La decisione emessa il 17 ottobre 2025 dalla Pre‑Trial Chamber I della Corte Penale Internazionale (ICC‑01/11‑209) segna un precedente di rilievo nei rapporti tra l’Italia e la Corte.
La Camera, presieduta dalla giudice Iulia Antoanella Motoc e composta dalle giudici Reine Adélaïde Sophie Alapini‑Gansou e María del Socorro Flores Liera, ha dichiarato l’Italia « non conforme ai sensi dell'articolo 87(7) dello Statuto di Romanon» per non aver dato esecuzione alla richiesta di arresto e consegna del cittadino libico Osama Elmasry, detto Almasri Njeem. L’episodio trae origine dall’arresto avvenuto a Torino il 19 gennaio 2025, seguito, pochi giorni dopo, dal rimpatrio del sospettato in Libia.
Secondo la Corte, tale condotta «ha impedito alla Corte di esercitare un potere importante e una funzione fondamentale, vale a dire garantire la presenza dell'indagato dinanzi alla Corte». Il documento ricostruisce in modo dettagliato la sequenza procedurale: il mandato di cattura era stato emesso il 18 gennaio 2025 nell’ambito della “Situation in Libya”, aperta nel 2011 su deferimento del Consiglio di Sicurezza ONU. L’Italia, destinataria della richiesta di arresto provvisorio ai sensi dell’articolo 92 dello Statuto, aveva proceduto all’arresto ma, anziché avviare la procedura di consegna, aveva disposto il ritorno del soggetto a Tripoli senza previa consultazione con la Corte. La Camera sottolinea che «l'Italia non ha comunicato alla Corte né le sue preoccupazioni né eventuali ostacoli giuridici interni, prima di restituire il signor Njeem», in violazione dell’articolo 97 dello Statuto, che impone allo Stato richiesto di consultarsi con la Corte «senza ritardo» qualora emergano difficoltà nell’esecuzione della cooperazione.
La decisione evidenzia inoltre che le autorità italiane, dopo la comunicazione iniziale dell’arresto, «hanno cessato la loro comunicazione con la Corte poco dopo averle notificato l'arresto del signor Njeem». Tale silenzio, accompagnato dall’immediata esecuzione del volo di rimpatrio, ha reso impossibile qualsiasi interlocuzione istituzionale. Particolare rilievo assume la parte motivazionale in cui la Camera respinge le giustificazioni addotte dal Governo italiano, fondate sulla legge n. 237 del 2012 di attuazione dello Statuto di Roma. La Corte afferma con chiarezza che «L’Italia è tenuta a garantire che tale legislazione sia in vigore e che eventuali ostacoli previsti dal diritto interno siano gestiti dall’Italia e non giustifichino la non conformità.». In altri termini, il principio di supremazia degli obblighi internazionali impedisce di invocare lacune o vincoli del diritto interno per sottrarsi all’esecuzione di un mandato internazionale. La difesa italiana aveva inoltre richiamato un presunto «richiesta concorrente di estradizione» da parte della Libia, sostenendo che ciò avrebbe imposto al Ministro della Giustizia di valutare la priorità tra le richieste.
La Camera ha tuttavia constatato che «L’Italia non ha notificato alla Corte di aver ricevuto una richiesta dalla Libia, in quanto era tenuta a farlo», e che nessuna delle procedure previste dall’articolo 90 dello Statuto era stata rispettata. La decisione affronta poi l’argomento secondo cui il mandato d’arresto conteneva errori materiali; la Corte precisa che si trattava solo di «piccoli errori di stesura che non hanno influito sulla validità del mandato di arresto» e che l’Italia «non può, in buona fede, mettere in discussione la validità di una decisione emessa in conformità al quadro giuridico della Corte semplicemente perché la decisione non è stata unanime».
Un ulteriore profilo riguarda la decisione del Ministro dell’Interno di procedere all’espulsione per motivi di sicurezza. L’Italia ha affermato che il provvedimento era «necessario per motivi di ordine pubblico e di sicurezza nazionale» e ha evocato un possibile stato di necessità ai sensi dell’articolo 25 del progetto sugli illeciti internazionali della Commissione di diritto internazionale. La Corte ha respinto tale argomento, osservando che «le questioni di diritto interno non possono essere invocate da uno Stato Parte per giustificare la non conformità». Nel punto 54, la Camera formula la propria conclusione con parole di singolare severità: «L'Italia non ha agito con la dovuta diligenza e non ha utilizzato tutti i mezzi ragionevoli a sua disposizione per ottemperare alla richiesta di cooperazione». Tale omissione – aggiunge la Corte – ha avuto l’effetto di impedire all’organo giudicante di esercitare le funzioni previste dallo Statuto. Pur avendo accertato la violazione, la maggioranza dei giudici (con un’opinione parzialmente dissenziente della giudice Flores Liera) ha scelto di non procedere immediatamente al deferimento della questione all’Assemblea degli Stati Parte o al Consiglio di Sicurezza, «ritenendo opportuno ricevere ulteriori informazioni su eventuali procedimenti nazionali rilevanti riguardanti la mancata conformità dell'Italia». La decisione evidenzia anche un elemento di prudenza istituzionale: la Camera riconosce che si trattava della «È la prima volta che la Corte chiede all'Italia di collaborare all'arresto e alla consegna di un sospettato.», circostanza che, pur non costituendo una giustificazione, viene considerata nella valutazione della gravità dell’inadempimento.
Da un punto di vista sistematico, la pronuncia riafferma l’obbligo generale di cooperazione sancito dagli articoli 86 e 87 dello Statuto e consolida la giurisprudenza della Corte in materia di non‑compliance, già delineata nei casi *Al‑Bashir* (Sudan/Jordan) e *Kenyatta* (Kenya).
La Camera ribadisce che l’inadempimento di uno Stato Parte non è un mero infortunio procedurale, ma una condotta che mina la capacità stessa della Corte di assicurare l’effettività della giustizia penale internazionale. Dal punto di vista del diritto interno, la vicenda pone interrogativi rilevanti sulla compatibilità tra la disciplina italiana di cooperazione giudiziaria e le previsioni dello Statuto di Roma. La Corte d’Appello di Roma, nel dichiarare illegittimo l’arresto, aveva di fatto negato efficacia diretta al mandato della CPI, ma la decisione dell’Aia rovescia tale impostazione, riaffermando la primazia dell’obbligo di cooperazione su qualsiasi riserva di giurisdizione interna.
Sotto il profilo politico‑istituzionale, la decisione assume una portata simbolica notevole: per la prima volta, uno Stato fondatore dello Statuto di Roma viene formalmente dichiarato inadempiente ai sensi dell’articolo 87 (7). La Corte chiede all’Italia un riesame complessivo delle proprie procedure interne e un rafforzamento della formazione e del coordinamento tra Ministeri e autorità giudiziarie nell’attuazione delle richieste della Corte. Come sottolineato nella parte finale del provvedimento, «L'Italia non ha rispettato i suoi obblighi internazionali ai sensi dello Statuto, impedendo alla Corte di esercitare le sue funzioni e i suoi poteri ai sensi dello Statuto.».
Si tratta di un monito chiaro: la credibilità del sistema di giustizia internazionale dipende dalla leale collaborazione degli Stati che ne fanno parte. Nel suo insieme, la decisione del 17 ottobre 2025 rappresenta dunque un precedente di grande rilevanza giuridica e diplomatica. Essa ribadisce che la cooperazione con la Corte Penale Internazionale non è una facoltà politica, bensì un obbligo giuridico vincolante, la cui violazione comporta una responsabilità internazionale piena. Per l’Italia, Paese da sempre in prima linea nella promozione del diritto internazionale penale, questa vicenda impone una riflessione profonda sul rapporto tra sovranità nazionale, legalità costituzionale e obblighi internazionali di giustizia.
Per questi motivi la Corte penale internazionale ha invitato l'Italia a fornire informazioni su eventuali procedimenti interni pertinenti al presente caso, nonché un'indicazione dell'impatto che tali procedimenti potrebbero avere sulla futura cooperazione dell'Italia con la Corte nell'esecuzione delle richieste di cooperazione per l'arresto e la consegna di sospettati, entro venerdì 31 ottobre 2025.
La decisione emessa il 17 ottobre 2025 dalla Pre‑Trial Chamber I della Corte Penale Internazionale (ICC‑01/11‑209) si può scaricare in calce o a questo link
Sul tema, si vedano anche:
Un volo di stato chiude il caso Almasri? di Lavinia Parsi
Io, Osama Elmasry “Njeem” – Prima puntata: Mitiga di Marcello Basilico
Io, Osama Elmasry “Njeem” – Seconda puntata: RADAA di Marcello Basilico
Io, Osama Elmasry “Njeem” – Terza puntata: Io sono questo di Marcello Basilico
Io, Osama Elmasry “Njeem” – Quarta puntata: Toccata e... volo in Europa di Marcello Basilico
Io, Osama Elmasry "Njeem" - Quinta puntata: Balbettare sul diritto internazionale di Marcello Basilico
