Convalida di sfratto per immobile luogo di detenzione domiciliare: la giurisprudenza di merito ha individuato il punto di equilibrio tra interesse del proprietario ad ottenere la restituzione dell’immobile e l’interesse dell’ordinamento a garantire l’esecuzione della pena.
Tra le misure alternative alla detenzione la legge prevede l’istituto della detenzione domiciliare così come, in alternativa alla custodia cautelare, è prevista, la misura degli arresti domiciliari.
La giurisprudenza penale ha costantemente affermato che affinché possano operare tali misure “alternative” è, però, necessario che il soggetto ristretto sia nella disponibilità di un immobile idoneo allo svolgimento della misura alternativa.
Questione sempre maggiormente discussa è se nella disponibilità possa rientrare anche un immobile oggetto di convalida di sfratto per morosità.
Più chiaramente, è il caso in cui, nel corso del rilascio forzato, l’ufficiale giudiziario si veda opporre da un occupante l’impossibilità di liberare l’immobile per l’esistenza di un provvedimento del giudice penale che elegge l’immobile oggetto di convalida quale luogo di detenzione domiciliare (o per lo svolgimento della misura cautelare degli arresti domiciliari, sempre più utilizzata a fronte del sovraffollamento carcerario, definitivamente sanzionato dalla nota sentenza Torreggianni).
È immediatamente evidente il contrasto, almeno apparente, che sorge tra due provvedimenti distinti: da una parte il provvedimento di convalida di sfratto, emesso dal giudice civile; dall’altra il provvedimento del giudice penale che autorizza a svolgere la misura nello stesso immobile oggetto del provvedimento di rilascio.
Viene, cioè, in rilievo un’antinomia tra esigenze di natura penale di interesse pubblicistico a garantire l’esecuzione della pena attraverso misure alternative alla detenzione carcerarie, in aderenza all’esigenza costituzionale di rieducazione del condannato (art. 27, co. 3 Cost.) e l’interesse privatistico del proprietario dell’immobile sotteso alla procedura di
E’ discusso se la presenza di un soggetto ristretto in detenzione domiciliare presso l’immobile oggetto di rilascio costituisca un ostacolo all’esecuzione del titolo esecutivo.
Parte della dottrina[1] che si è occupata della questione specifica preliminarmente che l’antinomia tra interesse pubblicistico e privatistico è solo apparente: anche la salvaguardia del sistema delle vendite giudiziarie sottende, infatti, un interesse di natura pubblicistica.
La stessa dottrina sottolinea, poi, che esigenze sistematiche impongono di consentire la liberazione di un immobile, anche se occupato da un soggetto in stato di detenzione, così come si consente la liberazione di un immobile anche nei confronti di esecutati invalidi o con figli minori.
Ancora, si evidenzia come l’applicazione degli arresti domiciliari in luogo della custodia in carcere non integri un diritto del detenuto, ma presupponga, piuttosto, la concreta esigibilità della misura.
È affermazione costante della giurisprudenza, infatti, che la concessione degli arresti domiciliari necessita del preventivo accertamento dell’esistenza di un domicilio idoneo, che sia cioè fruibile da parte dell’indagato (o, in alternativa, la disponibilità all’accoglienza da parte del titolare del diritto)
Così inteso, il contrasto tra provvedimento penale e provvedimento civile diviene più apparente che reale, occorrendo piuttosto trovare un punto di equilibrio tra le esigenze del condannato (o indagato) e del proprietario dell’immobile.
La questione, non ancora approdata alla giurisprudenza di legittimità, è stata portata all’attenzione della giurisprudenza di merito
L’orientamento prevalente ritiene che la presenza all’interno dell’immobile oggetto di rilascio di un soggetto sottoposto agli arresti domiciliari o in detenzione domiciliare non è idonea a precludere la prosecuzione dell’esecuzione per rilascio (in epoca risalente, Pret. Monza 30/07/1987).
In tal senso, da ultimo, si è espresso il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Napoli (Trib. Napoli, XIV sez. civ., 30 marzo 2018).
Il giudice dell’esecuzione, nell’ordinanza in commento, evidenzia, infatti, che la detenzione domiciliare (così come la misura cautelare degli arresti domiciliari) richiede la disponibilità diretta da parte del condannato, ovvero indiretta da parte dei familiari, di un immobile ove alloggiare legittimamente: in mancanza di tali requisiti la misura non è eseguibile e, ove lo stesso detenuto non sia in grado di indicare un altro immobile fruibile quale luogo di detenzione, numerosi sono i casi di diniego degli arresti domiciliari con conseguente applicazione della più grave custodia cautelare in carcere.
In linea con la giurisprudenza risalente, allora, non si ritiene che l’esistenza di misure cautelari o di detenzione domiciliare siano ostative al rilascio dell’immobile..
Ciò chiarito, è però evidente, da un lato l’impossibilità di esecuzione dell’ordinanza di sfratto poiché l’uscita dall’abitazione dove il detenuto è ristretto, sia pure in esecuzione di una statuizione civile, integrerebbe il reato di evasione (non potendo ritenere che la procedura di rilascio coattivo sia forza maggiore o fatto del terzo); dall’altro è ovvia l’impossibilità per il giudice dell’esecuzione di influire sulle misure cautelari penali.
Esclusa la possibilità di eseguire sic et simpliciter l’ordinanza di rilascio, la stessa dottrina che si è occupata della questione ritiene, ugualmente non ammissibile rimettere al soggetto destinatario del provvedimento penale l’onere di comunicare l’imminente esecuzione dello sfratto all’autorità giudiziaria competente.
Così come con l’esecuzione dell’ordinanza, si esporrebbe, infatti, il soggetto ristretto alla responsabilità per il reato di evasione dagli arresti domiciliari o dalla detenzione domiciliare che, in quanto reato a dolo generico, sarebbe integrato anche dall’inerzia nella ricerca di un alloggio alternativo o dalla mancata comunicazione della venuta meno di un alloggio idoneo.
Se, però, per tutto quanto detto, non può consentirsi un’immediata esecuzione del provvedimento civile che ordina il rilascio dell’immobile, non può nemmeno restare frustrata l’esigenza del proprietario dell’immobile e non eseguirsi il titolo esecutivo.
Il provvedimento del giudice dell’esecuzione di Napoli, allora, trova un punto di equilibrio per non esporre il soggetto ristretto al rischio di commettere il reato di evasione e per garantire, comunque, il rilascio dell’immobile.
Si prevede che, a fronte di opposizione alla liberazione da parte di soggetto gravato di misura cautelare o di detenzione, lo stesso ufficiale giudiziario comunichi tempestivamente al P.M. la sopravvenuta indisponibilità dell’alloggio eletto luogo di esecuzione della misura restrittiva; sarà, poi, l’organo dell’accusa, a proporre istanza di revoca e/o modifica della misura della detenzione domiciliare, stante l’impossibilità di fruire del domicilio inizialmente indicato.
[1] Fanticini, La custodia dell’immobile pignorato, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n.69, Demarchi, Bologna, 2009