Riflessioni su “Il diritto civile in Italia tra moderno e posmoderno-dal monismo legalistico al pluralismo giuridico” di Paolo Grossi
di Mario Serio
Sommario: 1. Premessa espositiva - 2. La nozione di ordine giuridico pluralistico nel suo nesso con la giurisprudenza - 3. Il filo conduttore del volume e la sua diretta riconducibilità alla Costituzione - 4. Il pensiero dei maggiori civilisti italiani tra XIX e XXI secolo - 5. Una breve nota finale.
1. Premessa espositiva
La coerenza scientifica e la passione intellettuale nel difenderla e propugnarla in costanza di occasioni culturalmente stimolanti nonché il vigore argomentativo, mai trasmodante nella polemica o nella ruvidezza di accenti, contraddistinguono, anche dal punto di vista esteriore, il volume di Paolo Grossi di cui qui si scrive.
La recentissima opera, pur circoscritta nell'intitolazione alla riflessione sulla vicenda intellettuale e storica della civilistica italiana degli ultimi due secoli fino alle odierne propaggini, ben dà vita ad una rappresentazione colta, sapiente e persuasiva dell'itinerario del pensiero del suo Autore attorno al fenomeno giuridico in genere, stabilmente colto nella sua dimensione esperienziale, quella verso la quale sono sempre rivolte con fiducia e speranza le sue pagine. Ben può dirsi che l'ennesimo dispiegamento del vasto sapere dell'Autore ed il connesso desiderio di utilizzarlo ad un fine fondativo dell'intera concezione del diritto attende al compito di innervare un alto messaggio sociale dagli ampi riflessi solidaristici nel corpo, nella carne viva (per dirla con le Sue parole), nel terreno delle relazioni umane interindividuali.
In fondo, la scelta del campo civilistico quale momento probante della Sua visione del diritto nella sua globalità ne rende spendibili gli importanti risultati in termini ed in prospettiva globali.
L'ariosa concezione applicata in questo libro al diritto civile, e forse in misura maggiore ai suoi cultori, esibisce l'ampiezza del proprio respiro nella esatta misura nella quale essa mostra di sapere creare un ponte incrollabile tra la vita e le azioni dell'essere umano e la sua traduzione in termini di valutazione e disciplina giuridica, rendendo così servente la seconda alle esigenze, alle aspirazioni, alle concrete declinazioni dell'altra.
Questa presentazione deve preliminarmente misurarsi con una scelta espositiva di fondo: la rassegna analitica di ciascuno dei ragionati passaggi di cui si compone il lavoro del giurista fiorentino che ha presieduto con saggezza e lungimiranza nel recente passato la Corte Costituzionale, seppur mezzo necessario per consegnare ai lettori il prezioso messaggio donatoci da Paolo Grossi, potrebbe lasciar correre il rischio della frammentazione del solido filo conduttore dell'indagine, che, nella sua esemplare unitarietà, va viceversa ricostruito con quanta più fedeltà possibile.
Per siffatta ragione la presente occasione è destinata ad essere utilizzata per fornire un'immagine di insieme di uno studio tanto ricco e fertile, dovendosi rinviare ad altre sedi l'approfondimento di ciascuno dei capitoli di cui si compone, a loro volta dedicati ad aspetti e figure accademiche determinati.
2. La nozione di ordine giuridico pluralistico nel suo nesso con la giurisprudenza
Prima di far ingresso nella scena concettuale del volume, affascinante per rigore e fecondità di orizzonti, può valer la pena far precedere questa operazione dalla testuale citazione di alcuni passi sparsi nei quali rapsodicamente si riassume la grandezza del disegno culturale e la sua calibrata inerenza al mondo del diritto nella duplice accezione di ente regolatore e disciplinatore di condotte e fatti umani e di ospitante la correlata scienza. Tra pagina 145 e la seguente si legge la appropriata sintesi del concorso della doppia dimensione, normativa ed epistemologica, del fenomeno qui considerato. Si reputa, infatti, in esito ad un lungo percorso illustrativo compiuto nelle parti precedenti, che la scienza giuridica sia l'unica tra le fonti “capace di ricomporre ad unità (spirituale e culturale) l'attuale pluralismo”. Di talchè “si impone anche un risveglio delle prassi giudiziali e notarili e del loro ruolo attivo nella dinamica dell'ordine giuridico”. In questo senso “la giurisprudenza si impone attualmente come presenza di straordinario rilievo” e con essa si esalta la profonda e colta descrizione del “mestiere del giudice”, alludendosi al promettentissimo progetto culturale racchiuso nell'omonima raccolta curata da Roberto Giovanni Conti per la collana “Dialoghi” di Giustizia Insieme, egregiamente diretta con Paola Filippi.
La base teorica su cui poggia questa saldatura tra pluralismo quale epifania dei molteplici moti interni che conformano il fenomeno giuridico e pluralismo dedotto dal riconoscimento scientifico della loro costituente vitalità è individuata nelle pagine immediatamente precedenti (in particolare pag.143) laddove, al fine di fugare i timori (con grande autorevolezza espressi, nella nota 10 della medesima pagina dalla Giudice costituzionale di recente nomina Emanuela Navarretta) circa la “società che si autoregola”, il Presidente emerito della Corte Costituzionale replica elogiando una struttura sociale, fondata secondo criteri giuridici non puramente legalistici, la quale sappia organizzarsi auto-ordinarsi, perché ciò “ significa che la società opera una filtrazione isolando tra la folla dei fatti ed interessi solo quelli meritevoli di essere tutelati e promossi, ossia solo quelli che si propongono come valori della Comunità”.
Un primo esito ricostruttivo sul filo della concatenazione tra i concetti appena riportati, tutti centrali nell'architettura dell'opera, può dirsi guadagnato, rovesciando l'ordine espositivo seguìto, ossia muovendo dalla premessa descrittiva in senso storico dell'ordine giuridico percettibile in date circostanze spaziali e temporali.
Esso vive di una molteplicità di segni ed accadimenti esteriori, di realizzazioni ed aspirazioni individuali, di organizzazioni collettive fondate su tradizioni e consuetudini mai rinnegate o abbandonate, di criteri di disciplina della vita sociale entrati a far parte del patrimonio interiore per la loro rispondenza ad un sentire comune elevato a valore diffuso, non meno che di atti formali di origine istituzionale.
Vengono così, almeno parzialmente, espunte dal discorso giuridico del civilista “posmoderno” (almeno da quello, discorso e civilista, idealmente tratteggiato da Grossi ) le secche e le morte gore del formalismo, del positivismo, del normativismo, del legalismo codicistico. O meglio, e più precisamente, vengono combinate, così perdendo o attenuando l'originario carattere antistorico loro addebitato dalla larga visione dell'Autore, con le manifestazioni pulsanti dell'ordine giuridico, condensabili e confluenti nell'esperienza quale elevata da Capograssi ad oggetto e scopo della scienza giuridica.
Ma l'idea di Grossi è tutt'altro che proiettata verso il caos, né lo incoraggia; al contrario essa ha il pregio della selettività razionale e di intrinseco merito. È il metodo della meritevolezza, lo stesso rinvenibile nel capoverso dell'art.1322 c.c. per conferire liceità all'atipicità contrattuale ed al correlato esercizio dell'autonomia privata, che determina l'ammissione nell'universo del giuridicamente rilevante di quei soli dati esperienziali capaci di consonanza con il sistema valoriale di una comunità. Fatti ed interessi umani riversati nel crogiolo dei valori sociali: il passo è rapido in direzione della configurazione di un ordine giuridico declinato al plurale in cui anche essi partecipano, insieme al livello normativo. Un ordine giuridico che deliberatamente o per insensibilità culturale dei suoi “conditores”, studiosi ed esegeti trascurasse l'apporto pluralistico così formato verrebbe amputato della sua componente umana, fattuale, storica, unica ed irripetibile perchè sgorgante dalla “carne viva” della società, inammissibile privazione che subirebbe l'apparato normativo senza vedersi riconosciuta l'ambizione di concorrere alla sua etero-integrazione. La mancanza di questa intima, basilare percezione antidommatica in parte della civilistica italiana condanna per Grossi studi e riflessioni ad una sorte di inidoneità alla incisione e rappresentazione dello stesso ordine giuridico e, peggio ancora, allo stigma della contrarietà all'andamento necessariamente storico della ricerca giuridica. Ma il libro sa individuare gli antidoti a questo non isolato male ed assegna a ciascuno di essi un ruolo effettuale preciso. In primo luogo, ed a completamento della rivisitazione dei passaggi testuali prima menzionati, in questo itinerario si colloca la giurisprudenza, la cui produzione viene introiettata nel “mestiere del giudice” e la cui somma rilevanza viene celebrata. In questa articolazione si rende manifesta la geometrica chiarezza del disegno ideale che anima il testo e l'assenza di qualsiasi tentazione di arbitrarietà concettuale, combattuta, al contrario, dallo schema sillogistico che vi fa corona. Ed infatti, una volta edificata nella sua poliedricità la nozione e la concreta raffigurazione dell'ordine giuridico, anche auto-prodottosi, ed accordato al suo interno il debito posto alla viva esperienzialità, è nella disciplina di essa che si sublima l'attività giurisprudenziale, che, così, ben viene remunerata attraverso la ricognizione della sua presenza come di “straordinario rilievo”.
La sequenza logica che assiste l'operazione culturale cui ci si accosta con grande rispetto non sembra esibire scalfiture nel proprio ordito, tanto stringente è la correlazione tra il ritratto di un ordine giuridico pluralistico e la notevole influenza che al suo interno inevitabilmente è chiamato ad esercitare l'organo giurisdizionale, il quale, pertanto, proprio per la sua naturale attitudine ad intervenire sui “fatti ed interessi “ meritevoli di attrazione nell'orbita dell'ordine giuridico per la loro corrispondenza al sistema di “valori “ comunitari, finisce per innervarsi concorrenzialmente nel circuito ordinamentale, e non certo in funzione marginale o sottomessa.
3. Il filo conduttore del volume e la sua diretta riconducibilità alla Costituzione
Il diretto e preliminare esame di uno dei nuclei formativi del volume non può certo valere ad esimere dal compito di illustrarne la complessa struttura seguendo lo stesso filo del discorso del Maestro fiorentino anche nella sua successione grafica: il compito è notevolmente agevolato dall'unità dello sviluppo e dal costante richiamo ai principii attraverso i quali il discorso stesso prende corpo e si svolge. Già la Prefazione (pag.IX) lascia intendere senza esitazioni quale indirizzo venga dato al lavoro ed in quale corso vada incanalato. Il tema binario vede contrapposti, come traspare anche dal sottotitolo (“Dal monismo legalistico al pluralismo giuridico”), i due poli del globo del diritto: monismo e pluralismo. E qui l'Autore non si sottrae al benefico impegno di analitica descrizione di ciascuno di essi, che fungerà da stella che rischiara l'intero orizzonte della ricerca. Il primo vien fatto consistere “nella pretesa dell'assoluta monopolizzazione da parte dello Stato dell'intera dimensione giuridica”; del secondo si predica la “riscoperta del nesso inscindibile tra il diritto e la società, con la conseguenza che il piano per rispecchiare fedelmente la seconda deve articolarsi in una pluralità di assetti ordinativi”. È facile osservare la circolarità dell'impianto argomentativo del lavoro, solo considerando la totale simmetria del ragionamento prefato rispetto a quello ,già esposto, condotto nei brevi capitoli seguenti. Ancor più significativa la professata tendenza ad avvolgere attorno a questa radicale bipolarità il racconto ed i giudizi di valore sugli appartenenti alla civilistica italiana di circa 150 anni. Essi vengono, infatti, sistematicamente inquadrati secondo la logica dell'alternativa, senza, tuttavia e per fortuna, cedere mai e per nessuna ragione alla tentazione del manicheismo classificatorio: rischio sapientemente evitato grazie alla basilare onestà intellettuale dell'Autore che sa dar atto di ibridazioni di pensiero nello stesso studioso ed evoluzioni dottrinarie di ampio significato. Alla radice della competizione bipolare va posto il crescente abbandono, culminato nell'esperimento codicistico degli albori del XIX secolo, della struttura extrastatuale dell'ordinamento giuridico quale il periodo medievale ha saputo trasmettere, sin da organizzazioni proprietarie a base collettiva.
Fu proprio l'avvento sulla scena di una prospettiva normativo-positivistica, con l'egemonia del legislatore, ad indebolire l'assetto naturalistico del fenomeno giuridico, in special modo nell'area del diritto civile, sempre più sfaldato nella sua essenza di “ratio scripta”.
L'analisi di Grossi circa connotazioni ed effetti della rivoluzione ottocentesca generata dal Code Civil indirizza ad una prospettiva astrattizzante, quella che vede il diritto civile come osservatorio dei rapporti umani considerati nella loro cifra assoluta, avulsa sia dal mondo della quotidianità interrelazionale sia dal riferimento al singolo soggetto umano nel suo concreto agire.
E la consustanziazione tra diritto civile, inteso come disciplina teorica rientrante con funzione dominante nel vasto universo della scienza giuridica, e codice civile, visto nel suo ruolo disciplinante il rapporto giuridico interpersonale astratto, lo stesso studiato dalla corrispondente branca, diviene completa lungo l'intero corso del secolo in cui si tenne a battesimo l'idea napoleonica di codice.
Ciò comportò ad avviso di Grossi il pesante costo di un generale appiattimento manifestatosi nella cancellazione, da parte del neonato monismo giuridico, delle visibili tracce dell'opposto pluralismo e nella formazione di un ordine giuridico interamente affidato alle mani dello Stato.
Questa riscrittura dell'ordine giuridico in chiave concettuale e con riflessi di normativismo sospinto dalla soffocante visione statalista non poté che conquistare alla propria corte anche la dottrina civilistica europea, con rare eccezioni ,tutte appieno valorizzate dall’Autore.
4. Il pensiero dei maggiori civilisti italiani tra XIX e XXI secolo
Inizia così la vibrante parabola ideal-descrittiva che attraversa, in un pregevole connubio che conquista il lettore, con passione e rigore il volume nella sua interezza.
La parabola viene esposta dall'Autore, in perfetto accostamento allo spirito animatore delle Sue riflessioni, attraverso una corsia preferenziale: quella diretta a far risaltare le produzioni scientifiche e le espressioni didattiche meglio votate ad anticonformistiche prese di posizione, ai Suoi occhi qualificate in termini di dovuta attenzione alla concretezza dell'esperienza giuridica, alla sua necessitata lontananza dai modelli relazionali ed esistenziali astratti, all' immancabile accostamento ai fenomeni sociali, economici, industriali, politici che lo spirito del tempo dona agli studiosi.
Come già introduttivamente premesso la presente sede previene la possibilità di gettare lo scandaglio su ognuno degli apporti individuali, su cui cade l'attenta illustrazione di Grossi, più meritevoli di menzione in questo contesto: di certo seguiranno altre, più pertinenti circostanze.
Può riuscire utile ad esemplificare la congerie di un risorgente tentativo di concepire in senso pluralistico l'ordine giuridico venuto ad esistenza per effetto dell'opzione codicistica il richiamo all'esempio intellettuale costituito dalla cosiddetta civilistica “neoterica” italiana di fin di secolo diciannovesimo, improntata alla concentrazione su concezioni materialistiche ed evoluzionistiche.
Scorrono, quindi, in una rapidità espositiva mai disgiunta da tocchi sapienti di pennello sul cuore del loro pensiero, i nomi di Cimbali, Venezian, Gianturco, tutti intenti, per ragioni diverse ma effettualmente coincidenti, alla reviviscenza della complessità dell'universo giuridico, alla difesa dell'idea del compito sociale dello Stato. Altri grandi giuristi, versati anche nella sfera del diritto processuale (Redenti, Carnelutti) ed affiancati a grandi civilisti-sostanzialisti, (Ferrara senior,Vassalli) vengono portati a dimostrazione dell'insopprimibile esigenza di arricchire il compendio dei fatti costitutivi del diritto e dell'ordinamento giuridico, a partire dalla promozione al rango di fonte in senso formale della “natura dei fatti”, come fece Vivante nel suo Trattato di diritto commerciale.
Proprio di Filippo Vassalli vien fatta risaltare l'anima extrastatalista, resa vivida nella prolusione romana del 1930 che richiama quella genovese di un dodicennio anteriore nel corso della quale fu reso chiaro il suo pensiero mediante la dirimente affermazione che “il diritto privato, quale ereditammo dai romani, è indipendente dall'organizzazione statuale”.
Non può non suscitare persuasa ammirazione per il modernissimo calibro culturale teso al raffronto tra ordinamenti diversi per tradizione e formazione la rievocazione che l'Autore compie a pag.33 dell'apprezzamento mostrato da Vassalli per l'ideal-tipo del giurista di common law, cui assegna la lungimirante missione di accrescere tra i giuristi la consapevolezza della propria opera in mezzo ad ostilità ed indifferenza: parole presaghe delle sciagure, frutto di rozzezza intellettuale e di sprezzante e violenta chiusura mentale, che la fine degli anni ’30 del secolo scorso addussero.
Quel secolo appena trascorso vide, tuttavia, nel suo tormentato e drammatico svolgimento, mutamenti ed innovazioni di mentalità tra i civilisti italiani, nessuno dei quali è sfuggito al minuzioso ed acutissimo microscopio del nostro Autore.
Beninteso, osservazione ed analisi incanalate lungo i rami del collegamento tra realtà, collettiva ed individuale, e configurazione normativa, che si vuole largamente influenzata e modellata con la creta dell'esperienza, meglio capace di plasmare l'ordinamento di quanto sarebbe in grado di fare l'astratta, teorica considerazione delle relazioni umane giuridicamente rilevanti.
È così che l'impresa, rappresentativa, vivace e fedele della “fattualità economica che irruppe nella dimensione collettiva già nel cavaliere tra primo e secondo decennio del XX secolo, diviene centrale negli studi civilistici, in quanto, come si legge a pag.39, capace di determinare il “superamento di individualità e rapporti individuali”.
Di essa, con maestria e profondità di pensiero, si occuparono Santoro Passarelli e Nicolò, rispettivamente nella prolusione napoletana del 1942 ed in quella romana del 1956, sebbene, secondo Grossi, le loro alte riflessioni (in particolare quella di Nicolò, che, pur volendo sottrarre la figura e la funzione dell'impresa alle schematizzazioni pandettistiche, la racchiude nella categoria del diritto soggettivo: sulla prolusione romana di Nicolò intitolata “Riflessioni sul tema dell'impresa e su talune esigenze di una moderna dottrina del diritto civile”, restano indimenticabili le memori e grate parole rivolte al Maestro da Stefano Rodotà in Diritto civile del novecento. Scuole, luoghi, giuristi, a cura di Alpa e Macario, Milano 2019, pag.12) non riescono a liberare la loro potente energia (soprattutto quella palesata da Santoro Passarelli che aveva individuato nell'impresa e nel suo studio il criterio facilitatore del “distacco dagli schemi concettuali, dalle categorie giuridiche astratte”: L'impresa nel diritto civile del 1961) nell'auspicata direzione pluralistica ordinamentale.
Direzione che, piuttosto, Grossi accredita, a pag.43 ss., a Tullio Ascarelli per aver saputo percorrere grazie alla sua percezione dell'unità e complessità dell'universo giuridico ed alla dialettica che seppe instaurare tra diritto legale e diritto effettivo, quest'ultimo raffigurato, in uno scritto del 1953, come “frutto di uno sforzo collettivo”.
Un sintomo rivelatore della strenua sopravvivenza delle dottrine “monistiche” Grossi trae, con riguardo anche all'opera di Santoro Passarelli, dalle parole di Irti del 1989 dedicate alla dottrina civilistica italiana nel periodo immediatamente post-costituzionale secondo cui essa “esprimeva il rifiuto della Costituzione.
L'unità del sistema era garantita dal codice civile. In questa gravissima, prolungata frattura tra codice e Costituzione così platealmente ostentata negli anni 1950 da parte non esigua della civilistica italiana Grossi ravvisa nell'intero itinerario del libro motivo di rammarico e di allarme per una certa ipotrofia che connotò la produzione scientifica e l'apparato ideologico di quegli anni ed il corrispondente difetto di slancio.
Ma altre autorevolissime figure si stagliarono, a fianco di quelle eminenti appena ricordate, agli occhi di Grossi come rasserenanti esempi di capacità assertiva del nesso infrazionabile tra fenomeno/dimensione sociale e fenomeno giuridico: particolare conto viene, a tal proposito, dato al pensiero ed agli scritti di Finzi, Betti e Gorla.
Del primo viene ricordata a pag.52 la felice dote di essere stato un fautore delle “pluralità collegate”, particolarmente fertili nel settore del diritto di proprietà, per il cui studio viene reputato importante un'analisi che proceda non dalla persona del titolare ma dalla cosa che ne è oggetto, in quanto fenomenicamente e concretamente individuabile. Di Emilio Betti, nelle pagine 54 ss., Grossi tiene a sottolineare ,smentendo diffusi luoghi comuni, come la sua non fosse una posizione ispirata al dommatismo.
A fondamento di questa netta definizione il Presidente Emerito cita la forte inclinazione a non tollerare che venga cancellato il nesso tra società e diritto e la altrettanto decisa propugnazione che respinge ogni tentativo di ridurre la scienza giuridica a scienza pura, con disconoscimento del suo ruolo ordinativo perseguito in virtù di un'attività speculativa.
In questo senso si dice a pag.55 al riguardo della vasta opera del giurista marchigiano che i suoi concetti, le sue categorie non galleggiano mai sopra o contro i fatti, ricordando la teoria Bettiana, riesumatrice del conflitto tra “voluntas” e “verba”, secondo cui “il negozio giuridico è fenomeno sociale e non proiezione esterna di un atteggiamento psicologico”.
In inoppugnabile sintonia con questa attrazione verso un magistero civilistico epistemologicamente orientato verso il dominio dell'esperienza vengono riportate a pag.56 le parole della prolusione romana del 1948 allorché così si espresse: “la conoscenza non consiste in una recezione meramente passiva dell'oggetto da parte del soggetto”, occorrendo riconoscere la “storicità del soggetto”. Richiamando l'alto magistero scientifico di Gino Gorla, a pag.57 ss., l'Autore compie una duplice, salutare operazione culturale.
Da un canto, rinverdisce la prolusione pavese del 1946, nella quale, da civilista, si sente chiamato al compito di insegnare che vi sono altri modi di intendere e praticare la legge e di sentire e praticare il diritto soggettivo: e questa sottolineatura giova ad allineare l'allora giovane studioso alla schiera di altri desiderosi di rompere le barriere erette a protezione di posizioni soggettive esclusivamente concepite in relazione alla loro statica previsione codicistica senza rideterminarne la portata alla luce dell'esperienza sociale. D'altro canto, la figura che di Gorla affiora in queste pagine è di un civilista che, per affrancarsi dai rigidi vincoli di un positivismo ad elevato rischio di insterilimento applicativo, vira verso le accoglienti e promettenti rive della comparazione giuridica, di cui divenne indimenticato caposcuola per essere seguito dopo circa un decennio da Sacco (pag.59), nella quale riscontra quell'afflato storico che dovette sembrargli esile o latitante nel diritto interno e che ne rafforza le fondazioni culturali (nel testo viene giustamente riportato un fondamentale passo della prefazione al Contratto gorliano del 1954 in cui si insegna la lezione tramandata alle generazioni future che “la comparazione come metodo non è che storia”). Particolarmente felice e generoso è l'apprezzamento che uno Studioso come Grossi, poliedrico e naturalmente attratto dalla febbrile espansione dei propri orizzonti di ricerca, tributa al diritto comparato, in special modo nell'implicita attestazione che le novità offerte da questa scienza sono anche intervenute in funzione suppletiva o alternativa a radicate visioni della scienza civilistica.
A tal proposito, appare congruente estendere il discorso interattivo tra le due branche della scienza giuridica per ricordare l'opera di un finissimo giurista scozzese, Alan Watson (1933-2018), che da romanista e privatista, saggiò proficuamente le acque comparatistiche con l'intramontabile Legal Transplants e, nel successivo volume del 1977 Society and Legal Change (tradotto in italiano da Smorto e Riccardi in Evoluzione sociale e mutamenti del diritto, con la mia presentazione, Milano 2006), fissò alcune conclusioni proprio appuntate sul corpo del diritto privato (universalmente inteso). Tra queste vanno segnalate quella che nega la riferibilità all'ordinamento giuridico in senso formal-positivistico della capacità di rappresentare lo spirito di un popolo o le sembianze dell'etica o del sentimento sociale: al contrario, Watson addebita alla lentezza con cui il diritto privato nella sua accezione puramente normativa risponde alle novità costituite dalla modernizzazione la sua incapacità a tenervi il passo, concludendo che sarebbe illusorio immaginare che i codici civili in genere possano servire a riavvicinare l'ordinamento giuridico alla società (si veda la mia presentazione, pagg. XXI-XXIV).
Questa breve digressione offre convincente prova di quanto largo e condiviso sia il raggio di pensiero di Paolo Grossi attinente all'esigenza di ridefinire i confini ideali e pratici del diritto civile.
La trattazione che segue si manterrà nel tracciato descrittivo di molte (sarebbe sommamente difficile allungare lo sguardo verso tutte ed abbracciare nello studio anche prestigiosi studiosi di altre discipline quali Gino Giugni) delle figure dei civilisti italiano del XX secolo che più fedelmente hanno saputo interpretare la linea concettuale del pluralismo giuridico imbevuto della linfa vitale dell'esperienza sociale ed individuale. Si inizia questa fugace rassegna, del tutto inidonea a rappresentare altro che un semplice rinvio alla valutazione dell'opera dei giuristi di seguito menzionati che Grossi ne effettua nella cornice propria del volume, ricordando la grandezza del pensiero di Salvatore Pugliatti di cui viene lapidariamente riassunta, a pag.61, la concezione alla cui stregua la nozione di ordinamento giuridico è radicata nel sociale e si estende oltre il normativismo, proprio per recuperare complessità e pluralismo.
È, pertanto, del tutto naturale la citazione de “La giurisprudenza come scienza pratica “ del 1950 nella quale il Maestro messinese qualifica “l'esperienza giuridica come vita e storia degli uomini”, qualificando l'ordinamento giuridico “più che come un complesso sciolto di prescrizioni” “alla stregua di un sistema di istituzioni” in cui confluiscono logica e storia. Insistendo sulla rilevanza fondamentale dell'esperienza giuridica Pugliatti ne parla come insieme inscindibile di fatto e diritto, pervenendo alla conclusione che appaia difficile sostenere che “l'ordinamento giuridico si risolva senza residui nel sistema normativo”, in quanto esso “costituisce una realtà assai complessa, e concreta, quindi originaria: quella realtà oggettiva nella quale si danno inscindibilmente fatto e valore” (il nostro Autore, per contrappunto, a nota 20 di pag.67, inscrive l'altrettanto valente allievo di Pugliatti, Angelo Falzea che definisce “Il civilista più contraddistinto da una forte, quasi esasperata, dimensione teoretica”.
Ma, come si vedrà in seguito, all'Allievo di Falzea cui è dedicato il volume oggetto delle presenti riflessioni, Vincenzo Scalisi, viene accreditato il pregio di essere stato assertore convinto di un pluralismo giuridico dalle robuste basi ermeneutiche).
A Pietro Rescigno viene corrisposto il doveroso tributo rivolto a riconoscergli la capacità di inviare, nella sua lunga militanza accademica, robusti messaggi pluralisti e di riscoperta della dimensione, anche collettiva, del diritto civile. Testimone di quest'ultimo atteggiamento culturale viene giudicata, sin dal titolo, la prolusione maceratese del 1954 dedicata a “Sindacati e partiti nel diritto privato” e precorritrice della costante ricerca in tema di formazioni sociali. Ed ancora, in Rescigno viene identificato il lungimirante interprete delle vaste potenzialità applicative possedute dall'art.2 della Costituzione, di cui viene scolpito il contenuto garantistico per la persona, giacché il complesso delle formazioni sociali è impostato in rapporto frontale alla persona: teoria ben condensata nella proposizione secondo cui “la materia dei corpi sociali...appartiene per tradizione e per vocazione alla ricerca ed all'insegnamento dei civilisti”.
Nell'opera di Rescigno l'insegnamento istituzionistico di Santi Romano, giustamente e ripetutamente celebrato da Grossi in più occasioni, viene additato non già come una suggestiva architettura teorica inerente alla pluralità degli ordinamenti giuridici quanto, piuttosto, uno schema attuabile e da attuare perché è la nervatura stessa della Costituzione.
In questa continuità metodologica scandita lungo i decenni centrali del secolo scorso Grossi rivendica la conferma della solidità dell'impianto pluralistico dell'ordinamento giuridico. Alberto Trabucchi, giurista dai poliedrici interessi, è ricondotto nell'orbita dei civilisti più disponibili ad ascoltare il linguaggio pluralistico: il suo itinerario scientifico viene a pag.77 ss. ripercorso come dominato dal disagio per un diritto civile limitato entro le anguste muraglie dello Stato e delle sue leggi. Molto impressivo è il richiamo ad uno scritto del 1963 in cui Trabucchi si pronunciò nel senso di ritenere ormai tramontato il dogma della statualità come caratteristica essenziale del diritto, così come quattro anni prima aveva rilevato quanto avessero pesato, con la proprio ingombrante presenza, per oltre un secolo le aride dogmatiche costruite sul codice civile. Nello speciale tempio dei civilisti italiani partecipi dei due secoli che Grossi ha edificato all'insegna della molteplicità dei fattori, legali, sociali ed esperienziali, costitutivi del corpo vivo di quella branca della scienza giuridica non era pensabile, per più ragioni, che mancasse Stefano Rodotà. Egli, nel suo generoso, vibrante, incessante impegno culturale, accademico in senso stretto, socio-politico indirizzato a fare del fenomeno giuridico strumento di umanizzazione, eguaglianza e progresso delle vite delle donne e degli uomini che popolano la nostra collettività, ha sempre avvertito come tra le missioni del civilista andasse annoverata quella, nobilissima, della tensione al raggiungimento di nuove frontiere, non potendoglisi addire l'appagamento statico. Ed il più potente e formidabile alleato dello studioso teorico nel perseguimento di questa (“salvante” la chiama Grossi) missione va, come già annunciato in uno scritto del 1964,visto nella Costituzione e nelle sue norme “le quali hanno anche un significato positivo, quello cioè di riconoscere, nel quadro della nostra organizzazione sociale e politica, e di assumere a elementi fondamentali di questa, i principii e gli istituti essenziali che attengono ai rapporti interprivati e più in generale alla dignità e alla personalità umana”. E ciò perché, secondo il profondo studioso della responsabilità civile sussunta nella clausola generale della “ingiustizia del danno”, il diritto civile, nella sua efficienza vitale, non si esaurisce nei codici e nelle leggi che lo integrano”. Idea con fermezza ribadita nella prolusione maceratese del 1966 che si risolse nella reiezione della “chiusura formalistica pressocché totale” e nella riaffermazione del nucleo della sua ispirata visione che vuole che le norme costituzionali siano “direttive interne del sistema privatistico” che rivelano l'attitudine, come ad esempio nel caso di quelle racchiuse negli artt.2 e 42, a dar vita a clausole generali direttamente operative nelle relazioni interpersonali.
Due giuristi cattolici viventi, Nicolò Lipari e Pietro Perlingieri, si ascrivono da sé, in virtù delle loro lineari e saldissime posizioni, al gruppo scelto da Grossi di civilisti con chiare ed evolute propensioni pluralistiche nel senso più volte illustrato.
Del primo viene dato risalto alla prolusione barese del 1968 “Il diritto civile tra sociologia e dogmatica (riflessioni sul metodo)” nella quale traspare la sollecitazione al giurista posmoderno alla ricerca ed individuazione dei valori che si sviluppano nella società, implicitamente ma inequivocamente attraendo in tale cerchia quelli di derivazione costituzionale, destinati ad integrare in misura elevata il tessuto ordinamentale. La prolusione camerte del 1969 tenuta da Perlingieri (studioso che non ha mai dismesso la ricerca sulla conversione in senso costituzionale del diritto civile) su “Produzione scientifica e realtà pratica: una frattura da evitare” ne fa emergere l'idea ruotante attorno alla percezione del diritto come esperienza e l'aspirazione ad evitarne l'allontanamento dal diritto vivente. Cospira a questa tendenza la ricchezza che possono offrire la comparazione e la storia.
Luigi Mengoni è un altro civilista (con precedenti esperienze didattiche anche in altre discipline in senso lato affluenti nell'universo privatistico) dalla coriacea caratterizzazione in termini di ancoraggio a principii fondativi fondamentali, poi felicemente fatti risaltare nel suo fruttuoso novennio di Giudice costituzionale, alla cui figura il testo che qui si presenta dedica accurata riflessione. È in Diritto e valori del 1985 che il giurista trentino riassume la propria consapevole ripulsa per l'unilateralità del metodo dogmatico tramandato dalla scuola pandettistica e denuncia l'inadeguatezza delle sintesi valutative cristallizzate nella struttura concettuale del sistema classico del diritto privato (come si dice a pag.100).
Ed invero, secondo questo pensiero, l'elaborazione del metodo, in quanto legata da un nesso stabile all'attività applicativa riferita al proprio oggetto, non è più soltanto delegabile al filosofo del diritto ma va riportata alla sfera di competenze del giuscivilista. Riflette l'dea appena riportata il dichiarato primato del problema sul sistema, in piena fedeltà alla nozione di metodo, e dei suoi riverberi attuativi, di cui si dice. Da tale complessa visione Grossi deduce lucidamente e persuasivamente la conseguenza che l'impostazione storicistica di Mengoni (su cui è indubbia l'impronta del pensiero di Giuseppe Capograssi rivolto al valore dell'esperienza giuridica) ha portato come esito un “vistoso pluralismo”, che a propria volta ha permesso di riscoprire la complessità del diritto e di affermare “l'esigenza di una legittimazione metalegislativa dell'ordine giuridico “ (pag.103) .
Scolpiscono l'intera vita scientifica ed il suo empito morale le parole scritte nel 1996 da Mengoni (e riportate a pag.105), al termine del suo novennio al Palazzo della Consulta calibrato sulla necessità di organizzare la ricerca civilistica in senso costituzional-centripeto: “La Costituzione rifiuta la riduzione positivistica della legittimità (ossia della giustizia) alla legalità, ma converte il problema della fondazione etica della legittimità in un problema giuridico”. Fulminata come una fiammata effimera, prodotto di fermenti ed inquietudini di fine secolo, la stagione del diritto alternativo, “cioè diritto politicizzato al servizio di interessi di classe” (pag.107 nota 3 ), l'Autore si dedica a più riprese, assecondando una illustrazione dalle scansioni ambivalenti (oscillante, cioè tra l'ammirazione per la lucentezza delle idee e la loro dislocazione remota rispetto ai fermi capisaldi pluralistico-esperienziali rischiarati dal tripode costituzionale) ai riferimenti alla dottrina, ed alle sue sequenze nel tempo, di Natalino Irti.
Squillo sonoro e fecondo viene, infatti, qualificato il messaggio della fine degli anni 1970 inerente all'età della decodificazione, intesa come “breccia aperta dalle leggi speciali nel sistema delle fonti “nonché quale “quotidiana e penetrante conquista di territori da parte delle leggi speciali”.
Per quanto promettente, il messaggio non intendeva decretare, ad avviso di Grossi, alcuna variazione nel paesaggio monistico, ossia statalistico e legalistico. Né l'approccio “neoesegetico” del 1982 viene interpretato come apertura verso un futuro pluralistico di riflessione tra i civilisti, scovandosi ancora nelle pieghe del discorso Irtiano l'esautorazione di ogni approccio autenticamente interpretativo del giurisperito e la lode da lui tributata, in occasione della nascita de Le nuove leggi civili commentate, dell'”esercizio del commentare” (pag.111).
L'irruzione nel bacino della tradizione civilistica delle figure nuove del mercato e del consumatore concorre alla configurazione di un mercato sempre più europeo e globale che si propone come un microcosmo di cui la comunità scientifica non tarda ad occuparsi.
Nel 2009 viene tenuta a battesimo, ad opera di Giuseppe Vettori, la rivista Persona e mercato, con il dichiarato intento di non legittimare il predominio del secondo sulla dignità del primo. Non è casuale questa insistita dichiarazione di principio. Ed infatti, nel 1998 Irti proponeva di “elaborare...un concetto giuridico del mercato e porlo al centro del nuovo diritto privato”, nel presupposto che “il dovere di solidarietà come enunciato nell’art.2 è insuscettibile di adempimento in quanto “la Costituzione ha bisogno della legge ordinaria”. Presupposto, fieramente contestato da altre correnti dottrinarie cui Grossi non fa mancare l'implicita adesione: vengono citate ancora una volta le posizioni di Mengoni e Perlingieri. Di quest'ultimo viene ricordata la eloquente e simbolica locuzione secondo cui va registrata la prevalenza delle situazioni esistenziali su quelle patrimoniali”, mentre al secondo va accreditata la nobile frase “lo stato sociale è un principio costituzionale” (democrazia pluralistica e stato sociale formano un binomio inseparabile: v. pag. 123 nota 11 del volume di Grossi). Grande è l'importanza annessa al convegno messinese del 2002 organizzato in onore di Angelo Falzea che segnò un risveglio culturale di fronte alle nuove sfide di inizio millennio poste, in particolare, dal progresso tecnologico. Lo stesso onorato, come viene ricordato a pag.125, mostrando la duttile capacità del proprio pensiero di adattarsi ai tempi nuovi ed alle relative esigenze, fu spinto a chiedersi “se l'ingresso delle nuove tecnologie e della nuova economia....nella realtà sociale e giuridica consente di utilizzare ancora le categorie dogmatiche del pensiero giuridico e gli istituti che si sono andati formando nel tempo”, constatando la “complessità del diritto”.
Paolo Grossi – nel segnalare l'effetto ricostitutivo sui modelli culturali dei giuristi esercitato dall”eurodiritto “ celebrato anche da Lipari – si addentra poi, a pag.135 ss., nel sentiero della globalizzazione giuridica, rilevandone l'essenza in un “ insieme di regole ed istituti che il capitalismo maturo ha inventato per disciplinare aspetti della prassi economica ignoti a codici, leggi, etc: disciplina osservata spontaneamente nel mercato globale sulla base di consuetudini, lodi arbitrali, etc.”
Nel soffermarsi sull'importante volume del 2017 della Giudice costituzionale di scuola pisana Emanuela Navarretta e sul tema (o forse dello “spettro”) di una società che “si autoregola”, lo Studioso fiorentino vede, come già testualmente riportato all'inizio, nel fenomeno l'aspetto fondamentalmente positivo consistente nella circostanza che l'auto-ordinarsi implica che la società operi una meditata cernita dei fatti e degli interessi solo meritevoli di essere tutelati e promossi, tenuto conto del fatto che si candidano e si presentano come valori della comunità. L'attualità perdurante della lezione di Capograssi (che, come notato inizialmente, giudica la scienza giuridica l'unica tra le fonti capace di ricomporre ad unità – spirituale e culturale – l'attuale pluralismo) viene da Grossi ritratta come espressione anticipatrice dell'analisi che affida alla Costituzione il ruolo di testo recante il sostrato valoriale che ha permesso di ritrovare più estesi confini dell'universo giuridico. Essa ben serve la causa di sterilizzare, o almeno mitigare, la portata del nichilismo giuridico che l'Autore vede come carattere distintivo del pensiero, manifestato in questo primo ventennio del XXI secolo, di Irti, laddove ritiene che tutto il diritto si risolva nella correttezza dei meccanismi procedurali, mentre le leggi sarebbero vasi vuoti suscettibili di ogni contenuto (pag. 151).
Grossi contrasta anche la teoria di Castronovo, espressa nello stimolantissimo volume intitolato Eclissi del diritto civile del 2015, che attraverso un meditato ed analitico passo, trascritto a pag. 156, avente ad oggetto il tema dell'introiezione nel “corpus iuris civilis” contemporaneo delle norme costituzionali, si limita ad assegnare ad esse la funzione di essere “regolative di poteri, non conformative di atti e rapporti come invece quelle di diritto privato”.
Lavori relativamente recenti di Lipari e dei compianti Vincenzo Scalisi e Giuseppe Benedetti, recentemente scomparsi, e del brillante allievo di quest'ultimo, Giuseppe Vettori (di cui Grossi riporta, nelle due ultime pagine finali, questa esplicativa frase: del volume del 2020 “non è dubbio che il diritto ha oggi una flessibilità sconosciuta in passato. In questo contesto occorre prestare molta attenzione al valore della certezza e della prevedibilità....ma questi fondamenti essenziali vanno storicizzati e non sono più assicurati solo dalla legge”) continuano a svilupparsi lungo itinerari pluralistici nei quali, tra l'altro, viene ancora una volta ad affiorare la rassicurante immagine dello “Stato sociale di diritto”.
5. Una breve nota finale
Il libro di Grossi si chiude mediante il sigillo circolare della continuità ideale che lo ha percorso dal prologo all'epilogo. Il diritto civile inteso sia come disciplina speculativa sia come ordine normativo non può concepirsi né vivere separato dal suo collegamento con i plurimi fattori che ne influenzano lo sviluppo che, per questo, vanno tenuti costantemente presenti in qualsiasi elaborazione dottrinaria al pari delle decisioni giudiziarie. Queste, in particolare, non possono non recepire gli influssi, i complementi, gli stimoli che hanno origine nella composita realtà sociale, nelle sue forme organizzative, nel sistema di valori e principii che sgorgano dalla Costituzione e sono ormai entrati a far parte del tessuto costitutivo della nostra comunità. La loro esclusione preconcetta o il loro relegamento nella sfera dell'irrilevanza giuridica si risolverebbe, traendo le conclusioni, nel prolungamento di quella stagione asfittica che, secondo Grossi, ha attraversato la civilistica italiana e che, oggi sempre più sovente, trova riscatto nella sublimazione giurisprudenziale delle norme costituzionali e nell'irrobustimento dell'attività ermeneutica svolta beneficamente ad ogni livello, ed in special modo onorando “il mestiere del Giudice”.
In conclusione, il lettore sarà rinfrancato dal contatto con un libro denso, corposo, vivace che rinvigorisce il senso dell'immersione del fenomeno giuridico “in the books” negli sconfinati ed affascinanti abissi dell'esperienza sociale “in action”.
Ed allora, sembra voler dire l'Autore, una nuova civilistica dalla espansa cornice di riferimento, dal rinnovato apparato storicistico, dall'elevamento della persona umana al ruolo primario nel teatro degli accadimenti giuridicamente rilevanti e dal più ampio numero di suoi cultori con inclinazioni pluralistiche, è possibile e benvenuta.