Il silenzio assenso nella disciplina del permesso di costruire. L’inefficacia della decisione tardiva nel d.l. n. 76/2020 (c.d. decreto semplificazioni) (note a margine di Cons. Stato, Sez. VI, 13 agosto 2020, n. 5034 e T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-bis, 1 luglio 2020, n. 7476)
di Marco Calabrò
Sommario: 1. Il contrasto giurisprudenziale sul regime del provvedimento tardivo in ipotesi di silenzio assenso. – 2. Il nuovo art. 2, co 8-bis della l. n. 241/1990: quesiti ancora aperti. – 2.1. Mera inefficacia o invalidità/inefficacia? – 2.2. Può configurarsi il diritto al rilascio di un atto successivo a carattere ricognitivo? – 2.3. Quali limiti per l’autotutela? – 3. Conclusioni.
1. Il contrasto giurisprudenziale sul regime del provvedimento tardivo in ipotesi di silenzio assenso.
Il nuovo co. 8-bis dell’art. 2 della l. n. 241/1990, introdotto dal d.l. n. 76/2020 (c.d. decreto Semplificazioni),sancisce l’inefficacia del provvedimento emanato oltre i termini procedimentali in tutti i casi in cui operi il regime del silenzio assenso, nonché nelle ipotesi di s.c.i.a. Tale disposizione è destinata ad incidere profondamente sulla disciplina del silenzio significativo, con particolare riferimento al tema del c.d. provvedimento tardivo, e l’analisi di due recenti pronunce, di tenore contrastante, offre l’occasione per esaminare le potenziali ricadute scaturenti dalla recente riforma.
Il T.A.R. del Lazio, Roma, Sez. II-bis, con la sentenza n. 7476 del 1 luglio 2020 ha deciso su un ricorso avverso un diniego di rilascio di permesso di costruire, emanato successivamente al decorso del termine per la formazione degli effetti del silenzio assenso. Si trattava, in particolare, di un’istanza volta ad ottenere un titolo in variante in corso d’opera di un permesso già assentito e l’amministrazione comunale – nel respingere, seppur oltre il termine, la richiesta – aveva contestato l’avvenuta produzione degli effetti del silenzio significativo in ragione di un presunto contrasto tra il progetto di variante e una disposizione delle Norme tecniche di attuazione del PRG. Il collegio, in quell’occasione, ha accolto le difese dell’amministrazione ritenendo che – accanto ai requisiti formali consistenti nella regolarità dell’istanza e nella completezza della documentazione – ai fini della formazione del silenzio assenso sia altresì necessaria “la sussistenza dei requisiti di carattere sostanziale, consistenti nell’effettiva compatibilità del progetto con la disciplina urbanistica ed edilizia che viene in rilievo”.
Di tenore diametralmente opposto, invece, la di poco successiva pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 agosto 2020, n. 5034, con la quale il giudice d’appello ha deciso su un ricorso avverso l’autorizzazione formatasi per silenzio assenso in capo ad una società telefonica per l’installazione di una stazione radio base sul lastrico solare di un edificio. Nel caso di specie, i ricorrenti contestavano che si fossero prodotti gli effetti del silenzio significativo in quanto non era stato rispettato un limite distanziale rispetto a siti sensibili (una scuola), stabilito da un regolamento comunale. Il collegio, tuttavia, ha ritenuto perfezionatasi l’autorizzazione silenziosa “non ostandovi la dedotta violazione del limite distanziale, la quale andava verificata all’interno della fase istruttoria e nel termine di 90 giorni, e, una volta spirato tale termine, poteva tutt’al più formare oggetto di provvedimento di annullamento in autotutela”.
Il contrasto giurisprudenziale appena illustrato riflette il panorama di sostanziale incertezza che connotava la fattispecie in esame prima della riforma oggetto delle presenti riflessioni. Il dibattito verteva, di fatto, sulla natura, perentoria o ordinatoria, da riconoscere al termine finale nelle ipotesi nelle quali vige l’istituto del silenzio assenso. La giurisprudenza maggioritaria sosteneva che il potere di provvedere permanesse solo fino allo scadere del termine, momento che avrebbe segnato l’impossibilità di pronunciarsi in maniera espressa da parte della p.a. Secondo tale ricostruzione, in altri termini, il formarsi degli effetti del silenzio significativo era da considerarsi legato unicamente alla regolare presentazione dell’istanza ed allo spirare del termine, in ragione sia dell’avvenuta consumazione del potere, sia della necessaria osservanza dei principi di buona fede e legittimo affidamento[1].
Si registrava, tuttavia, un orientamento minoritario secondo il quale anche in caso di silenzio assenso sarebbero residuati in capo all’amministrazione spazi di esercizio del potere di provvedere oltre il termine procedimentale. Tale tesi, come visto, muoveva dal convincimento che la produzione degli effetti del silenzio assenso avrebbe richiesto non solo la correttezza formale dell’istanza e lo spirare del termine, bensì anche la sussistenza di tutti i requisiti soggettivi e oggetti richiesti dalla legge per l’ottenimento del provvedimento espresso a carattere positivo. Da qui sarebbe discesa la legittimità di un provvedimento tardivo ad esito negativo con il quale si negava contestualmente il perfezionarsi stesso della fattispecie di silenzio assenso[2].
In questo susseguirsi di pronunce dal tenore antitetico – che finiva per creare una situazione di grave indeterminatezza tale da rendere impossibile per il cittadino (pur in buona fede) avere certezza circa l’effettiva titolarità delle proprie situazioni giuridiche soggettive – si inserisce la novità introdotta dal Decreto semplificazioni.
2. Il nuovo art. 2, co 8-bis della l. n. 241/1990: quesiti ancora aperti. L’art. 12, co. 1, lett. a) del d.l. n. 76/2020 (c.d. decreto Semplificazioni, convertito in l. n. 120/2020) introduce un nuovo co. 8-bis all’art. 2 della l. n. 241/1990. Tale disposizione sancisce che le determinazioni relative a fattispecie in cui opera il regime del silenzio assenso e i provvedimenti inibitori relativi alle ipotesi di s.c.i.a. “adottati dopo la scadenza dei termini ivi previsti, sono inefficaci, fermo restando quanto previsto dall’articolo 21-nonies, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni”[3].
Le riflessioni che seguono hanno come specifico oggetto di analisi le ipotesi di silenzio assenso, rispetto alle quali le novità che emergono sono essenzialmente due. In primo luogo, la nuova disposizione introduce una deroga al principio generale in base al quale il termine procedimentale avrebbe carattere ordinatorio. In realtà, già prima della riforma era possibile sostenere la natura perentoria del termine finale nelle ipotesi di silenzio assenso, tuttavia – come evidenziato – si registravano indirizzi contrastanti, il che ha evidentemente indotto il legislatore a chiarire espressamente il carattere perentorio del termine, con effetti decadenziali.
Una seconda e più rilevante novità è rappresentata dalla espressa qualificazione in termini di inefficacia del provvedimento emanato tardivamente. La ratio di tale previsione riposa evidentemente nella volontà di introdurre uno strumento in grado di incentivare il rispetto dei termini procedimentali, nonché di garantire la piena operatività dei meccanismi di silenzio assenso[4]. Tale garanzia deriverebbe dalla espressa dichiarazione della improduttività degli effetti di quei provvedimenti emanati dall’amministrazione nonostante si sia già formato il silenzio significativo.
Si potrebbe ritenere, ad una prima superficiale analisi, che – atteso il tenore della disposizione – essa sia stata impropriamente inserita all’interno di una riforma tesa ad incidere sul profilo della semplificazione amministrativa, non trattandosi di una norma inquadrabile nelle espressioni più tipiche delle politiche di semplificazione, quali la riduzione degli oneri procedimentali, la razionalizzazione delle procedure, o la riorganizzazione dei rapporti tra pubbliche amministrazioni[5].
Ad un più approfondito esame, tuttavia, appare possibile registrare un effetto “semplificante”, nella misura in cui la nuova ipotesi di inefficacia – almeno nella intentio legis – dovrebbe incidere positivamente sul grado di certezza e affidabilità dell’azione pubblica. La riforma, infatti, rende finalmente “chiaro” un punto fino ad oggi “oscuro” della regolazione, indicando espressamente e inequivocabilmente la conseguenza del decorso del termine procedimentale. In precedenza, la legge chiariva gli effetti dell’inerzia dell’amministrazione solo ex parte civis, riconoscendo a quest’ultimo la titolarità di una posizione giuridica soggettiva analoga a quella che avrebbe avuto se fosse stato rilasciato il provvedimento a carattere positivo. La stessa chiarezza non sussisteva, invece, ex parte publica, non essendo espressamente indicati gli effetti del decorso del termine sull’esercizio della funzione da parte dell’amministrazione. Probabilmente, in questo caso, sarebbe più corretto parlare di semplificazione normativa e non di semplificazione procedimentale, trattandosi di una misura volta ad attribuire effettiva efficacia semplificante a un istituto (il silenzio assenso) introdotto per l’appunto con tale finalità ma foriero, in concreto, di numerose complicazioni[6].
Ciò posto, nel prosieguo del presente contributo si intende far emergere come – nonostante il suddetto effetto “semplificante” – permangano dubbi interpretativi che daranno inevitabilmente vita a criticità in sede applicativa della nuova disposizione. I profili ancora poco chiari riguardano, in particolare: a) l’effettiva valenza da riconoscere alla qualificazione di inefficacia attribuita al provvedimento tardivo; b) la sussistenza o meno di un divieto di emanare qualsiasi genere di atto successivo allo spirare del termine procedimentale, anche a carattere ricognitivo; c) gli effetti della riforma sull’esercizio del potere di autotutela nei confronti del silenzio assenso illegittimamente formatosi.
2.1. Mera inefficacia o invalidità/inefficacia? Come illustrato supra, il nuovo co. 8-bis cit. sembrerebbe aver finalmente posto fine al dibattito sorto in merito alla sorte del provvedimento tardivo nelle ipotesi di silenzio assenso, avendo il legislatore espressamente aderito all’indirizzo maggioritario teso a non ammettere in nessun caso l’esercizio della funzione di amministrazione attiva da parte della p.a. oltre il termine finale.
Merita ulteriori riflessioni, tuttavia, la scelta del legislatore di qualificare come inefficace e non come invalido il provvedimento tardivo. E’ noto il dibattito sorto in passato in dottrina sulla possibilità o meno di inquadrare l’inefficacia in chiave autonoma rispetto alla invalidità. Necessariamente semplificando una disputa complessa (e, in alcuni casi, ancora aperta, specialmente tra i civilisti), si può ricordare come un primo orientamento – che riconosceva la sussistenza di un nesso necessario tra invalidità ed inefficacia[7] è stato poi tendenzialmente superato da un secondo indirizzo che inquadrava l’inefficacia come categoria a sé stante[8].
In effetti, se solo si pensa agli istituti della sospensione o della revoca, è ben possibile rinvenire nell’ordinamento fattispecie di atti perfettamente validi, eppure inefficaci, in quanto resi temporaneamente o definitivamente improduttivi di effetti. Ancora più agevole la dimostrazione della insussistenza dell’endiadi validità/efficacia, alla luce della dinamica che tradizionalmente opera nel diritto amministrativo, laddove, come noto, il provvedimento è efficace anche se illegittimo (quindi invalido), sino al suo eventuale annullamento derivante dall’iniziativa altrui[9].
Tuttavia, pur aderendo alla tesi dell’accezione “autonoma” dell’inefficacia rispetto all’invalidità, si ritiene che la stessa inefficacia non possa affatto inquadrarsi come una condizione autonoma dell’atto in senso assoluto: essa, infatti, configura in ogni caso un effetto scaturente da “altro”, ovvero da alcune patologie (nullità, annullabilità) o stati (sospensione, revoca) del provvedimento. Emerge, in tal senso, quella che probabilmente configura la principale criticità della riforma in esame: l’aver adoperato la categoria dell’inefficacia senza in alcun modo specificare quale sia – nel caso di specie – il prius logico di tale stato dell’atto.
E’ possibile, allora, prospettare tre diversi scenari.
Una prima ipotesi è quella di ritenere che la voluntas legis sia stata proprio quella di sancire l’incapacità di produrre effetti del provvedimento tardivo, pur mantenendone in piedi la validità, il che consentirebbe teoricamente al cittadino di non tener conto del contenuto dell’atto senza per questo doverlo impugnare. Si tratterebbe, però, di un vantaggio solo apparente: come è stato condivisibilmente osservato, infatti, il privato ben difficilmente sarebbe “propenso a ritenere non efficace un provvedimento espresso comunque validamente adottato”[10].
Escludendo allora che la volontà del legislatore possa essere stata quella di considerare pienamente valido, ma inefficace, il provvedimento tardivo, una seconda ipotesi potrebbe essere quella di ritenere che l’inefficacia sia da considerarsi la conseguenza della illegittimità (sub specie di annullabilità) dell’atto emanato oltre il termine. Ma anche tale opzione deve essere immediatamente scartata: se il provvedimento fosse annullabile, infatti, le conseguenze dell’inefficacia non potrebbero prodursi ex lege (come invece sancisce espressamente la norma), dovendo piuttosto discendere dall’eventuale annullamento dell’atto stesso (in sede giurisdizionale o in autotutela)[11].
Sembra, dunque, doversi necessariamente orientare per il terzo scenario, ovvero che l’atto tardivo sia stato qualificato inefficace perché sì invalido, ma non in quanto annullabile, bensì in quanto nullo. In tal modo ci si porrebbe, tra l’altro, nella scia di quell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui, una volta spirato il termine e consumatosi il potere di decidere, la successiva eventuale attività provvedimentale sarebbe da considerarsi tamquam non esset[12]. Certo, la formulazione della norma si rivela alquanto “infelice”: sarebbe stato preferibile qualificare espressamente come nullo (e solo conseguentemente anche inefficace) il provvedimento tardivo; nullità testuale evidentemente giustificata in ragione di una sopravvenuta carenza assoluta di potere[13].
2.2. Può configurarsi il diritto al rilascio di un atto successivo a carattere ricognitivo? Un’ulteriore criticità che caratterizza la riforma in esame è l’assenza della previsione di un regime differenziato tra provvedimento tardivo a carattere negativo e provvedimento tardivo a carattere positivo.
La disposizione, in effetti, ha il pregio di segnare il definitivo superamento di quell’indirizzo giurisprudenziale minoritario secondo cui il decorso del termine consentirebbe comunque all’amministrazione di provvedere in senso satisfattivo per il destinatario dell'atto finale: il provvedimento positivo espresso, tardivamente intervenuto, “cancellerebbe” il silenzio[14].
Ci si è già soffermati sulle ragioni per le quali non si ritiene sia possibile aderire a tale orientamento,incompatibile con la prospettata ricostruzione del silenzio assenso quale sanzione della violazione del dovere di provvedere (nel termine)[15], che ha come necessaria conseguenza la consumazione del potere dell’amministrazione (sia in senso negativo che positivo). Tuttavia, la riforma sarebbe potuta intervenire al fine di superare la situazione di incertezza nella quale viene a volte a trovarsi il richiedente che non riceva piena soddisfazione dagli effetti del silenzio assenso.
La posizione del cittadino che ha beneficiato del regime del silenzio assenso non sempre è analoga a quella del cittadino a cui è stato rilasciato il provvedimento positivo espresso. Spesso aver ottenuto un silenzio assenso si rivela una vittoria “monca” per il privato, per il quale non è affatto agevole dimostrare l’effettivo possesso del titolo: si pensi, ad esempio, ai rapporti con i terzi - siano essi soggetti pubblici (un’altra amministrazione) o soggetti privati (una banca). In questi casi il silenzio assenso non genera affidamento nel soggetto richiedente e, soprattutto, non consente a quest’ultimo di generare affidabilità. Si viene a creare una situazione di sostanziale incertezza, con tutte le ben note conseguenze, anche a carattere economico.
Si sarebbe potuto, invece, prevedere un obbligo in capo alla p.a. di rilasciare, su richiesta, un atto ricognitivo che attestasse l’avvenuta produzione degli effetti scaturenti ex lege dal decorso del termine. Tale soluzione si sarebbe rivelata pienamente coerente con l’avvenuta consumazione del potere (il rilascio di un atto ricognitivo, infatti, non configura esercizio del potere di amministrazione attiva), e, nello stesso tempo, anche del tutto satisfattiva delle pretese di affidamento e certezza delle situazioni giuridiche del cittadino[16].
L’introduzione di un obbligo di rilascio, su richiesta, di un atto di certazione della formazione del silenzio assenso non si sarebbe rivelata, tra l’altro, una assoluta novità. L’art. 264, co.1, lett. e) del d.l. n. 34/2020 (c.d. decreto rilancio) – sebbene in via solo transitoria, per il periodo di durata della pandemia Covid 19 – ha infatti introdotto l’obbligo di adottare entro trenta giorni il provvedimento conclusivo del procedimento nei casi di formazione del silenzio assenso endo-procedimentale tra amministrazioni[17]. Se non si vuole ritenere che tale disposizione si ponga in piena contraddizione con il nuovo regime dell’inefficacia del provvedimento tardivo, anche a carattere positivo, allora essa deve essere necessariamente interpretata nel senso di imporre un obbligo di adozione di un atto che per l’appunto accerti e certifichi l’avvenuta produzione degli effetti del silenzio significativo in sede endo-procedimentale.
Ancora più significativo, in tale ottica, si rivela il nuovo capoverso del co. 8 dell’art. 20 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico per l’Edilizia), introdotto dallo stesso d.l. Semplificazioni (art. 10, co. 1). Proprio al fine di venire incontro alle istanze di certezza del cittadino in punto di dimostrazione a terzi dell’avvenuto formarsi degli effetti del silenzio assenso, è stato espressamente riconosciuto, in capo a chi ha richiesto il rilascio di un permesso di costruire, il diritto di ricevere un’attestazione circa il decorso dei termini procedimentali ed il conseguente perfezionarsi della fattispecie provvedimentale silenziosa[18]. Ebbene, non si vede per quale ragione tale previsione – potenzialmente idonea a garantire finalmente un adeguato livello di certezza anche nelle fattispecie di silenzio significativo – sia stata introdotta unicamente in ambito edilizio e non, piuttosto, resa di generale applicazione in tutte le ipotesi nelle quali operi il regime del silenzio assenso.
Se semplificare non vuol dire semplicemente “ridurre”, bensì razionalizzare[19], anche l’inserimento di qualche onere in più – se strumentale a superare una situazione di incertezza – si sarebbe potuto o, meglio, dovuto far legittimamente rientrare nell’intervento di semplificazione perseguito dal legislatore. Certo, ciò non sarebbe necessario se si potesse fare “affidamento” sulla espressa comminatoria di inefficacia introdotta dalla riforma: essa configurerebbe, in linea teorica, un rimedio più che idoneo a garantire certezza ai rapporti giuridici, mediante la semplice dimostrazione di un fatto (data di presentazione dell’istanza) accompagnata dalla dichiarazione sostitutiva dell’assenza di provvedimenti a carattere negativo intervenuti entro il termine procedimentale. Tuttavia, come già osservato, la mera qualificazione normativa di inefficacia – priva di un atto che ne certifichi l’intangibilità (se non in sede di autotutela) – rischia di non rivelarsi affatto in grado, in concreto, di soddisfare le legittime istanze di certezza del cittadino.
2.3. Quali limiti per l’autotutela? Il nuovo co. 8-bis cit., oggetto delle presenti riflessioni, termina con una formulazione apparentemente priva di carattere “innovativo”, laddove chiarisce che “resta fermo” il possibile esercizio del potere di annullamento d’ufficio. In effetti, il fatto che l’amministrazione possa esercitare il potere di autotutela ove ritenga che il silenzio assenso si sia formato illegittimamente è da tempo pacifico[20], e trova ormai conferma nell’art. 20 della l. n. 241/1990[21].
Alcuni primi commentatori, tuttavia, hanno ipotizzato che il rinvio all’autotutela operato dal nuovo co.8-bis potrebbe essere interpretato nel senso che all’amministrazione sarebbe consentito annullare i provvedimenti tardivi (già inefficaci) al fine di eliminarli del tutto dal “mondo giuridico”[22]. Non è, tuttavia, possibile aderire a tale indirizzo per una semplice, ma dirimente, ragione: come è noto, uno dei presupposti dell’annullamento d’ufficio è l’illegittimità dell’atto e, come detto – essendo il provvedimento tardivo dalla stessa disposizione qualificato come inefficace – esso non può nel contempo configurarsi come illegittimo.
Sembra, pertanto, più coerente e rispettosa della intentio legis una interpretazione della norma intesa a confermare il riconoscimento, in capo alla p.a., della facoltà di intervenire – in presenza dei presupposti di legge – con l’annullamento d’ufficio degli effetti del provvedimento silenzioso eventualmente formatisi.
Sempre in ordine all’esercizio del potere di autotutela, inoltre, si ritiene di poter escludere che il nuovo regime dell’inefficacia debba estendersi anche agli eventuali provvedimenti di annullamento d’ufficio di un silenzio significativo emanati tardivamente. Come noto, il termine “ragionevole” entro il quale poter procedere all’annullamento d’ufficio di un atto è fissato dal 2015 in 18 mesi[23], ma in caso di superamento di tale termine l’atto è comunemente considerato illegittimo (quindi efficace finché non annullato) non certo inefficace[24]. Una differente interpretazione limiterebbe ulteriormente la possibilità di esercitare il potere di autotutela, che, in relazione a fattispecie, quale il silenzio assenso, che presuppongono (o, comunque, consentono) il “ritrarsi” dell’esercizio della funzione di amministrazione attiva[25], ricopre invece un ruolo centrale.
3. Conclusioni. Alla luce delle brevi riflessioni proposte, può dirsi che l’intento del legislatore di rendere pienamente operativo il regime del silenzio assenso sia stato raggiunto solo in parte, sia a causa delle criticità connesse alla qualificazione del provvedimento tardivo in termini di inefficacia (e non di nullità), sia per la ridotta incidenza dell’intervento normativo sul piano della certezza delle posizioni giuridiche soggettive del cittadino.
D’altro canto, è indubbio che la nuova inefficacia del provvedimento tardivo segni, comunque, un “passo in avanti”. Se non altro essa chiarisce definitivamente che – una volta decorso il termine procedimentale – nelle fattispecie di silenzio assenso l’amministrazione non ha più il potere di intervenire, e se lo fa il suo intervento non è in grado di incidere sulle posizioni giuridiche soggettive dei destinatari della decisione.
L’introduzione della “sanzione legale” dell’inefficacia, inoltre, potrebbe avere anche un ulteriore effetto positivo, ponendosi quale strumento di moral suasion in grado di ridurre, nel lungo periodo, il numero di provvedimenti tardivi, scoraggiandone l’emanazione. Sino ad oggi, vista la sostanziale incertezza che connotava il regime del provvedimento tardivo, il funzionario non aveva particolari freni a pronunciarsi anche una volta spirato il termine finale, mettendo in tal modo il cittadino in una situazione di grande incertezza. In quest’ottica sarà interessante verificare se in futuro l’eventuale provvedimento emanato fuori termine darà vita ad ipotesi di responsabilità del funzionario, per i danni causati al privato posto in una condizione di oggettiva incertezza a fronte di un ormai indiscutibilmente improprio esercizio del potere pubblico.
[1] Cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 28 maggio 2018, n. 3493, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 5188, in Riv. giur. ambiente, 2014, 237; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 3 maggio 2010, n. 2266, in Foro amm. TAR, 2010, 1797; Cons. Stato, Sez. IV, 19 giugno 2006, n. 3626, in Riv. giur. edilizia, 2007, 401. In dottrina v. A. Colavecchio, L’obbligo di provvedere tempestivamente, Torino, 2013, 56 ss.; V. Parisio, I silenzi della pubblica amministrazione. La rinuncia alla garanzia dell’atto scritto, Milano, 1996, 136.
[2] Cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 14 gennaio 2019, n. 38, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. IV, 12 luglio 2018, n. 4273, ivi; Cons. Stato, Sez. VI, 29 maggio 2018, n. 3204, in www.giustizia-amministrativa.it. In dottrina, aderivano a tale indirizzo G. Bergonzini, Silenzio-assenso ed effetti della domanda dell’interessato: riflessioni critiche, in www.giustamm.it, 7/2012, 4; A. Cioffi, Dovere di provvedere e silenzio-assenso della pubblica amministrazione dopo la legge 14 maggio 2005 n. 80, in Dir. amm., 2006, 179.
[3] “Le determinazioni relative ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli atti di assenso comunque denominati, adottate dopo la scadenza dei termini di cui agli articoli 14-bis, comma 2, lettera c), 17-bis, commi 1 e 3, 20, comma 1, ovvero successivamente all’ultima riunione di cui all’articolo 14-ter, comma 7, nonché i provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti, di cui all’articolo 19, commi 3 e 6-bis, primo periodo, adottati dopo la scadenza dei termini ivi previsti, sono inefficaci, fermo restando quanto previsto dall’articolo 21-nonies, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni”.
[4] In tal senso anche il Dossier del Servizio Studi del Senato sugli emendamenti approvati dalle Commissioni 1° e 8a all’A.S. 1883. Conversione in legge del decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, recante “misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”, 229. Il testo è reperibile al seguente link: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01178105.pdf.
[5] M.R. Spasiano, La semplificazione amministrativa e la garanzia di effettività dell’esercizio del potere pubblico, in Foro amm. TAR, 2010, 3041 ss.; M.A. Sandulli, La semplificazione dell’azione amministrativa: considerazioni generali, in Nuove autonomie, 3-4/2008, 405 ss.
[6] M.A. Sandulli, Le novità in tema di silenzio, in Libro dell'anno del Diritto, 2014, Roma, 2014.
[7] C. Esposito, La validità delle leggi. Studio sui limiti della potestà legislativa, i vizi degli atti legislativi e il controllo giurisdizionale, Milano, 1964.
[8] M.S. Giannini, Inefficacia (dir. amm.), in Enc. dir., XXI, 1971, 377.
[9] M.R. Spasiano, Il regime dei provvedimenti: l'efficacia, in F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, Torino, 2019, 273; M. Trimarchi, La validità del provvedimento amministrativo. Profili di teoria generale, Pisa, 2013.
[10] M. Macchia, L’inefficacia del provvedimento amministrativo e gli oneri regolatori nel decreto legge “Semplificazioni”, in Quaderni costituzionali, 3/2020, 181.
[11] [11] In tal senso, in passato, si sono espressi T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 1 aprile 2019, n. 1798, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 20 marzo 2009, n. 544, in Foro amm. TAR, 2009, 901.
[12] T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 16 marzo 2004, n. 1316, in Foro amm. TAR, 2004, 812; Cons. Stato, Sez. V, 8 aprile 2003, n. 1854, in Foro amm. CDS, 2003, 1310.
[13] F. Luciani, Contributo allo studio del provvedimento amministrativo nullo. Rilevanza ed efficacia, Torino, 2010.
[14] Cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 17 novembre 2015, n. 2416, in www.giustizia-amministrativa.it.
[15] A. Travi, Silenzio-assenso e legittimazione ex lege nella disciplina delle attività private in base al d.P.R. 26 aprile 1992 n. 300, in Foro amm., 2-3/1993, 607.
[16] Sul punto sia consentito rinviare, amplius, a M. Calabrò, Silenzio assenso e dovere di provvedere: le perduranti incertezze di una apparente semplificazione, in Federalismi.it, 10/2020, 57-59. Tale orientamento è stato già fatto proprio da alcune pronunce: v. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-bis, 26 aprile 2019, n. 5308, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Liguria, 2 marzo 2017, n. 156, in Riv. giur. edilizia, 2017, I, 459.
[17] “Al fine di garantire la massima semplificazione, l'accelerazione dei procedimenti amministrativi e la rimozione di ogni ostacolo burocratico nella vita dei cittadini e delle imprese in relazione all'emergenza COVID-19, dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2020: […] e) nelle ipotesi di cui all'articolo 17-bis, comma 2, ovvero di cui all' art. 14-bis, commi 4 e 5 e 14 ter, comma 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, il responsabile del procedimento è tenuto ad adottare il provvedimento conclusivo entro 30 giorni dal formarsi del silenzio assenso”.
[18] “Decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli da 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241. Fermi restando gli effetti comunque prodotti dal silenzio, lo sportello unico per l’edilizia rilascia anche in via telematica, entro quindici giorni dalla richiesta dell’interessato, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento, in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie inevase e di provvedimenti di diniego; altrimenti, nello stesso termine, comunica all’interessato che tali atti sono intervenuti”.
[19] In termini di rapporto di strumentalità tra razionalizzazione e semplificazione si è espresso, di recente, Cons. Stato, Sez. III, 11 giugno 2019, n. 3908, www.giustizia-amministrativa.it. In dottrina, sul punto, si rinvia alle riflessioni di M. A. Sandulli, Il procedimento amministrativo e la semplificazione. Report annuale-2013, in www.iuspublicum.com; M.R. Spasiano, Riflessioni sparse in tema di semplificazione amministrativa, in Nuove autonomie, 1/2009, 75 ss.
[20] Cfr., ex multis, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 16 ottobre 2019, n. 2171, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 14 giugno 2018, n. 3980, ivi. A. Romano, A proposito dei vigenti artt. 19 e 20 della l. 241/1990: divagazioni sull’autonomia dell’amministrazione, in Dir. amm., 2006, 508; E. Scotti, Silenzio-assenso e discrezionalità tra legalità e autonomia: la lezione istituzionale, in Studi in onore di Alberto Romano, II, Napoli, 2011, 943 ss.
[21] “Nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l'amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies” (art. 20, co. 3, l.n. 241/1990).
[22] M. Macchia, L’inefficacia del provvedimento amministrativo e gli oneri regolatori nel decreto legge “Semplificazioni”, cit., 183.
[23] F. Francario, Autotutela amministrativa e principio di legalità (nota a margine dell’art. 6 della l. 7 agosto 2015, n. 124, in Federalismi.it, 2015; M.A. Sandulli, Gli effetti diretti della7 agosto 2015 L. n. 124 sulle attività economiche: le novità in tema di s.c.i.a., silenzio-assenso e autotutela, in Federalismi.it, 2015.
[24] La più attenta dottrina, tuttavia, con specifico riferimento alla previsione che – in relazione ai provvedimenti che concedono benefici durante il periodo dell’emergenza Covid-19 – limita temporalmente l’esercizio del potere di annullamento a soli tre mesi (art. 264, co. 1, d.l. 19 maggio 2020 n. 34), ha chiarito che il suddetto termine debba comunque considerarsi perentorio, pena la perdita di senso dell’intento semplificatorio e liberalizzante della norma, concludendo che “sul piano delle situazioni giuridiche soggettive, dopo la scadenza dei tre mesi, il potere amministrativo si estingue e al suo posto ci sono libertà e diritti dei cittadini”, A. Cioffi, Annullamento d’ufficio e revoca dei benefici economici concessi in emergenza. Prima lettura dell’art. 264, primo comma, del D.L. 19 maggio 2020 n. 34, in Giustamm.it, 6/2020, 2.
[25] Per una critica alla tesi che afferma come nelle fattispecie di silenzio assenso la p.a. sarebbe legittimata a non esercitare la sua funzione di amministrazione attiva, v. M.A. Sandulli, Il procedimento amministrativo e la semplificazione. Report annuale-2013, cit.