Fissazione e applicazione delle regole del gioco in materia condominiale: la ripartizione “errata” delle spese comuni come chiave di riscrittura dell’invalidità delle delibere assembleari (nota a Cass., sez. un., n. 9839 dep. il 14/04/2021)
di Francesco Taglialavoro
Invalidità delle delibere assembleari che ripartiscono le spese comuni in violazione dei criteri legali o convenzionali: l’annullabilità “residuale” alla luce della certezza dei rapporti giuridici in ambito condominiale.
Sommario: 1. Introduzione - 2. Il caso - 3. Tre sentenza in una - 4. La nullità dell’ordinanza resa fuori udienza non comunicata (art. 176, comma 2, c.p.c.; 156, comma 3, c.p.c.) - 5. Il sindacato di validità della delibera assembleare nel giudizio di opposizione al conseguente decreto ingiuntivo stessa - 6. Nullità o annullabilità delle delibere assembleari - 7. Considerazioni conclusive.
1. Introduzione
È possibile sindacare la validità della delibera assembleare nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso in conseguenza della stessa? È nulla o annullabile la delibera che ripartisca le spese comuni in violazione dei criteri legali o convenzionali? Qual è il criterio generale per distinguere tra nullità e annullabilità delle delibere rese in ambito condominiale?
Muovendo dal particolare, le Sezioni unite riscrivono il sistema delle invalidità in ambito condominiale, offrendo all’interprete un nuovo criterio per distinguere tra nullità e annullabilità.
2. Il caso
L’assemblea condominiale delibera l’esecuzione di lavori di rifacimento e impermeabilizzazione del lastrico solare, imputando al proprietario esclusivo 1/3 della spesa complessiva.
Il decreto ingiuntivo, emesso sulla base di quella deliberazione, viene opposto, sostenendo, in via preliminare, la nullità del giudizio di primo grado per mancata comunicazione dell’ordinanza con la quale era stata fissata l’udienza di precisazione delle conclusioni; nel merito, la nullità della delibera per violazione dei criteri previsti dall’art. 1126 c.c. (l’opponente deduce di avere la proprietà ma non l’uso esclusivo del lastrico solare).
Sia il Tribunale, sia la Corte d’Appello respingono le domande, sul presupposto che la questione relativa alla validità della deliberazione non possa trovare ingresso nell’ambito del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo.
Con ordinanza interlocutoria n. 24476/19, la seconda sezione civile della Suprema Corte rileva un contrasto giurisprudenziale sulla natura dell’invalidità delle deliberazioni assembleari e sulla estensione dell’oggetto del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione degli oneri condominiali.
Per comporre il contrasto e per esprimersi su una questione di massima di particolare importanza, viene quindi richiesta la pronuncia a Sezioni unite.
3. Tre sentenza in una
La sentenza annotata appare suddivisa in tre sezioni tra loro quasi autosufficienti.
Anzitutto viene trattato il profilo, logicamente preliminare, della nullità del giudizio per mancata comunicazione di una ordinanza pronunciata fuori udienza.
In seconda battuta, la Suprema Corte delinea il perimetro del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso sulla base di una delibera assembleare.
Infine, viene operata una riscrittura delle cause di nullità e annullabilità delle delibere rese in ambito condominiale, sovvertendo il precedente criterio discretivo enucleato dalle Sezioni unite con la sentenza n. 4806/05.
Tutti i profili analizzati rivestono indubbia rilevanza pratica: si tenterà, dunque, una ragionata sintesi delle soluzioni proposte, col fine di orientare l’interprete in un territorio complesso la cui mappa viene, per di più, costantemente ridisegnata.
4. La nullità dell’ordinanza resa fuori udienza non comunicata (art. 176, comma 2, c.p.c.; 156, comma 3, c.p.c.)
Nella prima parte della decisione, le Sezioni unite analizzano il preliminare profilo della nullità dell’intero giudizio per mancata comunicazione dell’ordinanza – resa fuori udienza – con cui veniva fissata l’udienza di precisazione delle conclusioni.
Ai sensi dell’art. 176, comma 2, c.p.c.: “le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi; quelle pronunciate fuori dell'udienza sono comunicate a cura del cancelliere entro i tre giorni successive”.
Secondo le Sezioni unite la mancata comunicazione dell’ordinanza può, in linea di principio, comportarne la nullità: ai sensi dell’art. 159, comma 1, c.p.c., tale radicale forma di invalidità importerebbe quella degli atti successivi dipendenti, sentenza compresa.
Il riferimento è a Cass. civ. n. 8002/09[1], per la quale: “la mancata comunicazione alla parte costituita, a cura del cancelliere, ai sensi dell'art. 176, comma 2, c.p.c., dell'ordinanza istruttoria pronunciata dal giudice fuori udienza provoca la nullità dell'ordinanza stessa, per difetto dei requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo, nonché la conseguente nullità, ai sensi dell'art. 159 c.p.c., degli atti successivi dipendenti”.
La regola appena esposta va però coordinata con quella di cui all’art. 156, ultimo comma, c.p.c., ai sensi del quale non può essere dichiarata la nullità di un atto che abbia comunque raggiunto il suo scopo: si tratta di una regola assai rilevante in ambito processuale, che spiega, fra l’altro, il notevole interesse pratico e teorico intorno alla figura della inesistenza[2].
Pur nel silenzio della sentenza annotata, l’interprete può agevolmente comprendere lo scopo della comunicazione imposta dall’art. 176, comma 2, c.p.c.: garantire alla parte un congruo termine per allestire le proprie difese.
Muovendo da tale implicito presupposto, le Sezioni unite ritengono infondata la censura, rilevando che il procuratore cui non fu comunicata l’ordinanza di fissazione della udienza avesse comunque presenziato alla stessa, senza chiedere termini a difesa.
La sentenza annotata, quindi, ritiene che: “quando la parte, alla quale non sia stata comunicata l'ordinanza pronunciata fuori dell'udienza, abbia egualmente, per altre vie, avuto conoscenza dell'udienza di rinvio ed abbia partecipato alla stessa, senza dedurre specificamente l'eventuale pregiudizio subito per la sua difesa a causa della mancata comunicazione e senza formulare istanze dirette ad ottenere un rinvio ad altra udienza, la nullità risulta sanata per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell'art. 156 c.p.c., comma 3, essendosi comunque conseguito lo scopo della prosecuzione del processo con la partecipazione di tutte le parti in contraddittorio tra loro”.
Possono dedursi i seguenti corollari applicativi.
Il procuratore cui non viene comunicata l’ordinanza di fissazione dell’udienza, ma che sia venuto comunque a conoscenza della stessa (ad esempio per avere consultato il fascicolo telematico) può:
1) non presenziare all’udienza: in questo caso il Giudice scrupoloso dovrebbe verificare che la propria ordinanza sia stata comunicata e, accortosi del contrario, disporre d’ufficio il rinvio dell’udienza. Se tale controllo non venisse effettuato, il procuratore assente potrebbe eccepire la nullità dell’ordinanza non comunicata e di tutti gli atti dipendenti successivi.
2) presenziare all’udienza e chiedere un rinvio, deducendo un concreto pregiudizio all’attività di difesa: in questo caso il rinvio dovrebbe essere accordato.
3) presenziare all’udienza e non chiedere un termine a difesa: in questo caso il giudizio dovrebbe seguire il suo corso.
5. Il sindacato di validità della delibera assembleare nel giudizio di opposizione al conseguente decreto ingiuntivo stessa
5.1. I precedenti giurisprudenziali
Secondo un orientamento, molto rigoroso, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di spese condominiali, la delibera assembleare potrebbe essere sindacata esclusivamente in relazione alla sua efficacia.
Il riferimento è, tra le altre, a Cass. 22573/16[3], per cui: “l’annullamento della delibera assunta dall’assemblea dei condomini, derivante dall’omessa convocazione di uno di essi, può ottenersi solo con il tempestivo esperimento di un'azione "ad hoc", non potendo tale doglianza formare oggetto di eccezione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo chiesto per il pagamento delle spese deliberate dall'assemblea medesima”.
Tale perentoria affermazione è spiegata mediante mero riferimento ad analoga statuizione resa nel 2006[4], la quale, però e a sua volta, non spiega le ragioni di tale decisione: è comunque significativo notare che, secondo la prospettazione del ricorrente, la mancata convocazione costituirebbe motivo di nullità; in tal senso il rigetto del motivo di ricorso pare suffragato da due concorrenti ragioni: i) la mancata convocazione costituirebbe soltanto un motivo di annullamento; ii) l’annullamento può essere chiesto soltanto in apposito giudizio e con il rispetto dei termini di cui all’art. 1137 c.c.
Vien da chiedersi, quindi, cosa sarebbe accaduto se fosse stata rilevata la nullità.
Soccorre, in tal senso, la decisione resa a Sezioni unite con sentenza n. 26629/09[5], con la quale si è ritenuto sottratto allo scrutinio del Giudice dell’opposizione il sindacato sulla validità della delibera[6]: anche questa decisione, però, è spiegata tramite il mero richiamo a un’ulteriore sentenza, Cass. S.U. 4421/07, che appare finalmente decisiva.
La sentenza da ultimo richiamata si occupa di definire i contorni della sospensione del giudizio per pregiudizialità, ai sensi dell’art. 295 c.p.c.
Si dia il seguente caso: l’amministratore richiede e ottiene, ex art. 63 disp. att. c.c., un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea. Il condòmino, che già aveva impugnato la delibera deducendone l’invalidità, oppone il decreto, chiedendo la sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 295 c.c.
Secondo le Sezioni unite del 2007 la sospensione non è dovuta.
La Cassazione fonda tale decisione sull’indirizzo, appena illustrato, per il quale in sede di opposizione a decreto ingiuntivo (sia pure emesso ai sensi dell'art. 63 disp. att. c.c.) non può essere sindacata la validità della delibera.
Le ragioni, finalmente chiarite, sono in sintesi le seguenti: i) le deliberazioni condominiali, pur essendo soggette ad impugnativa ai sensi dell'art. 1137 c.c., restano vincolanti per i singoli condomini nonostante l’esperita impugnazione, salvo che il giudice di questa ne disponga la sospensione dell’efficacia esecutiva; ii) tale delibera costituisce, di per sé, prova idonea, ai fini di cui agli artt. 633 e 634 c.p.c., dell’esistenza del credito, si da legittimare non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condomino a pagare le somme nel giudizio d’opposizione all’ingiunzione[7].
Il processo di opposizione, dunque, non potrebbe essere sospeso, avendo i due giudizi oggetti radicalmente diversi (la perdurante efficacia della delibera, per l’opposizione; la validità della stessa, per l’impugnazione): la tutela dell’opponente sarebbe quindi consegnata alla possibile sospensione dell’efficacia della deliberazione ex art. 1137 c.c.
Alla tesi restrittiva si è contrapposta ampia parte della giurisprudenza, sia pure limitata alla sola eccezione di nullità.
Con grande chiarezza, in tal senso, Cass. civ. n. 305/16[8] ha statuito che: “nel procedimento di opposizione al decreto ingiuntivo emesso a favore del condominio, ai sensi dell'art. 63 disp. att.c.c., per la riscossione dei contributi condominiali, il giudice può sindacare, in via incidentale, anche la validità della relativa delibera assembleare, qualora essa sia affetta da vizi che ne comportino non la semplice annullabilità, ma la nullità radicale”. Se il giudice può sindacare la validità della deliberazione, non si comprende, però, perché tale scrutinio debba arrestarsi difronte a una delibera invalida perché annullabile. Va comunque considerato che, in quello specifico caso, la delibera era in effetti nulla (perché disponeva l’esecuzione di opere su un bene di proprietà esclusiva dell’opponente) e non era stata autonomamente impugnata[9].
5.2. La decisione delle Sezioni unite
Chiamate a dirimere il superiore contrasto, le Sezioni unite respingono entrambe le tesi a favore di un’impostazione ancora più permissiva e, sia consentito, condivisibile.
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo può essere sindacata la validità della delibera che costituisce la fonte della pretesa creditoria. Tale sindacato non è limitato alla nullità ma si estende anche all’annullabilità.
Diverse le ragioni.
Anzitutto, è incontestabile che con l’opposizione a decreto ingiuntivo si apra un giudizio ordinario, il perimetro del quale non è limitato alle condizioni di valida emissione dell’ingiunzione ma attiene, piuttosto, all’accertamento dei fatti costitutivi del diritto in contestazione, ossia al merito della pretesa creditoria: risulta pertanto arduo sostenere che il giudice debba ritenere fondata una pretesa non potendo sindacare la validità del titolo su cui la stessa risulta fondata. In caso contrario, secondo le Sezioni unite, si creerebbe un inammissibile ius singulare in materia condominiale.
In secondo luogo, la tesi permissiva risponde a precise esigenze di economia processuale, evitando la moltiplicazione dei giudizi e i possibili contrasti di giudicato.
Il sindacato del giudice dell’opposizione è dunque esteso alle questioni relative alla nullità della delibera: del resto, poiché tale radicale forma di invalidità impedisce la produzione di effetti, negare tale sindacato equivarrebbe a costringere il Decidente a considerare efficace ciò che non lo è. Equivarrebbe, secondo la Corte, a negare la stessa nozione di nullità.
Non solo: attesa la natura del vizio di cui si discute, il giudice dell’opposizione ha il potere dovere di rilevare d’ufficio l’eventuale nullità della deliberazione, provocando il contraddittorio ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.c.
Tale sindacato, ed è questa la parte maggiormente innovativa della sentenza annotata, è esteso anche all’annullabilità: l’art. 1137 c.c., del descrivere il modello legal-tipico tramite il quale l’annullabilità della deliberazione può essere dedotta, non prevede infatti alcuna riserva dell’esercizio dell’azione di annullamento ad un apposito autonomo giudizio a ciò destinato, nè fornisce alcuna indicazione che legittimi una tale conclusione.
L’articolo 1137 c.c., secondo le Sezioni unite, prevede però che il vizio in parola possa essere dedotto esclusivamente tramite l’azione di annullamento: per questa ragione e per la finalità, sottesa al sistema, di assicurare la stabilità dei rapporti in ambito condominiale, l’annullabilità può essere fatta valere soltanto in via di azione e non, a differenza della materia contrattuale, in via di eccezione e quindi: i) in via principale, nell’ambito di apposito e separato giudizio; ii) in via riconvenzionale, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, salvo, per entrambi i casi, il rispetto del termine decadenziale di cui all’art. 1137 c.c.
5.3. Alcune osservazioni critiche
La soluzione prospettata, sia pure decisamente apprezzabile rispetto alla tesi restrittiva, presta il fianco ad alcune osservazioni critiche.
Dal punto di vista teorico, l’avere imposto, in relazione all’annullabilità, il rispetto del termine di trenta giorni ex art. 1137 c.c., comporta sia la creazione di una ius singulare in materia condominiale (cfr. art. 1442, ultimo comma, c.c.); sia la possibile moltiplicazione dei giudizi con rischio di giudicati contrastanti.
Comporta, in altre parole, conseguenze opposte alle esigenze che hanno portato al superamento della tesi restrittiva.
Dal punto di vista pratico, infatti, il condòmino che ritenga annullabile una delibera ha l’onere di impugnarla entro trenta giorni in apposito giudizio. Qualora a tale delibera segua l’ingiunzione di pagamento, lo stesso condòmino potrebbe riproporre in via riconvenzionale l’azione di annullamento col rischio di contrasti di giudicato. La soluzione a quanto appena esposto potrebbe ricavarsi dalla sospensione necessaria del giudizio di opposizione ai sensi dell’art. 295 c.p.c.: si è già visto, in proposito, che secondo la decisione resa a Sezioni unite con sent. n. 4421/07, il giudizio di opposizione non potrebbe essere sospeso.
Tale decisione, però, si fondava sulla asserita diversità di piani dei due processi: poiché tale diversità appare oggi superata, potendo entrambi i giudici sindacare la validità della delibera, l’orientamento espresso in quel precedente potrebbe essere superato.
La possibilità di opporre un decreto ingiuntivo entro trenta giorni dalla delibera che ne costituisce il fondamento appare, peraltro, praticamente quasi impossibile.
L’ingiunzione di pagamento, infatti, dovrebbe essere notificata (e quindi richiesta e ottenuta) entro trenta giorni dalla deliberazione: l’unica possibilità plausibile è che il decreto ingiuntivo venga emesso in pendenza del procedimento di mediazione, poiché la comunicazione della domanda interrompe i termini per l’impugnazione[10].
6. Nullità o annullabilità delle delibere assembleari
Poiché l’eventuale annullabilità della deliberazione può essere dedotta soltanto in via di azione e non di eccezione (col rispetto, quindi, del termine di cui all’art. 1137 c.c.), risulta dirimente comprendere quando la deliberazione sia invece radicalmente nulla.
6.1. La struttura della motivazione
Le Sezioni unite, in questa parte della sentenza, ragionano su due livelli: uno particolare, uno generale.
Nel particolare, analizzano la giurisprudenza relativa allo specifico caso della invalidità della delibera che abbia ripartito le spese condominiali in maniera difforme dai criteri legali o convenzionali.
Più in generale, analizzano la giurisprudenza relativa alla differenza tra nullità e annullabilità di (tutte) le delibere assembleari, illustrando il criterio discretivo proposto da Cass. S.U. 4806/2005.
Lo schema seguito è il seguente:
1) viene esposto l’orientamento “tradizionale” in materia di impugnazione della delibera che abbia ripartito le spese condominiali in modo difforme dai criteri legislativi o convenzionali;
2) viene esposto il criterio generale di distinzione tra delibera nulla e delibera annullabile proposto da S.U. 4806/2005;
3) viene affermato che il criterio discretivo “generale” non si è rilevato del tutto adeguato allo specifico tema oggetto d’analisi, contribuendo alla creazione di due orientamenti contrapposti;
4) per comporre questo contrasto viene ripensato l’orientamento generale, giungendo in applicazione di questo alla soluzione del caso.
6.2. I precedenti giurisprudenziali
Secondo la giurisprudenza tradizionale[11] occorre distinguere tra delibere che stabiliscono o modificano i criteri di ripartizione delle spese ai sensi dell’art. 1123 c.c. e delibere con le quali vengono in concreto ripartite le spese medesime: le prime richiedono l’unanimità, in difetto della quale sono nulle; le seconde, ove la ripartizione avvenga in violazione dei criteri legali o convenzionali, sarebbero annullabili.
Una metafora aiuterà a comprendere meglio la questione: le delibere che fissano le regole del gioco richiedono l’unanimità, diversamente sono nulle; le delibere che applicano le regole del gioco in maniera erronea sono annullabili.
A questo orientamento se n’è contrapposto un altro, fertile germoglio nel terreno grigio fra nullità e annullabilità.
È noto, infatti, che per Cass. S.U. 4806/05 la differenza tra le due ipotesi di invalidità va ricercata, in linea generale, nel binomio “vizi di forma, vizi di sostanza”: i primi, evidentemente meno gravi, comportano l’annullabilità; i secondi, “strutturali”, la ben più grave nullità.
A questo criterio discretivo, già parecchio incerto, le S.U. del 2005 affiancano un’ulteriore distinzione per casi ritenendo nulle le delibere: prive degli elementi essenziali; con oggetto impossibile o illecito (perché contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume[12]); con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea (per difetto assoluto di attribuzioni); che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini[13].
Sarebbero invece meramente annullabili le delibere: con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea; quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale; quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea; quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione; quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all'oggetto.
L’aver specificato sia i casi di nullità, sia i casi di annullabilità, ha avuto l’effetto – non voluto ma probabilmente inevitabile – di concimare proprio quel terreno grigio di cui si parlava: è, infatti, sull’impossibilità giuridica dell’oggetto che si fonda il principale orientamento contrastante a quello tradizionale.
Sarebbero così radicalmente nulle le delibere adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese (…) seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, trattandosi di invalidità da ricondursi alla "sostanza" dell'atto e non connessa con le regole procedimentali relative alla formazione delle decisioni del collegio, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata per legge o per contratto”.
Secondo questo orientamento, peraltro, tali delibere finirebbero per incidere negativamente sulla sfera patrimoniale del singolo condomino, risultando nulle, ove non approvate all’unanimità, anche sotto tale profilo.
6.3. La riscrittura della differenza tra delibere nulle e delibere annullabili
Qualcosa non funziona, si potrebbe dire.
E si avrebbe ragione: il criterio discretivo sopra sintetizzato ha comportato notevoli incertezze, alimentate dal fine di sottrarre un’eventuale impugnazione agli stringenti limiti di cui all’art. 1137 c.c.
Da questa constatazione prende le mosse la parte forse più importante della decisione annotata.
Le Sezioni unite, preso atto degli esiti particolari che l’applicazione di quel criterio generale ha comportato, riscrivono il criterio discretivo delle invalidità in materia condominiale, indicando tipologicamente poche cause di nullità e qualificando qualsiasi altro vizio come causa di annullamento.
Il ragionamento prende le mosse dall’art. 1137 c.c. che prevede, per le delibere contrarie alla legge o al regolamento di condominio, esclusivamente il possibile annullamento.
La ragione di questa scelta è individuata nel favor legislativo verso la stabilità delle decisioni: in una realtà così complessa quale il condominio, si è ritenuto opportuno non lasciare esposte le deliberazioni assembleari in perpetuo all’azione di nullità, proponibile senza limiti di tempo da chiunque vi abbia interesse.
In definitiva, il tenore amplissimo della disposizione non lascia dubbi sull’intento del legislatore di ricondurre ogni forma di invalidità delle deliberazioni assembleari, senza distinzioni, alla figura della "annullabilità" e di porre così a carico del singolo condomino l’onere esigibile sul piano della diligenza - di verificare, una volta ricevuta comunicazione di una deliberazione dell'assemblea, la sussistenza di eventuali vizi della stessa e, in caso positivo, di impugnarla, chiedendone l'annullamento.
Resta da chiedersi se, nonostante il tenore dell’art. 1137 c.c., possa talvolta parlarsi di nullità della deliberazione assembleare.
La risposta delle Sezioni unite è affermativa: “esistono categorie, nel mondo del diritto, che non sono monopolio del legislatore, ma scaturiscono spontaneamente dal sistema giuridico, al di fuori e prima della legge”.
Questa affermazione appare piuttosto sorprendente, specie se rivolta alla nullità, categoria chiaramente di diritto positivo: limitando l’analisi alle categorie (si pensi, tra gli istituti, alla famiglia, della quale si potrebbe predicare la preesistenza rispetto alla legge) il riferimento potrebbe assumere maggior pregio in relazione all’inesistenza: che, nel ragionamento delle Sezioni unite, i due istituti siano in un certo senso collimanti, pare evincersi dal dato che, si legge in motivazione, la nullità atterrebbe a quei vizi talmente radicali da privare la deliberazione di cittadinanza nel modo giuridico.
Maggiormente convincente appare il richiamo all’art. 1418 c.c., col dichiarato intento di verificare quali, tra le ipotesi di nullità ivi contemplate, possano valere per le deliberazioni dell'assemblea del condominio e siano compatibili col carattere collegiale dell'assemblea e col principio maggioritario.
Probabilmente, invece che evocare un’origine quasi giusnaturalistica nella nullità, la Suprema corte avrebbe potuto riferirsi all’art. 1418 c.c. come espressivo di un principio generale di invalidità e, dunque, di validità, degli atti giuridici anche diversi dai contratti.
Le delibere assembleari sono quindi nulle per:
1) Mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali.
È l’ipotesi di nullità strutturale mutuata dal secondo comma dell’art. 1418 c.c.: è quindi nulla la delibera priva di un decisum determinato o determinabile, quella priva di senso, quella non verbalizzata, quella adottata senza la votazione dell’assemblea.
2) Illiceità.
È l’ipotesi di delibera illecita perché contraria alla legge, all’ordine pubblico, al buon costume.
La sentenza annotata richiama l’art. 1343 c.c. (causa illecita) ma si deve ritenere nulla anche la decisione che preveda prestazioni di per sé stesse illecite (oggetto illecito).
È quindi nulla per illiceità della causa la delibera che preveda un accantonamento di per se lecito che serva a evadere le imposte; è nulla per illiceità dell’oggetto la delibera che preveda la realizzazione di opere finalizzate alla creazione di barriere architettoniche.
3) Impossibilità dell’oggetto, in senso materiale o in senso giuridico.
È impossibile in senso materiale l’oggetto che non può essere fisicamente realizzato (la costruzione di un campo da calcio regolamentare nel piccolo giardino condominiale).
È impossibile in senso giuridico la delibera resa in carenza assoluta di attribuzioni: tale vizio, che attiene non al quomodo ma all’an dell’esercizio del potere, può verificarsi quando l’assemblea persegua finalità extracondominiali o si occupi dei beni appartenenti in proprietà esclusiva ai singoli condomini o a terzi.
È resa in carenza assoluta di attribuzioni, e veniamo allo soluzione della questione particolare, anche la delibera adottata a maggioranza con la quale si stabiliscano in via generale e per il futuro i criteri di ripartizione delle spese condominiali.
6.4. Nullità o annullabilità della delibera che ripartisca le spese in violazione dei criteri legali o convenzionali
In linea generale, quindi, sono nulle le delibere che mancano degli elementi costitutivi essenziali, quelle che hanno un oggetto impossibile in senso materiale o in senso giuridico e quelle che hanno un contenuto illecito.
In tutti gli altri casi si può parlare esclusivamente di annullabilità, la cui azione deve essere esercitata nei modi e nei termini di cui all’art. 1137 c.c.
Il criterio discretivo sopra illustrato ha sicuramente il pregio della chiarezza, limitando le incertezze interpretative e superando la precedente distinzione generale tra vizi di forma e vizi di sostanza (ritenuta non conforme alla legge[14]).
Il contrasto giurisprudenziale sulla validità della delibera che ripartisca le spese comuni in difformità dai criteri legali o convenzionali, però, aveva trovato terreno fertile sulla ipotesi di nullità per impossibilità giuridica dell’oggetto, ipotesi tenuta ferma dalla sentenza annotata anche se circoscritta alla carenza assoluta di attribuzioni.
Quid iuris?
Compete certamente all’assemblea, con deliberazione da assumere secondo il metodo maggioritario, l’approvazione e la ripartizione delle spese per la gestione ordinaria e straordinaria delle parti e dei servizi comuni: in tal senso, dunque, una delibera che preveda una ripartizione contraria alla legge non può dirsi, in linea di principio, impossibile per carenza assoluta di attribuzioni. Per tale ragione, applicando i risultati ermeneutici generali sopra illustrati, tale decisione è annullabile.
Non compete all’assemblea, però, il potere di modificare, a maggioranza, in astratto e per il futuro, i criteri previsti dalla legge o quelli convenzionalmente stabiliti: in questo caso si troverebbe ad operare in difetto assoluto di attribuzioni.
Per cui: la deliberazione che ripartisca le spese comuni in violazione dei criteri legali o convenzionali è annullabile; la deliberazione che a maggioranza, stabilisca o modifichi anche per il futuro i criteri generali di ripartizione delle spese previsti dalle legge o dalla convenzione, è nulla, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall'art. 1135 c.c., nn. 2) e 3).
In sintesi: se l’assemblea decide di ripartire le spese in modo difforme dalla legge o dalla convenzione, essa sta violando le regole del gioco. Per tale ragione è annullabile.
Se l’assemblea stabilisce a maggioranza un criterio di ripartizione generale e valido anche per il futuro, sta scrivendo le regole del gioco ed è, pertanto, nulla.
7. Considerazioni conclusive
La sentenza annotata avrà certamente un notevole impatto pratico.
Per quanto riguarda la distinzione generale tra le cause di invalidità, il precedente e farraginoso sistema basato sul binomio vizi di sostanza/vizi di forma, è superato dall’individuazione di poche cause di nullità: l’operatore del diritto dovrà quindi preliminarmente valutarne la sussistenza qualificando eventuali vizi diversi come motivo di annullabilità.
Per quanto attiene al perimetro del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la decisione annotata, sia pure apprezzabile rispetto all’orientamento più rigoroso, non pare fugare tutti i dubbi, residuando tutt’ora il concreto rischio della moltiplicazione dei giudizi e di eventuali giudicati contrastanti.
[1] In Giust. civ. Mass., 2009, 4, 565.
[2] Interesse soprattutto processuale. Si veda, in particolare, quel copioso filone giurisprudenziale che distingue fra notifica nulla (e quindi sanabile per raggiungimento dello scopo) e notifica inesistente: per Cass. 23760/20 in Guida al diritto 2020, 49, 79, “la notificazione di un atto di appello non compiutasi, perché tentata presso il precedente recapito del difensore della controparte che abbia trasferito altrove il suo studio, è inesistente in rerum natura, ossia per totale mancanza materiale dell'atto, non avendo conseguito il suo scopo consistente nella consegna dell'atto al destinatario; essa non è pertanto suscettibile di sanatoria ex articolo 156, comma 3, del codice di procedura civile a seguito della costituzione in giudizio dell'appellato, né di riattivazione del relativo procedimento, trattandosi di vizio imputabile al notificante in considerazione dell'agevole possibilità di accertare l'ubicazione dello studio attraverso la consultazione telematica dell'albo degli avvocati”.
In ambito sostanziale, la categoria in questione assume interesse per lo più in relazione ad atti diversi dal contratto (delibere assembleari, matrimonio e testamento): è inesistente il negozio nel quale mancano anche quei minimi requisiti perché la fattispecie possa essere sussunta nella categoria di riferimento. L’inesistenza, che pare essere stata ideata per impedire gli effetti del matrimonio tra persone dello stesso sesso (cfr. V. Roppo, Il contratto, Milano, 2001, p. 756), assolve a due funzioni: i) evitare la produzione di quei pur limitati effetti che un negozio nullo può avere (in ambito processuale, appunto, l’applicazione dell’art. 156 c.p.c.); ii) impedire che si possano produrre addirittura gli effetti di un negozio valido (si pensi, prima della riforma del 2003, alle delibere societarie rese in assenza di convocazione o di verbalizzazione: a fronte di una regola che prevedeva la nullità soltanto delle delibere con oggetto impossibile o illecito, la mancanza di verbalizzazione venne descritta come ipotesi di inesistenza. Si confronti, per tutte, Cass. 9364/03 in Giust. civ., 2004, 11, p. 2767 con nota di L. Marchegiani, per la quale: “l’inesistenza della delibera assembleare di società di capitali ricorre quando manca alcuno dei requisiti procedimentali indispensabili per la formazione di una delibera imputabile alla società, determinandosi così una fattispecie apparente, non sussumibile nella categoria giuridica delle deliberazioni assembleari”.
[3] In Giust. civ. Mass, 2016.
[4] Cass. 17486/06 in Giust. civ. Mass, 2006.
[5] In Giust. civ. Mass. 2009.
[6] “Nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice deve limitarsi a verificare la perdurante esistenza ed efficacia delle relative delibere assembleari, senza poter sindacare, in via incidentale, la loro validità, essendo questa riservata al giudice davanti al quale dette delibere siano state impugnate”.
[7] Così in motivazione: “le deliberazioni condominiali sono soggette ad impugnativa ai sensi dell'art. 1137 c.c., comma 2 e tuttavia, per espressa previsione della medesima norma, restano non di meno vincolanti per i singoli condomini, nonostante l’esperita impugnazione, salvo il giudice di questa ne disponga la sospensione dell'efficacia esecutiva, tale delibera costituendo, infatti, ex lege titolo di credito in favore del condominio e, di per sè, prova idonea, ai fini di cui agli artt. 633 e 634 c.p.c., dell’esistenza di tale credito, si da legittimare non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condomino a pagare le somme nel giudizio d'opposizione che quest'ultimo proponga contro tale decreto, ed il cui ambito è, dunque, ristretto alla sola verifica dell’esistenza e dell'efficacia della deliberazione assembleare d'approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere”
[8] in Foro it. 2016, 5, I.
[9] Si nota, in parte motiva, un certo imbarazzo nei confronti della decisione n. 26629/09 che, come visto, richiama la precedente del 2007: “Effettivamente, considerato che pacificamente i lavori approvati all'esito dell'assemblea dell'11/8/2003 riguardavano anche interventi sui balconi di proprietà esclusiva dei ricorrenti, il vizio in oggetto, alla luce delle indicazioni fornite dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 4806 del 2005 del 28 luglio, risulterebbe effettivamente, ove sussistente, suscettibile di provocare la nullità della delibera, di modo che non appare correttamente applicato il principio della rilevabilità, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, dell'invalidità della delibera assembleare. Effettivamente, il precedente richiamato in sentenza dal giudice di appello (Cass. n. 10427 del 2000) nella massima sembrerebbe accomunare delibere mille ed annullabili circa la conseguenza dell'irrilevabilità della loro invalidità in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, tuttavia la lettura della motivazione del precedente in questione denota che concerneva una fattispecie che, alla luce dei principi affermati da Cass. n. 4806/2005, oggi andrebbe qualificata in termini di annullabilità (vizi relativi alla convocazione dei condomini), sebbene all'epoca ritenuta tale da determinare, secondo il preesistente orientamento giurisprudenziale, la nullità della delibera.
Rispetto al precedente invocato nella sentenza appellata, deve tenersi in adeguata considerazione l'impatto che ha avuto sulla materia, il più volte menzionato intervento delle Sezioni Unite del 2005, che ha portato questa stessa Corte ad affermare con nettezza i criteri per poter distinguere tra delibere mille ed annullabili, così che appare assolutamente necessario ritenere che il limite in merito al rilievo dell'invalidità in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, operi solo per le delibere annullabili. In tal senso Cass. Sez. 2, n. 9641 del 27/04/2006, secondo cui ben può il giudice rilevare di ufficio la nullità quando, come nella specie, si controverta in ordine alla applicazione di atti (delibera d'assemblea di condominio) posta a fondamento della richiesta di decreto ingiuntivo, la cui validità rappresenta elemento costitutivo della domanda”.
[10] Termini che riprendono a decorrere, per nuovi trenta giorni, dalla conclusione del procedimento. Si cfr. Corte App. Palermo, 1245/15 in Arch. locazioni 2017, per cui “in tema di impugnazione di delibera assembleare, il termine decadenziale di trenta giorni interrotto a seguito della comunicazione di convocazione innanzi all'organismo di mediazione, riprende nuovamente a decorrere, per un ulteriore termine di trenta giorni, a far data dal deposito del verbale presso la segreteria dell'organismo di mediazione”.
[11] Cass. 1455/95 in Arch. locazioni 1995, 622 e Cass. 1213/93 in Arch. locazioni 1993, 529: “riguardo alle delibere della assemblea di condominio aventi ad oggetto la ripartizione delle spese comuni, occorre distinguere quelle con le quali sono stabiliti i criteri di ripartizione ai sensi dell'art. 1123 c.c. ovvero sono modificati i criteri fissati in precedenza, per le quali è necessario, a pena di radicale nullità, il consenso unanime dei condomini, da quelle con le quali, nell'esercizio delle attribuzioni assembleari previste dall'art. 1135 c.c., nn. 2 e 3, vengono in concreto ripartite le spese medesime, atteso che soltanto queste ultime, ove adottate in violazione dei criteri già stabiliti, devono considerarsi annullabili e la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza, di trenta giorni, previsto dall'art. 1137 c.c., comma 2”.
[12] Cause di nullità, queste, evidentemente mutuate dall’art. 1418 c.c.
[13] Cause di nullità “specifiche” per le assemblee condominiali.
[14] Secondo la Suprema Corte, infatti: afferiscono senz'altro al contenuto delle deliberazioni dell'assemblea condominiale le numerose disposizioni di legge che disciplinano la ripartizione delle spese tra i condomini: così, innanzitutto, l'art. 1123 c.c., che detta il criterio generale per cui "Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione"; ma anche le altre disposizioni particolari che dettano specifici criteri di ripartizione con riferimento all'oggetto della spesa (così, l'art. 1124 c.c., in tema di ripartizione delle spese per la manutenzione e la sostituzione delle scale e degli ascensori; l'art. 1125 c.c., in tema di ripartizione delle spese per la manutenzione e la ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai; e lo stesso art. 1126 c.c., in tema di ripartizione delle spese per le riparazioni o le ricostruzioni dei lastrici solari di uso esclusivo).
La violazione di tali disposizioni dà luogo a deliberazioni assembleari "contrarie alla legge" con riferimento al loro "contenuto" e, perciò, affette da un vizio di "sostanza"; ma ciò non esclude che tale vizio rientri, in via di principio, tra quelli per i quali l'art. 1137 c.c. prevede l'azione di annullamento.