1. Il Tribunale di Firenze, con sentenza del 20 aprile 2023, ha ritenuto fondata la domanda di risarcimento dei danni proposta dal Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo contro una società editrice, per avere quest'ultima pubblicato sulla copertina di una rivista, senza autorizzazione ed anzi contro le indicazioni della Galleria dell'Accademia di Firenze, l'immagine del David di Michelangelo, accostata, "con la tecnica lenticolare, … insidiosamente e maliziosamente …, a quella di un modello, così svilendo, offuscando, mortificando e umiliando l'alto valore simbolico e identitario dell'opera d'arte e asservendo la stessa a finalità pubblicitarie e di promozione editoriale". Il Tribunale ha riconosciuto al Ministero un risarcimento pari a 20.000 euro per “danno patrimoniale derivante dal mancato pagamento (e, quindi, introito) del corrispettivo di cui all’art.108, comma 1, del codice del beni culturali, per l’uso dell’immagine del David a scopi pubblicitari” ed un risarcimento pari a 30.000 euro per danno non patrimoniale da violazione del “diritto all'immagine” del bene culturale ([1]).
2. La fattispecie è stata inquadrata nell'art.2043 c.c. Secondo lo schema normativo occorre una condotta antigiuridica, colposa o dolosa, generatrice di un evento lesivo di un interesse giuridicamente rilevante, a sua volta determinativo di conseguenze di carattere economico patrimoniale o di carattere non patrimoniale (art. 2059 c.c.).
3. Quanto alla condotta antigiuridica, la stessa è stata, inizialmente, individuata dal Tribunale nella pubblicazione non autorizzata dell'immagine del David (punto 3, lett. a della motivazione).
3.1. Su questo versante la decisione è ineccepibile alla luce di quanto previsto dagli artt. 107 e 108 del codice dei beni culturali e del paesaggio.
Le disposizioni di cui agli articoli sopraindicati sono attuative dei primi due commi dell’art.9 della Costituzione secondo la cui unanimemente condivisa lettura unitaria, la tutela del patrimonio storico-artistico è finalizzata alla “promozione della cultura” dei consociati ([2]). I beni culturali, intesi come “cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà” ([3]), come “testimonianze aventi valore identitario per la Nazione”([4]), sono destinati ad essere fruiti da parte dell’intera collettività, in forme che portino allo sviluppo della cultura ed alla promozione della conoscenza, da parte del pubblico, del patrimonio storico e artistico della Nazione (così anche punto 3, lett. B della motivazione della sentenza in esame). Le previsioni codicistiche summenzionate affidano alle pubbliche amministrazioni la tutela dell’immagine dei beni culturali di cui le stesse sono consegnatarie. Le previsioni si collocano, all'interno del titolo secondo (Fruizione e valorizzazione), capo primo (Fruizione dei beni culturali), del codice, nella sezione seconda dedicata all' “uso” dei beni culturali. Dalla collocazione emerge che la riproduzione è assunta dal legislatore come un'attività a beneficio di un singolo operatore. Stabiliscono dunque dette disposizioni che l'interessato all'uso dell'immagine deve, di regola, richiedere l’autorizzazione per la riproduzione ([5]). L'utilizzazione libera dell'immagine dei beni culturali è possibile in casi tassativi espressamente previsti dall'art.108, comma 3 bis, e che non riguardano lo sfruttamento dell'immagine per scopo di lucro. Ogni riproduzione a scopo lucrativo -i.e. ogni riproduzione destinata alla vendita sul mercato di beni o servizi o alla promozione della immagine, del nome, del marchio, di un prodotto o dell'attività del privato- è, in assenza di autorizzazione, vietata([6])([7])([8]). Il divieto sottende la concezione tradizionalmente privilegiata dal diritto dei beni culturali, centrata sulla loro materialità da tutelare e conservare e sul loro valore immateriale extra-economico, e per la quale detti beni, qualora toccati da dinamiche di mercato, vengono sviliti ([9]). In sostanza vi è una presunzione di inconciliabilità tra riproduzione per scopi lucrativi e decoro ([10]) del bene come espressione della “testimonianza del divenire umano nella storia” ([11])([12]). Con l'autorizzazione amministrativa viene accertato che in concreto tale inconciliabilità non esiste e viene rimosso il limite all'esercizio dell'attività economica del privato. Per interpretazione sistematica degli artt.107 e 108 e dell'art.106 del Codice (articolo che riguarda la concessione in uso del bene), l'autorizzazione è infatti concessa previa valutazione della compatibilità dell'uso dell'immagine con la destinazione culturale del bene ([13]). L'autorizzazione implica una valutazione tecnico-discrezionale riservata all'amministrazione concessionaria([14]). Dunque l'uso fatto dalla convenuta dell'immagine del David per fini commerciali, senza autorizzazione ed anzi contro le indicazioni espresse dall'amministrazione consegnataria, è, oltre che illegittimo ([15]), illecito.
3.2. Deve aggiungersi che il Tribunale, laddove ha preso in esame il danno-conseguenza di carattere non patrimoniale (punto 4 lett. A della motivazione), ha fatto riferimento non più alla condotta di pubblicazione non autorizzata in sé e per sé, bensì alla condotta di pubblicazione non autorizzata in quanto caratterizzata da una modalità -la modalità lenticolare- “insidiosa”. Questo diverso riferimento non è condivisibile in quanto centrato su un elemento (modale) estraneo allo schema normativo e, segnatamente, ultroneo rispetto alla ricordata previsione di legge.
4. Quanto al presupposto soggettivo della condotta, il Tribunale (punto 3, lett. b, della motivazione) ha accertato il dolo della convenuta.
4.1. Anche su questo versante la decisione è ineccepibile.
Il giudice ha evidenziato che la società aveva proceduto alla pubblicazione dopo aver chiesto all'Accademia di verificare se vi fossero elementi ostavi alla stampa dell'immagine sulla copertina con “un fine lavoro di cartotecnica lenticolare, con effetto morphing, tra la statua simbolo del Rinascimento ovvero il David di Michelangelo e il modello maschile più famoso del mondo”, così “manifestando inequivocabilmente la consapevolezza che potesse porsi un problema di compatibilità tra l’uso che si intendeva fare dell’immagine del David e la sua destinazione culturale”, e malgrado avesse ricevuto dalla direttrice della Accademia comunicazione del fatto che la pubblicazione con quella modalità tecnica, per effetto della quale “spostando lo sguardo, la pagina fa apparire il modello e scomparire il David”, non era autorizzabile perché determinativa di “una alterazione dell'immagine culturale” del bene.
5. In merito al bene giuridico protetto dalle norme codicistiche di riferimento, il Tribunale ha affermato trattarsi del “diritto all'immagine del bene” (v. punto 3, lett. B, della motivazione).
5.1. L'affermazione non è condivisibile posto che un diritto all'immagine riferito non ad un soggetto ma ad una res non è configurabile ([16]). Sarebbe stato corretto parlare non di diritto all'immagine del bene ma di potestà ([17]) dell'amministrazione (sul bene culturale come res e quindi anche) sull'immagine del bene.
6. Per ciò che concerne l'evento lesivo, il Tribunale non ne ha fatto parola in riferimento a quello che il Tribunale stesso ha definito come danno patrimoniale (punto 4, lett. A della motivazione). In riferimento invece al danno non patrimoniale (punto 4 lett. B della motivazione), il Tribunale ha parlato di “svilimento e offuscamento dell'immagine” del David.
7. Quanto ai danni-conseguenza risarcibili -che secondo la fattispecie normativa fondamentale (2043 c.c.) devono essere legati da un vincolo di causalità giuridica (art.1223 c.c. richiamato dall'art.2056 c.c.) all'evento lesivo-, il Tribunale ha affermato che essi consistono, da un lato, nella mancata percezione del corrispettivo per la autorizzazione alla riproduzione dell’immagine del bene culturale (danno patrimoniale), dall'altro lato, nella diminuzione del valore ideale dell'immagine del bene (danno non patrimoniale).
8. In relazione all'evento lesivo e alle affermazioni del Tribunale riguardanti le conseguenze risarcibili, si osserva quanto segue.
8.1. Il bene culturale incorpora e allo stesso tempo, tramite la sua immagine, esprime sia un valore ideale di testimonianza identitaria della cultura della Nazione sia un valore economico per la forza attrattiva che “il bello” è capace di esercitare rispetto ai beni o ai servizi cui sia associato; questo valore economico, che è un dato di realtà indiscutibile, trova riconoscimento anche a livello normativo in primo luogo nella disposizione di cui all’art.108, comma 1, del codice dei beni culturali, laddove è previsto, per il caso di uso dell'immagine autorizzato, un corrispettivo la cui entità è correlata “ai benefici economici” che dall'uso derivano ([18]).
8.2. La pubblicazione non autorizzata, stante la presunzione legislativa di inconciliabilità dell'utilizzo delle immagini dei beni culturali per scopi commerciali con il (doveroso rispetto del) decoro dei beni medesimi, deve essere considerata di per sé determinativa della lesione del valore ideale del bene, manifestato attraverso la relativa immagine. L'evento lesivo è in re ipsa. Esso, in altri termini, è la condotta considerata staticamente nel momento del suo perfezionamento. Non è condivisibile l'affermazione del Tribunale secondo cui, con riguardo a tale valore ideale, l'evento lesivo consisterebbe nello svilimento e offuscamento dell'immagine del bene, quale circostanza ulteriore rispetto alla condotta illecita ([19]) ([20]).
8.3. Il Tribunale ha bene definito il danno-conseguenza non patrimoniale da risarcire (punto 4, lett. B della motivazione). Il valore identitario collettivo espresso dal bene trova tutela rafforzata a livello costituzionale (art. 9) e la sua lesione deve essere risarcita ai sensi dell'art. 2059 c.c. In questo contesto, appare anche corretto che il Tribunale abbia dato ancora rilievo alle modalità della condotta lesiva, ai fini, questa volta, della quantificazione del risarcimento.
8.4. Lo svilimento o offuscamento dell'immagine rilevano autonomamente come eventi lesivi distinti dalla condotta e da accertarsi da parte del giudice, in rapporto al valore economico dell'immagine del bene culturale e alle conseguenze risarcibili di carattere patrimoniale. Su questo piano non opera la ricordata presunzione legislativa né opera la correlata riserva valutativa dell'amministrazione. Il Tribunale avrebbe dovuto prendere in considerazione lo svilimento o offuscamento dell'immagine del David (e non prescindere da essi) in riferimento al versante del danno patrimoniale.
8.5. La potenzialità attrattiva dell'immagine del bene culturale è legata in modo inversamente proporzionale alla diffusione dell'uso per fini commerciali venendo offuscata ove l'uso sia indiscriminato o eccessivo o avvenga con modalità degradanti.
8.6. L'affermazione del Tribunale identificativa del danno-conseguenza patrimoniale nel “mancato pagamento (e, quindi, introito)” del corrispettivo di cui all'art. 108” del codice non è condivisibile. Il “mancato pagamento (e, quindi, introito) del corrispettivo di cui all’art. 108” del codice, è un fatto del tutto scollegato dalla condotta illecita e dall'evento lesivo. Il mancato pagamento o mancato introito può essere lamentato dall'amministrazione che abbia autorizzato l'uso dell'immagine, in termini di illecito in senso lato contrattuale. E' contraddittorio riconoscere all'amministrazione il corrispettivo come danno-conseguenza di un uso non autorizzato. Per giungere al riconoscimento del corrispettivo non come danno-conseguenza dell'illecito extracontrattuale ma comunque in relazione all'illecito sarebbe stato necessario sviluppare un ragionamento che il Tribunale non ha sviluppato: il mancato pagamento integra un arricchimento (risparmio di esborso) ottenuto mediante illecito; in adesione alla tesi per cui sussiste, nel nostro ordinamento, un principio generale in base al quale chi ha conseguito un arricchimento per effetto di un illecito può essere obbligato a restituire l'arricchimento al titolare della situazione giuridica lesa, la convenuta è condannata versare la somma pari al corrispettivo non pagato. La tesi sopradetta ([21]), peraltro, è, come noto, niente affatto universalmente condivisa ([22]). Il danno patrimoniale avrebbe dovuto essere individuato altrimenti e precisamente nella riduzione del valore di mercato dell'immagine. Il corrispettivo previsto dal tariffario dell'Accademia per un uso autorizzato avrebbe potuto costituire un riferimento “di minima” per la liquidazione del risarcimento del danno patrimoniale accertato.
[1] La sentenza ha avuto una vastissima risonanza. Ne hanno dato notizia molti media generalisti. Dall'entrata in vigore del del d.lgs. 22 gennaio 2004, n.42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), le pronunce in cui è stata riconosciuta l'illiceità dell'uso delle immagini dei beni culturali a fini commerciali sono molto poche. Per quanto consta: l'ordinanza del Tribunale di Firenze 26 ottobre 2017, n.13758, in Riv. dir. ind. 2018, II, 277, con nota di Franceschelli, e in Foro. It 2018, I, 682, con nota di Casaburi, di accoglimento del ricorso ministeriale per l'inibitoria avverso il protrarsi della riproduzione dell'immagine del David nel materiale pubblicitario di una società di viaggi; la sentenza del Trib. Palermo, 21 settembre 2017, n. 4901, in Riv. dir. ind., 2018, II, 277, con nota di Franceschelli, in controversia tra la Fondazione Teatro Massimo e la Banca popolare del Mezzogiorno, per danno da illecito utilizzo e riproduzione dell'immagine del Teatro associata all'immagine dell'istituto di credito. Il Tribunale siciliano, dichiarata l'illiceità, ha attribuito alla parte attrice il risarcimento del danno patrimoniale individuato nella somma ordinariamente dalla stessa richiesta per la riproduzione dell'immagine del teatro. Ha invece negato il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale "derivante dalla lesione all'immagine causata dalla diffusione delle fotografie del Teatro Massimo per finalità commerciali della BPM", assumendo che la riproduzione, sebbene effettuata con tale finalità, (potesse essere in astratto e) fosse in concreto non denigratoria né lesiva del valore storico-artistico del bene sottoposto a tutela; l'ordinanza del Tribunale Firenze, 11 aprile 2022, in Giornale dir. amm., 2023, p. 251 con nota di A. Pirri Valentini, La riproduzione dei beni culturali tra controllo pubblico e diritto all'immagine, con cui, in accoglimento del reclamo ministeriale contro un primo provvedimento, è stato inibito l’utilizzo dell’immagine del David nel sito di una società siccome “idoneo a svilire l’immagine del bene culturale, facendolo scadere ad elemento distintivo delle qualità della impresa che, attraverso il suo uso, promuove la propria immagine, con uso indiscutibilmente commerciale, che potrebbe indurre terzi a ritenere siffatto libero utilizzo lecito o tollerato”; l'ordinanza del Tribunale di Venezia 24 ottobre 2022, inedita, con cui, in accoglimento del reclamo del Ministero contro un provvedimento cautelare dichiarativo del difetto di competenza del giudice adito, è stato inibito ad una società produttrice di un puzzle denominato “Leonardo Da Vinci: L’uomo Vitruviano”, di persistere nel riprodurre l’immagine e nell'usare del nome dell'opera. La scarsità delle pronunce a fronte delle “migliaia di abusive riproduzioni di immagini culturali italiane, tanto in Italia quanto nel mondo”, è, come è stato evidenziato, “un precipitato dell'insensibilità delle amministrazioni pubbliche consegnatarie dei beni del patrimonio culturale sui profili dei ricavi economici” da essi ritraibili (così Tarasco, Diritto e gestione del patrimonio culturale, Roma-Bari, 2019, in part. pp. 249 s. ove anche per le proposte da realizzarsi sul piano organizzativo -creazione di appositi uffici all'interno degli enti consegnatari; creazione di una apposita Agenzia sul modello SIAE per il diritto di autore o sul modello della francese Agence du Patrimoine Immateriél de l'E'tat- per superare il deficit di sensibilità sopradetto e per la piena valorizzazione del potenziale economico dei beni culturali).
[2] La lettura unitaria (del primo e del secondo comma) dell'art. 9 si deve, originariamente, a F. Merusi, Art. 9, in G. Branca (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna-Roma, 1975, 434 ss.
[3] V. art. 2 codice dei beni culturali.
[4] Videtta, Beni culturali nel diritto amministrativo, in Dig disc. pubb., 2012, 1,
[5] L'autorizzazione “non è cedibile, né trasferibile, e viene rilasciata in via esclusiva, per un solo utilizzo concordato, previo accertamento dei requisiti prescritti, del pagamento dei canoni, degli eventuali compensi e diritti degli autori o di terzi e della cauzione, ove richiesta. Deve ritenersi, quindi, vietata ogni sub-concessione della concessione originaria e non autorizzata ogni ulteriore riproduzione o ulteriore utilizzazione, a scopo commerciale, della precedente riproduzione del bene culturale” (così l'Ufficio legislativo del Ministero nel parere dell’11 marzo 2015 avente ad oggetto la riproduzione di una copia autorizzata, del “Autoritratto” di Leonardo da Vinci, da parte di una società, per la realizzazione di un puzzle, v. http://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/feed/pdf/Parere%20del%2011%20marzo%202015imported-50686.pdf.
[6] L'art. 107 dispone, al 1° comma, che il ministero dei beni e attività culturali e del turismo, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali “possono consentire la riproduzione ... dei beni culturali che abbiano in consegna, fatte salve le disposizioni ... in materia di diritto d'autore”. L'art. 108 recita: “1. I canoni di concessione ed i corrispettivi connessi alle riproduzioni di beni culturali sono determinati dall'autorità che ha in consegna i beni tenendo anche conto: a) del carattere delle attività cui si riferiscono le concessioni d'uso; b) dei mezzi e delle modalità di esecuzione delle riproduzioni; c) del tipo e del tempo di utilizzazione degli spazi e dei beni; d) dell'uso e della destinazione delle riproduzioni, nonché dei benefici economici che ne derivano al richiedente. 2. I canoni e i corrispettivi sono corrisposti, di regola, in via anticipata. 3. Nessun canone è dovuto per le riproduzioni richieste o eseguite da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione, purché' attuate senza scopo di lucro. I richiedenti sono comunque tenuti al rimborso delle spese sostenute dall'amministrazione concedente. 3-bis. Sono in ogni caso libere le seguenti attività', svolte senza scopo di lucro, per finalità' di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale: 1) la riproduzione di beni culturali diversi dai beni archivistici sottoposti a restrizioni di consultabilita' ai sensi del capo III del presente titolo, attuata nel rispetto delle disposizioni che tutelano il diritto di autore e con modalità' che non comportino alcun contatto fisico con il bene, ne' l'esposizione dello stesso a sorgenti luminose, ne' , all'interno degli istituti della cultura, l'uso di stativi o treppiedi; 2) la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro. 4. Nei casi in cui dall'attività in concessione possa derivare un pregiudizio ai beni culturali, l'autorità che ha in consegna i beni determina l'importo della cauzione, costituita anche mediante fideiussione bancaria o assicurativa. Per gli stessi motivi, la cauzione è dovuta anche nei casi di esenzione dal pagamento dei canoni e corrispettivi. 5. La cauzione è restituita quando sia stato accertato che i beni in concessione non hanno subito danni e le spese sostenute sono state rimborsate. 6. Gli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per l'uso e la riproduzione dei beni sono fissati con provvedimento dell'amministrazione concedente.”
Come precisato al punto 3, lett. B) della motivazione della sentenza in commento e, più ampiamente, nel d.m. 13 aprile 2023 n. 161, per “immagine” si intende sia la forma esteriore delle cose sia la forma esteriore di un oggetto corporeo che rimane impressa su di un supporto, una lastra o una pellicola o una carta o una memoria artificiale; per riproduzione si intende la duplicazione mediante un qualsiasi mezzo meccanico, stampe fotografiche; immagini digitali; videoclip; diapositive; fotocolor; microfilm; ingrandimento da microfilm; fotocopie; scansioni. Le tecnologie informatiche permettono usi delle immagini dei beni commerciali di particolare rilievo per le potenzialità diffusive offerte. Si pensi all'uso di immagini di beni culturali nei video giochi.
Sulle problematiche economiche connesse al fatto che il codice abbia affidato la determinazione dei canoni e dei corrispettivi alle singole amministrazioni consegnatarie, v. Tarasco, Diritto e gestione del patrimonio culturale, cit., p. 67 ss.
Deve peraltro essere ricordato che con il d.m. 13 aprile 2023 n. 161, il ministero ha adottato linee guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura. Le linee guida si pongono come importante strumento per assicurare da un lato trasparenza e dall'altro lato redditività nella gestione del patrimonio culturale.
[7] L'impostazione di fondo del codice che, come detto nel testo, inquadra la riproduzione come attività a beneficio di un singolo operatore e che antepone il divieto della riproduzione ai casi di riproduzione libera, può apparire discutibile allorché si abbia riguardo al fatto che in una prospettiva costituzionalmente orientata (artt. 9 e 2) alla massima fruizione possibile del bene in funzione di elevazione civica e spirituale della persona, la riproduzione -ovviamente la riproduzione fedele- quale veicolo per l'ampliamento dell'accesso alla conoscenza del beni, dovrebbe essere sempre consentita salvo eccezioni giustificate da esigenze in senso lato di conservazione e tutela. Ciò che peraltro non comporterebbe automaticamente affatto una liberalizzazione della riproduzione per finalità economiche. In tema v. A. Tumicelli, L'immagine del bene culturale, in Aedon, Rivista di arti e diritto on line, 1, 2014.
[8] Sulla compatibilità delle disposizioni codicistiche con le direttive (UE) 2019/790 recepita con il d.lgs. 177/2021 e 2019/1024 recepita con con il d.lgs. 200/2021, rispettivamente “sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale”, e relativa “all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione nel settore pubblico”, ed in particolare con l'art. 14 della seconda (rubricato “Opere delle arti visive di dominio pubblico” e per cui “Gli Stati membri provvedono a che, alla scadenza della durata di protezione di un’opera delle arte visive, il materiale derivante da un atto di riproduzione di tale opera non sia soggetto al diritto d’autore o a diritti connessi, a meno che il materiale risultante da tale atto di riproduzione sia originale nel senso che costituisce una creazione intellettuale propria dell’autore”), v. G. Sciullo, Pubblico dominio’ e ‘Dominio pubblico’ in tema di immagine dei beni culturali: note sul recepimento delle Direttive (UE) 2019/790 e 2019/1024, in Aedon, 2021, 1, secondo cui “L’art. 14 non opera distinzioni in rapporto alla proprietà privata o pubblica dell’opera delle arti visive. Quando questa appartenga a un ente pubblico territoriale e sia bene culturale ai sensi dell’art. 10 del Codice, la sua riproduzione ricade anche sotto le previsioni degli artt. 107 ss. C’è da chiedersi allora se la novità espressa dall’art. 14 si rifletta sulla disciplina codicistica. La risposta è da ritenersi senz’altro negativa. Come avverte l’inciso dell’art. 107, comma 1 (“fatte salve le disposizioni in materia di diritto d’autore”), la disciplina codicistica è autonoma e ‘convive’ con quella autoriale. Detta le condizioni e i limiti della riproduzione dei beni culturali appartenenti allo Stato e agli altri enti territoriali, lasciando impregiudicata l’applicazione delle disposizioni in tema di proprietà intellettuale. In realtà si può dire che l’art. 14 ‘semplifichi’ l’operare degli artt. 107 s., dal momento che i materiali derivanti dalla riproduzione priva di originalità, di opere delle arti visive/beni culturali sono ormai sottratti alla disciplina autoriale”.
In tema merita ricordare altresì che il tribunale di Firenze, con la già richiamata ordinanza 11 aprile 2022, aveva negato vi fossero i presupposti per un rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo sul dubbio sollevato dalla società convenuta se fosse "compatibile con il diritto dell'Unione Europea, e in particolare con la Direttiva 2006/116/CE concernente la durata di protezione del diritto d'autore e di alcuni diritti connessi, una disciplina nazionale che regolamenti l'uso delle opere artistiche classificate come beni culturali custoditi dalla pubblica amministrazione e che riconosca un diritto esclusivo di utilizzazione economica sulla riproduzione, in qualsiasi forma e modo, di tali opere artistiche contro sfruttamenti economici non autorizzati, senza limiti temporali e in ogni caso oltre i termini della protezione del diritto d'autore". Il tribunale aveva argomentato che le due discipline -quella sul diritto di autore alla quale di correla la direttiva- e quella contenuta nel codice dei beni culturali non interferiscono essendo l'una volta a garantire la protezione delle opere dell'ingegno di carattere creativo e dei loro autori, l'altra volta a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura, in attuazione dell'art. 9 Cost.
[9] Su questa concezione, “fortemente legata alla “materialità” del bene, diffusa anche nella pubblicistica (v., ad esempio, Montanari, Mercificare la bellezza è un delitto imperdonabile, in la Repubblica, 23 settembre 2016), e sulla sua progressiva evoluzione per affiancamento con una prospettiva attenta alle potenzialità economiche dei beni culturali, v. G. Piperata, Cultura, sviluppo economico e... di come addomesticare gli scoiattoli, in Aedon 2018, fasc.3; G. Severini, L'immateriale economico nei beni culturali, in Aedon 2015, fasc.3, p. 2.
[10] Il decoro del bene culturale, come ricordato nella sentenza in commento, è menzionato in vari articoli del codice (ad es. negli artt. 45 co. 1, 49 co. 1 e 2, 52 co. 1-ter, 96, 120 co. 2). Pur nella elasticità del concetto, il decoro può essere inteso, ai fini che interessano, come significato storico artistico del bene. Merita notare che all'art. 2 del ricordato d.m. 13 aprile 2023 n. 161 (con cui il ministero ha adottato le linee guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura) si legge che: “Indipendentemente dal canone o dal corrispettivo individuato, la concessione per l’uso e la riproduzione dei beni culturali è comunque subordinata alla previa verifica di compatibilità della destinazione d’uso della riproduzione con il carattere storico-artistico dei medesimi beni culturali, ai sensi dell’articolo 20 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”. In effetti l'art. 20 ha riguardo alla dimensione fisica del bene. Il richiamo ad esso può essere giustificato trattandosi di un punto di emersione del principio per cui ogni uso dei bene culturale non può non essere rispettoso del carattere storico culturale del bene.
[11] Lemme, Compendio di diritto dei beni culturali, Padova, 2013, p. 16.
[12] La sussistenza della presunzione di incompatibilità traspare anche nella sentenza in commento come riflesso della affermazione per cui “a monte delle fattispecie derogatorie [di cui all'art 108, comma 3 bis del codice] sta, evidentemente, una valutazione – che il legislatore ha compiuto in astratto – di compatibilità di talune modalità di utilizzo delle immagini con le finalità ultime della tutela dei beni culturali”.
[13] ART. 106: “1. Lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono concedere l'uso dei beni culturali che abbiano in consegna, per finalità compatibili con la loro destinazione culturale, a singoli richiedenti. 2. Per i beni in consegna al Ministero, il Ministero determina il canone dovuto e adotta il relativo provvedimento. 2-bis. Per i beni diversi da quelli indicati al comma 2, la concessione in uso è subordinata all'autorizzazione del Ministero, rilasciata a condizione che il conferimento garantisca la conservazione e la fruizione pubblica del bene e sia assicurata la compatibilità della destinazione d'uso con il carattere storico-artistico del bene medesimo. Con l'autorizzazione possono essere dettate prescrizioni per la migliore conservazione del bene”.
[14] In ragione di questa presunzione legale, la quale persiste fino al rilascio dell'autorizzazione a sua volta conseguente ad una valutazione discrezionale dell'ente conservatore, è escluso che possa darsi il caso di un uso dell'immagine del bene per fini commerciali non autorizzato e tuttavia compatibile con il decoro e la funzione del bene e che dunque possano porsi spinose questioni sulla possibilità della sostituzione del giudice all'amministrazione nella suddetta specifica valutazione di compatibilità. Sul carattere discrezionale della valutazione. v. già Cass. 9 gennaio 1997, n. 93, in riferimento alla procedura di rilascio dell'autorizzazione a riprodurre un bene culturale, di cui agli artt. 7, comma 2, e 8 del d.P.R. 2 settembre 1971, n. 1249. Al segnalato carattere discrezionale si correla la conseguenza per cui “il diniego dell'autorizzazione amministrativa non consente al privato (che non prospetti specificamente fatti lesivi di diritti soggettivi) di proporre, innanzi al giudice ordinario, azione di risarcimento dei danni contro la p.a." (Cass. 1249/71, cit.).
[15] L'illegittimità -si sottolinea per inciso- non è di per sé, al momento, punita con una sanzione amministrativa.
[16] A causa di questo errore, il Tribunale ha effettuato inconferenti richiami a precedenti giurisprudenziali di legittimità -Cass. 4 giugno 2007, n. 12929 (in Giur. it. 2008, p. 876, con nota di Angiuli Il danno non patrimoniale agli enti collettivi tra danno-evento e danno-conseguenza; in Danno e responsabilità 2007, p. 1236, con nota di Foffa, La lesione dell'immagine di una persona giuridica; in Guida al diritto il Sole 24 Ore, 2007, fasc. 25, p. 14, con nota di Sacchettini, Il risarcimento per lesione all'immagine trova fondamento nella Costituzione); Cass. 27 aprile 2016, n.8397; Cass. 16 novembre 2015, n. 23401 (in Danno e responsabilità 2016, p. 610, con nota di Montani, Enti e danno non patrimoniale: dalla soggettività ai diritti della personalità di un'associazione non riconosciuta complessa)- relativi al diritto all'immagine della persona giuridica o dell'ente collettivo privo di personalità giuridica. Tale diritto è definito dalla Corte di Cassazione come “situazione giuridica della persona giuridica o dell'ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione” (Cass. 12929/2007) o come “diritto immateriale della personalità, compatibile con l'assenza di fisicità e costituzionalmente protetto” (Cass. 23401/2015) e la cui lesione, sempre secondo i giudici di legittimità, fa sorgere un obbligo risarcitorio oltre che del “danno patrimoniale, se verificatosi, del danno non patrimoniale costituito - come danno c.d. conseguenza - dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell'ente nel che si esprime la sua immagine, sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell'agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell'ente e, quindi, nell'agire dell'ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l'ente di norma interagisca” (Cass. 12929/2007).
[17] I beni culturali possono assumere rilievo nella loro materialità, ossia in quanto cose, e nella loro immaterialità, ossia come testimonianza avente valore di civiltà (Giannini, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, pag. 24). Il bene culturale come cosa è spesso indicato quale oggetto di diritti di proprietà e di altri diritti reali. Si preferisce parlare di potestà piuttosto che di diritto (reale) sul bene essendo il diritto soggettivo la situazione giuridica soggettiva libera nell'esercizio, attiva e di vantaggio per il relativo titolare laddove la situazione dell'amministrazione rispetto ai beni culturali è qualificabile non in termini di situazione ad esercizio e di vantaggio per l'amministrazione stessa bensì in termini di situazione ad esercizio doveroso, quantunque non senza margini di discrezionalità, e di vantaggio per la collettività. Al riguardo, v. A.M. Sandulli, voce Beni pubblici, Enc.dir., Milano, 1959, 286; Cerulli Irelli, Beni culturali, diritti collettivi e proprietà pubblica, in Scritti in onore di M.S. Giannini, I, Milano, 1988, 281. Quanto in particolare alla doverosità, l'amministrazione, per quanto interessa ai presenti fini, deve esercitare una sorveglianza sull'uso dell'immagine da parte di terzi impedendone l'abusivo sfruttamento e deve anche curare di sfruttarne economicamente le potenzialità in aderenza al criterio per cui la finalità di promozione della persona umana per mezzo della cultura (art. 9 Cost.) va, per quanto possibile, coniugata con il rispetto di principi gestionali improntati a buona andamento (art. 97 Cost., comma 2, Cost.) e equilibrio dei bilanci delle istituzioni (anche) culturali (art. 97, comma 1, Cost.). In tema, diffusamente, Tarasco, Diritto e gestione del patrimonio culturale, cit., passim. La potestà autorizzativa e di controllo sull'immagine è una componente della situazione potestativa generale. In tema, v. anche G. Resta, L'immagine dei beni, in Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, (a cura di) G. Resta, Torino, 2011, pag. 550 ss.
[18] Altro dato normativo da cui emerge il rilievo economico dell'immagine e costituito dall'art. 19, comma 3, d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, recante il "Codice della proprietà industriale”.La disposizione prevede che "anche le amministrazioni dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni possono ottenere registrazioni di marchio, anche aventi ad oggetto elementi grafici distintivi tratti dal patrimonio culturale, storico, architettonico o ambientale del relativo territorio". Sulla potenzialità allo stato non sfruttate della registrazione dell'immagine del bene culturale come marchio v. Tarasco, Diritto e gestione del patrimonio culturale, passim e in part. p. 243 ss.
[19] L'impostazione del Tribunale sottende, contro la presunzione di legge (art. 108 cit.), che possano esservi usi dell'immagine per fini commerciali non autorizzati dall'amministrazione e tuttavia compatibili con il decoro del bene. Sottende, sotto altro profilo, che la compatibilità sia valutabile dal singolo giudice laddove essa per la stessa legge è oggetto di valutazione discrezionale riservata all'amministrazione.
[20] Per di più, come già segnalato nel testo (v. punto 3.2.), il Tribunale ha affermato che l'evento lesivo consisterebbe nello svilimento o offuscamento dell'immagine dell'opera specificamente dovuto alla confusiva e quindi “insidiosa” modalità lenticolare con cui la pubblicazione è avvenuta, così disallineandosi dalla propria iniziale e corretta affermazione per cui la condotta antigiuridica consiste nella publicazione in sé (senza connotazione modale).
[21] Espressa per primo da Sacco, L'arricchimento ottenuto mediante fatto ingiusto. Contributo alla teoria della responsabilità extracontrattuale, Torino, 1959, il quale fa proprio l'esempio della utilizzazione economica illecita di beni che il titolare non voleva utilizzare; Gallo, Arricchimento senza causa e quasi contratti (i rimedi restitutori), in Tratt. dir. civ. diretto da Sacco, Torino, 1996, 47 e segg.; Sarti, Diritti esclusivi e circolazione dei beni, Milano, 1996, 46 e segg. In giurisprudenza, Cass. 8137 del 23 aprile 2020, in Resp. civ. e prev., 2021, 1, sez., 209 con nota di Castelli Arricchimento mediante fatto ingiusto: la Cassazione nega un disgorgement generalizzato.
[22] In senso contrario, per tutti, Bianca, Diritto civile, V la responsabilità, Milano, 1994, 810, nt. 3: ”l'idea che il diritto al risarcimento del danno comprenda l'arricchimento ottenuto dal danneggiante, per quanto ben argomentata …, non trova riscontro nel nostro ordinamento, dove la pretesa del danneggiato è esclusivamente in funzione risarcitoria del danno subito”. V. altresì Trimarchi, L'arricchimento senza causa, Milano, 53 ss.