GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Coltivazione di marijuana e uso personale dopo le Sezioni Unite  di Lorenzo Miazzi (parte seconda)

    Coltivazione di marijuana e uso personale dopo le Sezioni Unite

    di Lorenzo Miazzi

    PARTE SECONDA Le caratteristiche della coltivazione non punibile.

    Sommario: 7. “Minime dimensioni svolte in forma domestica” - 8. La destinazione in via esclusiva all’uso personale e i suoi indici sintomatici - 9. Le tecniche di coltivazione: cosa vuol dire “rudimentali” - 10. Lo “scarso” numero di piante: sì, ma quante? - 11. Una previsione difficile: il quantitativo ricavabile - 11 a. Il quantitativo “modestissimo” - 11 b. Il prodotto “ricavabile” - 12. La mancanza di indici di inserimento nell’ambito del mercato -13. Il concetto di uso personale e gli indici sintomatici - 14. Uso personale anche se la coltivazione è di  gruppo?

    7. “Minime dimensioni svolte in forma domestica”

    Allora esaminiamo il “core business” di questa importantissima e condivisibile sentenza: la non punibilità della “coltivazione domestica” destinata  all’uso personale. Lo si deve fare riportandosi passo passo alla densa elaborazione della Corte[1].

    Esaminando la massima della sentenza, emerge che la coltivazione scriminata deve essere una “coltivazione di minime dimensioni svolta in forma domestica… destinata in via esclusiva all’uso personale”.

    Sono dunque due gli elementi costitutivi che vanno accertati in fatto: le caratteristiche della coltivazione e la destinazione esclusiva all’uso personale.

    Partendo dalle caratteristiche della coltivazione, si deve trattare di una “coltivazione di minime dimensioni svolta in forma domestica”. La locuzione “di minime dimensioni svolte in forma domestica” significa a mio avviso che la coltivazione deve essere personale, svolta in luoghi di disponibilità del coltivatore, di dimensioni minime (ci si chiede immediatamente quante piante: sul punto si rinvia al par. 10). 

    Ora, il recupero del termine “coltivazione domestica” rimanda direttamente all’orientamento (disatteso dalle SS.UU. Di Salvia) che contrapponeva la coltivazione tecnico-agraria a quella domestica[2]. La sentenza Caruso più volte richiama quei concetti.

    A mio avviso perciò, rifacendosi a quell’orientamento,  la coltivazione domestica è quella che è effettuata in via approssimativa e rudimentale e i cui frutti sarebbero funzionali ad un utilizzo meramente personale, posta in essere preferibilmente in vaso con semina e governo della coltivazione manuali, senza la disponibilità di attrezzi, strutture e sostanze da cui desumere un approccio tecnico-agrario, cioè imprenditoriale, alla coltivazione.

    Un cenno sulle modalità materiali della semina. La sentenza Di Salvia riferiva la coltivazione domestica a quella in vaso; è chiaro che si tratta di una visione “urbana” della coltivazione[3]. Ritengo che non cambi la natura della coltivazione se avviene su minime porzioni di terreno proprio (la classica pianta in giardino) o altrui, specie se terreno pubblico (rimando ai miei ricordi di giudice del Delta del Po, negli anni ’90, quando molti fumatori di marijuana avevano le piantine seminate sugli argini dei canali).  La coltivazione non può essere considerata domestica, al contrario, quando è effettuata su un terreno per uso agricolo di cui si ha la disponibilità professionale.

    Forse è bene sottolineare che la sentenza, nella sua accezione letterale, non scrimina tutte le coltivazioni “destinate all’uso personale”, ma solo quelle “di minime dimensioni svolte in forma domestica”: quindi rimangono punibili le coltivazioni di dimensioni non minime, anche se a uso personale. In questo vi è differenza rispetto alla detenzione per uso personale, in cui il limite quantitativo è solo un indice (vedi par. 17).

    8. La destinazione in via esclusiva all’uso personale e i suoi indici sintomatici

    Più ancora del recupero del concetto di coltivazione domestica, è questo il fulcro della rivoluzionaria sentenza: la non punibilità non dipende dal tipo botanico (che è un presupposto), ma dipende dalla destinazione!

    Ma quali sono gli indici della destinazione all’uso personale? La sentenza si premura di darne alcune indicazioni, allo scopo di indirizzare il giudice di merito: non considerando penalmente rilevanti “le attività di coltivazione... che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore.”

    Analizziamo perciò specificamente i singoli indici.

    9. Le tecniche di coltivazione: cosa vuol dire “rudimentali”

    La sentenza parla di tecniche rudimentali.  Una preziosa indicazione potrebbe ricavarsi, a contrario, da Cass., Sez. VI, 10.5.2007, n. 17983, Notaro, che riteneva non punibile la coltivazione domestica distinguendola dalla “coltivazione in senso tecnico-agrario ovvero imprenditoriale, che è caratterizzata da una serie di presupposti, quali la disponibilità del terreno, la sua preparazione, la semina, il governo dello sviluppo delle piante, la presenza di locali destinati alla raccolta dei prodotti.”

    Fatto salvo l’inciso sulla disponibilità di terreno, di cui si è parlato sopra, possono quindi ritenersi “rudimentali” le tecniche che non prevedono un approccio agricolo imprenditoriale, ad esempio le coltivazioni in cui:

    - non c’è una preparazione specifica del terreno (esclusa la predisposizione del vaso, o la buca nel terreno all’aperto, in cui piantare il seme);

    - la semina avviene con modalità manuali e non meccaniche;

    - il governo dello sviluppo delle piante è manuale e meramente intuitivo (irrigo la pianta quando ha sete, estirpo le erbacce che la soffocherebbero, effettuo una concimazione con quei prodotti che si vendono in ogni fioreria, e egualmente difendo la pianta dai parassiti) senza macchine agricole, senza strumenti professionali di misurazione (dell’umidità del terreno, della composizione chimica…) e senza pianificazione di interventi (concimazioni, disinfestazioni…);

    - non vi è infine la presenza di locali destinati alla raccolta e conservazione dei prodotti (destinazione in via esclusiva, deve intendersi: non cambia la natura della coltivazione se l’essicazione viene fatta in un garage, se la conservazione avviene in una cantina dell’abitazione etc.).

    10. Lo “scarso” numero di piante: sì, ma quante?

    L’indicazione della sentenza (“scarso numero di piante”) evoca subito il problema del numero delle piante stesse.

    Ora, la casistica del numero di piante considerate dalla giurisprudenza nelle sentenze di questi decenni, nel processo di valutazione della sussistenza del reato, è molto vasta, ma non direttamente utilizzabile ai fini considerati dalla sentenza Caruso.

    Infatti, nel caso di contestazione del reato di coltivazione di sostanze stupefacenti, la valutazione del numero di piante era finalizzata all’esistenza di un principio attivo che soddisfacesse la condizione di offensività richiesta da Corte costituzionale 360/1995  e dalle sentenze pedisseque sopra ricordate[4]. In questo senso, quella giurisprudenza non è più utilizzabile acriticamente, in quanto per le SS.UU. il discrimine non è la quantità di principio attivo ma la destinazione ad uso personale (di cui la quantità di principio attivo è solo un indice).

    Più interessante e utile ai fini della presente indagine può essere invece l’esame della giurisprudenza in materia di particolare tenuità del fatto applicata alla coltivazione di marijuana; infatti la destinazione all’uso personale della sostanza stupefacente coltivata è stata per la giurisprudenza un elemento decisivo per escludere la punibilità[5].

    La casistica da me rinvenuta vede ritenere il fatto particolarmente tenue, essendo la sostanza destinata all’uso personale, dalla Suprema Corte per 3, 5, 13 piante e dai giudici di merito per 1 e 9 piante; mentre  viene esclusa la particolare tenuità da parte della Cassazione in un caso di rinvenimento di 26 piante[6]

    In conclusione: per quanto possa essere possibile ragionare in analogia fra gli istituti della particolare tenuità e della destinazione ad uso personale, si può ritenere che in materia di coltivazione, un numero di piante che non superi la decina può essere considerato “scarso” anche ai fini della non tipicità della coltivazione secondo i principi della sentenza Caruso.

    11. Una previsione difficile: il quantitativo ricavabile

    La Cassazione segnala come indice della destinazione all’uso personale “il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile” dalla coltivazione.

    E’ questo il più instabile degli indici suggeriti, perché basato a sua volta su due concetti, uno dei quali generico - il “modestissimo quantitativo”, che non viene… quantificato - e l’altro incerto - la prevedibilità del “prodotto ricavabile”, che è applicabile solo con ampi margini di tolleranza.

    11 a. Il quantitativo “modestissimo”

    Partendo dal primo concetto: riferito a un quantitativo, “modestissimo” può voler dire tutto e niente, è ovvio. Si può però provare a utilizzare - in questo contesto - come punto di riferimento, anche per la coltivazione, la giurisprudenza sulla detenzione per uso personale (che ha sempre ritenuto che il dato ponderale da solo non costituisce prova decisiva dell'effettiva destinazione della sostanza allo spaccio, ma può comunque legittimamente concorrere a fondare, unitamente ad altri elementi, tale conclusione).

    Un primo elemento certo è che l'eventuale superamento dei limiti tabellari indicati dall'art. 73 bis comma primo, lett. a) d.P.R. n. 309 del 1990 (25 mg per la dose singola, 500 mg per il quantitativo massimo detenibile) non determina alcuna presunzione di destinazione della droga detenuta ad un uso non personale, potendo essere considerato solo un mero indizio[7]. Perciò la giurisprudenza in materia di detenzione era giunta a ritenere sussistente l’uso personale per il possesso di hashish o marijuana con quantità di principio attivo di gran lunga superiore a quello che, in materia di coltivazione, soddisfaceva per la giurisprudenza quella condizione di “minima offensività” al di sotto della quale si assolveva dal reato.

    Un secondo elemento da considerare è che la giurisprudenza sulla coltivazione era pesantemente condizionata dal contrasto di orientamenti successivi a Corte costituzionale n. 360/1995 sopra descritto; per cui vi erano casi di condanna per quantitativi minori rispetto ad altri casi oggetto di sentenze di assoluzione (ricordando che il dato ponderale è comunque solo uno degli elementi considerati dalle sentenze).

    Scendendo all’applicazione pratica e limitandoci all’ultimo decennio, l’uso personale in ipotesi di detenzione è riconosciuto per un principio attivo di 0, 363 g di D9-THC, pari a 14 dms; per 48 grammi di hashish, pari a “161 dosi medie”; gr. 38,736 di sostanza stupefacente (hashish e marijuana) contenente gr. 1,328 di principio attivo da cui potevano essere ricavate 53,1 dosi medie giornaliere; per 97 grammi di marijuana; per grammi 11,711 di hashish, con principio attivo pari a grammi 1,312; per hashish del peso complessivo di 11,485 grammi, da cui è possibile ricavare 39 dosi medie singole; per circa 50 grammi di hashish[8].

    L’uso personale invece è escluso per 50,360 grammi di hashish da cui erano ricavabili circa 2033 dosi medie singole; per 17 grammi di principio attivo nella marijuana, corrispondente a quasi 700 dosi; per 88 grammi netti di marijuana, da cui erano ricavabili circa 200 dosi di sostanza drogante; per 353 grammi  lordi di marijuana[9].

    11 b. Il prodotto “ricavabile”

    Instabile è anche l’altro concetto, quello del “prodotto ricavabile” dalla coltivazione. Nei fatti, la coltivazione di marijuana, in quanto “coltivazione” non è un gesto unico, ma un percorso lungo nel tempo e soggetto a innumerevoli variabili, per cui ha caratteristiche diversissime caso per caso; e la coltivazione di marijuana in sé ha agronomicamente uno sviluppo complesso, con risultati incerti, che può portare o meno un dato quantitativo del principio attivo apprezzabile. Trattandosi di un’attività di fatto agricola, le variabili concrete sono tali da rendere per sua natura imprevedibile l’esito finale; e gli accorgimenti e le tecniche di coltivazione che riducono questa imprevedibilità (preparazione del terreno, irrigazione programmata, lotta chimica alle infestanti etc.) sono proprio quelle attività che non sono compatibili con le “rudimentali tecniche” che la Cassazione ritiene connotare la coltivazione a uso personale.

    Di tutto questo è pienamente consapevole la sentenza Caruso, che prende espressamente in considerazione l’ipotesi in cui “si verifichi ex post che la coltivazione ha effettivamente prodotto una sostanza inidonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile”. Dunque, secondo le SS.UU., “la verifica dell'offensività in concreto deve essere diversificata a seconda del grado di sviluppo della coltivazione al momento dell'accertamento”; e quindi:

    - qualora il ciclo delle piante sia completato, l'accertamento dovrà avere per oggetto l'esistenza di una quantità di principio attivo necessario a produrre effetto drogante;

    - nelle fasi pregresse di coltivazione, rileva penalmente la coltivazione a qualsiasi stadio della pianta che corrisponda al tipo botanico, purché si svolga in condizioni tali da potersene prefigurare il positivo sviluppo.

    In conseguenza, più lontana è la fase terminale della trasformazione della pianta in prodotto utilizzabile, tanto più difficile sarà individuare con precisione l’esito.  In una coltivazione domestica, i semplici germogli, la pianta di pochi centimetri, la pianta senza infiorescenze possono poi dare quale esito finale un preparato vegetale senza un principio attivo apprezzabile. Nell’ipotizzare il “quantitativo ricavabile” di marijuana con effetto stupefacente perciò, occorrerà una valutazione prudenziale. Con l’importante specificazione che mentre il quantitativo massimo è identificabile con sufficiente precisione (una pianta di un certo tipo può dare in condizioni ottimali non più di un certo quantitativo di principio attivo), il quantitativo minimo può essere fino a zero, in caso di imperizia del coltivatore.

    A questo punto sorge il problema di come calcolare la sostanza stupefacente ricavabile dalla pianta coltivata. Fino a una ventina di anni fa si poteva dire con sufficiente tranquillità che una coltivazione media forniva un risultato con una percentuale di principio attivo intorno al 2%; tanto che nella legge del 1990 la cannabis indica veniva specificata come “2% Delta9 THC”.[10]  Ora però non sono infrequenti sequestri di cannabis con una percentuale di principio attivo superiore al 15%; nella ultima Relazione Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia anno 2019 (dati 2018), si stima una percentuale di purezza alta, del 12% in media per la marijuana e del 17% per l’hashish[11].

    Ora è ovvio che - se il fine è quello di determinare il prodotto ricavabile, nel senso di sostanza stupefacente, secondo l’insegnamento delle SS.UU. - ritrovare una pianta con il 2% di D9-THC o una con il 20% fa una grandissima differenza, perché nel secondo caso è come se la coltivazione fosse di dieci volte più grande.

    Per conoscere esattamente il dato del principio attivo è necessario un’analisi chimica; certamente però questa è una procedura corretta ma costosa e lunga[12], e che dà risultati certi solo nelle ipotesi di ciclo colturale completato. In alternativa si può calcolare il principio attivo, presuntivamente, dal dato grezzo, per avere una prima idea del fatto e ragionare, a grandi linee, sulla destinazione ad uso personale sulla base anche del dato ponderale. In questo caso si può applicare il metodo suggerito dalla giurisprudenza degli anni ’90, moltiplicando il dato grezzo per il valore di principio attivo medio[13].

    Invece sono due i passaggi presuntivi che si devono fare di fronte a una coltivazione non matura, cioè a germogli o piante piccole: un calcolo presuntivo di quanto peso potrebbe avere la pianta adulta, tenendo conto però di modalità di coltivazione rudimentali; e poi un calcolo presuntivo sulla percentuale di principio attivo che quella piantagione potrebbe sviluppare. Questo è un passaggio ancora più ardito, perché il dato medio (che è a questo punto il 12%) comprende proprio quelle coltivazioni professionali che sono escluse dall’atipicità, mentre l’ultimo dato normativo utilizzabile (il 2% della legge n. 162/1990) è superato dal punto di vista botanico.[14]

    12. La mancanza di indici di inserimento nell’ambito del mercato

    La sentenza pone in evidenza anche, come criterio indicativo “la mancanza di ulteriori indici di un loro (delle attività di coltivazione, ndr.) inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti”.

    Questa circostanza è davvero di libera valutazione. Possono essere esaminati i più comuni risultati dell’attività investigativa, come la presenza o meno di numerosi contatti telefonici con consumatori conosciuti. Potranno essere valutate le dichiarazioni di terzi: si può trattare di dichiarazioni di acquirenti (riferite ovviamente al passato, dato che la coltivazione per cui si procede è ancora in corso) ma anche di altri (fornitori dei semi, amici etc.)  che sappiano che la coltivazione era stata avviata per cessione a terzi o uso personale. Dovranno essere valutate le circostanze soggettive, quali la qualifica di forte  assuntore, i precedenti penali, la conoscenza da parte del SERD…

    Molto facilmente, questo indice sarà recessivo rispetto agli altri, più significativi e più stabili.

    13. Il concetto di uso personale e gli indici sintomatici

    Valutate tutte le circostanze sopra descritte (quindi, riassumendo, “le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, (...) le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti”) il giudice dovrà decidere se la coltivazione appaia “destinata in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.

    Ma questo rinvia a un concetto che è a sua volta fra i più discussi dell’intera giurisprudenza: quando si ha la destinazione all’uso personale? Anche se domanda è finalizzata alla coltivazione, non si può non fare riferimento all’art. 75, anzi al “nuovo” art. 75 uscito dalle riforme di questo decennio, tutto improntato alla detenzione. Attualmente il legislatore ha ridotto gli “indici sintomatici” della destinazione all’uso personale dello stupefacente detenuto (diversi dagli indici sintomatici della destinazione della coltivazione, sia ben chiaro: sui quali vedi par. 7) a due: il dato ponderale e le modalità di presentazione della sostanza.

    Ebbene, gli indici sintomatici normativi non aiutano molto. Una volta che con il referendum del 1993 si è eliminata la presunzione di legge, il mero dato quantitativo - e l'eventuale superamento dei limiti tabellari indicati dall'art. 73 bis comma primo, lett. a) d.P.R. n. 309 del 1990 - non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale, potendo essere considerato solo un mero indizio. Si apre perciò il dilemma: ma quanta sostanza stupefacente (da intendersi come peso netto, cioè principio attivo, dato che il peso lordo rientra nelle “modalità di presentazione”) posso detenere ad uso personale? Posso fare una scorta? Di quanto? Nella giurisprudenza, come si è detto al par. 11 a), si ritrovano pronunce molto diverse, che legittimano la detenzione di decine di dosi o che ne puniscono poche.

    Ancora, la valutazione della destinazione dipende dalle “modalità di presentazione delle sostanze stupefacenti o psicotrope”, i cui indici sono ancora il peso lordo complessivo, il confezionamento frazionato (che nella coltivazione non ci può essere) ovvero le ancora più indefinite “altre circostanze dell'azione”.

    In conclusione, gli indici sintomatici della destinazione della detenzione all’uso personale non aiutano molto a individuare la destinazione all’uso personale della coltivazione, richiesta dalla sentenza Caruso. Il quadro dunque rimane incerto.

    14. Uso personale anche se la coltivazione è di  gruppo?

    Si riapre però anche la interminabile questione del rapporto fra uso personale e c.d. uso di gruppo; in altri termini la possibile applicazione della categoria dell’uso di gruppo alla coltivazione di gruppo, così come la destinazione a uso personale della detenzione è stata estesa alla coltivazione personale. E’ un capitolo nuovo e avvincente…

    Ricordo soltanto che nel 2013 le SS.UU. hanno indicato, opportunamente e con grande precisione, quali sono le condizioni per ritenere sussistente l’uso di gruppo[15] in  materia di detenzione di sostanze stupefacenti. Da allora la giurisprudenza si è uniformata ed è costante direi quasi monolitica nel riconoscere in astratto la non rilevanza penale dell’uso di gruppo.

    Le condizioni individuate sono tre: a) che l'acquirente sia uno degli assuntori; b) che l'acquisto avvenga sin dall'inizio per conto degli altri componenti del gruppo; c) che sia certa sin dall'inizio l'identità dei mandanti e la loro manifesta volontà di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo anche finanziariamente all'acquisto.

    Orbene, sostituendo la parola “coltivazione” alla parola “acquisto” (e non c’è dubbio che alla luce di SS.UU. Caruso ciò avrebbe una certa coerenza) si apre un mondo di possibilità per la “coltivazione di gruppo destinata all’uso personale”.

    Si potrebbe dire cioè che si è difronte ad una “coltivazione di gruppo destinata all’uso personale” quando: a) il coltivatore o i coltivatori siano fra gli assuntori del prodotto finito; b)  la coltivazione avvenga da parte di tutti o avvenga da parte di uno o alcuni del gruppo ma sin dall'inizio anche per conto degli altri componenti; c) sia certa sin dall'inizio l'identità dei mandanti e la loro manifesta volontà di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo anche finanziariamente alle spese occorrenti per la coltivazione.

    E’ presto per dare una risposta certa. Ci sarà ancora da parlare di questa sentenza.  

     

     

    [1] Ricordiamo che per la sentenza non sono punibili “le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore…”

    [2] Riprendendo il sunto contenuto nella motivazione Di Salvia: “per un terzo orientamento, infine, sarebbe stato necessario distinguere tra due forme di coltivazione. Sarebbe certamente punibile quella definita tecnico-agraria, caratterizzata da un elevato coefficiente organizzativo desumibile dal tipo di coltivazione posta in essere (se in terreno o in vaso), dal tipo di semina e di governo della coltivazione, dalla disponibilità di attrezzi, strutture e sostanze da cui desumere un approccio chiaramente imprenditoriale nella coltivazione. Al contrario, la coltura c.d. domestica, effettuata in via approssimativa e rudimentale e i cui frutti sarebbero funzionali ad un utilizzo meramente personale, sarebbe equiparabile, sul piano del trattamento penale, alla mera detenzione e, come tale, non assumerebbe rilievo penale, attesa la destinazione ad uso personale della sostanza estraibile dalla pianta coltivata.

    [3] Ad esempio, Cassazione penale, sez. VI, sentenza 26/09/2016 n° 40030, ritenne non punibile “la coltivazione, all'interno di un terrazzo ed in un contesto urbano, di una sola pianta di canapa indiana”.

    [4] Per alcune sentenze, come si è detto, bastava che vi fosse la dimora del seme e non era neppure necessario alcun numero minimo per ritenere sussistente il reato. Neppure le sentenze ispirate all’opposto orientamento però  possono essere prese come riferimento, in quanto in esse l'assoluzione dal reato di coltivazione avviene sì in conseguenza dell'esiguità del numero delle piante coltivate, ma ciò in funzione della minimalità del principio attivo, contenuto o ricavabile, nell’orizzonte della detenzione per uso personale.

    [5] Con l’avvertenza che non possono essere utilizzate in questo esame le sentenze ispirate a quella giurisprudenza che esclude la tenuità del fatto perché considera la coltivazione un reato abituale (e quindi la esclude anche per una piantina).

     

    [6] Sez. 4, Sentenza n. 27524 del 10/05/2017 ritiene applicabile la causa di esclusione della punibilità alla coltivazione di “diverse piante di marijuana da cui si ricavavano gr. 92 di sostanza (con un principio attivo di THC pari a 3,66%)” (quindi un peso lordo di 2.513 grammi, compatibile con un numero di piante fra 3 e 5); Sez. 4, Sentenza n. 30238 del 10/05/2017 la riteneva applicabile alla coltivazione di “tredici piante di "cannabis indica" nel giardino di casa”; Sez. 6, Sentenza n. 51615 del 09/11/2016 ha rigettato la richiesta di applicazione della causa di non punibilità relativamente al reato di coltivazione di sostanze stupefacenti, per la coltivazione di sette piantine di cannabis già poste a dimora e di altri diciannove pronte per essere impiantate; Cassazione penale sez. IV, 21/05/2019 la applica per 5 piante. Nel merito, Tribunale S.Maria Capua V., 11/10/2018 la riconosce per 9 piantine; Tribunale Napoli sez. fer., 04/09/2015 la applica per una pianta.

     [7] Sez. 6, Sentenza n. 39977 del 19/09/2013; è giurisprudenza ormai consolidata.

    [8] Le sentenze citate sono le seguenti: l’uso personale è riconosciuto per un principio attivo era 363 mg di D9-THC, pari a 14 dms (Corte d'Appello Cagliari, sez. II penale, sentenza 19.12.2013 n° 1510; per 7,5 gr di eroina pari a 48 dmg (Cassazione penale , sez. IV, sentenza 21.06.2013 n° 27346; per 48 grammi di hashish, pari a “161 dosi medie”. Corte di cassazione - Sezione IV penale - Sentenza 11 settembre 2012 n. 34758 ; gr. 38,736 di sostanza stupefacente (hashish e marijuana) contenente gr. 1,328 di principio attivo pari al 3,4%, da cui potevano essere ricavate 53,1 dosi medie giornaliere. Sez. 6, Sentenza n. 12146 del 12/02/2009 ; 97 grammi di marijuana, Sez. 6, Sentenza n. 28720 del 03/06/2008; grammi 11,711 di hashish, con principio, attivo pari a grammi 1,312 - Cassazione penale sez. III, 19/09/2019, n.43262; hashish del peso complessivo di 11,485 grammi, da cui è possibile ricavare 39 dosi medie singole, Cassazione penale sez. IV, 26/06/2019; circa 50 grammi di hashish, Cassazione penale sez. III, 09/10/2014, n.46610.

    [9] Le sentenze citate sono queste: per 50,360 grammi di hashish da cui erano ricavabili circa 2033 dosi medie singole,  Sez. 3, Sentenza n. 43496 del 02/10/2012; 17 grammi di principio attivo nella marijuana, corrispondente a quasi 700 dosi, Sez. 4 - sentenza n. 35963 del 07/05/2019; 88 grammi netti di marijuana, da cui erano ricavabili circa 200 dosi di sostanza drogante, Sez. 6, Sentenza n. 9723 del 17/01/2013; grammi 353 lordi di marijuana, Cassazione penale sez. IV, 08/06/2016, n.34834.

    [10] Il significato di questa indicazione nella legge n. 162/1990 non è mai stato precisato. Si fa riferimento ad un contenuto medio di THC nella marijuana, probabilmente, ma potrebbe riferirsi alle inflorescenze (in sintonia con la Convenzione di New York) o all’intera pianta (come sembrano fare i laboratori di analisi); una volta fissato in 50 mg. il limite massimo di THC (tetraidrocannabinolo) che deve essere contenuto nel quantitativo  definito come “dose media giornaliera”, non si dice se le “foglie e infiorescenze” che hanno un contenuto di THC inferiore al 2% siano classificabili egualmente come “cannabis indica”.

    [11] L’aumento della percentuale di principio attivo è conseguenza in parte dell’evoluzione dei sistemi di coltivazione, passati sia in Italia che nei paesi di tradizionale provenienza (Libano, Albania, Marocco …) da una modalità molto naturale a impianti sofisticati in serra; in parte dalla selezione genetica delle piante, che si spinge sempre più avanti nella identificazione di specie ad alto contenuto di THC.

    [12] Basti pensare che nel 2018 (ultimi dati disponibili) sono state sequestrate 523.176 piante di cannabis, per comprendere i costi di un’analisi sistematica.

     [13] Sez. 4, Sentenza n. 5355 del 25/03/1992: “In tema di sostanze stupefacenti da "cannabis indica", previste dalle prime due voci della tabella II, allegata al decreto del Ministero della sanità 12 luglio 1990, n. 186, richiamato dall'articolo 78 del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, la dose media giornaliera (in grammi), riferita a un dato prodotto grezzo, si determina moltiplicando lo standard tabellare (d.m.g. in grammi) per il valore del titolo di principio attivo esemplificato in tabella (rispettivamente, 2 per cento per la marijuana (foglie e inflorescenze di "cannabis indica") e 10 per cento per l'"hashish") e dividendo il prodotto per l'indice (valore percentuale) di Delta-9- THC repertato nella sostanza in indagine.”

     [14] Va detto che il D.M. applicativo della legge n. 49/2006, oggi abrogata, prevedeva una percentuale media nel prodotto lordo del 10%. Però si riferiva cumulativamente a tutti i prodotti derivati dalla cannabis, per cui non sarebbe comunque applicabile così alla sola marijuana.

    [15] Sez. U, Sentenza n. 25401 del 31/01/2013 Ud.  (dep. 10/06/2013 ) Rv. 255258

    Anche all'esito delle modifiche apportate dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49 all'art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, il c.d. consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, sia nell'ipotesi di acquisto congiunto, che in quella di mandato all'acquisto collettivo ad uno dei consumatori, non è penalmente rilevante, ma integra l'illecito amministrativo sanzionato dall'art. 75 stesso d.P.R., a condizione che: a) l'acquirente sia uno degli assuntori; b) l'acquisto avvenga sin dall'inizio per conto degli altri componenti del gruppo; c) sia certa sin dall'inizio l'identità dei mandanti e la loro manifesta volontà di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo anche finanziariamente all'acquisto. (In motivazione, la S.C. ha precisato che con il riferimento all'uso "esclusivamente personale", inserito dall'art. 4-bis del D.L. n. 272 del 2005, conv. in legge n. 49 del 2006, il legislatore non ha introdotto una nuova norma penale incriminatrice, con una conseguente restrizione dei comportamenti rientranti nell'uso personale dei componenti del gruppo, ma ha di fatto ribadito che la non punibilità riguarda solo i casi in cui la sostanza non è destinata a terzi, ma all'utilizzo personale degli appartenenti al gruppo che la codetengono).

     

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