesione».
Ebbene, la Corte di Giustizia ha evidenziato, in primo luogo, che «tra le disposizioni di diritto interno in contrasto con la disposizione comunitaria possono figurare disposizioni vuoi legislative, vuoi amministrative>>. In secondo luogo, secondo la Corte «è nella logica di tale giurisprudenza che le disposizioni amministrative di diritto interno ... non includano unicamente norme generali ed astratte, ma anche provvedimenti amministrativi individuali e concreti»[30].
Con tale importante decisione, la Corte ha definitivamente stabilito il principio secondo cui «un divieto emanato all'adesione di uno Stato membro all'unione europea non attraverso una norma generale e astratta, bensì attraverso un provvedimento amministrativo individuale e concreto divenuto definitivo, che sia in contrasto con la libera prestazione dei servizi, va disapplicato>>[31].
Il giudice comunitario giunge a tale conclusione dirompente ed innovativa riprendendo la sentenza Peterbroeck ove si decideva che <<è compito dei giudici nazionali…garantire la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto. In mancanza di disciplina comunitaria in materia, spetta all'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto>>.
6. Interpretazione autentica e interpretazione abrogante
Orbene il TAR Puglia pronunciandosi sulla fattispecie posta alla sua attenzione, rileva che il provvedimento amministrativo adottato in conformità alla legge nazionale ma in violazione di direttiva autoesecutiva [32] costituisce atto illegittimo e quindi non atto nullo con la conseguenza che la sua annullabilità potrà essere disposta dal giudice amministrativo. Dunque in caso di conflitto tra norma nazionale e norma comunitaria immediatamente efficace deve ritenersi sussistente l’obbligo di disapplicare la norma interna in favore di quella comunitaria [33].
Sul punto è bene richiamare la sentenza del 16 luglio 2016 che ha fornito interpretazione vincolante dell’art. 12 paragrafi 1 e 2 della direttiva Bolkestein: “l’art. 12, paragrafi 1 e 2. della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come di quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico ricreative, in assenza di qualsivoglia procedura di selezione tra i potenziali candidati; l’art. 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che preveda una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo”.
Essa costituisce quindi l’espressione piena dell’interpretazione vincolante per il giudice nazionale.
Invero non può essere ritenuta vincolante la recente pronuncia della Corte di Giustizia nella quale risulta affermato il principio secondo cui la prevalenza della norma comunitaria su quella interna comporterebbe l’obbligo di disapplicare quella nazionale da parte dello Stato membro “in tutte le sue articolazioni” ovverosia da parte dei giudici nonché dall’amministrazione.
Infatti appare evidente che tale statuizione non possa ritenersi di natura interpretativa di una determinata direttiva o regolamento U.E. e che comunque risulti ultronea e non vincolante.
Per pronuncia interpretativa deve intendersi quella volta a chiarire la ratio della statuizione specifica e non dunque una qualsivoglia affermazione a carattere generale volta a condizionare l’azione decisionale del giudice nazionale o della P.A., funzioni che soggiacciono a norme e a regole processuali inderogabili previste a livello nazionale [34].
Anche i Giudici di Palazzo Spada hanno ribadito che la disapplicazione della norma interna rientri nell’attività di interpretazione, finalizzata “all’individuazione della norma applicabile, riservata al giudice, in applicazione del principio iura novit curia e nel doveroso rispetto dei principi di primizia del diritto comunitario, di certezza del diritto e di leale collaborazione”. [35]
Non appare dunque significativo il riferimento al rispetto dei principi di primazia del diritto comunitario e di certezza del diritto “che impongono sia alla pubblica amministrazione, sia al giudice di garantire la piena e diretta efficacia nell’ordinamento nazionale e la puntuale osservanza ed attuazione del diritto comunitario. Ne consegue che la disapplicazione della disposizione interna contrastante con l’ordinamento comunitario costituisce un potere- dovere, anzi, un dovere istituzionale per il giudice…”
Tale presa di posizione è già chiara altresì nella sentenza del Consiglio di Stato n. 7874/2019, nella quale viene stabilito che“...il Collegio deve farsi carico di rammentare che la tesi prevalente in giurisprudenza, allo stato, e condivisa dal Collegio, tende ad affermare che il provvedimento amministrativo adottato dall’amministrazione in applicazione di una norma nazionale contrastante con il diritto eurounitario non va considerato nullo, ai sensi dell’art. 21- septies Legge 241/90 per difetto assoluto di attribuzione di potere in capo all’amministrazione procedente, sebbene alla medesima amministrazione, per quanto si è sopra riferito è fatto carico dell’obbligo di non applicare la norma nazionale contrastante con il diritto euro-unitario, in particolar modo quando tale contrasto sia stato sancito in una sentenza della Corte di Giustizia U.E.. Per effetto di tale prevalente orientamento, quindi, la violazione del diritto euro-unitario implica solo un vizio di illegittimità non diverso da quello che discende dal contrasto dell’atto amministrativo con il diritto interno, sussistendo di conseguenza l’onere di impugnare il provvedimento contrastante con il diritto europeo dinanzi al giudice amministrativo entro il termine di decadenza, pena l’inoppugnabilità del provvedimento medesimo”.
Difatti il Giudice adito ha condiviso l’orientamento giurisprudenziale relativamente alla configurazione del provvedimento amministrativo conforme alla legge nazionale in contrasto con la norma comunitaria come provvedimento illegittimo e non già come nullo considerando tale attività riservata esclusivamente al giudice [36].
Va rilevato in conclusione che la statuizione della Corte di Giustizia in cui si legge che la norma nazionale deve essere disapplicata dallo stato “in tutte le sue articolazioni” non può essere considerata norma dichiarativa di interpretazione autentica della norma unionale, perché non ha ad oggetto alcuna individuazione della ratio legis di una specifica norma comunitaria ma riguarda invero le generali regole e modalità di applicazione della normativa dell’Unione in generale considerata dovendosi riguardare alla stregua di mero obiter dictum.
La disapplicazione è, dunque, strettamente correlata all’attività di esegesi e di interpretazione della norma, in quanto essa costituisce il risultato effettivo della funzione interpretativa. In particolare la disapplicazione costituisce l’esito dell’attività di interpretazione abrogativa [37].
Tra le diverse interpretazioni quella in oggetto presenta sicuramente aspetti problematici in quanto può condurre ad una violazione di regole, ruoli e competenza attribuiti al Giudice e al Legislatore. L’interpretazione abrogante è esclusivamente consentita in presenza della simultanea coesistenza di due norme in conflitto insanabile tra loro, dunque è necessario che il conflitto non possa essere sanato in una prospettiva di coerenza e completezza dell’ordinamento ovvero facendo ricorso a regole precise e consolidate. Per cui al di fuori di tali ipotesi il ricorso all’interpretazione abrogante non è consentito al Giudice e ne tanto meno alla Pubblica Amministrazione.
7. Considerazioni conclusive
L'evoluzione giurisprudenziale [38], il processo di ibridazione del diritto amministrativo nazionale con il diritto comunitario [39] ed il progressivo ampliamento delle competenze comunitarie, soprattutto a seguito della creazione del Mercato unico europeo e vieppiù della c.d. Costituzione europea, nonché l'abolizione delle restrizioni alla circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali, hanno determinato la preminenza del diritto comunitario su quello interno.
Nel processo di integrazione ed omogeneizzazione delle normative degli stati membri, attraverso il diritto comunitario, le tradizionali categorie della nullità e dell'annullabilità dell'atto amministrativo sembrano svuotarsi di significato, a favore del crescente ambito di operatività dell'istituto della disapplicazione, come strumento teso alla conferma del primato del diritto comunitario.
Sembra crearsi pertanto una forma di invalidità dell'atto amministrativo, che legittima il giudice ad emettere sentenze dichiarative e di accertamento. D'altro canto la giurisprudenza della Corte di Giustizia ribadisce il primato del diritto comunitario, implicando che il giudice debba disapplicare non soltanto le leggi e gli atti normativi (fonti primarie) ma anche i provvedimenti amministrativi con esso contrastanti [40]
La assoluta singolarità dell’istituto della disapplicazione come espressione del moderno stato liberale e come istituto di garanzia dei diritti dei singoli, che vietava al giudice di incidere sul potere pubblico, determinando la disapplicazione dell’atto illegittimo [41], oggi assume un ruolo del tutto nuovo.
La disapplicazione- attesa la sua vis espansiva e per più versi multilivello- sembra costituire una sorta di raccordo tra passato e futuro del diritto sostanziale e processuale, avendo valicato i confini dello Stato nazionale, andando al di là di esso. Pertanto l’interprete deve guardare con cautela al crescere di questo fenomeno che, nelle sue molteplici interpretazioni ed applicazioni sembra costituire, nel complesso, un meccanismo volto alla tutela delle posizioni soggettive dei singoli.
La tutela di queste ultime trova rispondenza nelle norme costituzionali. Essa si attua in particolare nel processo amministrativo, attraverso i suoi istituti secondo una triplice dimensione. La prima definibile legalità-effettività, a seguito della legge n. 205 del 2000, che ha rappresentato un importante punto di svolta per l'effettività dell'intero sistema giurisdizionale amministrativo. Esso trova esplicito riconoscimento nelle norme costituzionali, o meglio in quelle che attengono direttamente a tale principio (artt. 24, 103, 111, 113 Cost.).
La seconda dimensione definibile legalità-uguaglianza, si sviluppa in primo luogo come giustizia nell'amministrazione (art. 100 Cost.), in secondo luogo, nei rapporti tra esercizio del potere, cittadino e giustizia (art. 3 Cost.). Questo rapporto va osservato nel senso dell'incidenza delle decisioni e degli effetti «che esse producono sull'andamento della funzione pubblica che non può non risentire del sindacato giudiziario costituzionalmente garantito ai singoli (art. 24 Cost.) su tutti gli atti di amministrazione (art. 113 Cost.) nell'ambito di un ordinamento ispirato alla effettività dell'uguale partecipazione alla vita socio-economica (art. 3 Cost.) ed alla tutela dei diritti fondamentali (artt. 2, 4, 13, e ss., 36 e ss. 41 e ss. Cost.) nonché rafforzato dal controllo di costituzionalità ad iniziativa dei giudici (art. 134 Cost.)>> [42].
Infine la terza, di più ampia portata, è la dimensione della legalità-equilibrio del sistema di giustizia amministrativa nei confronti dell'intero assetto costituzionale confermato anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004, in modo tale che la giustizia amministrativa ritrovi nella Costituzione del 1948 la sua musa ispiratrice. E proprio gli artt. 4 e 5 della legge del 1865 - dalla cui interpretazione si ricava il meccanismo della disapplicazione - si raccordano con l'ordinamento costituzionale, e con l'assetto della pubblica amministrazione, in rapporto alla tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi.
In definitiva, il TAR Puglia sul piano del diritto interno, ha richiamato quella dottrina che il controverso istituto della disapplicazione diventa strumento delle più disparate esigenze, sul fronte della struttura del processo come su quello dell'ordine delle fonti [43]. È evidente che tale attività debba essere svolta esclusivamente dal giudice poiché sarebbe illogico riconoscere il potere della disapplicazione della legge nazionale all’Amministrazione che non dispone dei poteri specificamente attribuiti invece all’autorità giudiziaria. A livello comunitario, sembra, invece costituire da un lato, un importante elemento finalizzato al consolidamento di una parte delle discipline giuspubblicistiche, dall'altro un tassello centrale teso all'armonizzazione degli strumenti processuali posti a garanzia dei singoli che, di volta in volta, invocano tutela giurisdizionale.
*Il presente elaborato è stato redatto da Renato Rolli, cui sono attribuibili i paragrafi 2, 4, 7 e da Martina Maggiolini cui sono attribuibili i restanti paragrafi.
[1] Sull'istituto generalmente considerato si rinvia per tutti a E. Cannada Bartoli, L'inapplicabilità degli atti amministrativi, Milano, 1950, F. Francario, Note minime sul potere di disapplicazione del giudice civile, in Rivista giuridica dell’edilizia, Giuffrè, 2018, R. Di Pace, La disapplicazione nel processo amministrativo, Torino, 2011; R.Rolli, La disapplicazione giurisdizionale dell’atto amministrativo tra ordinamento nazionale e ordinamento comunitario, Aracne, 2005.
[2] Già in R. Rolli, Noterelle in tema di rideterminazione dei canoni demaniali, Rivista giuridica dell'edilizia, 2015; Cfr. A. Giannelli, Beni sfruttabili o consumabili: diritto marittimo e parti, Federalismi.it, n. 22/2016
[3] Cfr. Corte cost. n. 14 del 1964, Costa c. Enel, in Foro.it 1964, I, p. 465, ove si ribadiva il principio vigente in materia di successione delle leggi nel tempo. Di notevole rilievo, le sentenze delia Corte costituzionale n. 183 del 1973, in Giur. cost., 1973, p. 4059, ss, Frontini; cfr. anche Corte cost. del 30 ottobre 1975, n. 232, in Foro.it 1975, I, p. 2661. Secondo tale giurisprudenza, gli ordinamenti, nazionale e comunitario, sono autonomi e distinti; i trattati comunitari rientravano in quella categoria di accordi internazionali ai quali la legge ordinaria deve conformarsi in virtù di una speciale garanzia costituzionale. Ebbene con la sentenza n. 183 del 1973, la Corte riconosceva la prevalenza del diritto comunitario secondo esigenze di eguaglianza e di certezza del diritto; pertanto le norme comunitarie dovevano avere piena efficacia obbligatoria, ed essendo dotate di completezza di contenuto dispositivo, anche di diretta applicazione. Veniva, in sostanza, affermato il principio della separazione tra gli ordinamenti.
[4] Cfr. Corte cost. n. 98 del 1965; Corte cost. n. 183 del 1973. La Corte ha infatti affermato che i due ordinamenti restano autonomi; in caso di contrasto tra una norma comunitaria e una legge interna posteriore, il giudice deve applicare sempre ed immediatamente la norma comunitaria senza dar conto d'ordine temporale in cui intervengono le disposizioni interne contrastanti con la norma comunitaria. Resta fermo il fatto che non si sottraggano «alla sua verifica due ipotesi: quella di un eventuale conflitto con i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e con i diritti inalienabili della persona umana; e quella di norme che si assumano dirette ad impedire o pregiudicare la perdurante osservanza del Trattato o il nucleo essenziale dei suoi principi». Così. G. TESAURO, Diritto comunitario, Padova 2003, pp. 191-192. Cfr. sul tema, ampiamente, L. ALBINO, Il sistema delle fonti tra ordinamento interno e ordinamento comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2001, p. 923, ss.
[5] in dottrina, F. Sorrentino, Le fonti del diritto, Genova 2000
[6] R. Murra, Contrasto tra norma nazionale e norma comunitaria: nullità assoluta degli atti amministrativi di applicazione della norma nazionale?, in Dir. Proc. Amm., 1990
[7] Di rilievo la sentenza del 9 marzo 1978, causa C-106/77, Smmenthal, in Foro.it, 1978
[8] La prevalenza del diritto comunitario su quello interno impone (tra l’altro) che alle norme comunitarie sia data immediata applicazione.
[9] Cfr. L. Condorelli, Il caso Simmenthal ed il primato del diritto comunitario: due Corti a confronto, in Giur. Cost.,1978
[10] Corte cost. sentenza 8 giugno 1984, n. 170, Granital, in Foro.it 1984, I, 2062. Questa decisione ha rappresentato la svolta nella questione tra norma comunitaria e norma interna incompatibile. La Corte di giustizia in definitiva ha ribadito il primato del diritto comunitario da far valere dinanzi al giudice comune abilitato a risolvere la controversia. L'organo interno, posto di fronte ad una antinomia tra fonti, deve disapplicare la norma interna prescindendo dall'annullamento o dalla rimozione della stessa.
[11] Cfr. R. MURRA, Contrasto tra norma nazionale e norma comunitaria ..., cit., p. 293; F. SORRENTINO, op. cit., p.113. L'art. 177, comma 2, del Trattato CE «non osta a che un giudice nazionale, che abbia disposto la sospensione dell'esecuzione di un atto amministrativo nazionale e abbia deferito in via pregiudiziale alla Corte una questione relativa alla validità dell'atto comunitario sul quale esso è basato, autorizzi la proposizione di un ricorso avverso la sua decisione)). Cfr. Corte di Giustizia, 17 luglio 1997, n. 334, causa Soc. Kruger Gmbh e Co. c° Huptzollant Hamburg Jonas, in Giust. Civ. 1998, I, p.2065. Questo potere è attribuito anche al Consiglio di Stato; tale organo «in qualità di giudice amministrativo d'appello e d'ultimo grado, è tenuto a sollevare questione pregiudiziale di validità di un atto delle Istituzioni dell'unione Europea, ai sensi dell'articolo 164, Trattato CE solo quando vi sia un ragionevole dubbio sulla sua invalidità, ossia quando la questione stessa appaia rilevante in sede di giudizio e non manifestamente infondata, nel qual caso occorre che, per ottenere l'uniforme applicazione del diritto comunitario nel territorio di tutti gli Stati membri, s'investa delia questione la Corte di Giustizia, mentre la mera proposizione di quest'ultima non obbliga il giudice adito a siffatta rimessione*. Cons. Stato, Sez. V, 23 aprile 1998, n. 478, in Foro amm. 1998, p. 1090.
[12] In giurisprudenza, Corte di Giustizia,sentenza 5 marzo 1998, causa C-347/96 Solred, in Racc. I
[13] Cfr. Corte di Giustizia, sentenza 9 settembre 2003, causa C- 198/01, Consorzio Industria Fiammiferi
[14] Sul tema, espressamente, R. GIOVAGNOLI, L'atto amministrativo in contrasto con il diritto comunitario: il regime giuridico e il problema dell'autotutela decisoria, Relazione al Convegno I. G.I. del 29 settembre 2004, in www.giustamm.it.
[15] Cfr. R. GAROFOLI, Annullamento di atto amministrativo contrastante con norme CE self-executing, in Urb. App., 1997
[16] Corte di Giustizia, sentenza del 25 maggio 1993, causa C- 193/1991
[17] Corte di Giustizia, sentenza 5 aprile 1979, in causa 148/78, in Racc., 1979, p. 1642
[18] Cfr., sul punto, F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, tomo 11, Milano 2002, p. 1327; v. anche R. GIOVAGNOLI, L'atto amministrativo in contrasto con il diritto comunitario il regime giuridico e il problema dell'autotutela decisoria, in Giust. amm, 2004
[19] La soluzione della Corte «è chiara, sebbene sia poi piuttosto articolata nella definizione dei limiti e delle condizioni di applicazione della regola enunciata, in particolare nel caso specifico: la circostanza che una decisione amministrativa sia stata assunta in violazione del diritto comunitario non comporta un obbligo di riesame da parte dell'autorità amministrativa nazionale che la aveva assunta)). Così, D. DE PRETIS, 'illegittimità comunitaria" dell'atto amministrativo definitivo, certezza del diritto e potere di riesame, in Giorn. dir. amm. n. 7/2004
[20] Cfr. sul tema, G. Greco, Fonti comunitarie e atti amministrativi nazionali, in Riv. dir. pubbl. comunit., 1991, p. 33 ss. Il principio di effettività e di non discriminazione rappresentano una delle fasi dell'armonizzazione delle discipline anche dal punto di vista processuale. Il diritto al ricorso giurisdizionale «è parte dei principi generali del diritto comunitario, ovvero dei principi che con un rango equiparato alle norme del Trattato, sono parte essenziale della Costituzione comunitaria, e come tali si impongono sul diritto degli stati membri [...l». Cfr. M.P. CHITI, Effettività e Diritto Comunitario, in Dir. proc. amm. 1998; R. Caranta, Tutela giurisdizionale italiana sotto l'infuenza comunitaria, in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da M.P. Chiti e G. Greco, Milano 1997. Va notato, tuttavia, che non sempre, nonostante la presenza di tali principi, corrisponde «una diretta azionabilità dei diritti dei cittadini, con la conseguenza che alla impermeabilità del diritto comunitario rispetto ai diritti fondamentali nazionali non ha corrisposto finora la piena vigenza di tali diritti in ambito comunitario)) Ctr. C. Amirante, l processo di integrazione europea tra politica ed economia, in AA.VV., L'integrazione europea fra Economia e democrazia, in Laboratorio costituzionale, n. 1 /2003.
[21] Sul processo di armonizzazione del diritto amministrativo (nazionale con quello comunitario), cfr. S. Cassese, I lineamenti essenziali del diritto amministrativo comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. cornunit., 1991, p. 3, ss.; C. FRANCHINI, Amministrazione italiana e amministrazione comunitaria. La coamministrazione nei settori di interesse comunitario, Padova 2003; E. PICOZZA, Diritto amministrativo e diritto comunitario, Torino 1997; M.P. CHITI, I signori del diritto comunitario: la Corte di Giustizia e lo sviluppo del diritto amministrativo europeo, in Riv. Trim. dir. Pubbl. 1991, p. 824 ss.; G. MARCOU, (a cura di) Les mutations du droit de l'administration en Europe, Paris 1995. In particolare, sulle "regole" che influenzano i1 sistema di giustizia amministrativa, cfr. M. CAPPELLETTIA. PIZZORUSSO, (a cura di), L'influenza del diritto europeo sul diritto italiano, Milano 1982; M. CARDUCCI, G. CARUSO, A. CAVALLARI, M.P. CHITI, G. CORAGGIO, G. DE GIORGI CEZZI, S. GIACCHETTI, L. IANNOTTA, C. MODICA DE MAHAC, F.G. SCOCA, Evoluzione della giustizia amministrativa - integrazione europea e prospettive di riforma (atti del convegno, Lecce, 21 - 22 novembre 1997) a cura di E. STICCHI DAMIANI, Milano 1998; E. Picozza, Giustizia amministrativa e diritto comunitario (voce) in Enc. Giur. Roma Vol. XV; ID. L’effettività della tutela nel processo amministrativo alla luce dei principi comunitari, in Jus, 1987; A. BIANCHINI, La tutela del cittadino nel giudizio amministrativo tra istanze di federalismo e principi comunitari, in Riv. amm. 1997, p. 427; G. SPADEA, La terza Sezione del Tar Lombardia apre ad una giustizia cautelare amministrativa più effettiva e più europea nota a Tar Lombardia (ord) 27 ottobre 1997, n. 727, in Foro amm 1998, p. 1160; M.E. SCHINAIA, Evoluzione del processo amministrativo nell'esperienza giurisprudenziale tra garanzie ed effettività, in Cons. Stato 1997, 11, p. 317; A. ADINOLFI, I principi generali nella giurisprudenza comunitaria e la loro influenza sugli ordinamenti degli stati membri, in Riv. It. Dir. pubbl. cornunit., 1994, p. 521, ss.; M. GNES, Verso la comunitarizzazione del diritto processuale nazionale, in Giorn. dir. amm. 2001, p. 524.
[22] Cfr. L. MUSSELLI, La giustizia amministrativa dell'ordinamento comunitario, Torino 2000, spec. pp. 132-134. Si osserva nella dottrina giusprivatistica che «sia che l'ordinamento comunitario e quello nazionale si considerino autonomi e distinti, sia che si intendano confluiti in un unitario ordinamento, caratterizzato da un ordine giuridico unico, resta pur sempre il problema dell'integrazione reciproca delle discipline nazionali e comunitarie nel sistema giuridico vigente quale prodotto del loro coordinamento secondo la ripartizione di competenze e di gerarchie stabilite e garantite dai trattati istitutivi*. Cfr. P. PERLINGIERI, Diritto comunitario e legalità costituzionale. Per un sistema italo - comunitario delle fonti, Napoli 1992, pp. 78-79; M. PROTTO, Valutazioni tecniche, giudici nazionali e diritto comunitario, in Giur. It., 1999, 15 1, pp. 834-835.
[23] Cfr. S. Cassese, I lineamenti essenziali del diritto amministrativo comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 1991, p. 3, ss.; G. Falcon, Alcune osservazioni sullo sviluppo del diritto amministrativo comunitario, in Riv. trim dir. pubbl., 1993, p. 74, ss.; G. Greco, iI diritto comunitario propulsore del diritto amministrativo europeo, in Riv. Trim. dir. pubbl. , 1993, p. 85 ss.; E. Picozza, Diritto amministrativo e diritto comunitario Torino, 1997; M. Filippi, La giurisprudenza amministrativa a contenuto comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 1993, p. 1181; A. Massera, Ordinamento comunitario amministrazione, Bologna 1994, spec. p. 569, SS.
[24] Cfr. R. Caranta, Inesistenza (o nullità) del provvedimento amministrativo adottato in forza di norma nazionale contrastante con il diritto comunitario?, in Giur. It., 1989, 111, p.148.
[25] Sul punto, cfr. M. Antonioli, Inoppugnabilità e disapplicabilità degli atti amministrativi, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 1999, p. 1371
[26] Cfr. C. Cocco, Le "liaisons dangereuses" tra norme comunitarie, norme interne, e atti amministrativi, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 1995
[27] Pertanto la diversa forma patologica della nullità (o dell'inesistenza) si configurerebbe nella sola ipotesi in cui il provvedimento nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna attributiva del potere nel cui esercizio è stato adottato l'atto, incompatibile con il diritto comunitario. Al di fiori di questa ipotesi, osserva il Consiglio di Stato, l'inosservanza di una disposizione comunitaria direttamente applicabile comporta, da stregua dei canoni relativi ai vizi dell'atto amministrativo, l'annullabilità del provvedimento viziato. Sul piano squisitamente processuale rileva l'onere delia sua impugnazione davanti al giudice amministrativo nel relativo termine decadenziale, pena la sua inoppugnabilità.
[28] M.P. Chiti, L'invalidità degli atti amministrativi per violazione di disposizioni comunitarie e il relativo regime processuale, in Dir. amm., 2003
[29] Corte di Giustizia, 29 aprile 1999, in causa 224/97, Ciola, in Riv. dir. pubbl. comunitario, 1999
[30] Punto 32 della sentenza. La Corte richiama anche la decisione del 7 luglio 1981, causa C-158/80, Rewe, punto 43. Si veda anche la sentenza del 15 settembre 1998, Edis, in causa C- 231/96, in Racc. 1998 I, p. 4951, secondo cui «l'applicazione delle modalità processuali nazionali, di natura sia sostanziale sia formale, non può essere pertanto confusa con una limitazione degli effetti di una sentenza della Corte avente ad oggetto l'interpretazione di una disposizione di diritto comunitario. Infatti, la conseguenza di una limitazione del genere è quella di privare i singoli, che sarebbero normalmente in grado, conformemente alle rispettive norme processuali nazionali, di esercitare i diritti ad essi spettanti in forza della disposizione comunitaria di cui trattasi, della facoltà di avvalersene a sostegno delle loro domande».
[31] Sul tema cfr. M. Squintu, Il diritto comunitario nella giurisprudenza amministrativa italiana, in E. Picozza (a cura di) Processo amministrativo e diritto comunitario, Padova 2003
[32] M. Cafagno, L'invalidità degli atti amministrativi emessi in forza di legge contraria a direttiva CEE immediatamente applicabile, Riv. it. dir. pubbl. comunit., 1992
[33] A. ADINOLFI, I principi generali nella giurisprudenza comunitaria e la loro influenza sugli ordinamenti degli stati membri, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 1994.
[34] E. CANNADA BARTOLI, Disapplicazione di atti amministrativi illegittimi e giurisdizione del Consiglio di Stato, in Giur. it., 111, 1994; R. CARANTA, Giustizia amministrativa e diritto comunitario, Napoli 1992.
[35] Cfr. CdS sez. V, sentenza del 28 febbraio 2018, n. 1219
[36] E. Picozza, L'influenza del diritto comunitario nel processo amministrativo, in AA.VV., Processo amministrativo e diritto comunitario, (a cura dello stesso Autore) Padova 2003
[37] M.S. Giannini, L’interpretazione dell’atto amministrativo. E la teoria giuridica generale dell’interpretazione, Milano, 1939
[38] Si veda l'orientamento della Corte costituzionale in materia di applicazione diretta dei regolamenti secondo il quale «poiché il disposto del regolamento comunitario deve essere applicato dal giudice interno indipendentemente dalla circostanza che esso sia seguito o preceduto nel tempo da incompatibili statuizioni della legge interna, la questione di legittimità costituzionale di tale legge è inammissibile)) (Corte cost. 22 febbraio 1985, n. 48). Dal punto di vista comunitario, un giudice nazionale in presenza di un atto amministrativo interno fondato su normativa comunitaria «può sospendere l'esecuzione di un atto amministrativo nazionale basato su un atto comunitario a condizione che: a) tale giudice nutra gravi riserve sulla validità dell'atto comunitario e provveda direttamente ad effettuare il rinvio pregiudiziale, nell'ipotesi in cui alla Corte non sia stata già deferita la questione di validità dell'atto contestato; b) ricorrano gli estremi dell’urgenza nel senso che i provvedimenti provvisori sono necessari per evitare che la parte che li richiede subisca un danno grave e irreparabile; C) il giudice nazionale tenga pienamente conto dell'interesse della Comunità; d) nella valutazione di tutti questi presupposti, il giudice nazionale rispetti le pronunce della Corte o del Tribunale di primo grado in ordine alla legittimità del regolamento o un'ordinanza emessa in sede di procedimento sommario diretta alla concessione, sul piano comunitario, di provvedimenti provvisori analoghi)). Corte di Giustizia, 17 luglio 1997, n. 334.
[39] Cfr. L. Torchia, Diritto amministrativo nazionale e diritto comunitario: sviluppi recenti del processo di ibridazione, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 1997
[40] Cfr. AA.VV., il diritto costituzionale comune europeo. Principi e diritti fondamentali, a cura di M. SCUDIERO, Napoli 2002; AA.VV., Costituzione Italiana e diritto comunitario, a cura di S. GAMBINO, Milano 2002
[41] Cfr. R. Iannotta, Le condizioni politiche e sociali coeve alle istituzioni della IV Sezione del Consiglio di Stato, in studi per il centenario della IV Sezione, Roma 1989, Volume I
[42] Cfr. G. Abbamonte, Problemi costituzionali della giustizia amministrativa, Relazione per il Trentennale dei Tribunali Amministrativi. Lo stato delle cose e le istanze di riforma del processo amministrativo formulate a trent'anni dalla istituzione dei TAR dall'organo di autogoverno dei giudici amministrativi, 5 novembre 2004, in www.giustamm.it In merito all'importanza del controllo di costituzionalità sul terreno dei diritti di libertà ed in particolare sull'effettività e sul riconoscimento dei diritti sociali, cfr. C. Amirante, La protezione costituzionale delle libertà e dei diritti fondamentali nella giurisprudenza costituzionale, in Diritti di libertà e diritti sociali. Tra giudice costituzionale e giudice comune, Napoli 1999
[43] F. CINTIOLI, Giurisdizione amministrativa e disapplicazione dell'atto amministrativo, in Dir. amm. n. 1/2003