L’assegno di divorzio: un punto di equilibrio tra autoresponsabilità e solidarietà
di Rita Russo
Sommario: 1. La funzione compensativo-perequativa dell’assegno di divorzio - 2. La modificazione dello status e la funzione dell’assegno periodico - 3. Considerazioni conclusive.
1. La funzione compensativo-perequativa dell’assegno di divorzio
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 24250 dell’8 settembre 2021, ribadisce e specifica i principi già affermati dalle sezioni unite della Corte nel 2018[1], secondo le quali l'assegno di divorzio non ha solo una funzione assistenziale, diretta a mantenere per il coniuge divorziato lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ma anche una funzione perequativo-compensativa. Se in sede di divorzio si accerta squilibrio economico tra i due coniugi e che uno dei due è rimasto privo di occasioni di lavoro e di carriera per essersi dedicato alla famiglia, contribuendo così al benessere economico del gruppo familiare, ma sacrificando le proprie possibilità di entrate economiche autonome, questo contributo deve essere ricompensato.
In tal modo sono state accolte le esigenze di modernizzazione del tradizionale orientamento giurisprudenziale, negli anni oggetto di critiche da parte della dottrina, secondo il quale l'assegno di divorzio aveva una funzione essenzialmente assistenziale, una sorta di prolungamento dei doveri di assistenza materiale e morale che caratterizzano il matrimonio, ritenendosi che il suo scopo fosse di assicurare la conservazione del tenore di vita matrimoniale. Una idea dell'assegno divorzile che nel tempo è stata superata, man mano che ci si è resi conto che la solidarietà non è mero assistenzialismo e che va bilanciata con il principio di autoresponsabilità, in virtù del quale ciascuno deve organizzarsi con i propri mezzi e non dipendere dagli altri.
Seguendo questa linea, l’ordinanza n. 24250/2021 afferma che, sciolto il vincolo coniugale, in linea di principio ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, tuttavia tale principio è derogato, in base alla disciplina sull'assegno divorzile, oltre che nell'ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall'uno all'altro coniuge, "ex post" divenuto ingiustificato, spostamento patrimoniale che in tal caso deve essere corretto attraverso l'attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa. Pertanto, ove ne ricorrano i presupposti e vi sia una specifica prospettazione in tal senso, l'assegno deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali - che il coniuge richiedente l'assegno ha l'onere di dimostrare nel giudizio - al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l'eventuale profilo assistenziale.
Si tratta di un intervento che aggiunge un ulteriore tassello alla faticosa ricerca di un punto di equilibrio tra il principio di autoresponsabilità e quello di solidarietà post-coniugale[2].
La sentenza delle sezioni unite del 2018 ha infatti lasciato aperte diverse questioni. Sono stati espressi dubbi sulla reale portata innovativa della sentenza, e su quanto la funzione assistenziale, storicamente ritenuta prevalente sulle altre, possa realmente diventare recessiva rispetto alla funzione perequativo-compensativa: in altre parole se le due funzioni dell'assegno di divorzio debbano ritersi equivalenti oppure se l'una sia prevalente sull'altra[3]. Inoltre, il criterio del tenore di vita, apparentemente abbandonato, riemerge nel momento in cui deve quantificarsi in concreto il valore dell’impegno domestico e familiare che ha comportato la rinuncia alla carriera. Il coniuge che abbia rinunciato ad una carriera professionale avviata e sicura può senz’altro pretendere un riconoscimento di questo sacrificio, come è altresì ragionevole che quello che non ha rinunciato ad una specifica professionalità abbia meno da pretendere. È stato però osservato che se c'è un "lavoro casalingo" da retribuire, esso andrà monetizzato sulla base di una valutazione solidaristica che tenga conto delle reali condizioni reddituali e patrimoniali del coniuge forte e non in base a criteri estrinseci. Il che significa che l'assegno non potrà parametrarsi automaticamente né all'entità del potenziale reddito che il coniuge avrebbe percepito qualora si fosse dedicato all'attività di cui era - in atto o in potenza - capace, né al costo del lavoro domestico, dovendosi tener conto, al contrario, che in virtù dei principi solidaristici e della lettera stessa della legge, l'assegno deve essere misurato sul reddito del coniuge forte[4].
Del resto, lo stesso art. 5 della legge sul divorzio impone che l’assegno sia proporzionato alle sostanze ed ai redditi del soggetto obbligato, diversamente, più che una funzione solidaristica avrebbe una funzione risarcitoria, forse anche in termini punitivi, il che porrebbe qualche problema di compatibilità con i principi fondamentali che regolano lo scioglimento del matrimonio.
Il divorzio, in Italia, non è né una conseguenza della colpevole violazione dei doveri coniugali, né un recesso per mutuo dissenso, quanto piuttosto la presa d’atto che la comunione materiale morale di vita tra i coniugi si è dissolta e non si può ricostituire, in base ad indici normativi predeterminati, dei quali quello statisticamente più rilevante è il decorso del tempo (oggi breve) nella condizione di coniugi legalmente separati.
La funzione risarcitoria dell'assegno di divorzio è quindi residuale ed è appena accennata dalla stessa normativa, la quale stabilisce che nella quantificazione dell'assegno può tenersi conto delle ragioni della decisione. In verità, nella formulazione dell’art. 5 della legge sul divorzio neppure la funzione perequativo-compensativa ha un così grande risalto, mentre è piuttosto evidente la funzione assistenziale, insita nel fatto stesso che si preveda un assegno periodico.
Di ciò è consapevole la Corte di legittimità che afferma, nell’ordinanza in esame, che l'assegno risponde, anzitutto, ad un'esigenza assistenziale, che le sezioni unite non hanno affatto inteso cancellare e danno invece per scontata. Ed ancora che la misura dell’assegno deve essere stabilita in misura adeguata innanzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l'indipendenza o autosufficienza economica dell'ex coniuge, intesa in una accezione non circoscritta alla pura sopravvivenza ma ancorata ad un criterio di normalità, avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive, nel qual caso l'assegno deve essere adeguato a colmare lo scarto tra detta situazione ed il livello dell'autosufficienza come individuato dal giudice di merito. Infine, l’ordinanza in esame considera anche la funzione perequativa dell’assegno, ma senza entrare specificamente nel dettaglio del parametro utilizzabile, limitandosi a ripetere ancora una volta la formula della compensazione del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali.
È questo infatti il nodo non ancora sciolto dalla giurisprudenza, e che difficilmente, almeno allo stato della vigente legislazione, potrà essere sciolto: una vera e propria perequazione tra le posizioni dei due coniugi, che consenta ad entrambi di ricominciare ciascuno la propria vita in posizione di parità, richiederebbe non tanto la attribuzione di un assegno periodico, quanto la ripartizione del patrimonio o la corresponsione di un capitale una tantum. Il che porta l'interprete a interrogarsi sulla effettiva modernità del nostro sistema e sulla sua capacità di fornire risposte tanto rapide quanto, nella realtà dei fatti, è rapida la dissoluzione e la ricostituzione dei legami familiari. Quand’anche i coniugi abbiano accettato il regime legale della comunione dei beni -che però è un regime derogabile- né in sede di separazione né in sede di divorzio si procede alla divisione dei beni comuni; sebbene la comunione legale si sciolga nel momento in cui i coniugi vengono autorizzati a vivere separati dopo l'esito negativo del tentativo di conciliazione, il processo di divisione dei beni comuni segue la via ordinaria e non è il giudice della separazione né il giudice del divorzio ad operare questa ripartizione, salvo che non debba recepire un accordo delle parti sul punto[5].
2. La modificazione dello status e la funzione dell’assegno periodico
La previsione normativa che il coniuge separato o divorziato debba corrispondere all'altro un assegno periodico si lega, anche per ragioni storiche, all'idea che il coniuge economicamente più debole abbia diritto a conservare un certo tenore di vita, e che debba essere l’altro a provvedervi, assioma che a sua volta è un retaggio dell’idea che la moglie debba essere mantenuta dal marito.
Nel nostro ordinamento, mentre l'istituto della separazione legale è previsto nel codice civile e quindi vanta una nobiltà di antica data, il divorzio è relativamente recente. È naturale pertanto che il legislatore degli anni ‘70 nel regolare dei rapporti economici tra gli ex coniugi si sia ispirato, in certa misura, alle regole già stabilite per la separazione, istituto che originariamente aveva una funzione eminentemente conservativa dello status matrimoniale, in vista di una possibile ed auspicata riconciliazione; mentre oggi la separazione è essenzialmente un mezzo per conseguire il divorzio.
La funzione conservativa della separazione si invera(va) anche nel riconoscimento del diritto del coniuge economicamente debole a mantenere lo stesso tenore di vita, diritto fondato sulla persistenza del dovere di assistenza morale e materiale, che si attua(va) tramite una continuativa assistenza da parte dell’altro, tenuto a corrispondergli ogni mese una somma di denaro; in altre parole, una dipendenza economica a tempo indeterminato, ovvero, secondo alcuni detrattori dell’istituito, una rendita parassitaria. Non diversamente si è ragionato in tema di assegno di divorzio, pur se si è fatto riferimento non già alla persistenza del dovere di assistenza materiale e morale -incompatibile con lo scioglimento del vincolo - bensì alla trasformazione di questo dovere nella cosiddetta solidarietà post-coniugale. Ciò spiega perché inizialmente la funzione dell'assegno divorzile era considerata eminentemente assistenziale, mentre oggi si inizia a mettere in discussione anche la stessa funzione assistenziale dell'assegno di separazione, nonostante la giurisprudenza di legittimità continui ad affermare che l’assegno di separazione presuppone la permanenza del vincolo coniugale e che esso è correlato al tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio, diversamente dall’assegno divorzile, svincolato da detto criterio[6]; anche se poi questa indipendenza dal criterio del tenore di vita trova un suo limite, come sopra si è detto, nella necessità che anche l’assegno di divorzio sia comunque parametrato ai redditi ed alle sostanze del soggetto obbligato.
La progressiva valorizzazione del principio di autoresponsabilità nonché il progressivo perdersi della funzione conservativa della separazione e l’accentuarsi della sua funzione di “anticamera” del divorzio, unitamente alla riduzione dei tempi necessari per conseguirlo, inevitabilmente comporta che in tutta una serie di casi la differenza tra assegno di separazione e assegno di divorzio, netta in teoria, rischia di sfumare e non di poco nella pratica. Il coniuge separato deve essere consapevole che la separazione è una condizione tendenzialmente di breve durata e che nella maggior parte dei casi non prelude a una riconciliazione bensì allo scioglimento del vincolo, in seguito al quale l'assegno di divorzio sarà riconosciuto sulla base di presupposti diversi oppure non sarà riconosciuto affatto. Ciò a maggior ragione nel momento in cui sarà attuata pienamente la riforma preannunciata dalla legge delega numero n. 206 del 2021, che prevede la possibilità di proporre contestualmente la domanda di separazione e divorzio.
Queste regole, e la loro lettura evolutiva, sono poi da inquadrare nella attuazione del principio di parità morale e materiale dei coniugi, il quale richiede che il sostegno sia reciproco, senza graduazioni o differenze, ma anche solidale, il che significa che chi ha maggiori risorse economiche deve condividerle con chi ne ha di meno.
È stato correttamente osservato che parità e solidarietà si coniugano con il principio di autoresponsabilità, in particolare ove ci si ponga nella prospettiva del divorzio. L’assunzione del principio di autoresponsabilità può avvenire alla sola condizione che sia assicurata tra i coniugi, o quasi ex coniugi, quale base di partenza per la futura vita separata una effettiva perequazione in ordine alla partecipazione a quella complessiva economia familiare cui ciascuno abbia contribuito nel corso della convivenza, ponendosi il rimedio alle sperequazioni venutesi a determinare eventualmente nella situazione patrimoniale delle parti, in dipendenza delle scelte comuni in ordine alla conduzione della vita familiare[7].
Il che ci riporta a quello che è il limite stesso della previsione di un assegno periodico, poiché esso non può riequilibrare in senso pieno ed intero le posizioni dei due coniugi se non in un'ottica di periodica assistenza e sostegno economico nella quotidianità. Ciò potrebbe non essere pienamente satisfattivo delle esigenze del coniuge economicamente più debole che voglia rendersi indipendente ed ispirare la propria vita futura al principio di autoresponsabilità. Ad esempio, l’ex coniuge che privo di redditi propri al momento del divorzio, volesse raccogliere i frutti della sua collaborazione familiare domestica e monetizzarli, al fine di investirli in una attività imprenditoriale o artigianale che costituisca una fonte di reddito, potrebbe non essere in condizioni di conseguire questo risultato, perché la corresponsione del capitale (una tantum) è possibile solo su accordo tra le parti. Inoltre, la divisione dei beni comuni, ammesso che ci siano beni comuni, è un procedimento lungo, che richiede tempo ed investimento di risorse economiche a meno che, anche in questo caso, non vi sia un accordo tra le parti.
Allo stesso modo la previsione dell'assegno periodico, quale che sia la sua funzione, si può rivelare insoddisfacente per le esigenze del coniuge economicamente più forte che, divorziando, pur se è consapevole di dovere destinare una parte del suo reddito e del suo patrimonio a sostegno del coniuge economicamente più debole, vorrebbe ragionevolmente quantificare ex ante queste obbligazioni anche al fine di sapere quanto potrà investire nella ricostituzione di nuovi legami familiari.
3. Considerazioni conclusive.
A legislazione invariata e finché si prevede che sia l'assegno periodico il mezzo principale di regolazione rapporti tra ex coniugi, il superamento della prospettiva assistenzialistica può avvenire valorizzando la funzione dell'autonomia privata, anche attraverso la negoziazione assistita.
Non si può negare infatti che da tempo sia in atto un procedimento di de-giurisdizionalizzazione dello scioglimento del matrimonio, intesa come restituzione del matrimonio all’area dell’autonomia privata.
Il matrimonio dei coniugi senza figli da tutelare si può sciogliere oggi in virtù di due dichiarazioni di volontà rese a distanza di sei mesi l’una dall’altra davanti all’ufficiale di stato civile (legge162/2014). Si scioglie inoltre, anche nel caso in cui i coniugi abbiano figli, in virtù di un procedimento di natura essenzialmente privatistica (negoziazione assistita). Infine, gli uniti civilmente (legge 76/2016) accedono direttamente al divorzio dopo avere preannunciato la loro intenzione di porre fine all’unione all’ufficiale di stato civile.
La più recente legislazione valorizza quindi l'importanza dell'autonomia privata anche nella fase di scioglimento del vincolo e non soltanto in quella della regolamentazione degli effetti di detto scioglimento. Non sarebbe pertanto in contrasto con questo percorso di progressiva riduzione della funzione di controllo dell'autorità giudiziaria, una maggiore apertura al riconoscimento di efficacia e validità degli accordi che le parti possono stipulare per riequilibrare le situazioni di disparità economica.
Occorre però fare i conti con la nostra giurisprudenza di legittimità, la quale afferma che sono nulli gli accordi in vista di un futuro divorzio e che l’assegno una tantum in sede di separazione non vale come anticipazione di assegno di divorzio [8].
Tuttavia, ciò non impedisce che si tenga conto, in sede di divorzio, delle attribuzioni permanenti (un immobile, un capitale) che sono state fatte nel giudizio di separazione, sicché il coniuge che svolgeva attività domestica può arrivare al divorzio dotato di mezzi (più o meno) adeguati[9].
A maggior ragione, se le attribuzioni patrimoniali hanno un intento di sistemazione dei rapporti economici della coppia, e finalità compensative; poiché le attribuzioni in sede di separazione consensuale sono a vario titolo, potrebbe in futuro configurarsi la possibilità di compensare anticipatamente, in via consensuale, anche quello che è stato l’impegno del coniuge nella vita matrimoniale.
Gli assetti economici della separazione servirebbero in questo caso non soltanto ad assicurare al coniuge economicamente più debole il mantenimento sia pure temporaneo del tenore di vita matrimoniale, ma anche a porre le basi per una razionale distribuzione delle risorse economiche in vista del divorzio.
In questi termini, la previsione di consentire alle parti di presentare con un unico ricorso la domanda di separazione e la domanda di divorzio, per quanto possa apparire a prima vista una forma di divorzio immediato introdotta per la via processuale anziché come istituto di diritto sostanziale, ha tuttavia quantomeno il pregio di spingere le parti a dichiarare manifestamente le loro intenzioni e cioè dire se nella loro separazione prevale l’aspetto conservativo o quello dissolutivo.
Ciò potrebbe consentire - una volta che si decida di giocare a carte scoperte - di dare spazio ad accordi di adeguata sistemazione dei rapporti patrimoniali dei coniugi, avendo ben chiare le prospettive su ciò che può essere giudizialmente riconosciuto ed in quali tempi.
[1] Cass. sez. un. n. 18287 del 11/07/2018: “All'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate”.
[2] V. anche Cass. civ. Sez. VI - 1 Ord., 04/09/2020, n. 18522; Cass. civ. Sez. I Ord., 02/10/2020, n. 21140
[3] CASTELLANI G. La ricerca di un equilibrio tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale, in Famiglia e Diritto, 2021, 10, 904
[4] SESTA M. “L'assegno di divorzio: in viaggio di ritorno al tenore di vita?” in Famiglia e Diritto, 2022, 1, 79
[5] A lungo di è dibattuto sulla ammissibilità dei trasferimenti immobiliari in sede di separazione e divorzio e soltanto di recente la questione è stata risolta, in termini positivi, da Cass. sez. un. n. 21761 del 29/07/2021.
[6] Cass. civ. sez. I n. 17098 del 26/06/2019; Cass. civ. sez. I, n. 5605 del 28/02/2020.
[7] QUADRI E. La quarta stagione del divorzio: le prospettive di riforma, in Divorzio 1970-2020
[8] Si veda Cass. civ. sez. I n. 2224 del 30/01/2017; Cass. civ. sez. I, n.4424. del 21/02/2008,
[9] Si vada ad es. Cass. civ. sez. I n. 15064 del 09/10/2003 “Diversa è l'ipotesi in cui le parti abbiano già regolato i propri rapporti patrimoniali e nessuna delle due richieda un assegno (tale regolamento, infatti, non necessariamente comporta la corresponsione di un assegno "una tantum", potendo le parti avere regolato diversamente i propri rapporti patrimoniali e riconosciuto, sulla base di ciò, la sussistenza di una situazione di equilibrio tra le rispettive condizioni economiche con conseguente non necessità della corresponsione di alcun assegno), nel qual caso l'accordo è valido per l'attualità, ma non esclude che successivi mutamenti della situazione patrimoniale di una delle due parti possa giustificare la richiesta di corresponsione di un assegno a carico dell'altra”.