LA DIFFICILE TRASPOSIZIONE DEL CONCETTO DI PERDITA DI CHANCE NEL DANNO NON PATRIMONIALE a margine di Cass. 5641/2018
La Corte di Cassazione torna ad occuparsi del danno non patrimoniale, in particolare, è la volta del danno da perdita di chance che da anni la giurisprudenza tenta di armonizzare con i principi della responsabilità civile e della preventiva verifica del nesso causale. La Corte chiarisce che la chance nasce e si sviluppa in ambito patrimoniale e poco senso ha trasporla nell’ambito del danno non patrimoniale e, ancora una volta, dà un monito alla scorretta sovrapposizione tra danno – evento e verifica del nesso causale.
Sommario 1. La perdita di chance. - 2. Il caso di specie. - 3. La chance come concetto di sola rilevanza patrimoniale che richiede sempre il previo accertamento del nesso causale.
1. La perdita di chance
La parola chance, che deriva etimologicamente dal latino cadentia” (cadere dei dadi), esprime il concetto di “buona probabilità di riuscita”.
Dal riferimento letterale, è evidente che si tratta di una situazione orientata ad un’utilità o ad un vantaggio e caratterizzata da una possibilità di successo.
La dottrina prevalente e la giurisprudenza di legittimità definiscono la chance come una concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o vantaggio
La perdita di chance è attualmente riconosciuta come danno risarcibile e appare funzionale, quindi,
alla tutela del patrimonio del soggetto sia sul versante della perdita dell’occasione, sia su quello delle utilità che da quell’occasione potevano (sarebbero potute) derivare (v. art. 1223 c.c.).
I problemi che più hanno interessato la sua rilevanza sono l’operatività del concetto di probabilità relativa sia considerando la perdita di chance come una tecnica di accertamento della causalità sia come un criterio di liquidazione del danno.
Preliminarmente, chiarito che l’argomento in esame milita nell’area del danno risarcibile, la cui fisionomia, si articola ex art. 1223 c.c. nelle due sottocategorie normative del danno emergente inteso come “violazione dell’interesse del creditore al conseguimento del bene dovuto e alla conservazione degli altri beni che integrano il suo patrimonio” e del lucro cessante, che “s’identifica con l’incremento patrimoniale che il danneggiato avrebbe conseguito mediante l’utilizzazione della prestazione inadempiuta o del bene leso ovvero mediante la realizzazione del contratto”, occorre specificare che il danno da perita di chance è stato talvolta ricondotto al lucro cessante, talaltra al danno emergente.
Per ricostruire, accertare e quantificare questo tipo di danno, sono state elaborate due opposte teorie: quella eziologica e quella ontologica.
Secondo la tesi che ricostruisce la chance in chiave eziologica, quest’ultima si configura come “occasione persa” intesa in termini di lucro cessante. Diversamente, la tesi che ricostruisce la chance in chiave ontologica la qualifica in termini di danno emergente, come posta attiva già esistente nel patrimonio del soggetto che “non va configurato come danno futuro, legato alla ragionevole probabilità di un evento, ma come danno concreto, attuale, certo, ricollegabile alla perdita di una prospettiva favorevole, già presente nel patrimonio del soggetto”.
2. Il caso di specie.
Di recente la Cassazione ha affrontato la configurabilità del danno da perdita di chance nella responsabilità medica.
Per vero, l’ambito medico legale è ampiamente battuto dalla giurisprudenza che, anche quanto al danno da perdita di chance, ha avuto modo di individuare quest’ultimo non solo nel danno-conseguenza patrimoniale derivante dalla perdita totale o parziale della capacità lavorativa come fonte di reddito, ma anche a fronte di un danno non patrimoniale inveratosi nella perdita o riduzione della possibilità di conseguire la guarigione ovvero di realizzare un miglioramento di uno stato di malattia.
Più nel dettaglio, è il caso in cui un’omessa od errata diagnosi ha privato il paziente della possibilità di vivere più a lungo.
Ebbene, la giurisprudenza, nel caso richiamato, ha costantemente riconosciuto la configurazione di un danno da perdita della chance, con tutto quanto ne consegue in termini di liquidazione e quantum risarcitorio.
Da ultimo, però, rivoluzionaria appare la sentenza in commento che, abiurando la figura del danno da perdita di chance, richiama piuttosto la configurabilità di un danno autonomo e distinto.
L’occasione di analisi muove dalla trasformazione, ritenuta illegittima ed arbitraria, ad opera della Corte d’appello, del danno da perdita del rapporto parentale, richiesto e liquidato in primo grado, in una fattispecie di danno del tutto diversa individuata nel danno da perdita di chance di una più lunga sopravvivenza della paziente.
In tal senso, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito più volte che non esiste identità sostanziale di petitum tra una richiesta di risarcimento per un evento di danno da lesione di un interesse costituzionalmente tutelato (sia esso la salute o un rapporto parentale) che, nel corso del giudizio, muti in domanda per danno da perdita di chance, attesa l’ontologica diversità del bene tutelato (Cass. 13491/2004 e Cass. 21245/2012).
3. La chance come concetto di sola rilevanza patrimoniale che richiede sempre il previo accertamento del nesso causale.
Così impostato il problema, la Cassazione chiarisce che il danno da perdita di chance nasce e si sviluppa nell’area del danno patrimoniale, dibattuta essendone la sola forma, cioè quella del danno emergente o del lucro cessante.
Per avvalorare la tesi si richiama il primo intervento che storicamente ha riconosciuto la chance quale entità risarcibile ponendo a fondamento della decisione, evidentemente rationes di rilievo patrimoniale:
- ogni individuo ha diritto all’integrità del proprio patrimonio
- la speranza di un guadagno futuro è entità risarcibile
- la perdita della speranza di conseguire un risultato utile costituisce lesione dell’integrità del patrimonio e quindi un danno risarcibile;
- il danneggiato è onerato a provare una percentuale di successo probabile, e cioè pari ad almeno il 50%, poiché, "in presenza di una possibilità sfavorevole superiore a quella favorevole, non vi è ragione alcuna che possa giustificare la prevalenza della seconda sulla prima, e quindi la sussistenza di un danno”;
Così chiarito, la Corte ritiene che il concetto di chance mal si concilia con il danno non patrimoniale e con la perdita della possibilità di conseguire un risultato migliore.
Del resto, si richiama il sostrato fattuale sul quale si fonda la rilevanza della chance che è intesa quale possibilità di conseguire un risultato migliorativo della situazione preesistente.
La chance patrimoniale, infatti, postula la preesistenza di un quid su cui va ad incidere sfavorevolmente la condotta colpevole del danneggiante impedendone la possibile evoluzione migliorativa, così non è nell’area del danno non patrimoniale rappresentata anch'essa (e segnatamente nel sottosistema della responsabilità sanitaria), sul piano funzionale, dalla possibilità di conseguire un risultato migliorativo della situazione preesistente, ma morfologicamente diversa rispetto alla prima: la presenza del sanitario, infatti, rappresenta una chance per il miglioramento delle condizioni di vita del pazienza “prima ancora della sua cancellazione colpevole”.
Manca, cioè, nel caso della condotta del medico, un quid, inteso come preesistenza di una situazione “positiva” che invece è peggiorata dalla condotta colpevole (il paziente è portatore di una condizione di salute che, prima dell'intervento del medico, rappresenta un pejus, e non un quid in positivo, sul piano della chance).
Questa diversità fattuale incide poi sulla liquidazione del danno posto che solo nel danno patrimoniale l’accertamento della chance può essere legato a valori oggettivi (id est, al risultato perduto), mentre per il danno non patrimoniale dovrà verificarsi la possibilità perduta di realizzo.
Inoltre, la Corte sottolinea che la qualificazione del danno come possibilità perduta non esclude la necessità di verifica del nesso causale tra condotta ed evento
“L'attività del giudice dovrà, pertanto, muovere dalla previa disamina della condotta (e della sua colpevolezza) e dall'accertamento della relazione causale tra tale condotta e l'evento di danno (la possibilità perduta), senza che i concetti di probabilità causale e di possibilità (e cioè di incertezza) dell'evento sperato possano legittimamente sovrapporsi, elidersi o fondersi insieme”
Ed è a questo punto che la sentenza chiarisce che “qualora l'evento di danno sia costituito non da una possibilità - sinonimo di incertezza del risultato sperato - ma dal (mancato) risultato stesso (nel caso di specie, la perdita anticipata della vita), non è lecito discorrere di chance perduta, bensì di altro e diverso evento di danno”.
La sentenza, più chiaramente, disegna alcune ipotesi verificabili in ambito sanitario:
- se la condotta colpevole del sanitario cagiona la morte del paziente, quello sarà chiamato a rispondere di danno biologico cagionato al paziente e danno da lesione del rapporto parentale cagionato ai familiari;
- se la condotta colpevole non ha cagionato la morte del paziente, ma una significativa riduzione della sua vita ed una peggiore qualità della stessa, il sanitario sarà chiamato a rispondere dell’evento di danno costituito dalla minor durata della vita e dalla sua peggior qualità, “senza che tale danno integri una fattispecie di perdita di chance”;
- se la condotta del sanitario non ha avuto alcuna incidenza causale sullo sviluppo della malattia, sulla sua durata, sulla qualità della vita medio tempore e sull’esito finale non sarà dovuto alcun risarcimento
- se la condotta colpevole del sanitario ha avuto, come conseguenza, un evento di danno incerto, solo allora dovrà essere risarcito il danno da perdita di chance.
“Ne consegue che l'incertezza del risultato incide non sulla analisi del nesso causale, ma sulla identificazione del danno, poiché la possibilità perduta di un risultato sperato (nella quale si sostanzia la chance) è la qualificazione/identificazione di un danno risarcibile a seguito della lesione
di una situazione soggettiva rilevante, e non della relazione causale tra condotta ed evento, che si presuppone risolta positivamente prima e a prescindere dall'analisi dell'evento lamentato come fonte di danno”
Si conclude, pertanto, che “ove risulti provato, sul piano etiologico, che la mancata diagnosi di una patologia tumorale abbia cagionato la morte anticipata del paziente, che sarebbe (certamente o probabilmente) sopravvissuto significativamente più a lungo e in condizioni di vita (fisiche e spirituali) diverse e migliori, non di "maggiori chance di sopravvivenza" sarà lecito discorrere, bensì di un evento di danno rappresentato, in via diretta ed immediata, dalla minore durata della vita e dalla sua peggiore qualità (fisica e spirituale), con tutto quanto ne discente in termini di quantificazione e liquidazione, a questo punto non limitato al lucro cessante o al danno emergente ( a seconda della tesi che si intende sposare).
Le affermazioni, in realtà, non sono nuove nel panorama giurisprudenziale. Già alcuni Tribunali di merito avevano affermato che il” ragionamento secondo cui la possibilità di conseguire un vantaggio rappresenta un bene (già) presente nel patrimonio del danneggiato (una sorta di avviamento), si può avere una sua logica relativamente ai diritti patrimoniali, non appare trasponendo nel campo del danno non patrimoniale (derivante dalla lesione di interessi non patrimoniali)" (Tribunale di Rimini, sez. civile, sentenza 04/11/2016).
Anche la verifica del nesso causale è stata sempre al centro del dibattito giurisprudenziale, la stessa sentenza del Tribunale di Rimini, con affermazione di forte impatto, si chiedeva come giustificare il fatto "che alla perdita di chance consegua un risarcimento che - salvo il profilo quantitativo - si correla allo stesso bene giuridico finale la cui lesione, in tesi, si è negato sia eziologicamente ascrivibile al danneggiante"
La questione resta discussa, ma è innegabile un orientamento interpretativo che cerca di restringere il concetto di chance risarcibile limitandola all’area della responsabilità patrimoniale, ferma restando la necessaria previa verifica del nesso causale.