Sommario: 1. Introduzione. – 2. La voce di Cig e Cedu: una direzione comune. – 3. Il problema giuridico e l’orizzonte comparato. – 3.1. L’approccio restrittivo. – 3.2. Le traiettorie espansive. – 4. Conclusioni.
1. Introduzione
Negli ultimi anni, il contenzioso climatico strategico ha assunto una rilevanza tale da poter essere ormai considerato un laboratorio permanente del diritto pubblico comparato. Il fenomeno nasce come reazione alla carenza di obbligazioni positive capaci di vincolare gli Stati nella regolazione delle emissioni climalteranti prodotte dall’attività umana e può essere definito come quell’insieme di azioni giudiziarie promosse da individui o associazioni, spesso organizzazioni non governative, con l’obiettivo di sollecitare un mutamento nelle politiche statali, per contrastare l’inerzia di legislativi ed esecutivi di fronte ai rischi posti dal cambiamento climatico[1].
Si tratta dunque di azioni che non si limitano a chiedere la tutela di interessi particolari, investendo la complessa questione della responsabilità statale per inadempienze in materia climatica e sollevando interrogativi di particolare rilievo a proposito del rapporto tra potere giurisdizionale e potere politico. Il nodo principale risiede nello stabilire se e in quale misura l’omessa o insufficiente azione pubblica, qualora raggiunga una gravità tale da incidere sui diritti fondamentali, possa dar luogo a rimedi giurisdizionali effettivi, ovvero se la definizione degli standard climatici resti prerogativa esclusiva degli organi politici, sottratta al sindacato giurisdizionale in virtù della loro discrezionalità anche in caso di perdurante inerzia.
A rendere attuale la riflessione è intervenuto il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia (Cig) dello scorso 23 luglio[2], che, se letto in parallelo alla giurisprudenza più recente della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu)[3], mostra una convergenza verso la “via giudiziaria” alla transizione ecologica, nel riconoscere al potere giurisdizionale un ruolo di controllo sul rispetto degli obblighi ambientali da parte degli Stati, a prescindere dalla discrezionalità politica sulle scelte di policy[4].
Questi sviluppi si collocano in un quadro multilivello in cui pesa l’assenza di strumenti capaci di vincolare in modo stringente gli Stati al rispetto degli obblighi assunti[5], che si traducono in norme programmatiche con obiettivi di lungo periodo[6]. In tale contesto, le voci della Cig e della Cedu si innestano in un dialogo con altri attori internazionali: le Nazioni Unite, innanzitutto, che hanno avuto un ruolo propulsivo attraverso l’Assemblea generale nella richiesta del parere consultivo alla Corte dell’Aia; ma anche un dialogo inter-giurisdizionale più ampio, che comprende, tra gli altri, l’opinione consultiva resa dal Tribunale internazionale per il diritto del mare (ITLOS) il 21 maggio 2024[7] e, nell’area interamericana, l’opinione della Corte IDH del 3 luglio 2025, che riconosce il primato oggettivo delle leggi della natura sui diritti e sulle norme umane, istituendo il principio pro natura come criterio vincolante per la protezione dei diritti umani e degli ecosistemi[8]. Ne deriva un tessuto normativo in evoluzione, nel quale gli standard di dovuta diligenza, precauzione, cooperazione e tutela dei soggetti vulnerabili tendono a consolidarsi e a riflettersi sempre più nelle giurisprudenze domestiche.
In questa cornice, il presente contributo, dopo aver richiamato i contenuti essenziali del parere della Cig e delle pronunce della Cedu (par. 2), si propone di riflettere sulle diverse declinazioni del rapporto tra giurisdizione e decisione politica emerse nelle tappe fin qui compiute dalle Corti costituzionali e di merito, esaminando alcune tra le più rilevanti decisioni rese in sede di contenzioso climatico (par. 3), e ragionando sul ruolo preponderante del formante giurisprudenziale in materia ambientale (par. 4).
2. La voce di Cig e Cedu: una direzione comune
Nel parere del 23 luglio 2025, la Cig ha deliberato su due punti fondamentali, fra loro interconnessi. Il primo riguarda la determinazione degli obblighi degli Stati, ai sensi del diritto internazionale, finalizzati alla protezione del sistema climatico e delle altre componenti ambientali dalle emissioni antropogeniche di gas a effetto serra, a tutela sia delle generazioni presenti sia di quelle future. Il secondo attiene alle conseguenze giuridiche derivanti dall’inadempimento di tali obblighi, nel caso in cui questo provochi un danno significativo al sistema climatico e all’ambiente.
Il parere risponde alla cd. Vanuatu ICJ Inititative[9], che nel marzo 2023 aveva condotto l’Assemblea generale delle Nazioni Unite – con il sostegno di 132 Stati membri – a richiedere alla Corte dell’Aia un pronunciamento fondato sulla Carta ONU, sui Patti internazionali in materia di diritti civili, politici, economici, sociali e culturali, sulla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, sull’Accordo di Parigi e sulla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare[10].
La Cig ha deciso all’unanimità, richiamando un ampio ventaglio di fonti normative[11]. Innanzitutto, i trattati climatici – dall’UNFCCC al Protocollo di Kyoto e all’Accordo di Parigi – che fissano l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale entro 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, da cui discende l’obbligo per gli Stati di presentare Nationally Determined Contributions (NDC) modellate su standard elevati di due diligence e idonee a contribuire in modo effettivo al raggiungimento degli obiettivi globali[12].
La Corte poi richiama le decisioni delle Conferenze delle Parti (CoP) come parametro interpretativo, oltre ad altri strumenti normativi ambientali, quali la Convenzione di Vienna per la protezione dell’ozono e il Protocollo di Montreal, la Convenzione sulla Diversità biologica, quella per la lotta alla desertificazione e la Convenzione sul diritto del mare (UNCLOS), che impone precisi doveri di tutela dell’ambiente marino. Su questo piano, il parere interseca quello reso dall’ITLOS il 21 maggio 2024[13], che pure ha esteso l’obbligo di protezione dell’ambiente marino ai rischi legati al cambiamento climatico, come l’acidificazione degli oceani e l’innalzamento del livello del mare[14].
Su versante del diritto internazionale consuetudinario, la Cig fa riferimento al dovere generale degli Stati di prevenire, con la dovuta diligenza, danni significativi all’ambiente, statuendo che si tratta di un obbligo la cui applicazione si estende anche a minacce di portata globale come il cambiamento climatico. In tale prospettiva, il dovere di cooperazione viene a configurarsi come elemento consolidato del diritto internazionale consuetudinario.
La Corte si sofferma inoltre sul rapporto tra cambiamento climatico e diritti umani, evidenziando come gli effetti negativi del climate change incidano sull’esercizio di diritti fondamentali quali la vita, la salute, un tenore di vita dignitoso e la privacy.
Sul piano delle conseguenze giuridiche, la Cig qualifica la violazione di tali obblighi climatici come atto illecito internazionale. Si tratta del punto di maggiore interesse ai fini della presente analisi. Invero, con questa affermazione la Corte dell’Aia sottrae alla disponibilità della discrezionalità politica il rispetto di tali obblighi, elevandoli a responsabilità giuridiche precise, vincolanti e suscettibili di verifica. Ed è significativo che la Cig si riferisca a tutti gli Stati, non solo a quelli che hanno firmato gli accordi, sancendone quindi una responsabilità almeno concorrente[15].
In ciò il punto di intersezione con la giurisprudenza più recente della Corte Edu, che ha riconosciuto, nell’alveo dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), il diritto degli individui a una protezione effettiva contro i rischi derivanti dal cambiamento climatico, facendo discendere da ciò un obbligo positivo in capo agli Stati: quello di adottare misure adeguate a mitigare gli effetti, presenti e futuri, della crisi climatica[16].
Ne deriva che le giurisdizioni nazionali diventano il luogo naturale per l’accertamento della responsabilità extracontrattuale: esse, infatti, sono chiamate a verificare in concreto se l’inerzia o l’insufficienza delle politiche statali in materia climatica si traduca in una violazione di diritti soggettivi. La discrezionalità politica, dunque, incontra il limite degli obblighi determinati da fonti cogenti e, se il deficit normativo è dimostrabile, spetta al giudice verificarne l’adempimento[17]. Ecco la direzione comune percorsa da Cig e Cedu, secondo le quali se è vero che i giudici nazionali e sovranazionali non assumono il compito di governare la transizione ecologica, ad essi spetta in ogni caso quello di vigilare affinché gli Stati non eludano gli obblighi climatici.
3. Il problema giuridico e l’orizzonte comparato
Dal punto di vista comparato, l’analisi delle decisioni più rilevanti rese dalle Corti nazionali in materia di contenzioso climatico strategico consente di distinguere due modelli di intervento giudiziario, riconducibili a concezioni differenti del principio di separazione dei poteri[18], come si approfondirà nei paragrafi che seguono.
Gli orientamenti giurisprudenziali oscillano infatti tra un approccio di self-restraint, che limita l’ingerenza giudiziaria nelle scelte politiche in materia ambientale, e una linea più proattiva, volta a fissare parametri vincolanti per l’azione dei pubblici poteri.
3.1. L’approccio restrittivo
Un primo filone giurisprudenziale è ispirato a una concezione “rigida” della separazione dei poteri[19], che conduce a un approccio decisionale restrittivo: anche in presenza di lesioni di principi fondamentali, il giudice “fa un passo indietro” nel rispetto della discrezionalità della decisione politica.
Un esempio rilevante è offerto dalla giurisprudenza degli Stati Uniti. Si pensi ai casi American Electric Power Company Inc.[20] e Comer[21], in cui i giudici hanno applicato la teoria dell’atto politico al cambiamento climatico, statuendo che le decisioni sulla riduzione delle emissioni comportano valutazioni di ragionevolezza e bilanciamenti tra interessi confliggenti spettanti in via esclusiva al potere legislativo o a quello esecutivo, anche attraverso la cooperazione internazionale. Lo stesso approccio è stato ribadito dalla Ninth Circuit Court of Appeals nel celebre caso Juliana[22], secondo cui non spetta in alcun modo ai poteri di una Corte pronunciarsi sulle scelte di policy in materia di rimedi ambientali, che competono in ogni caso alla decisione degli organi politico-rappresentativi.
In Europa, un’impostazione analoga è riscontrabile nella vicenda Klimatzaak, decisa dalla Corte di prima istanza di Bruxelles[23], che ha ritenuto di non potersi pronunciare pur avendo accertato la violazione, da parte dello Stato belga e delle tre regioni che lo compongono, dell’art. 1382 del Codice civile e degli artt. 2 e 8 CEDU. Secondo la sentenza, il principio della separazione dei poteri impedirebbe a un giudice di ordinare al governo di modificare i propri obiettivi di riduzione delle emissioni, trattandosi di una materia riservata al legislatore e all’esecutivo. Una decisione poi riformata dalla Corte d’Appello di Bruxelles che, oltre a confermare le violazioni, ha anche condannato le autorità a ridurre le emissioni di gas serra[24].
Di recente, anche il Tribunale di Roma ha fondato la sua pronuncia su tale approccio restrittivo[25]. Adito da associazioni, cittadini e genitori in rappresentanza di minori che chiedevano la condanna dello Stato all’adozione di misure idonee a garantire, entro il 2030, una riduzione delle emissioni nazionali di CO2 del 92% rispetto ai livelli del 1990, con conseguente adeguamento del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), il giudice romano ha risposto respingendo le pretese attoree, dichiarandole inammissibili per difetto assoluto di giurisdizione[26].
La motivazione si articola intorno a due snodi, strettamente connessi tra loro: da un lato l’individuazione del petitum sostanziale, che il giudice riconduce alla richiesta di un controllo sulle modalità e sui tempi dell’esercizio del potere legislativo e dell’indirizzo politico-amministrativo; dall’altro la conseguente affermazione secondo cui le politiche climatiche, proprio perché implicano valutazioni di natura politico-economica e richiedono complessi bilanciamenti tra costi e benefici, devono restare affidate alla discrezionalità degli organi politici e non possono tradursi in obbligazioni immediatamente coercibili in sede civile[27].
Si tratta, tuttavia, di una decisione che potrebbe essere riformata in quanto su di essa pende il giudizio di appello[28], che contesta la sentenza innanzitutto sul piano logico, rilevando che il giudice di primo grado non si è pronunciato sulla domanda principale, volta all’accertamento di un nuovo diritto fondamentale alla stabilità e sicurezza del sistema climatico, ricavabile da parametri costituzionali e sovranazionali[29]. Secondo i ricorrenti, in particolare, l’accertamento di tale diritto era pregiudiziale alla verifica nel merito se vi fosse stata o meno una violazione di esso da parte dello Stato. Sul punto, l’atto di appello insiste a sottolineare che un giudizio di questo tipo non si tradurrebbe in una “creazione” normativa, ma rappresenterebbe l’unico modo per rendere effettivi gli obblighi ambientali assunti dall’Italia in sede europea e internazionale, come confermato dalle sentenze KlimaSeniorinnen e Duarte della Corte di Strasburgo, che individuano nell’autorità nazionale il giudice naturale della responsabilità extracontrattuale climatica[30].
In questo quadro, acquista rilievo anche la recente ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione che, seppure in un contesto diverso, ha affermato la giurisdizione del giudice civile italiano sulle azioni risarcitorie per danni climatici contro operatori privati, normalizzando il nesso tra cambiamento climatico e illecito civile[31]. Tale orientamento rafforza la prospettiva di un ampliamento della giurisdizione interna in materia climatica, aprendo la strada al possibile accoglimento dell’appello.
3.2. Le traiettorie espansive
Un diverso orientamento giurisprudenziale si riscontra in un secondo filone di casi, nei quali i giudici hanno ritenuto compatibile con l’assetto costituzionale la possibilità di pronunciarsi direttamente sui piani di riduzione delle emissioni predisposti dal legislatore o dall’esecutivo. Questa tendenza si basa su una diversa lettura della separazione dei poteri, intesa in senso “funzionale”, vale a dire non come fine in sé[32], ma come strumento al servizio dell’obiettivo fondamentale delle democrazie costituzionali, quello di coniugare l’autonomia collettiva, espressa attraverso le procedure democratiche di formazione della volontà legislativa, con l’autonomia individuale, che deve potersi affermare anche di fronte alla maggioranza, grazie alla presenza di pesi e di contrappesi che impediscano la compressione eccessiva dei diritti[33]. In questa prospettiva, il giudice non viene a sostituirsi al legislatore, ma ne limita il potere, garantendo il rispetto di obblighi imposti a livello costituzionale o sovranazionale.
All’interno di questo filone possono distinguersi tre gruppi di decisioni.
Un primo approccio si limita a rilevare l’illegittimità delle politiche invocando l’intervento legislativo. È il caso, ad esempio, della vicenda Neubauer, decisa nel 2021 dal Bundesverfassungsgericht[34]. La questione verteva sulla Klimaschutzgesetz (Legge sul clima) del 2019, che obbligava il Governo federale a ridurre entro il 2030 le emissioni di gas serra del 55% rispetto ai livelli del 1990, fissando un tetto massimo di emissioni annuali e rinviando al 2025 l’adozione di ordinanze per il periodo successivo al 2030. La Corte costituzionale federale ha dichiarato tale disposizione in contrasto con l’art. 20a della Grundgesetz, secondo il quale “lo Stato tutela, anche nell’interesse delle generazioni future, le basi naturali della vita e gli animali, nell’ambito dell’ordine costituzionale e mediante la legislazione e, secondo il diritto e la legge, attraverso l’esecuzione e la giurisprudenza”. Nella lettura del Bundesverfassungsgericht, l’art. 20a non solo sancisce un obiettivo di protezione ambientale, ma impone alle istituzioni di adottare misure efficaci e progressive di tutela, includendo il clima[35]. Il giudice costituzionale tedesco, quindi, ha giudicato incostituzionale la Klimaschutzgesetz nella parte in cui non garantiva obiettivi di riduzione sufficientemente determinati per il periodo post-2030, chiamando in causa, a questo punto, il legislatore, tenuto al rispetto del principio di proporzionalità che tale disposizione prescrive, anche in prospettiva intergenerazionale[36].
A un secondo gruppo di decisioni appartengono quelle pronunce che vanno oltre la mera costatazione dell’inadempimento, individuando parametri vincolanti da rispettare. Si pensi alla sentenza Urgenda pronunciata nel 2019 dalla Corte Suprema dei Paesi Bassi[37], che ha imposto allo Stato di ridurre le emissioni di CO₂ del 25% entro la fine del 2020 e del 40% entro il decennio successivo, rispetto ai livelli del 1990. La Corte ha fondato tale decisione sul duty of care statale, in forza degli artt. 2 e 8 CEDU, dell’art. 21 della Costituzione olandese e delle norme codicistiche sulla responsabilità civile. In particolare, la sentenza ha escluso la lesione del principio di separazione dei poteri, ritenendo spettante alla piena attribuzione del potere giudiziale il controllo sull’adempimento di obblighi internazionali vincolanti per lo Stato. Altro è poi la scelta dei mezzi attuativi, rimessa invece alla discrezionalità del potere politico[38].
Un terzo gruppo è quello che ricorre a rimedi risarcitori, come nel caso Affaire du Siècle deciso dal Tribunale Amministrativo di Parigi[39], che ha riconosciuto la responsabilità della Francia per la mancata riduzione nel breve periodo delle emissioni di gas serra, causa di un préjudice écologique per i ricorrenti. Muovendo da una serie di obblighi configuranti in capo allo Stato il dovere di contrastare le alterazioni climatiche – tra cui la Convenzione quadro delle Nazioni Unite del 1992, l’Accordo di Parigi del 2015, il Pacchetto per il clima e l’energia del 2009, il Regolamento UE 2018/842, la Charte de l’environnement (inserita nella Costituzione francese) e il Code de l’énergie –, i giudici parigini, accertato come il suddetto dovere fosse stato sistematicamente disatteso, hanno condannato lo Stato a un risarcimento in forma specifica ex art. 1246 del Code civil[40].
4. Conclusioni
Gli spunti di riflessione offerti dall’analisi sin qui svolta sono molteplici. Innanzitutto, sebbene l’esperienza comparata indichi che non esiste un modello unico, si può parlare del “consolidamento di una strategia comune di litigio climatico a livello globale”[41], nel contesto del quale il recente parere della Cig e le menzionate sentenze della Cedu sembrerebbero spostare l’ago della bilancia verso una concezione elastica del rapporto tra potere politico e giurisdizionale.
La direzione è la medesima e relativizza la discrezionalità dei singoli ordinamenti, vincolando le decisioni di policy a parametri che il diritto internazionale dell’ambiente e dei diritti umani contribuisce a definire con sempre maggiore precisione.
In quest’ottica, le Corti nazionali sono invitate a un ruolo essenziale, non sostitutivo ma complementare[42], nella verifica che le scelte politiche rispettino i vincoli giuridici imposti a tutela dei diritti fondamentali[43]. In tal senso le decisioni della Cig e della Cedu non vanno lette come episodi isolati, ma come parte di un più ampio processo di giurisdizionalizzazione della crisi climatica, alimentato dal dialogo con altri attori internazionali: dalle Nazioni Unite e i loro comitati di monitoraggio, all’ITLOS e alla Corte interamericana. Questa rete multilivello contribuisce a rafforzare la percezione degli obblighi climatici come obblighi giuridici cogenti e non come mere scelte di policy, orientando così l’evoluzione del diritto pubblico comparato verso una sempre maggiore integrazione tra dimensione politica e giudiziaria.
Ciò induce a riflettere sulla giustizia ambientale come “un significativo esempio di interazione tra formanti”[44], in cui l’attività di Corti e Tribunali specializzati si iscrive in un dinamismo creativo che tende a integrare la decisione politica[45].
Sullo sfondo, rimane poi la questione del risarcimento dei danni causati dall’inerzia dello Stato agli individui lesi. Se è vero infatti che le richieste della climate change litigation non si sostanziano in un risarcimento pecuniario se non in forma simbolica, come nel caso francese, ma nella domanda dell’adempimento/risarcimento in forma specifica – attraverso l’obbligo per lo Stato di adottare le misure necessarie a eliminare il pregiudizio attuale e i rischi futuri[46] – si può considerare il contenzioso ambientale come una delle espressioni di quella tendenza giurisprudenziale a utilizzare rimedi risarcitori contro le omissioni del potere pubblico[47].
Ne rappresenta un esempio il modello lusitano diffusosi, contro le omissioni del legislatore, in attuazione dell’articolo 22 della Costituzione portoghese, poi ridimensionato dalla legge sulla responsabilità extracontrattuale in Portogallo, così come il rimedio previsto dall’articolo 207, comma 2, lett. d) della Costituzione provinciale del Río Negro in Argentina, che sanziona la perdurante inerzia del potere pubblico con un risarcimento nei confronti della vittima dell’omissione[48].
Si tratta anche in questo caso di un indicatore del cambiamento che involge il rapporto della giurisdizione con il potere politico nei sistemi giuridici contemporanei, ricordando come “la funzione giudiziaria e il ruolo del giudice non solo sono cambiati nel tempo, ma mutano a seconda della società e dell’ordine in cui si inseriscono (e contribuiscono a costruire)”[49].
[1] Per un quadro dei dati relativi a tale contenzioso, si v. UN Environment Programme, Global Climate Litigation Report, 2025 Status Review, 2025, reperibile al seguente indirizzo web: https://www.unep.org/resources/report/global-climate-litigation-report-2025-status-review. Tali azioni possono fondarsi tanto sul duty of care, la cui violazione può configurare una responsabilità extracontrattuale dello Stato, quanto sui diritti umani, la cui lesione risulterebbe inevitabile in caso di mancato rispetto degli obblighi in materia di cambiamento climatico. Cfr. D. Misonne, M. Torre Schaub, A. Adam, Cronique sur la Justice Climatique en Europe (2015-2022), in Revue Trimestrielle de Droit de l’Homme, 2023, pp. 454 e ss.; A. Pisanò, Il diritto al clima. Il ruolo dei diritti nei contenziosi climatici europei, ESI, Napoli, 2022; B. Pozzo, La climate change litigation in prospettiva comparatistica, in RGA, n. 2/2021, pp. 271 e ss.; Ead., Climate Change Litigation in a Comparative Law Perspective, in F. Sindico, M.M. Mbengue (a cura di), Comparative Climate Change Litigation: Beyond the Usual Suspects, Ius Comparatum - Global Studies in Comparative Law, vol. 47, Cham, 2021, p. 597; A. Savaresi, J. Setzer, Rights-based litigation in the climate emergency: mapping the landscape and new knowledge frontiers, in Journal of Human Rights and the Environment, 2022. Sulla nozione di cambiamento climatico cfr. M. Carducci, Cambiamento climatico, ad vocem, in Digesto delle Discipline Pubblicistiche, Aggiornamento, Torino, 2021; Id., La ricerca dei caratteri differenziali della “giustizia climatica”, in DPCE online, n. 2/2020, p. 1350; S. Baldin. P. Viola, L’obbligazione climatica nelle aule giudiziarie. Teorie ed elementi determinanti di giustizia climatica, in DPCE, n. 3/2020, pp. 597 e ss.
[2] Corte Internazionale di Giustizia, Parere consultivo del 23 luglio 2025.
[3] Corte europea dei diritti dell’uomo (Grande Camera), Verein KlimaSeniorinnen Schweiz and Others c. Svizzera, sentenza 9 aprile 2024, ric. n. 53600/20; Duarte Agostinho e al. v. Portogallo e altri 32, sentenza 9 aprile 2024, ric. n. 3937/20, del 9 aprile 2024.
[4] Sul punto si v. D. Amirante, Costituzionalismo ambientale. Atlante giuridico per l'Antropocene, il Mulino, Bologna, 2022; D. Bodansky, The Art and Craft of International Environmental Law, Harvard University Press, Cambridge, 2010.
[5] Cfr. J. Klabbers, On Responsible Global Governance, in Id. (a cura di), Towards Responsible Global Governance, Helsinki University Press, Helsinki, 2018, pp. 17 ss.; K. Kulovesi, M.E. Recio, Fighting a hard battle with a soft weapon: is international climate change law softening?, in M. Eliantonio, E. Korkea-aho, U. Mörth, (a cura di), Research Handbook on Soft Law, Elgar, Cheltenham, 2023, pp. 320 e ss.
[6] Si v. P.M. Dupuy, J.E. Viñuales, International Environmental Law, Cambridge University Press, Cambridge, 2018, pp. 187 e ss.
[7] International Tribunal for the Law of the Sea, Parere consultivo n. 312 del 21 maggio 2024.
[8] Corte Interamericana dei Diritti Umani, Opinione Consultiva n. 32/25 (OC-32/25), su cui cfr. M. Carducci, Prima la natura. La svolta epistemologica nell’Opinione Consultiva n. 32/25 della Corte Interamericana dei Diritti Umani, in Diritticomparati.it, 9 settembre 2025.
[9] Sulla quale si v. https://www.vanuatuicj.com/home.
[10] Corte Internazionale di Giustizia, Risoluzione 77/276, del 29 marzo 2023.
[11] Per approfondire il contesto giuridico internazionale si v. B. Mayer, International Law Obligations Arising in relation to Nationally Determined Contributions, in Transnational Environmental Law, vol. 7, n. 2/2018, pp. 251 e ss.; Id., The International Law on Climate Change, Cambridge University Press, Cambridge, 2018; S.T. Zaman, Exploring the Legal Nature of Nationally Determined Contributions (NDCs) under International Law, in Yearbook of International Environmental Law, vol. 26, n. 1/2015, pp. 98 e ss.
[12] Sulla natura giuridica di tali obblighi, che non introducono meccanismi sanzionatori da attivare nei confronti delle Parti inadempienti, ma solo un processo di revisione degli obiettivi da svolgersi con cadenza quinquennale, si v. S. Baldin. P. Viola, L’obbligazione climatica nelle aule giudiziarie…, cit., pp. 610 e ss.; L. Aristei, L’Accordo di Parigi: obiettivi e disciplina, in Riv. Quadr. Dir. Amb., n. 3/2017, pp. 73 e ss.
[13] International Tribunal for the Law of the Sea, Parere consultivo n. 312 del 21 maggio 2024.
[14] Cfr. sul punto A. Latino, Il cambiamento climatico in aula: come il Parere della Corte Internazionale di Giustizia plasma il futuro della governance ambientale, in Osservatorio sul costituzionalismo ambientale. DPCE online, 29 luglio 2025, p. 3.
[15] Cfr. D. Amirante, Emergenze climatico-ambientali e ricadute sul costituzionalismo, relazione tenuta in occasione dell’XI Convegno annuale dell’Associazione Diritto Pubblico Comparato ed Europeo “Il costituzionalismo, oggi”, Padova, 19 settembre 2025.
[16] Corte europea dei diritti dell’uomo (Grande Camera), Verein KlimaSeniorinnen Schweiz and Others c. Svizzera, sentenza 9 aprile 2024, ric. n. 53600/20, § 544 e 545. Cfr. S. Arntz, J. Krommendijk, Historic and Unprecedented, in Verfassungsblog, 9 aprile 2024; C. Heri, On the Duarte Agostinho Decision, in Verfassungsblog, 15 aprile 2024; J. Letwin, Klimaseniorinnen: the Innovative and the Orthodox, in EJIL Talk!, 17 aprile 2024; J. Reich, KlimaSeniorinnen and the Choice Between Imperfect Options, in Verfassungsblog, 18 aprile 2024; M. Torre-Schaub, The European Court of Human Rights’ Kick Into Touch, in Verfassungsblog, 19 aprile 2024.
[17] Cfr. F. Gallarati, Il costituzionalismo climatico dopo KlimaSeniorinnen, in Osservatorio sul costituzionalismo ambientale. DPCE online, 6 giugno 2024; G. Grasso, Cambiamento climatico, separazione dei poteri, processo decisionale democratico: l’Assemblea federale svizzera “stoppa” la Corte europea dei diritti dell’uomo, in Osservatorio sul costituzionalismo ambientale. DPCE online, 2 luglio 2024; A. Lupo, Verso la positivizzazione di un nuovo diritto umano al clima stabile e sicuro? Prime riflessioni a caldo sulla sentenza della Corte CEDU del 9 aprile 2024, in Giustizia Insieme, 5 giugno 2024; F. Motta, La decisione CEDU “Duarte Agostinho e altri” produce ricadute sugli artt. 28 Cost. e 2740 Cod. civ., ignorati in Italia insieme al riformato art. 9 Cost., in Osservatorio sul costituzionalismo ambientale. DPCE online, 26 luglio 2024; L.A. Nocera, Il caso Duarte Agostinho: inammissibilità o linee-guida pro futuro?, in Osservatorio sul costituzionalismo ambientale. DPCE online, 26 luglio 2024.
[18] Sul significato del principio di separazione dei poteri in rapporto alle diverse epoche storiche, cfr. G. Amato, Le istituzioni della democrazia, Bologna, il Mulino, 2015, p. 141.
[19] Si v. H. Scohukens, Climate change litigation and the separation of powers: effective legal protection as the ultimate yardstick?, in F. Sindico, K. McKenzie, G.A. Medici-Colombo, L. Wegener (a cura di), Research Handbook on Climate Change Litigation, Cheltenham, 2024, pp. 187 e 188.
[20] American Electric Power Company Inc. et al. v Connecticut, 564 U.S. 410 (2011).
[21] District Court for the Southern District of Mississippi, 30 agosto 2007, WL 6942285, Comer v. Murphy Oil USA; Oakland, Order of Judge Alsup, Jun. 2018.
[22] Juliana v. United States, United States Court of Appeals for the Ninth Circuit, No. 18-36082 D.C. No. 6:15-cv-01517- AA, p. 25.
[23] Tribunal de première instance francophone de Bruxelles, Section Civile, 4ème Chambre, 17 giugno 2021 2015/4585/A.
[24] Cour d’appel de Bruxelles, Section Civile, 2ème Chambre, 30 novembre 2023, 2021/AR/1589, 2022/AR/737 e 2022/AR/891.
[25] Tribunale Civile di Roma, sentenza n. 3552/2024 – A Sud et al. C. Italia, 26 febbraio 2024.
[26] Sul punto si v. G. Scarselli, Contenzioso climatico e giurisdizione, in Giustizia Insieme, 26 novembre 2024.
[27] La sentenza è stata accolta criticamente dalla dottrina, che ne ha in larga parte parlato come di una “decisione di non decidere” del Tribunale di Roma, così G. Palombino, Il “Giudizio universale” è inammissibile: quali prospettive per la giustizia climatica in Italia?, in lacostituzione.info, 25 marzo 2024; L. Cardelli, La sentenza “Giudizio Universale”: una decisione retriva, in lacostituzione.info, 11 marzo 2024; R. Cecchi, Il giudizio (o silenzio?) universale: una sentenza che non farà la storia, in Diritticomparati.it, 15 maggio 2024.
[28] Corte d’Appello civile di Roma, atto di citazione in appello, 24 settembre 2024, reperibile online al seguente link: https://storage.e.jimdo.com/file/28c56646-988e-453b-b2bd-32705b30354a/Atto%20cit.%20appello%20G.U..pdf.
[29] Cfr. in part. i p.ti 42, 52 e 87 dell’atto di appello.
[30] Cfr., ivi, i p.ti 60, 127, 139, oltreché il p.to 134, ove i ricorrenti evidenziano come la legittimazione ad agire delle associazioni nell’ambito del contenzioso climatico sia riconosciuta dagli articoli 34 CEDU e dalla Convenzione di Aarhus. Si v. le considerazioni di M. Cunha Verciano, Il doppio limite del potere di mitigazione climatica dell’Italia dopo le sentenze CEDU del 9 aprile 2024, in Giustizia Insieme, 22 gennaio 2025.
[31] Corte di Cassazione, Sezioni Unite, ordinanza n. 20381 del 21 luglio 2025, su cui cfr. A.S. Bruno, Contenzioso climatico italiano e sistema delle fonti, in Giustizia Insieme, 26 settembre 2025; Una svolta nella giustiziabilità climatica? Le Sezioni Unite e il caso Greenpeace vs ENI, in Giustizia Insieme, 24 luglio 2025; L. Serafinelli, Cass. Civ., Sez. Un., ord. 21 luglio 2025, n. 20381, Greenpeace et al. c. Eni et al.: navigare nel mare (forse un poco meno?) incerto del contenzioso climatico all’italiana, in Osservatorio sul costituzionalismo ambientale. DPCE online, 29 luglio 2025.
[32] B. Ackermann, The New Separation of Powers, in Harvard Law Review, vol. 113, n. 3, 2000, pp. 633 e ss.
[33] C. Eckes, P. Leino-Sandberg, A. Wallerman Ghavanini, Conceptual Framework for the Project Separation of Powers for 21st Century Europe (SepaRope), Amsterdam Law School Research Paper No. 2021-06, Amsterdam Centre for European Law and Governance Research Paper No. 2021-01, disponibile al seguente indirizzo web: https://ssrn.com/abstract=3777334.
[34] BVerfG, 24 marzo 2021, Neubauer e al. v. Germania.
[35] Cfr. S. Baldin. P. Viola, L’obbligazione climatica nelle aule giudiziarie…, cit., p. 622. Per un approfondimento sull’art. 20a Grundgesetz, si v. S. Rohn, R. Sannwald, Die Ergebnisse der Gemeinsamen Verfassungskommission, in ZRP, 1994, pp. 65 e ss.; R. Sannwald, Die Reform des Grundgesetzes, in NJW, 1994, pp. 3313 e ss.
[36] Ivi, §192. Sul punto si v. L. Bartolucci, Il più recente cammino delle generazioni future nel diritto costituzionale, in Osservatorio AIC, n. 4/2021, pp. 222 e ss.; A. Di Martino, Intertemporalità dei diritti e dintorni: le scelte argomentative del Bundesverfassungsgericht nella sentenza sul clima e le interazioni con i processi climatici, in Rivista di Diritti Comparati, n. 2/2023, pp. 56 e ss.; F. Gallarati, Generazioni a processo: modelli teorici di responsabilità intergenerazionale alla prova del contenzioso climatico, in BioLaw Journal, n. 2/2023, pp. 173 e ss.; R. Montaldo, La neutralità climatica e la libertà di futuro (BVerfG, 24 marzo 2021), in Diritticomparati.it, 1 luglio 2021; M. Pignataro, Il dovere di protezione del clima e i diritti delle generazioni future in una storica decisione tedesca, in EuBlog.eu, 17 maggio 2021; L. Violini, G. Formici, Doveri intergenerazionali e tutela dell’ambiente: riforme costituzionali e interventi della giurisprudenza, in P. Pantalone (a cura di), Doveri intergenerazionali e tutela dell’ambiente. Sviluppo, sfide e prospettive per Stati, imprese e individui, STEM Mucchi Editore, Modena, 2021, pp. 42 e ss.
[37] Hoge Raad 20 dicembre 2019, (Urgenda), ECLI:NL:HR:2019:2006.
[38] Cfr. sul punto S. Baldin. P. Viola, L’obbligazione climatica nelle aule giudiziarie…, cit., pp. 616 e ss.; M.F. Cavalcanti, M.J. Terstegge, The Urgenda Case: the Dutch Path Towards a New Climate Constitutionalism, in DPCE online, n. 2/2020, pp. 1371 e ss.; F. Gallarati, Il contenzioso climatico di tono costituzionale: studio comparato sull’invocazione delle costituzioni nazionali nei contenziosi climatici, in BioLaw Journal, n. 2/2022, pp. 162 e ss.; E. Guarna Assanti, Il ruolo innovativo del contenzioso climatico tra legittimazione ad agire e separazione dei poteri dello Stato. Riflessioni a partire dal caso Urgenda, in Federalismi.it, n. 17/2021, pp. 66 e ss.
[39] Tribunal Administratif de Paris, 14 ottobre 2021, Notre Affaire à Tous and Others v. France (Affaire du Siécle).
[40] Su cui si v. S. Baldin. P. Viola, L’obbligazione climatica nelle aule giudiziarie…, cit., pp. 620 e 621; M.F. Cavalcanti, Fonti del diritto e cambiamento climatico: il ruolo dei dati tecnico-scientifici nella giustizia climatica in Europa, in DPCE online, n. 2/2023, pp. 337 e 338; L. Del Corona, Brevi considerazioni in tema di contenzioso climatico alla luce della recente sentenza del Tribunal Administratif de Paris sull’“Affaire du Siècle”, in Rivista del Gruppo di Pisa, n. 2/2021, pp. 327 e ss.; Y. Guerra, R. Mazza, Climate Change Litigation: riflessioni comparate alla luce dell’affaire du siècle, in S. Lanni (a cura di), Sostenibilità globale e culture giuridiche comparate, Giappichelli, Torino, 2022, pp. 3 e ss.
[41] S. Bagni, La costruzione di un nuovo “eco-sistema giuridico” attraverso i formanti giudiziale e forense, in R. Tarchi (a cura di), I sistemi normativi post-vestfaliani tra decisioni politiche, integrazioni giurisprudenziali e fonti di produzione non formalizzate. Una ricostruzione in chiave comparata, DPCE online, Numero speciale, 2021, p. 1053.
[42] Corte europea dei diritti dell’uomo (Grande Camera), Verein KlimaSeniorinnen Schweiz and Others c. Svizzera, sentenza 9 aprile 2024, ric. n. 53600/20, § 412.
[43] Ivi, § 657.
[44] G. Pavani, Il diritto comparato e lo studio delle forme alternative di giustizia, in DPCE online, n. 4/2018, p. 918; nello stesso senso, cfr. S. Bagni, La costruzione di un nuovo “eco-sistema giuridico”…, cit., pp. 1027 e ss., che analizza la circolazione degli argomenti giuridici nel formante giurisprudenziale, riflettendo altresì sul ruolo del “formante forense”, che “rappresenta poi l’innesco di quello giurisprudenziale” (p. 1055).
[45] Cfr. R. Louvin, Le molte vie della giustizia ambientale: modelli a confronto, in DPCE online, n. 4/2018, pp. 929 e ss.; L. Kotze, A.R. Paterson (a cura di), The Role of the Judiciary in Environmental Governance. Comparative Perspective, Kluwer Law International, Londra, 2009.
[46] S. Bagni, La costruzione di un nuovo “eco-sistema giuridico”…, cit., p. 1054.
[47] Si v. P. Viola, Climate Constitutionalism Momentum. Adaptive Legal Systems, Springer, Berlino, 2022.
[48] Sui rimedi risarcitori contro le omissioni legislative si rinvia, amplius, alle considerazioni svolte in V. Capuozzo, Giurisdizioni costituzionali e silenzi del legislatore, Bologna, Filodiritto, 2024, in part. pp. 33-38; 121 e ss.; 193-195.
[49] G. Pavani, Il diritto comparato e lo studio delle forme alternative di giustizia, cit., p. 926; Ead., Il potere giudiziario, in L. Pegoraro, A. Rinella, Sistemi costituzionali comparati, Torino-Buenos Aires, 2017, in part. pp. 513 e ss. Cfr. S. Ragone, G. Smorto, Il primo libro di diritto comparato, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2025, in part. pp. 49 e ss.; 67 e ss.