Termini a ritroso e “sospensione per pandemia”[1]
di Marco De Cristofaro Prof. Ordinario di Diritto Processuale Civile nell’Università di Padova
Un tema che solleva problematiche molto intricate è quello dei termini a ritroso a cui il legislatore del D.L. n. 18/2020, a differenza di quello del D.L. n. 11/2020, ha dedicato espressa attenzione (v. https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1036-covid-19-e-sospensione-dei-termini-sostanziali)
L’art. 83, co. 2, D.L. 18/2020 prevede nel proprio quarto periodo che, «quando il termine è computato a ritroso e ricade in tutto o in parte entro il periodo di sospensione» (periodo di sospensione come noto prorogato fino all’11.5 dall’art. 36 D.L. n. 23/2020), allora devono essere differite le date delle udienze in connessione alle quali si calcola a ritroso il termine[2].
Quando al sintagma: “il termine … ricade in tutto o in parte”, è ineluttabile ritenere che esso faccia riferimento al “decorso del termine”. Posto che il termine “cade” sempre in un giorno unico, e quindi o scade entro il periodo di sospensione o scade al di fuori dello stesso, è solo il “decorso” dello stesso che può “ricadere” in tutto o in parte in detto periodo.
Posta questa premessa, per comprendere le potenzialità applicative della disposizione diviene necessario formulare una serie di ipotesi sia con riguardo agli atti introduttivi, sia con riguardo a memorie o comparse endo-processuali (queste ultime, per solito, ricollegate ad un’udienza di discussione o ad un’adunanza camerale, ex artt. 281 sexies, 429, 378, 380 bis, 380 bis.1 c.p.c.).
a) Se il termine, che il convenuto deve rispettare ai fini della tempestiva costituzione in giudizio[3], cade entro il periodo di sospensione, nulla quaestio, l’udienza dovrà essere rinviata.
Se il decorso del termine ricade anche solo per una parte entro il periodo di sospensione, il convenuto ha diritto alla fissazione di una nuova prima udienza, perché ha diritto a godere per intero dello spazio a difesa minimo che il legislatore gli ha concesso. Immaginiamo quindi il termine dell’art. 163 bis c.p.c., con citazione notificata a febbraio ed udienza fissata a metà giugno: il convenuto dovrebbe avere un termine a difesa minimo che è di 90 giorni liberi meno i 20 per la costituzione tempestiva per sottrarsi alla decadenza concernente riconvenzionali, eccezioni “in senso stretto”, chiamate di terzi (ossia un termine minimo di 71 giorni per predisporre le proprie difese); ebbene, se questi 71 giorni decorrono anche in parte nel periodo che va dal 9.3 fino all’11.5 maggio, l’udienza dovrà essere necessariamente rinviata.
Pertanto, ove già non abbia provveduto al rinvio d’ufficio (cui si accompagnerà sempre ed in ogni caso il differimento anche del termine di costituzione[4]), all’udienza il giudice, nella contumacia del convenuto, dovrà fissare una nuova prima udienza. Non dovrà invero a nostro avviso tecnicamente rilevare la nullità della citazione, perché la citazione di per sé era valida – l’attore aveva fissato correttamente la data di prima udienza, venendo a propria volta “colto di sorpresa” da sospensione da pandemia –, ma solo fissare una nuova prima udienza con finalità di rimessione del convenuto nella pienezza del termine a difesa, in applicazione analogica dell’art. 164, co. 2, c.p.c. (ed a prescindere da un’apposita istanza in tal senso, da cui appunto il co. 2 dell’art. 164 reputa di poter prescindere allorché la lesione delle prerogative difensive della parte sia avvenuta nella fase introduttiva).
Se invece il convenuto si è costituito, subentra l’art. 164, co. 3, c.p.c. richiamato del resto nella relazione illustrativa al D.L. n. 18/2020[5], il giudice dovrà fissare una nuova data di prima udienza per consentire il godimento integrale del termine minimo a difesa previsto dalla legge: anche se ciò presupporrà ex necesse la richiesta del convenuto, perché è sempre necessaria un’apposita istanza del convenuto costituito, sia ai sensi della norma testé evocata, sia ai sensi dell’art. 157 c.p.c.
Resta il tema di verificare – per entrambe le ipotesi considerate (termine che scade entro il periodo di sospensione, termine che decorre parzialmente entro il periodo di sospensione) – quale sia l’ambito del rinvio, ossia se esso deve offrire al convenuto ulteriori 90 giorni che decorrano successivamente all’11.5.2020, ovvero se si possano cumulare i giorni decorsi prima dell’inizio della sospensione da pandemia con quelli che saranno decorsi dopo la fine della sospensione. Questa verifica però ci pare opportuno condurla a valle della considerazione di altri termini, più contenuti rispetto a quello ordinario ex art. 163 bis c.p.c.
b) Se immaginiamo invece che l’udienza sia quella ex art. 702-ter c.p.c. oppure quella ex art. 420 c.p.c. nel rito del lavoro, in linea di principio valgono le soluzioni sopra viste.
Diviene qui però più agevole focalizzare una situazione assai particolare, di ben più facile realizzazione rispetto a quanto accade per il “lungo” termine ordinario fissato in citazione. Accade non del tutto infrequentemente che il ricorso, depositato magari ad inizio febbraio, abbia visto la fissazione dell’udienza ad inizio luglio; l’attore, pur avendo la possibilità di ritardare fino all’ultimo la notifica (ossia fino al quarantesimo giorno prima dell’udienza nel sommario[6], fino al trentesimo giorno prima dell’udienza nel rito del lavoro[7]), ha invece proceduto immediatamente alla notifica, prima dell’inizio del periodo di sospensione da pandemia. Qui il termine per la costituzione del convenuto “è decorso” durante detto periodo; tuttavia il termine “minimo” concessogli a difesa (i 30 giorni del sommario piuttosto che i 20 giorni del rito laburistico) si dipana per intero nel periodo post 11 maggio.
Se dunque i termini minimi a difesa decorrono integralmente dopo la fine della sospensione, in questo caso l’udienza fissata ad una distanza che è superiore ai 40 giorni, per il rito sommario, e superiore ai 30 giorni, per quanto riguarda il rito del lavoro, ben potrà essere confermata, perché comunque il convenuto ha avuto modo di beneficiare, dopo la fine della sospensione, dell’intero spazio a difesa minimo che il legislatore ha ritenuto essere incomprimibile per queste situazioni.
Del resto, la notifica del ricorso con pedissequo decreto di fissazione d’udienza (anziché, ad es., il 25 febbraio) fosse arrivata il 12 maggio, il convenuto avrebbe avuto i giorni minimi indispensabili per predisporre la propria difesa; ed allora non diversamente si dovrà concludere allorché la notifica di ricorso e decreto di fissazione d’udienza sia stata fatta, anticipatamente, già a fine febbraio-inizio marzo, poiché il convenuto avrà comunque, dopo l’11 maggio, tutto lo spazio a difesa che il legislatore ha inteso assicurargli.
Sorge però qui il quesito su come affrontare il caso in cui, dopo la fine della sospensione, non vi sia spazio sufficiente per garantire detti termini minimi. L’ipotesi è dunque quella in cui, successivamente alla notifica, il termine sia in parte decorso e sia ripreso successivamente all’11 maggio, per compiersi con il rispetto dei minimi, nella somma della decorrenza ante e post.
Qui, in linea puramente logico-matematica, non vi sarebbe uopo a differimento dell’udienza. Tuttavia la risposta non pare più così semplice ove si consideri il caso affine in cui – avvenuta la notifica con ampio anticipo, tale da consentire il decorso dei termini minimi anteriormente all’inizio del periodo di sospensione da pandemia – l’udienza si trovi fissata al 18 maggio, con il termine che, originariamente, doveva ritenersi in scadenza l’8 maggio precedente, in pieno periodo di sospensione.
In tale ultima fattispecie è indiscusso che l’udienza debba essere differita. Il che porta però a chiedersi se – con notifica effettuata il 24 gennaio – abbia senso che venga differita l’udienza fissata il 21 maggio, con il termine di costituzione in scadenza l’ultimo giorno della disposta sospensione, e non debba invece esserlo quella del giorno successivo, 22 maggio, poiché in tal caso il convenuto avrebbe avuto la possibilità di usufruire, prima dell’inizio della sospensione, tutto il termine minimo a difesa assicuratogli dalla legge.
È evidente che questa conclusione – in sé palesemente iniqua e contra tenorem rationis (perché, ammettendo che scadano termini persino il giorno successivo al venir meno della sospensione, costringe a realizzare gli incontri preparatori ed a predisporre lo scritto difensivo in costanza di sospensione) – pretermette altresì il modo in cui si struttura e si dipana l’attività difensiva nella vita reale. Nel senso che, se il cliente comunica al legale di aver ricevuto a gennaio una notifica per un’udienza di metà maggio, trattandosi di un termine ante quam, quel legale “scadenzierà” la memoria difensiva per il decimo giorno anteriore a quell’udienza, né si può pretendere che abbia provveduto a predisporre tale memoria nel termine a quo decorrente dalla notifica.
Detto altrimenti, per quanto in anticipo si sia ricevuta la notifica, è ineluttabile che vi sia un “settaggio” dell’attività del difensore che lo porta a calendarizzare le attività funzionali alla difesa in funzione della data da cui decorre, a ritroso, il termine di costituzione; e tale “settaggio” resta ineluttabilmente disorientato nel momento del sopravvenire, ex post, dell’evento del tutto imprevedibile del Covid-19, e della conseguente sospensione del termine disposta dai D.L. n. 18 e n. 23/2020.
A questo punto la conclusione ci pare necessitata. Il decorso del termine «ricade in tutto o in parte entro il periodo di sospensione» in tutte le ipotesi in cui, muovendo a ritroso dalla data dell’udienza, risulta che non solo il termine di costituzione, ma anche l’intero termine minimo a difesa si dipani successivamente al venir meno della sospensione; e ciò non solo nei casi dei termini “più brevi”, di cui agli artt. 415 o 702 bis c.p.c., ma anche – qui sciogliendo il dubbio che abbiamo lasciato aperto prima – con riguardo al termine dell’art. 163 bis c.p.c.
Il termine cui ha riguardo il legislatore è dunque l’intero termine a difesa, calcolato a ritroso dalla data d’udienza, che deve tutto decorrere successivamente al venir meno della sospensione. Se ci fosse anche sola una sua frazione che risulti esser decorsa nel periodo di sospensione, le udienze debbono essere rinviate.
Quanto al profilo della comunicazione al convenuto del differimento d’udienza, ove il modello introduttivo sia quello del ricorso, trattandosi della modifica di un decreto di fissazione d'udienza, che è stato notificato insieme al ricorso, il nuovo provvedimento del giudice dovrà essere parimenti oggetto di comunicazione; nel caso in cui invece il modello introduttivo sia costituito dalla citazione, a motivo del fatto che neppure l’art. 168 bis, co. 5, c.p.c., prevede la comunicazione dello spostamento d'udienza disposto dal giudice, non pare necessaria alcuna ulteriore modifica[8].
c) Questo approdo si pone invero a nostro avviso – diversamente da quanto sostenuto nella Relazione del Massimario della Cassazione, n. 28 del 1°.4.2020 – in coerenza con i principi giurisprudenziali elaborati in materia di computo dei termini a ritroso, allorché il loro decorso venga a cadere in costanza del periodo feriale “ordinario” ex lege n. 742/1969 (coincidente, dal 2015, con il periodo tra il 1° ed il 31 agosto): è noto infatti che, per tale caso, si è ritenuto che la costituzione tempestiva del convenuto debba svolgersi “neutralizzando” l’intero periodo feriale, sì che – fissata udienza al 5 settembre – il termine a ritroso dovrà essere calcolato senza contare il mese di agosto, andando così a cadere (seconda del rito, ordinario ovvero sommario/laburistico) il 15 ovvero il 25 luglio (così come, nell’ottica dell’attore, la fissazione dell’udienza libellata dovrà non tener conto dei giorni agostani ai fini del rispetto del termine minimo a comparire dell’art. 163 bis c.p.c.)[9].
Un siffatto principio però può valere in tanto in quanto l’esistenza e la durata del periodo di sospensione siano conoscibili ex ante, di modo che la parte interessata possa prevedere i propri comportamenti; là dove invece la sospensione sopravvenga in modo del tutto imprevedibile, è chiaro che non si può ascrivere al convenuto di non aver provveduto all’attività difensiva in modo da costituirsi … prima della sospensione. Anzi proprio per rimanere coerenti con la ratio del principio – per cui né il convenuto (ed il suo legale), né l’attore (ed il suo legale) debbono vedersi coartati a profondere il proprio impegno, difensivo od in replica, nel periodo di sospensione – si dovrà questa volta concedere alla parte interessata l’intero decorso del termine successivamente al venir meno della sospensione, senza che il convenuto debba computare nemmeno un giorno al suo interno.
Né con tale approdo modo si entra in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale in base al quale, nel caso di necessità di fissazione di nuova udienza ex art. 164, co. 3, c.p.c., il giudice ben può tener conto del tempo trascorso dalla notifica[10]. La tesi qui sostenuta non mette in dubbio che, rispetto ad un’udienza originariamente calendarizzata per il 29 maggio, il giudice possa fissare la nuova udienza in una data che consideri anche il periodo a partire dall’11 maggio nel computo dei 90 giorni liberi complessivi prima della successiva udienza[11]; quel che rileva è che comunque vengano conteggiati solamente i giorni successivi all’11 maggio, poiché i giorni che fossero eventualmente decorsi prima dell’8 marzo non sono rilevanti in quanto la sola decorrenza che rileva è quello che si sarebbe dipanata a ritroso rispetto all’udienza per l’intero termine minimo a difesa.
d) Altro ordine di situazioni che richiede approfondimento, sulla base della nuova regola sui termini a ritroso, è quello in cui il giudice, ad es. a fine gennaio, per un’udienza di discussione ex art. 281 sexies, per un’udienza di discussione finale ex art. 702 ter, per un’udienza di discussione nel rito del lavoro ex art. 429 c.p.c., abbia fissato l’udienza finale verso fine maggio, dando un termine per note conclusive per 10 o 15 giorni prima. In questo caso la “scadenza” del termine si colloca dopo la fine del periodo di sospensione, e si potrebbe essere indotti, in linea di principio, a ritenere che essa sia sempre “congrua”, poiché non vi sono termini minimi incomprimibili, ed altresì perché il giudice ha fissato quel termine di norma in funzione delle esigenze del ruolo e non certo per aver valutato che quello spatium temporis fosse l’unico adeguato all’approfondimento difensivo ad opera delle parti.
Tuttavia ci possiamo chiedere, in questo caso come in quello che abbiamo visto prima del termine di costituzione che decorre in parte prima e in parte dopo la fine del periodo di sospensione, se non vi sia da salvaguardare una aspettativa del difensore che, in qualche modo, ha “settato” la propria organizzazione di studio sapendo che l’udienza di discussione ex art. 429 od ex 281 sexies c.p.c., era a circa 4 mesi di distanza, non certo prevedendo di dedicarsi alla redazione delle note conclusive immediatamente dopo la concessione del termine. Anche in quest’ipotesi, per un verso, la parte è rimasta privata del decorso di almeno due mesi circa, per la sospensione da pandemia di cui ai D.L. n. 18 e 23/2020; per altro verso, il difensore potrebbe trovarsi a dover predisporre le note conclusive nei pochissimi giorni successivi al venir meno della sospensione, trovandosi disorientato e soprattutto costretto – contra tenorem rationis dell’intervento urgente del legislatore – a contatti con il cliente o con la cancelleria[12] ed alla predisposizione dell’atto ancora nei giorni di sospensione e di “distanziamento sociale”.
Va tuttavia operata una precisazione: in assenza di termini legali da rispettare, la parte non ha un diritto quesito alla lunghezza del termine (ad es. di quattro mesi, nell’esempio fatto) in ragione dell’originaria fissazione dell’udienza di discussione. Ciò significa che non riteniamo sia obbligatorio disporre il rinvio d’udienza allorché la parte possa comunque disporre per la predisposizione delle note conclusive, dal venir meno della sospensione da pandemia alla data dell’udienza, di un numero di giorni che siano almeno pari a quelli minimi che la legge le conferisce per la prima costituzione in giudizio: se cioè, per predisporre la difesa “a freddo”, appena ricevuta la notifica dell’atto introduttivo e con l’incombere delle preclusioni, il legislatore reputa sufficiente un termine di costituzione di 20 giorni (nel rito del lavoro) o di 30 giorni (nel rito sommario, probabilmente estendibili anche all’opposizione a stato passivo), l’udienza non dovrà essere differita nella misura in cui la prevista scadenza delle note conclusive consenta alle parti di usufruire, dopo l’11 maggio, di un numero di giorni quanto meno equivalente a quello indicato (dovendo considerarsi in linea di principio meno complicata, rispetto alla difesa iniziale, appunto a preclusioni incombenti, la ricapitolazione dei fatti di causa e delle questioni di diritto, entro un atto che non può avere contenuto diverso dal «compiuto svolgimento delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano» le conclusioni rassegnate[13]).
Il che significa altresì che, non essendovi qui termini legali da rispettare, ma essendo lo spatium temporis originariamente assegnato per le note conclusive per regola indipendente da valutazioni circa la complessità difensiva della causa, il giudice ha ampia discrezionalità nel fissare la nuova udienza, a condizione che venga rispettata la garanzia sopra indicata. Per quanto invece riguarda i procedimenti cautelari e possessori (se ed in quanto non rientranti tra le eccezioni alla sospensione ex art. 83, co. 3, D.L. n. 18/2020), in ragione della loro natura intrinsecamente urgente, il giudice non avrà in linea di principio alcun vincolo (se non quello degli almeno 7 giorni ricavabile dall’art. 669 octies, co. 2, c.p.c.), ma avrà il dovere di compiere un’adeguata ponderazione delle rispettive esigenze (celerità nel provvedere, garanzia del contraddittorio)[14].
e) Con riguardo al giudizio in Cassazione, infine, sappiamo che, con provvedimento del 10.4.2020, il Primo Presidente ha rinviato a nuovo ruolo tutte le udienze pubbliche fissate entro il 30 giugno e tutte le adunanze camerali fissate entro il 31 maggio.
Se si tiene conto che in Cassazione l’unico termine endo-processuale fissato in relazione ad un’udienza è quello per il deposito della memoria illustrativa ex artt. 378, 380 bis e 380 bis.1 c.p.c., in questo modo il tema del decorso parziale dei termini entro il periodo di sospensione è pressoché per intero superato; e trova altresì conferma l’impostazione che abbiamo sin qui sostenuto.
Siccome infatti la parte ha diritto ad avere comunicazione della data dell’udienza pubblica o dell’adunanza camerale «almeno venti giorni prima» (art. 377, co. 2, ed art. 380 bis, co. 2, c.p.c.), il rinvio di tutte le attività a dopo il 31 maggio assicura per intero il termine minimo a difesa, poiché dopo l’11 maggio decorreranno senz’altro i 20 giorni prima dell’udienza pubblica o dell’adunanza camerale in Sez. VI, e si avranno comunque i 15 giorni incomprimibili concessi per la preparazione ed il deposito (oggi possibile anche in via telematica[15]) della memoria.
Resterebbe invece scoperto il maggior termine per le adunanze camerali in Sezione ordinaria, ex artt. 375, ult. co., e 380 bis.1 c.p.c. Per queste, infatti, la comunicazione dell’adunanza dev’essere data alle parti ed alla Procura Generale «almeno quaranta giorni prima», per consentire la dialettica tra le conclusioni scritte del P.M., che potranno esser depositate venti giorni prima dell’adunanza, e le successive memorie di parte, che potranno esser depositate non oltre dieci giorni prima.
È vero che il provvedimento del Primo Presidente del 10.4.2020 prevede che le adunanze ex art. 380 bis.1 c.p.c. si possano svolgere solo a partire dal 22 giugno, di modo che sia assicurato anche qui l’intero decorso del termine successivamente alla sospensione. Resta però un piccolo difetto di coordinamento là dove il rinvio generalizzato a nuovo ruolo delle adunanze camerali è previsto solo per quelle fissate entro il 31 maggio: essendo evidente che, per quelle in Sezione ordinaria, tale rinvio dovrà ricomprendere anche i giorni fino al 22 giungo, potendosi solo da quest’ultima data procedere alla nuova trattazione dei ricorsi in “adunanza camerale non partecipata” secondo il modello elettivo dell’art. 375, ult. co., c.p.c.
[1] Relazione tenuta alla conferenza-zoom “I processi ai tempi dell’emergenza”, organizzata dall’Ordine degli Avvocati di Padova in data 9.4.2020.
[2] Sul punto non vi è stata modifica ad opera della legge di conversione, approvata definitivamente il 24.4.2020 ed in attesa di pubblicazione.
[3] Stiamo tuttavia parlando di tutti i termini a ritroso, ivi compresi quelli per la presentazione della domanda di ammissione al passivo ex art. 93 l.fall. V. Cass., 24.7.2012, n. 12960: «il termine perentorio per la presentazione delle domande di insinuazione al passivo fallimentare, sancito dagli artt. 16, co. 1, n. 5, e 93, co. 1, l.fall., è soggetto alla sospensione feriale, sulla base delle indicazioni desumibili dagli artt. 92 R.D. n. 12/ 1941 e 36 bis l.fall., in quanto si tratta di termine processuale, entro il quale il giudizio deve necessariamente essere proposto, non essendo concessa altra forma di tutela del diritto».
Dovendosi intendere sospesi tutti i termini di natura processuale, non credo che tra gli stessi possa farsi rientrare il termine dilatorio dei 10 gg. del precetto, di cui all’art. 480, co. 1, c.p.c.: il precetto è atto prodromico all'esecuzione, e pone al debitore un termine per procedere ad un atto, il pagamento, che è di pura natura sostanziale; ed i termini di natura sostanziale sono sospesi solo quando – per rispettarli – si renda necessaria la proposizione di una domanda o comunque il compimento di un’attività giudiziale. E certo il pagamento non è una domanda giudiziale. Viceversa, e coerentemente, deve ritenersi sospeso il termine di perenzione del precetto, ex art. 481 c.p.c. (così come quello per la notifica del decreto ingiuntivo, ex art. 644 c.p.c.).
[4] V. anche Panzarola-Farina, L’emergenza Coronavirus ed il processo civile. Osservazioni a prima lettura, in Giustizia civile.com, par. 4, in fine.
[5] Sebbene a nostro avviso non si possa sostenere che, in linea generale, l’intero meccanismo “ricalchi” quello dell’art. 164, co. 3, c.p.c.
[6] Co. 3 dell’art. 702 bis c.p.c.: «il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato al convenuto almeno 30 gg. prima della data fissata per la sua costituzione», coincidente – questa data – con i 10 giorni anteriori all’udienza.
[7] Co. 5 dell’art. 415 c.p.c.: «tra la data di notificazione al convenuto e quella dell’udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di 30 gg.», dovendosi il convenuto costituire «almeno 10 gg. prima dell’udienza» (art. 416, co. 1, c.p.c.). Per tutte Cass., 29.11.2005, n. 26039: «in materia di controversie di lavoro, il termine di dieci giorni assegnato al ricorrente per la notificazione del ricorso e del decreto giudiziale di fissazione dell'udienza di discussione al convenuto, ai sensi dell'art. 415, co. 4, c.p.c., non è perentorio, ma ordinatorio, con la conseguenza che la sua inosservanza non produce alcuna decadenza né implica la vulnerazione della costituzione del rapporto processuale a condizione che risulti garantito al convenuto il termine per la sua costituzione in giudizio non inferiore ai trenta giorni, come stabilito dal co. 5 della stessa norma (ovvero a quaranta giorni nell'ipotesi prevista dal successivo co. 6)». E fermo restando pure il mancato rispetto di questo termine non comporta l’improcedibilità del giudizio (in particolare d’opposizione a decreto ingiuntivo o d’impugnazione, nel caso dell’art. 435 c.p.c.), «bensì la nullità di quest’ultima, sanabile ex tunc per effetto di spontanea costituzione dell’appellato o di rinnovazione, disposta dal giudice ex art. 291 c.p.c.» (Cass., 17.4.2018, n. 9404; Cass., 12.9.2018, n. 22166; Cass., 7.1.2019, n. 172).
[8] Altra questione è, invece, quella su cui si soffermano Panzarola-Farina, L’emergenza Coronavirus ed il processo civile. Osservazioni a prima lettura, in Giustizia civile.com, par. 4, in fine, con riguardo all’ipotesi di udienze fissate dopo l’8 marzo, rispetto alle quali il termine di tempestiva costituzione sia scaduto anteriormente alla sospensione da epidemia: per queste ipotesi va in effetti condivisa la tesi per cui – essendo il termine venuto a compimento prima della sospensione – non dovrebbe darsi spazio per una rimessione in termini del convenuto.
[9] V. Cass., 17.5.2010, n. 12044; già Cass., 17.10.2005, n. 19530.
[10] Cass., 20.11.2018, n. 29839: «la fissazione della nuova udienza, ai sensi dell'art. 164, co. 3, c.p.c., deve essere disposta dal giudice facendo riferimento, quale dies a quo del nuovo termine, alla data della notificazione dell'atto di citazione, che segna il momento a partire dal quale il convenuto, acquisita la conoscenza legale dell'atto, ha diritto al termine per approntare una congrua difesa, dovendosi invece escludere – perché non trova riscontro nella legge e perché in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo – la necessità che il giudice provveda all'assegnazione, ex novo, dell'intero termine di comparizione, senza tener conto del tempo già trascorso».
[11] Sebbene qualche perplessità possa covarsi con riguardo ai termini di comparizione più brevi (nel rito sommario o laburistico), poiché il calcolo del periodo precedente rispetto al rilievo della mancata concessione del termine minimo a comparire rischia di sfociare nell’assegnazione di un termine di pochissimi giorni (nell’esempio del testo, con udienza fissata al 29 maggio, nel rito del lavoro il giudice potrebbe limitarsi a rinviarla all’11 giugno, con termine per costituzione del convenuto che scadrebbe il 1° giugno, dopo due soli giorni (uno prefestivo ed uno festivo) a disposizione per la predisposizione della memoria di costituzione ex art. 416 c.p.c.
Se si tiene conto di siffatte ipotesi – nonché di quelle in cui l’errore nel computo del termine per la fissazione dell’udienza libellata– risulta che l’evocato orientamento della Suprema Corte, pur comprensibile per ragioni di celerità (nel rito ordinario: in quelli speciali la normale cadenza dei rinvii rende alquanto più agevole un differimento a data successiva pari all’intero termine minimo a difesa), risulti quanto mai astratto e rigido, e sia probabilmente da respingersi a vantaggio di un rinvio che conceda sempre al convenuto la possibilità di usufruire di un nuovo intero termine di comparizione.
[12] Per la consultazione di eventuali documenti depositati in cartaceo, essendo prevista la garanzia del deposito telematico solo in costanza di sospensione da pandemia.
[13] Questo il contenuto delle comparse conclusionali secondo il co. 2 dell’art. 190 c.p.c., poi abrogato – ma non nella sostanza – con la riforma del 1990.
[14] Peraltro il problema non dovrebbe avere occasione di porsi, in linea di principio: non dovrebbe infatti essere accaduto che, con un ricorso depositato prima dell’8 marzo, la data d’udienza risultasse stabilita solo a maggio; se l’udienza fosse stata stabilita nel periodo di sospensione, il differimento sarà ineluttabile; per i ricorsi depositati nel periodo di sospensione, il giudice avrà già proceduto alla fissazione d’udienza tenendo in considerazione il nuovo panorama determinato dai D.L. nn. 18 e 23/2020.
[15] Provvedimento del Primo Presidente della Corte di cassazione del 31.3.2020, punto C, lett. f); nonché art. 83, co. 11 bis, D.L. n. 18/2020, come modificato dalla legge di conversione.