Sommario: 1. Una prima inadeguatezza con tre effetti di costo. – 2. Le “morti da carbonio” imputabili all’Italia e la violazione dell’art. 8 CEDU. – 3. Le conseguenze della doppia inadeguatezza della mitigazione italiana
1. Una prima inadeguatezza con tre effetti di costo
Ha destato preoccupazione la notizia della recente pubblicazione, da parte di ISPRA, dei dati ufficiali relativi alle emissioni di gas serra, prodotte dall’Italia nel 2023[1].
Da un lato, le emissioni complessive sono in calo, rispetto al 2022, solo del 6,8%. Dall’altro, però, risultano in aumento quelle causate dai trasporti, responsabili del 28% del totale. Questo significa che l’Italia non è in linea con gli obiettivi di mitigazione climatica, per essa stabiliti dal Regolamento europeo n. 2023/857, sul c.d. Effort Sharing. La disciplina europea, infatti, stabilisce, per ciascuno Stato, un obiettivo nazionale di riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2030 nei seguenti settori: trasporti nazionali (escluso il trasporto aereo), edilizia, agricoltura, piccola industria (esclusa dal settore ETS) e rifiuti. In totale, le emissioni contemplate dal Regolamento rappresentano quasi il 60% delle emissioni interne dell’UE. L’obiettivo della normativa europea, pertanto, è quello di far sì che ciascuno Stato contribuisca concretamente al conseguimento della riduzione delle emissioni dell’intero continente «almeno del 55% entro il 2030» (rispetto ai livelli del 1990), così concorrendo al conseguimento del Green Deal europeo.
Per l’Italia, il taglio contemplato entro il 2030 è del 43,7% rispetto al 2005, con riguardo a tutte le emissioni prodotte, inclusi appunto i trasporti.
Su questo fronte, però, il paese non è evidentemente sulla buona strada. I dati ISRPA non danno luogo a equivoci[2]: la mancata diminuzione delle emissioni dei trasporti ha portato a un progressivo avvicinamento dei livelli emissivi italiani ai tetti massimi consentiti dalle fonti UE, fino al loro superamento registrato nel 2021 (per 5,5 milioni di tonnellate di CO2 equivalente[3]), nel 2022 (per 5,4 milioni) e nel 2023 (per 8,2 milioni), segnando, alla fine, un +7% rispetto ai livelli del 1990. Tra l’altro, una constatazione simile era già pervenuta dal documento allegato all’ultimo DEF, dove si legge che «la mancata riduzione delle emissioni dei settori trasporti e civile ha portato … al superamento [delle quote annuali di emissioni] registrato per l’anno a partire dal 2021»[4].
Dunque, il disallineamento è in atto e questo produce serie conseguenze negative, in termini di costo e di danni. I costi sono principalmente di tre tipi.
Il primo consiste nell’incremento dei costi sociali da mancata mitigazione. Per comprenderlo, basta fare riferimento al costo sociale del carbonio. Esso, infatti, rappresenta il valore economico del danno (socio-economico) causato dalle emissioni di CO₂ equivalente, All’interno della UE, tale costo è utilizzato sia per valutare l’efficacia delle politiche climatiche sia per determinare il prezzo del carbonio nei mercati delle emissioni. Nel corso del 2023, questo costo è stato stimato intorno ai 100€ per tonnellata di CO2 equivalente. Di conseguenza, se l’Italia non dovesse centrare gli obiettivi emissivi per circa 100 milioni di tonnellate cumulate nel periodo fino al 2030 (il che appare possibile con l’attuale trend registrato da ISPRA), essa si troverebbe a dover rispondere del costo sociale di almeno 10 miliardi di euro.
A questa conseguenza negativa, poi, si sommerebbe un secondo costo, questa volta monetario, derivante dalla necessità, per lo Stato italiano, di far ricorso al mercato del carbonio, al fine di acquistare da altri Stati le quote emissive in eccesso.
Infine, in ragione di quanto previsto dall’art. 14 del Regolamento UE n. 2023/857, lo Stato dovrebbe farsi carico anche di un ultimo costo, legato agli oneri amministrativi conseguenti agli accertamenti UE, dato che, una volta riscontrata dalla Commissione l’inadeguatezza italiana, il Governo sarà tenuto a presentare, entro tre mesi dall’accertamento, un piano d’azione correttivo, ossia un vera e propria azione di urgente e drastica mitigazione climatica, traumaticamente incidente sul tessuto economico-sociale del paese.
Quindi, lo scenario offerto da ISPRA è oggettivamente preoccupante.
2. Le “morti da carbonio” imputabili all’Italia e la violazione dell’art. 8 CEDU
Ma non è tutto, purtroppo.
Due altri elementi vanno considerati, a seguito dei dati ISPRA.
Il primo riguarda le c.d. “morti da carbonio”, dunque una categoria di danno. Com’è noto, le emissioni di gas serra sono anche una fonte di imputazione di decessi, sia per inquinamento[5] sia per altri effetti da riscaldamento globale. Su questo secondo fronte, viene ora utilizzata, a livello internazionale, la cosiddetta “regola delle 1000 tonnellate”, elaborata sulla base del costo sociale del carbonio, accettato dagli Stati. Essa stima quante morti sono imputabili alla combustione di una specifica quantità di CO2 equivalente[6] e viene utilizzata per valutare l’impatto sulle persone, nel presente e nel futuro, delle decisioni climatiche degli Stati (e anche delle imprese climalteranti[7]).
In sintesi, la “regola delle 1000 tonnellate” stima che l’emissione appunto di 1.000 tonnellate di CO2 equivalente causa la morte prematura di almeno 1 persona.
Se si rapporta questa regola ai milioni di tonnellate di emissioni non ridotte dello Stato italiano in adempimento delle previsioni europee, emerge uno scenario di danno, statisticamente stimabile e non confutabile, che porterebbe lo Stato a rispondere di lesione del principio del neminem laedere a seguito, da un lato, della violazione del diritto europeo e, dall’altro, del nesso causale emissione-decessi (presenti e futuri). Nuovi profili di responsabilità extracontrattuale si aprirebbero a carico dell’amministrazione pubblica.
Il secondo elemento è connesso al precedente, ma trova fondamento nell’art. 8 della CEDU. Com’è noto, il potere di mitigazione climatica di uno Stato, membro sia della UE che della CEDU, soggiace a un doppo limite: quello europeo e quello appunto CEDU[8]. I dati ISPRA del 2023 arrivano dopo la storica sentenza della Corte di Strasburgo nel caso “Verein KlimaSeniorinnen” del 9 aprile 2024, i cui paragrafi 441 e 550 hanno stabilito, tra le altre cose, i requisiti necessari affinché la mitigazione statale risulti conforme alla tutela effettiva intertemporale dei diritti presidiati dall’art. 8 CEDU. La conformità alla CEDU, pertanto, si affianca a quella unionale europea. Si tratta, tuttavia, di una conformità qualitativa e non invece meramente quantitativa (come quella richiesta dal Regolamento UE n. 2023/857), essendo volta a ridurre non semplicemente le emissioni statali, bensì il rischio di danno alla qualità della vita, imputabile alle emissioni statali. Detto altrimenti, la conformità a CEDU implica, prima ancora che un giudizio prognostico sulla traiettoria della mitigazione climatica (in sede UE svolto dalla Commissione ai sensi del citato art. 14 del Regolamento UE n. 2023/857), un giudizio diagnostico, che la Corte di Strasburgo attribuisce a qualsiasi potere statale, in merito all’adempimento nazionale degli obblighi positivi di protezione derivanti dall’art. 8 CEDU: adempimento a sua volta verificabile attraverso lo scrutinio dei cinque requisiti necessari di mitigazione, scanditi dal citato paragrafo 550 di “Verein KlimaSeniorinnen”.
Poiché neppure dei cinque requisiti necessari CEDU risulta traccia dai dati ISPRA, si deve presumere che l’inadeguatezza della mitigazione climatica italiana si estenda anche al non adempimento degli obblighi positivi di protezione ex art. 8 CEDU. Profilo, questo, che si aggiunge, senza sostituirsi, a quelli già evidenziati sul fronte unionale europeo, dato che la UE non aderisce alla CEDU e la CEDU, a sua volta, vincola l’Italia per la migliore tutela dei diritti (nei termini ovviamente dell’art. 117 comma 1 Cost.).
3. Le conseguenze della doppia inadeguatezza della mitigazione italiana
Ecco allora che questa doppia inadeguatezza della mitigazione climatica (sul fronte dell’Effort Sharing, richiesto dalla UE, sommato all’inadempimento degli obblighi positivi di protezione, riconosciuti dalla Corte di Strasburgo) espone l’Italia, nel convergente quadro di conoscenza dei danni prodotti e producibili dalle emissioni eccedenti (quantificati dalla “regola delle 1000 tonnellate”), su un crinale di plurime responsabilità di varia natura, tanto politiche e istituzionali (tra Stato e UE) quanto giuridiche tra Stato e cittadini, evidentemente legittimati, questi ultimi, a far valere la giustiziabilità delle proprie ragioni di tutela in termini di mancata attuazione del diritto europeo e di violazione diretta dell’art. 8 CEDU.
Se l’Italia non provvederà con urgenza a prendere sul serio il Green Deal europeo nel rispetto delle quantità europee di Effort Sharing e dei metodi di garanzia dei diritti umani, disegnati dalla decisione “Verein KlimaSeniorinnen”, la sua mitigazione climatica risulterà facilmente censurabile anche in sede giudiziaria, tanto civile, in nome del neminem laedere per mancata riduzione del rischio[9] nell’adempimento degli obblighi positivi di protezione, quanto amministrativa, per atti illegitimi in contrasto con l’ Effort Sharing e con la CEDU: e questo sia prima del 2030, in ragione del riformato art. 9 Cost. che impegna ad agire «anche nell’’interesse delle generazioni future», sia, e soprattutto, dopo il 2030, quando la “regola delle 1000 tonnellate” servirà a contare gli effettivi decessi da emissioni non ridotte, che si sarebbero potuti evitare adempiendo al diritto UE e alla CEDU, a discapito di tutte le soglie di sicurezza climatica indicate dalle fonti internazionali, a partire dall’art. 2 dell’UNFCCC del 1992 e dagli artt. 2 e 8 dell’Accordo di Parigi del 2015.
[1] Cfr. L. Aterini, Ispra, l'Italia ha tagliato le emissioni di gas serra del 26,4% sul 1990 mentre l'UE segna -37>#/i###, in Greenreport, 25 marzo 2025; S. Deganello, Emissioni, l’Italia sfora il tetto Ue: «Rischia di dover pagare oltre 25 miliardi», ne Il Sole-24 ore Energia e Ambiente, 6 aprile 2025.
[2] Si legga, per sintesi, il Comunicato stampa di ISRPA.
[3] La CO2 equivalente costituisce l’unità di misura che quantifica la forza climalterante di tutti i gas serra, parametrata a quella del biossido di carbonio.
[4] Relazione sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, allegata al Documento di economia e finanza (DEF) 2024.
[5] Valga, per tutti, il riferimento al World Air Quality Report 2024.
[6] J.M. Pearce, R. Parncu, Quantifying Global Greenhouse Gas Emissions in Human Deaths to Guide Energy Policy, in Energies, 16, 2023, 6074.
[7] Considerato che solo 36 multinazionali dell’Oil & Gas sono responsabili di circa la metà delle emissioni globali di CO2 (cfr. Carbon Majors: 2023 Data Update).
[8] M. Cunha Verciano, Il doppio limite del potere di mitigazione climatica dell’Italia dopo le sentenze CEDU del 9 aprile 2024, in www.giustiziainsieme.it, 22 gennaio 2025.
[9] Nella distinzione tra riduzione delle emissioni e riduzione del rischio, sancita dal paragrafo 441 di “Verein KlimaSeniorinnen”.
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