La violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione nei bandi di gara pubblica
di Antonio Barone e Mauro Di Pace
Il principio di tassatività delle cause di esclusione nei bandi di gara pubblica trova la sua ratio nell’obiettivo del contrasto alle inutili tendenze formalistiche talora caratterizzanti l’attività delle stazioni appaltanti, in linea con l’orientamento giurisprudenziale prevalente volto a non avallare l’aggravio delle procedure di gara con inutili (in quanto non corrispondenti a reali interessi dell’Amministrazione procedente) oneri formali a carico degli operatori economici [1]. A presidio di questo principio, l’art. 83, comma 8, del Codice Appalti prevede la drastica limitazione del potere di esclusione dalla gara da parte delle stazioni appaltanti, che viene ricondotto a due gruppi di ipotesi chiaramente definiti. Al di fuori di tali ipotesi espressamente previste dal codice, l’art. 83, comma 8, del Codice Appalti, impone il divieto di previsione di cause esclusione, che viene rafforzato con l’espressa previsione della nullità di siffatte clausole.
La decisione della Plenaria in commento concerne proprio il corretto inquadramento giuridico della nullità delle clausole di esclusione contra legem. In particolare, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza del 16.10.2020 n. 22, dichiara nulla la clausola del bando di gara che, richiedendo a pena di esclusione all’impresa ausiliata il possesso della medesima SOA oggetto del contratto di avvalimento con l’impresa ausiliaria, impedisce il ricorso all’avvalimento per la SOA.
La decisione interviene su un giudizio di impugnazione di un provvedimento di esclusione di un’impresa concorrente da una gara di lavori di importo superiore ad € 150.000,00. Il bando di gara da un lato consentiva ai partecipanti di soddisfare i requisiti economico finanziari e tecnico professionali avvalendosi della SOA di un altro soggetto; dall’altro, però, disponeva che il possesso della SOA era richiesto a pena di esclusione anche in capo all’impresa ausiliata. Ne derivavano una serie di questioni controverse, tra le quali, anzitutto, la questione della necessaria o meno impugnazione tempestiva del disciplinare di gara, con ogni conseguenza sulla tardività del ricorso contro l’esclusione dalla gara [2].
Le incertezze giurisprudenziali
Con l’ordinanza cautelare 14.6.2019 n. 2993 (Pres. Caringella, est. Barreca), la V sezione del Consiglio di Stato ha sospeso la sentenza del Tar Toscana, 13.3.2019, n. 356, rinviando alla motivazione espressa nell’ordinanza 25.1.2019 n. 344 (est. Giovagnoli), di sospensione cautelare della sentenza del Tar Napoli, 19.11.2018, n. 6691.
La motivazione dell’ordinanza cautelare, per quanto sintetica, si basava, ribaltandone le conclusioni, sulla ricostruzione teorica operata dal giudice amministrativo di primo grado relativamente alla nullità come espressione di un potere carente, e non solo mal esercitato, argomentando così: “La contestata clausola del bando che limita l’avvalimento non appare affetta da nullità, in quanto, da un lato, è espressione di un potere amministrativo in astratto esistente (quello di disciplinare le modalità dell’avvalimento in corso di gara) e, dall’altro, non può essere qualificata come causa di esclusione “atipica””.
Tali conclusioni, tuttavia, sono state smentite in sede di decisione di merito con la sentenza del Consiglio di Stato, V sezione, 23.8.2019 n. 5834 (est. Perotti). In questa pronuncia il giudice amministrativo ha ritenuto la clausola non già escludente (da impugnare negli ordinari termini di legge, secondo l’insegnamento di A.P. n. 1/2003), bensì nulla, evidenziando altresì che la nullità avrebbe dovuto essere censurata nel più ampio termine di decadenza di 180 giorni previsto dall’art. 31, comma 4, c.p.a., rispettato nel caso di specie.
Con la sentenza non definitiva 17.3.2020, n. 1920 (Est. Barreca), di rimessione alla Plenaria, la stessa V sezione del Consiglio di Stato ha dato atto del contrasto di orientamenti in atto: da un lato, le ordinanze sospensive nn. 244 e 2993 del 2019, che propendono per il carattere escludente delle clausole, per la loro annullabilità e per il conseguente onere di immediata impugnazione delle stesse; dall’altro le sentenze di primo grado e la sentenza del Consiglio di Stato n. 5834/2019, che invece descrivono la vicenda come nullità, soggetta all’azione di accertamento ex art. 31 comma 4 c.p.a. e al relativo termine di decadenza di 180 giorni.
Secondo la V sezione, in particolare, non sarebbe decisivo l’argomento fondato sul dato testuale dell’art. 89 d.lgs. 50/2016, che stabilisce la nullità delle clausole difformi, perché lo stesso articolo 89 da un lato regola l’avvalimento, dall’altro lo limita ovvero lo vieta nei casi non consentiti: sicché tutti i casi di difformità della clausola dalla previsione normativa andrebbero in effetti ricondotti al paradigma dell’esercizio del potere in violazione di legge, che è un vizio tipico di annullabilità (capo 7.1).
D’altronde, secondo il giudice rimettente, la previsione della nullità testuale delle clausole escludenti atipiche, di cui all’art. 83 comma 8 del d.lgs. n. 50/2016, va coordinata, da un lato, col disposto dell’art. 120, comma 5, c.p.a., che impone l’impugnazione immediata delle clausole della lex specialis “immediatamente lesive”; e dall’altro col già citato art 31, comma 4, c.p.a., che assoggetta l’azione di accertamento della nullità al termine di decadenza di 180 giorni. Inoltre, sempre secondo il giudice rimettente, è proprio il codice dei contratti, all’art. 83, che fonda il potere della stazione appaltante di indicare le condizioni di partecipazione richieste, esprimendole eventualmente come livelli minimi di capacità, fra questi ultimi rientrando certamente il possesso della SOA.
La decisione dell’Adunanza Plenaria
L’Adunanza plenaria affronta la questione da una prospettiva parzialmente diversa dalle decisioni che si sono fin qui menzionate, e si pone l’ambizioso obiettivo di sciogliere il nodo delle basi teoriche della nullità provvedimentale, al fine di individuarne l’ambito applicativo generale.
La questione da affrontare “riveste carattere generale, in quanto si tratta di stabilire gli esatti termini del funzionamento dell’istituto della nullità nei rapporti amministrativi” (capo 10).
La plenaria procede ad un’analisi storica e sistematica dell’istituto della nullità nel diritto amministrativo, ricordando che, secondo l’impostazione tradizionale, lo stato naturale dell’atto amministrativo invalido è l’annullabilità, non trovando spazio nel sistema di diritto amministrativo la figura della nullità elaborata dalla disciplina civilistica: nel diritto civile, la nullità è infatti una patologia genetica dell’atto, processualmente rilevabile d’ufficio senza limiti di prescrizione, censurabile da chiunque ne abbia interesse, improduttiva di effetti.
D’altronde, la stessa nullità civilistica ha conosciuto un’evoluzione che ne ha sfumato i confini rispetto al vizio di annullabilità, che trova il suo esempio più lampante nelle cosiddette nullità di protezione, azionabili da una e non da entrambe le parti, rivolte alla tutela di una posizione intrinsecamente debole.
Il vizio di nullità è stato introdotto nel sistema del diritto amministrativo dalla l. n. 15/2005, di riforma della l. n. 241/1990, che vi ha inserito il capo IVbis e, in quest’ambito, l’art. 21septies sopra richiamato.
Successivamente, il codice del processo amministrativo ha disciplinato l’azione di accertamento della nullità dell’atto amministrativo all’art. 31.
La nullità amministrativa differisce da quella civilistica per il breve termine di decadenza previsto per la proponibilità della relativa azione, che trova la sua ratio nelle ragioni di certezza dei rapporti giuridici amministrativi; per la mancanza di una norma, omologa all’art. 1325 c.c., che definisca gli elementi essenziali del provvedimento, la cui mancanza determina, appunto, la nullità; per le figure, tipicamente amministrativistiche, della nullità per difetto assoluto di attribuzione e per violazione o elusione del giudicato.
La nullità amministrativa, a ulteriore differenza di quella civilistica, vive della medesima peculiarità comune alla figura dell’annullabilità: essa rileva in sede processuale. Infatti, la decadenza dal diritto di azione, determinando il consolidamento dell’atto invalido, elimina il vizio. Le conseguenze di questo corollario sono particolarmente evidenti nei procedimenti complessi, secondo il paradigma dell’illegittimità viziante, laddove il consolidamento del provvedimento viziato a monte determina l’impossibilità di farne valere i vizi in via derivata con l’impugnazione del provvedimento a valle.
Ciò vale a maggior ragione nelle procedure di gara.
Infatti, come si è detto, la portata immediatamente lesiva della lex specialis, sancendone il carattere provvedimentale (secondo l’insegnamento di AP 1/2003, oggi normativamente recepito all’art. 120, comma 5, c.p.a.), ne impone la tempestiva impugnazione. È il caso tipico delle clausole c.d. escludenti, cioè delle clausole che dispongono condizioni soggettive di partecipazione.
Ma se la clausola è nulla, e non annullabile, qual è il termine di decadenza per la sua impugnazione?
È qui che l’Adunanza plenaria, sposando la tesi della nullità della clausola, prende tuttavia una posizione eccentrica rispetto alla soluzione individuata dall’orientamento espresso dai TAR e dalla sentenza CdS n. 5834/19.
In primo luogo, rifiuta di ridurre la categoria della nullità amministrativa alla figura generale della carenza di potere in concreto. Quest’ultima, infatti, è solo una delle quattro categorie di nullità previste dalla disciplina generale dell’art. 21-septies della l. n. 241/1990, oltre alla carenza degli elementi essenziali del provvedimento, violazione o elusione del giudicato e alla nullità testuale [3].
In secondo luogo, ritiene inapplicabili sia l’art. 21-septies della l. n. 241/1990, sia l’art. 31 c.p.a.: entrambe le norme “si riferiscono ai casi in cui un provvedimento sia nullo ed ‘integralmente’ improduttivo di effetti: la clausola escludente affetta da nullità, in base al principio vitiatur sed non vitiat già affermato dalla sentenza di questa Adunanza n. 9 del 2014, non incide sulla natura autoritativa del bando di gara, quanto alle sue ulteriori determinazioni”.
La nullità testuale, di cui all’art. 83 del codice dei contratti, esorbitando dall’ambito applicativo della nullità provvedimentale, non soggiace quindi al termine di decadenza previsto per l’azione di accertamento della nullità.
Ne deriva che non c’è alcun onere di impugnare la clausola nulla né nei 30 giorni (di cui all’art. 120, comma 5 c.p.a.) né nei 180 (di cui all’art. 31, comma 4, c.p.a.).
L’inidoneità della clausola di produrre i suoi effetti, peraltro, non impedisce che si consolidino, invece, gli effetti dell’atto a valle, che va invece impugnato tempestivamente: “Non vi è dunque alcun onere, in conclusione, per le imprese partecipanti alla gara di impugnare (entro l’ordinario termine di decadenza) la clausola escludente nulla e quindi “inefficace” ex lege, ma vi è uno specifico onere di impugnare nei termini ordinari gli atti successivi che facciano applicazione (anche) della clausola nulla contenuta nell’atto precedente”.
La decisione della Plenaria offre numerosi spunti di riflessione. Nell’economia delle presenti brevi note, si ritiene di poterne evidenziare almeno tre.
Sul piano teorico, la sentenza in commento costituisce l’ennesima conferma della “vocazione” del nostro tempo per la giurisdizione, in linea peraltro con la tradizione del Consiglio di Stato nell’utilizzo (fin dall’epoca liberale) di “metodi giurisprudenziali” accanto a quelli “giurisdizionali” [4]. Non v’è dubbio, infatti, che l’individuazione di una categoria di nullità amministrativa autonoma rispetto alle previsioni dell’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990, è frutto di una costruzione esclusivamente giurisprudenziale. Questa nullità “giurisprudenziale” è caratterizzata dalla sua efficacia “parziale” (nel senso che essa è destinata a travolgere una parte del provvedimento, e non tutto) e dalla sua sottrazione alla disciplina della decadenza, nel senso che essa può farsi valere in giudizio anche oltre i 180 giorni, purché entro il termine di impugnazione del successivo provvedimento consequenziale (tipicamente, nei 30 giorni dalla notifica del provvedimento di esclusione adottato in attuazione di una clausola nulla, anche se pubblicata più di 180 giorni prima).
Sul piano applicativo, la soluzione adottata dalla Plenaria può essere salutata con favore nella misura in cui, coerentemente col principio della massima partecipazione, consente una più effettiva giustiziabilità del divieto di introduzione di clausole escludenti contra legem.
Sempre sul piano applicativo, infine, non può sottacersi la difficoltà di tracciare con chiarezza il solco tra le ipotesi annullabilità e quelle di nullità “in senso tecnico” delle clausole escludenti. Infatti, al di fuori del caso di scuola affrontato dalla Plenaria, la linea di confine fra le clausole che limitano, regolandolo, il ricorso all’avvalimento (annullabili) e quelle che invece lo vietano in assoluto (nulle) potrebbe risultare, nell’esperienza applicativa, labile e sfumato. Ciò potrebbe comportare talune incertezze applicative nell’interpretazione volta per volta della portata delle clausole sull’avvalimento, con la conseguente esigenza di individuare con certezza il reale perimetro di operatività della nuova categoria giurisprudenziale della nullità amministrativa “in senso tecnico”.
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[1] Sul principio di tassatività delle cause di esclusione nei bandi di gara pubblica, senza pretesa di esaustività, v. M. Monteduro, Art. 46. Le novità introdotte dal D.L. 13 maggio 2011, n. 70c.d. decreto sviluppo in tema di tassatività delle clausole di esclusione, in F. Caringella, M. Protto (a cura di), Codice dei contratti pubblici, Roma, Dike, 2012, p. 373 ss.; R. Giani, Le cause di esclusione dalle gare tra tipizzazione legislativa, bandi standard e de quotazione del ruolo della singola stazione appaltante, in Urb. App., 2012, n. 1, p. 96 ss.; R. De Nictolis, Le novità del D.L. 70/2011, in Urb. App., 2011, n. 9, p. 1012 ss.
[2] Il Tar della Toscana, con sentenza 13.3.2019, n. 356, aveva accolto il ricorso in primo grado, per mezzo del quale la concorrente aveva impugnato la sua esclusione, scontrandosi con l’eccezione di irricevibilità del ricorso per non aver impugnato tempestivamente il disciplinare.
Il TAR aveva accolto la tesi della ricorrente, secondo la quale la clausola controversa, nell’imporre il possesso della SOA in capo alla mandataria, poneva non già un limite relativo al ricorso all’avvalimento, quanto piuttosto un sostanziale divieto. La nullità della clausola ne imponeva, secondo il TAR, la disapplicazione, rendendo tempestivo il ricorso proposto contro l’esclusione, a prescindere dalla mancata impugnazione della lex specialis nei 30 giorni dalla pubblicazione.
Questione analoga, su un bando di gara adottato sul medesimo schema e contenente la medesima clausola, veniva affrontata dal Tar Napoli, con la sentenza 19.11.2018, n. 6691, che giungeva alle medesime conclusioni, pur senza menzionare la disapplicazione della clausola nulla, ma accertandone incidentalmente la nullità: con la conseguenza, anche in questo caso, del rigetto dell’eccezione di irricevibilità del ricorso per tardiva impugnazione del disciplinare.
Il tribunale campano si sofferma sulla questione della nullità provvedimentale, illustrandone le fondamenta teoriche sulla base della dialettica tra clausola escludente, da impugnare entro i 30 giorni dalla pubblicazione del bando; e clausola nulla, da impugnare entro 180 giorni dalla pubblicazione.
[3] Sulla nullità del provvedimento amministrativo, anche in questo caso senza pretesa di esaustività, cfr. N. Paolantonio, voce Nullità dell'atto amministrativo, in Enc.dir., Annali, l, Milano, 2008, p. 855 ss.; P. Lazzara, Nullità, Dir. Amm., in Diritto on line, Treccani.it, 2013; R. Chieppa, Art. 21 septies. La nullità del provvedimento, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, Giuffrè, 2017, p. 115-1147.
[4] Su questi aspetti cfr. N. Picardi, La vocazione del nostro tempo per la giurisdizione, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ. 2004, p. 41-72; M. Nigro, Il Consiglio di Stato giudice e amministratore (aspetti di effettività dell'organo),ora in Id., Scritti giuridici, II, Milano 1996, p. 1051-1094. Più di recente, v. A. Barone, La vocazione unitaria delle giurisdizioni, in A. Barone, E. Follieri (a cura di), I principi vincolanti dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato sul Codice del Processo Amministrativo (2010-2015), Padova, CEDAM, 2015, p. 1-24.