Pandemia 2020: decreti e ordinanze d’emergenza.
Roberto Cavallo Perin
Sommario: 1. Il tertium genus della disciplina avverso la Pandemia 2020. 2. La nuova ripartizione delle competenze tra organi titolari del potere amministrativo d’emergenza. 3. Assenza di forza di legge e carattere amministrativo delle ordinanze di necessità e urgenza. 4. Il limite del principio di proporzionalità-utilità nel vizio di eccesso di potere. 5. La proporzionalità del bilanciamento e i principi dell’ordinamento giuridico. 6. Sindacato di costituzionalità tra decreti legge e principi dell’ordinamento giuridico nel rapporto tra legalità e effettività. 7. Concreta innovazione nell’amministrare ed effettività della Repubblica.
1.Il tertium genus della disciplina avverso la Pandemia 2020. La recente esperienza istituzionale - aperta con la deliberazione del consiglio dei ministri 31 gennaio 2020 e accompagnata da una decretazione d’urgenza indicante un catalogo di tipi di ordinanze utili alla bisogna (d.l. 23 febbraio 2020 conv. in l. 5 marzo 2020, n. 13; d. l. 25 marzo 2020, n. 19) - pare avere riunito gli ambiti di disciplina che, dal ceppo comune delle dichiarazioni dello stato d’assedio, s’erano separati più di un secolo or sono a partire dalle elaborazioni intorno al terremoto calabro siculo del 1908.
Si distinsero così in pochi anni i decreti legge dalle preesistenti ordinanze amministrative contingibili ed urgenti del sindaco, di necessità e urgenza del prefetto o del ministro degli interni, dalla disciplina del provvedere in concreto del governo all’organizzazione dei soccorsi (1919) che poi si sono strutturati in un’organizzazione nazionale di protezione civile (1970).
Quest’ultima è la vicenda istituzionale che dallo stato d’assedio ha ereditato la previa dichiarazione d’emergenza, che nel tempo ha legittimato dapprima funzionari, tra cui i ministri dei lavori pubblici, poi i commissari e in tale qualità alcuni presidenti di regione, poi ancora i ministri della protezione civile, infine il presidente del consiglio dei ministri, a provvedere dapprima disponendo delle risorse eccezionali poi anche ad emanare ordinanze in deroga a ogni disposizione vigente.
2.La nuova ripartizione delle competenze tra organi titolari del potere amministrativo d’emergenza.
In materia d’igiene la competenza ad emanare ordinanze contingibili ed urgenti è sempre stata sin dall’unità d’Italia del sindaco, del prefetto e del ministro degli interni. Con la riforma sanitaria del 1978 oltre il sindaco, s’afferma quella del presidente della giunta regionale e del ministro della sanità poi della salute. Le restanti materie di edilizia e polizia locale delle ordinanze contingibili ed urgenti per motivi di sicurezza pubblica trovano a livello comunale il sindaco in qualità d’ufficiale di governo, oltre il quale vi è competenza del prefetto, mentre in ambito nazionale resta al ministro dell’interno. Per l’ordine pubblico la competenza ad emanare le ordinanze amministrative di necessità e urgenza è di organi senz’altro dell’amministrazione statale e si distribuisce tra prefetto e ministro dell’interno.
Nell’altro ceppo della protezione civile tutto s’incomincia con la deliberazione del consiglio dei ministri sullo stato d'emergenza di rilievo nazionale che in ragione della natura e della qualità degli eventi: ne fissa la durata e l'estensione territoriale, autorizzando al contempo - con limiti e modalità - l'emanazione delle ordinanze di protezione civile anche in deroga ad ogni disposizione vigente, fermo restando il rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico e delle norme dell'Unione europea (artt. 24 e 25, d. lgs. n. 1 del 2018).
Tali ordinanze di protezione civile - specificamente motivate ed emanate previa intesa con le Regioni e le Province autonome territorialmente interessate – sono emanate dal presidente del consiglio dei ministri oppure – se non sia diversamente disposto nella dichiarazione d’emergenza – può a tal fine delegare il Capo Dipartimento della protezione civile (art. 5 e 25, d. lgs. n. 1 del 2018).
La decretazione d’urgenza connette i due livelli statale e locale, lasciando dapprima spazio alle ordinanze di sindaci e presidenti di giunta regionale (cfr. d. l. n. 6 del 2020, cit., art. 1, autorità competenti), poi legittimando le ordinanze regionali solo in via sussidiaria (nelle more dei decreti del Presidente del Consiglio e per tale momento), cioè per un sopravvenuto specifico aggravamento del rischio sanitario nel loro territorio, dunque purché siano più restrittive, ma senza poter incidere sulle attività produttive e su quelle di rilevanza strategica per l'economia nazionale (art. 3, d.l. n. 19 del 2020, cit.). Quanto alle ordinanze contingibili e urgenti dei sindaci se ne sanziona l’inefficacia ove siano in contrasto con le misure adottate dal presidente del consiglio dei ministri, o innovino quelle tipiche indicate dai decreti legge.
Al prefetto spetta per la durata dell'emergenza, sentito le parti sociali interessate, disporre lo svolgimento delle attività non oggetto di sospensione, ove ciò sia necessario ad assicurare l’effettività, o la pubblica utilità, all'applicazione delle misure di emergenza (art. 1, d.l. n. 19 del 2020, cit.; Tar Calabria, 9 maggio 2020, n. 841).
3.Assenza di forza di legge e carattere amministrativo delle ordinanze di necessità e urgenza.
La seconda commistione è data dall’efficacia che accomuna le due tipologie di ordinanze. Si nega ad entrambe le ordinanze la forza di legge, seppure alle stesse sia riconosciuta implicitamente (ordinanze di necessità e urgenza, o contingibili ed urgenti) oppure esplicitamente (ordinanze di protezione civile) un potere in deroga alle norme vigenti.
Separata definitivamente la categoria giuridica delle ordinanze amministrative dai decreti legge ed attratto alle teorie sul potere costituente ogni ulteriore definizione di atti o fatti di necessità come fonti del diritto, la parola ordinanza è rimasta nel nostro ordinamento come denominazione -oltreché di alcuni atti giurisdizionali (artt. 131, 134 c.p.c.; art. 21, l. 6 dicembre 1971, n. 1034) - per taluni atti amministrativi, tra cui le ordinanze in esame di necessità e urgenza, contingibili ed urgenti, o per situazioni d’emergenza.
La questione — più volte riproposta — dell’attribuzione della forza di legge alle ordinanze amministrative di necessità e urgenza è stata chiusa[1] dalla riconosciuta impossibilità per il legislatore ordinario di attribuire (o togliere) la forza di legge agli atti legislativi o amministrativi, essendo ciò riservato alla sola fonte costituzionale e così per le leggi (artt. 70 e s. Cost.) e gli atti aventi forza di legge (artt. 76, 77, Cost.) indicati come oggetto del sindacato di legittimità costituzionale della Corte costituzionale (art. 134, Cost.).
L’impossibilità di riconoscere la forza di legge alle ordinanze di necessità ed urgenza o contingibili ed urgenti ne ha da sempre definito la natura amministrativa, confermandosi anche per queste ordinanze i limiti generalmente imposti dall’ordinamento giuridico agli atti amministrativi. Se condivide con gli atti aventi forza di legge la soggezione alle norme costituzionali sostanziali (artt. 13, 21, 41, 42, 32 Cost.) o sulla produzione (v. riserve di legge), è invece peculiare delle ordinanze in esame non potere derogare ai principi dell’ordinamento giuridico anche se di grado legislativo infracostituzionale.
Ciò perché l’efficacia in deroga alla disciplina vigente, anche quando è espressamente enunciata, è ricondotta - in via interpretativa e più propriamente - alle norme di legge attributive del potere di ordinanza, le quali - sempre più esplicitamente – non consentono alle ordinanze di derogare ai principi dell’ordinamento giuridico, un limite se si vuole che è ridondante ma che conferma il classamento minore delle ordinanze amministrative in esame rispetto ai decreti legge.
La legislazione sulla protezione civile degli anni ‘70 afferma espressamente che le ordinanze di protezione civile possono essere emanate “in deroga alla legislazione vigente”, segnando una differenza formale rispetto alle ordinanze amministrative di necessità e urgenza, le cui norme attributive si limitavano a prevedere il potere di emanare ordinanze “contingibili ed urgenti” o i “provvedimenti necessari” a porre termine o fronteggiare le situazioni di necessità.
La Corte Costituzionale come vedremo – riprendendo una giurisprudenza della Cassazione della seconda metà dell’ottocento - ne dà un’interpretazione restrittiva, imponendo il limite dei principi dell’ordinamento giuridico ad entrambe le ordinanze - quelle di necessità e urgenza o contingibili, sia a quelle per situazioni d’emergenza - un limite che infine è dichiarato esplicitamente per entrambe dalla successiva legislazione (d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 50; d. lgs. 2 gennaio 2018, n. 1, art. 25).
4.Il limite del principio di proporzionalità-utilità nel vizio di eccesso di potere.
La norma attributiva del potere d’ordinanza contiene enunciati che attengono all’organo emanante (soggetto attivo), ai presupposti d’esercizio del potere, al fine (o motivi) d’interesse pubblico, talvolta alle materie d’intervento, manca invece una definizione del tipo di prestazione e — ove necessario — del soggetto passivo che è invece recuperata da altre norme legislative
Le norme attributive del potere di ordinanza in esame perciò — derogando in situazione d’emergenza alla distribuzione delle competenze tra pubbliche amministrazioni e tra organi di queste — richiamano al titolare del potere d’ordinanza tutti i poteri che le leggi hanno attribuito ad organi od enti dell’amministrazione pubblica, liberandoli da ogni specifico presupposto o vincolo procedimentale che sia incompatibile con l’urgenza di provvedere e sostituendoli con quelli più lassi dettati dalle definizioni di materia (es. igiene), di motivi di interesse pubblico (es. sanità pubblica), nonché di presupposti (es. necessità e urgenza, emergenza) definiti dalla norma attribuita del potere di ordinanza di necessità ed urgenza.
Ogni questione di annullabilità delle ordinanze diversa dal vizio di eccesso di potere può da sempre dirsi marginale: l’incompetenza è relegata ai rapporti tra organi monocratici titolari di poteri di ordinanza; del pari la violazione di legge poiché le norme sul procedimento resistono poco e solo in ragione del grado d’urgenza nel provvedere.
Il vizio di eccesso di potere tuttavia non si è espresso in modo eguale nei due tipi di ordinanze.
Per le ordinanze di più antica data di necessità e urgenza o contingibili ed urgenti il vizio di eccesso di potere è sempre stato quello più pieno, con un doppio giudizio di logicità: a) di proporzionalità-utilità fra gravità del presupposti e le limitazioni inferte in concreto ai destinatari; b) di proporzionalità-utilità di quest’ultime rispetto al fine d’interesse pubblico che in concreto l’amministrazione pubblica ha voluto perseguire con l’emanazione di quell’ordinanza. Bastava che uno dei due elementi non fosse proporzionato per ottenerne l’annullamento.
Per le ordinanze di protezione civile il vizio di eccesso di potere è ugualmente incisivo con riferimento al secondo giudizio di proporzionalità-utilità, mentre per il primo esso è circoscritto alla proporzione con lo stato di generale di emergenza della relativa dichiarazione che è giuridicamente uguale per l’intero territorio interessato.
5.La proporzionalità del bilanciamento e i principi dell’ordinamento giuridico. Il solo limite del vizio di eccesso di potere non sempre è riuscito a contenere le ordinanze in esame nell’ambito di un potere amministrativo sia in senso formale, sia sostanziale.
Storicamente la questione si è evidenziata per alcuni casi di potere d’ordinanza che hanno posto gravi limitazioni alle libertà costituzionali che l’ordinamento repubblicano ha assoggettato a riserva assoluta di legge (libertà di religione, di stampa, o di rivolgere petizioni al parlamento), diritti di libertà che già avevano ricevuto protezione sotto lo statuto albertino anche solo come violazione dei principi dell’ordinamento giuridico prevalenti in un determinato periodo storico (infra). Si tratta di vicende originate da conflitti forti tra Stato e Chiesa a fine ottocento, poi in occasione della ratifica del Patto Nato nei primi anni della Repubblica, cui pongono termine alcun sentenze delle Cassazioni del Regno[2] e la Corte Costituzionale (n. 8/1956; 26/1961).
La peculiare struttura della norma attributiva del potere di ordinanza non enuncia un contenuto astratto del potere a limitazione dei diritti soggettivi (il paradigma è dato dall’art. 2, t.u.p.s.: «adotta, in situazioni di necessità e urgenza, i provvedimenti che ritiene indispensabili nel pubblico interesse») e da ciò era sorto il dubbio che, così costruito, il potere d’ordinanza dell’amministrazione pubblica non trovasse limiti diversi da quello sopra detto di proporzionalità-utilità del vizio di eccesso di potere, con la conseguenza che l’aggravarsi di una minaccia per l’interesse pubblico avrebbe giustificato una proporzionata ma crescente limitazione dei diritti soggettivi.
L’emergere dei principi dell’ordinamento giuridico - come secondo limite - al potere di ordinanza di necessità e urgenza ha chiuso spazio a tale evenienza.
Nel volgere di pochi anni dall’unificazione dello Stato italiano i principi dell’ordinamento giuridico sono elevati a limite generale del potere amministrativo regolamentare e di ordinanza contingibile ed urgente.. Il «sindaco non può, coi suoi provvedimenti adottare misure non consentite dalle leggi generali e dai principi che informano la legislazione e le istituzioni dello Stato, o che riguardano o governano interessi pubblici di un ordine più alto e più generale». Gli « atti di imperio del Sindaco non possono uscire dall'orbita assegnata al potere amministrativo»[3].
Nel successivo ordinamento repubblicano si ricordano i limiti sulla produzione (riserve di legge) e quelli sostanziali posti a tutela dei diritti soggettivi: se sono limiti per il legislatore lo sono a fortiori lo sono per l’amministrazione. E’ ribadito il limite dei principi dell’ordinamento come diritto vivente che i giudici riconoscono, bilanciando nel caso concreto le posizioni soggettive tutelate in Costituzione.
Si vede enunciata l’idea – anche solo come obiter dictum - che nelle materie di riserva assoluta è difficile configurare un intervento del potere di ordinanza di necessità ed urgenza, tutt’al contrario in materie di riserva relativa[4].
L’amministrazione può infatti avere necessità di disporre con immediatezza di beni mobili o immobili oppure di prestazioni di fare corrispondenti alle diverse professionalità che appaiono indispensabili a fronteggiare le situazioni di necessità o di emergenza.
Per soddisfare gli obblighi previsti dalla riserva di legge in materia di beni (art. 42 Cost.) è sufficiente ad esempio richiamare il combinato disposto di una norma attributiva del potere di ordinanza e dell’art. 7, l. 20 marzo 1865, n. 2248 All. E — oppure dell’ art. 835 c.c. — poiché entrambe le disposizioni consentono di riconoscere in capo all’amministrazione un generale potere di disporre della proprietà privata in situazioni di necessità ed urgenza, salvo indennizzo al proprietario. La soluzione è sufficiente nella maggior parte dei casi poiché la legge determina al tempo stesso sia la previsione della prestazione imposta (disporre di un bene in proprietà privata di terzi), sia del giudizio di prevalenza tra beni contrapposti, definendo qualsiasi interesse pubblico come bene prevalente sulla proprietà privata, purché un l’indennizzo sia pagato.
La predeterminazione legislativa di prestazioni di fare (es. precettazioni) non consente invece un’esaustiva individuazione ex ante delle posizioni soggettive sacrificate nel caso concreto, né della composizione degli interessi pubblici tutelati di volta in volta con l’ordinanza. Da una previsione di legge - che mette nella disponibilità della pubblica amministrazione ogni prestazione conforme alla «condizione, arte, o professione» del soggetto passivo (art. 258 t.u. san.) non si desumono le posizioni soggettive coinvolte che possono ogni qualvolta essere sacrificate, né a favore di quali interessi pubblici. Vi è differenza tra l’imporre per sei mesi prestazioni di otto o sedici ore al giorno di lavoro: nel primo caso si tocca la libertà di iniziativa economica del destinatario, nel secondo è revocato in dubbio lo stesso diritto alla salute o alla famiglia, con possibile lesione dei limiti massimi riservati alla legge (art. 36, 2° co., Cost.).
I principi dell’ordinamento giuridico hanno perciò assunto il significato di limite ulteriore di proporzionalità-bilanciamento. Verificata la conformità al tipo di prestazione imposta (riserva di legge: art. 23 Cost.), permane l’ulteriore limite di una conformità ai principi dell’ordinamento giuridico: della prevalenza che la pubblica amministrazione ha espresso per alcune posizioni soggettive (diritto alla salute di tutti o di alcune categorie di cittadini) rispetto ad altre ad essa sacrificate (libertà economica, diritto al lavoro, alla libera circolazione, all’istruzione, ecc.).
Al giudice è sempre assegnato il sindacato sul bilanciamento tra posizioni soggettive dato con l’ordinanza, secondo un costrutto argomentativo che nella nostra tradizione giuridica è passata per l’argomentare per principi dell’ordinamento giuridico (C. Cost., n. 26/1961) assoggettando così al sindacato del giudice ordinario o alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo l’interpretazione del confine concreto tra libertà e autorità.
Trattasi di un bilanciamento dato per il caso concreto, dunque soggetto a diverse soluzioni, soprattutto in ragione di una diversa percezione della differente necessità del momento, da cui è dipartito un conflitto tra differenti posizioni soggettive e di cui il legislatore non ha offerto un’esaustiva soluzione in via generale e astratta.
6.Sindacato di costituzionalità tra decreti legge e principi dell’ordinamento giuridico nel rapporto tra legalità e effettività.
In tale contesto la novità per l’Italia è stata la definizione ad opera della decretazione d’urgenza di un “catalogo” di contenuti possibili d’ordinanze (dapprima non esaustivo d. l. n. 6 del 2020, cit., art. 1, co. 2), che a livello legislativo indicano tipi astratti di decreti o ordinanze di protezione civile, che potranno essere poi selezionati dal presidente del consiglio dei ministri e in via sussidiaria dal presidente della giunta regionale o in via residuale dai sindaci, rispettivamente con decreti (in luogo delle ordinanze di protezione civile) o con ordinanze contingibili ed urgenti, fermo restando per tutti i limiti dettati dal “principio di adeguatezza” (sic!) o dal “principio di proporzionalità”, entrambe in ragione del rischio effettivamente presente sul territorio nazionale o in parti di esso (art. 1, co. 2°, d.l. n. 19 del 2020, cit.).
Si ritrovano enunciati nella decretazione d’urgenza in esame tipi di ordinanze che pongono forti limitazioni alla libertà di circolazione (art. 16, cost.)[5], alla libertà di riunione, salva la modalità a distanza (art. 15, Cost.)[6], all’esercizio del culto (art. 19, cost.)[7], alla fruizione dei beni culturali (art. 9, cost.)[8], alla limitazione delle relazioni famigliari (art. 30, cost.)[9], alla libera iniziativa economica (art. 41, cost.)[10], al lavoro (art. 4, Cost.)[11], sino alla sospensione dell’istruzione scolastica di ogni ordine e grado, di quella universitaria e della formazione dei lavoratori, salva la possibilità di uno svolgimento in modalità a distanza (art. 34, 33, 38, Cost.)[12]. Tra tutte ha assunto una particolare notorietà l’assorbente divieto di uscire dalla propria abitazione se non per ragioni determinate.
Non si può non notare la vasta gamma di limitazioni alla libertà che involgono materie soggette a riserva assoluta di legge, con limitazioni a diritti diversi da quelli di natura essenzialmente patrimoniale, che pure vengono ribaditi per le requisizioni in uso e in proprietà, [13]ma ove la forte ingerenza sull’autonomia imprenditoriale non esprime neppure indirettamente il contenuto né delle requisizione di impianti[14], né di quelle norme speciali su vincoli ed obblighi temporanei – comparse in altri eventi storici - affinché la produzione sia convertita a soddisfazione di una domanda pubblica o privata di determinati beni indispensabili a fare fronte all’emergenza (art. 836, c. c.).
Quanto all’eccezione della modalità a distanza occorre rilevare che, se è stata correttamente prevista contestualmente alla limitazione del diritto di riunione e forse in implicito per il diritto culto e di fruizione dei beni culturali, colpisce che sia stata indicata unicamente come possibilità, non invece come modalità incomprimibile dell’esercizio del diritto all’istruzione o alle relazioni famigliari con persone non libere, verso i quali parrebbe invece necessario vederlo ribadito come modalità di esercizio del diritto da ritenersi coessenziale alle indicate drastiche limitazioni dei diritti di libertà in situazioni d’emergenza.
Si coglie qui la differenza almeno di prima approssimazione –discutibile come tutte le classificazioni - tra c.d. libertà negative, come quella di riunione in luogo pubblico o di esercizio del culto rispetto ai c.d. diritti sociali come l’istruzione o la formazione, cui si affianca il diritto alle relazioni familiari verso coloro che di necessità sono ristretti per motivi sanitari o penali (carcere).
Se per il diritto di riunione – compresi congressi, convegni, seminari - in luogo privato, pubblico o aperto al pubblico, è sufficiente enunciare contestualmente all’ipotetico divieto che ne è salva la possibilità d’esercizio a distanza, non così è per i diritti la cui fruizione necessita di una prestazione di servizi pubblici o privati sia come oggetto principale (es. istruzione, anche universitaria: artt. 34 e 33, cost.), sia come prestazioni accessorie che accompagnano la (principale) limitazione del diritto di libertà personale, non importa ora se in via consensuale (art. 32, cost.) oppure imposta per legge e per atto motivato della autorità giudiziaria (art. 25 e 27, cost.).
Al di là di queste considerazioni è l’effetto di sistema che ha realizzato l’indicata definizione di un catalogo legislativo del contenuto tipico e non esaustivo delle ordinanze che possono essere emanate tra autorità locali e nazionali.
Con tali disposizioni legislative si afferma un accentramento avanti alla corte costituzionale di parte rilevante del precedente sindacato di costituzionalità sulle ordinanze in esame, che nei 150 anni di storia d’Italia si era in modo diffuso svolto avanti ai giudici ordinari e ammnistrativi, poiché la definizione legislativa segna la competenza della corte costituzionale sulla validità costituzionale di un bilanciamento tra posizioni soggettive che è stato direttamente definito da atti aventi forza di legge.
Ciò reca con sé una simmetrica ridefinizione dei principi dell’ordinamento giuridico come un continuum costituzionale e legislativo sia per i decreti del presidente del consiglio dei ministri, sia per i decreti legge che li hanno accompagnati con definizioni tipo di limiti ai diritti, che tuttavia non riescono ad essere esaustivi di quel bilanciamento in concreto che la nostra corte costituzionale ha da tempo offerto anche e soprattutto con riferimento a casi che certo non possono dirsi di emergenza nel senso sinora considerato, ma che in situazioni d’emergenza traggono un particolare carattere, già considerato in altre epoche della storia d’Italia.
I casi che verranno all’attenzione della corte non sono quelli caratterizzati da un conflitto ideologico come per la fine’800 o nel secondo dopoguerra, piuttosto quelli che forse non a caso hanno portato il governo e poi il parlamento a radicare questa esperienza istituzionale più nel ceppo delle situazioni di emergenza nazionale che tra le ordinanze sanitarie di contingibili ed urgenti.
Ciò che assume particolare rilievo non è solo la deroga a ogni disposizione procedimentale di legge, che si è detto cedono alle ragioni d’urgenza, ma assume rilievo la necessità di procedere per il tramite dell’argomentare per principi ad una proporzionalità-bilanciamento tra posizioni soggettive, che certo la tecnologia aiuta a comporre, ma che la cultura giuridica deve ricordare come un carattere proprio, di portata ultracentenaria e secondo il quale la composizione d’interessi - non esaurientemente disposta dalla rappresentanza popolare con legge - va definita per ogni singolo caso ricorrendo ai principi dell’ordinamento giuridico, cioè ricordando che, oltre la legge, una legittimazione poggia inevitabilmente sull’effettività dei propri atti, sia per l’amministrazione sia per il giudice.
7.Concreta innovazione nell’amministrare ed effettività della Repubblica. Principio di effettività[15] che caratterizza ogni diritto di necessità, anche di quello con un carattere amministrativo, che un tempo si denominava come ultra o praeter legem, per il quale gli atti s’affermano come giuridici solo ove gli stessi – oltreché formalmente adottati - risultino in concreto osservati, non importa ora se per convinzione, per sudditanza istituzionale o culturale, con la conseguenza che – in questo come in ogni altro caso di integrazione del diritto legale con l’effettività - ogni previsione deve trovare conferma in un successivo atto, non importa ora se della giurisdizione o del parlamento. Trattasi di un atto che, intervenendo a distanza di mesi, risente degli eventi che nel frattempo si sono verificati, diversamente bilanciando il conflitto tra interessi che inizialmente hanno trovato composizione con i decreti dei primi mesi d’emergenza. Può non essere più compresa, dunque risultare osservata, la scelta di un largo sacrificio dei diritti individuali senza che dagli stessi sia percepita una significativa azione di governo, capace di provvedimenti di maggiore intelligenza: 3T, raddoppio dei posti letto da terapia intensiva, riorganizzazione di scuole e ospedali, protezione speciale di chi deve lavorare in presenza, ordini di riconversione produttiva alle industrie su prodotti essenziali a tal fine (art. 836, c.c.)
Nei primi mesi di Pandemia 2020 il sacrificio dei diritti costituzionalmente tutelati si è rivelato sorretto dall’effettività del comportamento delle popolazioni locali e poi nazionali, legittimando decreti ed ordinanze il cui bilanciamento si è fondato essenzialmente sulla tutela del diritto alla salute, come tutela dell’individuo e interesse della collettività (art. 32, cost.). Ciò ha dato tempo al governo per approntare quanto necessario a una limitazione informata ad una maggiore intelligenza selettiva delle restrizioni sia ai diritti di libertà (art. 16, 19, Cost.), sia a diritti che solo in parte possono dirsi economici come il diritto al lavoro (art. 4, Cost.), sia a quelli che impropriamente non sono talora annoverati tra le libertà come l’istruzione (artt. 33 e 34, cost.).
In pochi mesi a richiedere un nuovo bilanciamento sono la necessità di riprendere la propria attività economica, di tornare a scuola o all’università[16], la voglia di riavere i propri rapporti famigliari e più in genere interpersonali, di riunirsi per manifestare il proprio credo religioso u culturale, poiché il disconoscimento radicale di molti di questi diritti soggettivi non è più sorretto dall’effettività iniziale, quella che si è avuta nell’immediatezza della scoperta di una malattia diffusiva come la Pandemia 2020.
Un’effettività che potrebbe tornare forte ove agli sforzi degli ospedali e dei sanitari in genere si vedessero aggiungere quelli di altre amministrazioni pubbliche, provando a cimentarsi con misure che almeno in parte riportino gli studenti nelle università e nelle scuole, a cominciare dai figli di chi già lavora, riaprendo almeno in parte i tribunali e gli altri servizi che non possono non dirsi essenziali, ridisegnando comportamenti individuali, metodi e tecniche di lavoro e di fruizione che debbono essere sottoposti a rigorose analisi, meglio se algoritmiche, che dei flussi rivelano minuziose peculiarità delle differenti realtà correlata a ciascuna istituzione.
L’erogazione a distanza - di qualità - è modalità che sin da subito alcuni possono svolgere con poco aiuto (help desk, call center esperto, ecc.), ove per altri è necessaria una formazione breve ma molto utile se d’accompagnamento all’uso di piattaforme di videoconferenza. L’on line può essere normale parte di un servizio o dell’esercizio di una funzione pubblica, poiché trattasi di una tecnologia che consente vertiginose crescite di qualità e di personalizzazione delle prestazioni, largamente attese in questi anni, che dunque non sono più procrastinabili in situazioni d’emergenza come la nostra, senza gravi danni per l’effettività del nostro sistema costituzionale. Non c’è innovazione senza sperimentazione concreta di un diverso amministrare nelle funzioni e nell’erogazione dei servizi; perciò la Pandemia imponendo da subito un cominciamento ci rivela della crisi al contempo la soluzione.
Anche sul piano della tecnica processuale la corte costituzionale, a partire dal potere tipico d’annullamento (arg. ex art.136, Cost.), ha da tempo elaborato sentenze che hanno individuato, oltre al monito, anche pronunce d’incostituzionalità la cui statuizione d’annullamento è però stata sottoposta a termine o a condizione, oppure ove il rigetto della questione di costituzionalità è stato accompagnato da una riserva di nuovo esame ove persista l’insufficiente attività d’amministrazione. Si tratta di tipi di sentenze molto note alla nostra cultura giuridica, che hanno esplicitato una tradizione in parte sperimentata dal giudice amministrativo e che trova precedenti anche in taluni provvedimenti cautelari innominati dei giudici ordinari.
Sia l’elaborazione ottocentesca dei principi generali dell’ordinamento giuridico, sia le più recenti e sperimentate tecniche processuali, possono dunque oggi coadiuvare fattivamente l’opera di governo verso l’innovazione nell’amministrare con buona amministrazione, quella capace di ridestare, soprattutto in periodi di crisi, quell’effettività del sistema istituzionale della Repubblica italiana che è sempre più coessenziale all’amministrare di fenomeni “complessi”, secondo principi giuridici che sono generali perché a tutti comuni.
[1] Cfr. tra le prime: C. Cost. n. 8/1956; n. 26/1961; n. 100/1987; n. 14/1971.
[2] per la libertà di culto: Cass. Torino, 11-7-1877; Cass., 13-5-1877, in Riv. amm., 1877, 479; Cass., 30-5-1888, Manelli, ivi, 1888, 557.
[3] V. Conti, Il sindaco nel diritto amministrativo italiano, Napoli, 1875, 286-87; Carnevali, Trattato di diritto comunale italiano, Mantova, 1899, 1893
[4] Artt. 42, 41, 23, 16, Cost.: C. Cost. n. 8/1956, n. 26/1961; n. 100/197.
[5] Chiusura al pubblico di spazi pubblici (strade urbane, parchi, aree gioco, ville e giardini pubblici); limitazione o divieto di allontanamento e ingresso in territori (comunali, provinciali, regionali, o nazionale); quarantena precauzionale di chi abbia avuto contatti stretti con malati infettivi o diffusivi; quarantena assoluta di chi è risultato positive al virus; la limitazione, la riduzione, la sospensione o la soppressione di servizi di trasporto di persone e di merci (automobilistico, ferroviario, aereo, di trasporto pubblico locale, marittimo nelle acque interne), anche non di linea.
[6] Limitazione, sospensione o divieto di riunioni o assembramenti in luoghi pubblici o aperti al pubblico, di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato (di carattere culturale, ludico, sportivo, ricreativo, ecc.) di ogni tipo di riunione o evento (congressi, convegni), salva la possibilità di svolgimento a distanza
[7] Con sospensione delle cerimonie civili e religiose, limitazione dell'ingresso nei luoghi destinati al culto e di ogni forma di riunione di carattere religioso, in luogo pubblico o privato.
[8] Con limitazione, sospensione o chiusura dei servizi di apertura al pubblico di musei o altri istituti o luoghi della cultura, o dell’accesso libero o gratuito a tali istituti e luoghi.
[9] Con specifici divieti o limitazioni dell’accompagnamento dei pazienti ai dipartimenti emergenza, accettazione o pronto soccorso (DEA/PS); di parenti e visitatori a strutture sanitarie o socio sanitarie (di ospitalità e lungo degenza, residenze sanitarie assistite, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani), nonché visite presso gli istituti penitenziari ed istituti penitenziari per minorenni.
[10] Con limitazione, sospensione o chiusura dei luoghi di aggregazione (cinema, teatri, sale da concerto sale da ballo, discoteche, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, centri culturali, centri sociali e centri ricreativi) e delle attività di somministrazione al pubblico e di consumo sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti; di fiere e mercati e di tutte le attività commerciali di vendita al dettaglio, salvo per i generi agricoli, alimentari e di prima necessità, evitando per quest’ultime assembramenti di persone e garantendo la distanza di sicurezza; con limitazione o sospensione di ogni altra attività d'impresa o professionali, o lavoro autonomo, salva la possibilità d’esclusione dei servizi di pubblica necessità e previa definizione di protocolli di sicurezza ed adeguati strumenti di protezione individuale.
[11] Escludendo la presenza fisica dei dipendenti negli uffici pubblici, salve le attività indifferibili e l'erogazione dei servizi essenziali prioritariamente mediante il ricorso a modalità di lavoro agile; limitazione o sospensione delle procedure concorsuali e selettive finalizzate d'assunzione di personale presso datori di lavoro pubblici e privati, salvo che ciò sia effettuato esclusivamente su basi curriculari o con modalità a distanza, fermo restando gli atti d’avvio delle procedure entro i termini di legge e la conclusione di quelle con valutazione dei candidati già effettuata e di svolgimento dei procedimenti per il conferimento di specifici incarichi.
[12] Con sospensione dei servizi educativi per l'infanzia, delle attività didattiche delle scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni di formazione superiore, comprese quelle universitarie; di ogni attività formativa (master, corsi professionali, università per anziani) comprese le prove di esame, ferma la possibilità di uno svolgimento in modalità a distanza
[13] Art. 835 c.c., art. 6, d. l. n. 18 del 2020, cit.
[14] Ricondotte, salvo leggi speciali, all’art. 835, c.c
[15] Per tutti P. Piovani, Il significato del principio di effettività, Milano 1953; voce Effettività (principio di), dell’Enciclopedia del diritto, vol. XIV, 1965, 420 e s.
[16] Per la scuola si veda da ultimo: d.l. 8 aprile 2020, n. 22.