GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    ​La qualificazione della responsabilità dello sciatore

    La qualificazione della responsabilità dello sciatore

    di Raffaele Frasca

    Sommario: 1. Premessa. - 2. Un poco di storia. - 3. La prospettiva dell’art. 2054 c.c. - 4. La prospettiva dell’art. 2050 c.c. - 5. La legge del 2003 - 6. La nuova legge del 2021. 

    1. Premessa

    L’intento di queste note[1] è di ricercare la qualificazione della responsabilità dello sciatore alla luce di un recente intervento legislativo, quello di cui al d.lgs. n. 40 del 2021.

    Con il riferimento alla responsabilità dello sciatore intendo alludere ai profili di responsabilità in cui incorre chi scia.

    Se ci domandiamo come questi profili di responsabilità si possano verificare, possano emergere, è evidente che viene fatto di pensare in primo luogo all'ipotesi dello scontro fra sciatori, che ogni anno da quel che ho letto statisticamente è un’evenienza frequente sulle piste da sci

    Però, ai fini del tema di cui intendo occuparmi viene in rilievo  anche qualcos'altro perché: a) può accadere che  un problema di responsabilità di uno sciatore possa sorgere e possa dare luogo a questioni in tema di responsabilità quanto si verifica una collisione con una struttura e questa struttura che è presente sulla pista viene danneggiata e si tratti, naturalmente, di una struttura che doveva e poteva legittimamente essere lì e non di una struttura che lì non doveva trovarsi; b) può accadere che uno scontro possa verificarsi tra uno sciatore, cioè tra chi sta sciando, e altri soggetti che non sono sciatori o non stiano sciando: penso all'ipotesi in cui chi scia venga coinvolto in un sinistro con persone che per esempio stanno prestando soccorso sulla pista da sci: questa non è un'ipotesi di scontro tra sciatori, coinvolge, infatti, persone che non sono sciatori; possiamo ancora pensare all'ipotesi in cui lo scontro riguardi lo sciatore e altre persone che nemmeno siano soccorritori e quindi non abbiano neppure nessuna relazione con la pista da sci, ma siano soggetti che sono entrati sia legittimamente sia illegittimamente sulla pista da sci (si pensi, sotto il primo aspetto, al caso in cui la pista contenga un attraversamento per i non sciatori); possiamo in fine pensare al caso di scontro fra uno sciatore in discesa e chi, avendo sciato in precedenza, stazioni sulla pista o in prossimità di essa (anche qui ed uno sciatore in discesa.

    Ecco, quindi, che il ventaglio delle ipotesi in cui viene in considerazione la responsabilità sciistica, intesa come responsabilità dello sciatore, è più ampio dell'ipotesi di uno scontro fra sciatori.

    Ricordo, peraltro, che occorre tenere presente che accanto alla figura dello sciatore, cioè di chi usa gli sci, vi sono le figure dei praticanti lo snowboard o il telemark e rilevo che l’àmbito della responsabilità – oramai, come vedremo –vede accomunate per scelta legislativa tali pratiche a quella dello sci.

    2. Un poco di storia

    Mi pare opportuno ricordare che in materia c’è sicuramente stata un’evoluzione legislativa.

    Comincio, naturalmente, dal Codice Civile del 1942.

    Nella situazione in cui, si era in sostanziale assenza di una legge speciale che regolasse l’attività sciatoria, la cornice entro la quale ci si doveva interrogare per individuare una normativa applicabile erano certamente gli articoli 2043 e seguenti. E così è stato per molti decenni. Si è passati, poi, oramai circa venti anni orsono ad una situazione nella quale una legge speciale, la n. 363 del 2003, ha dettato una serie di prescrizioni sulle regole di condotta da osservarsi dallo sciatore, pur senza procedere ad una qualificazione della responsabilità, che in qualche modo si preoccupasse o meglio rispondesse alla esigenza di inquadrarla nell'ambito del sistema del Codice Civile. Va ricordato che la legge del 2003, all’art. 18, comma 1, previde, altresì, che le regioni e i comuni potessero adottare ulteriori prescrizioni per garantire la sicurezza e il migliore utilizzo delle piste e degli impianti, così affidando loro una sorte di potere aggiuntivo di prescrizioni cautelari.

    Recentissimamente e questa è l'ultima vicenda che riguarda la storia della responsabilità sciistica è sopravvenuta la citata nuova legge speciale, emanata sulla base di una delega risalente al 2019 (disposta con la l. n. 86 del 2019): è il già citato d.lgs. n. 40 del 2021[2], che è entrato in vigore per quando riguarda la disciplina della condotta dello sciatore e per molto altro dal 1° gennaio 2022, dopo un’iniziale fissazione al 2023[3].

    3. La prospettiva dell’art. 2054 c.c.

    Questa essendo la cornice legislativa evolutiva della nostra vicenda, ricordo brevemente che quando c'era soltanto come punto di riferimento il Codice Civile, vi sono stati innanzitutto tentativi di ricondurre la responsabilità sciistica alla norma dell'art. 2054 del codice civile, che com’è noto, disciplina la responsabilità nascente dalla circolazione di veicoli. Vi è stato un trend di giurisprudenza di merito che ha cercato di ricondurre alla norma la responsabilità sciistica - l'intera responsabilità dello sciatore - sul presupposto che gli sci potessero essere considerati un veicolo proprio nel senso supposto dall'art. 2054 e ci sono numerose pronunce di merito che hanno seguito questa logica[4].

    Tuttavia, la Corte di Cassazione, quando la questione arrivò  davanti ad Essa, si è rifiutò di accogliere questa soluzione: abbiamo infatti una prima decisione risalente al 1980 e altra successiva del 1987[5], le quali seguendo una certa ricostruzione dottrinale si attestarono sulla soluzione negativa e quindi hanno rifiutato di collocare la responsabilità sciistica nel 2054, adducendo che la nozione del veicolo cui la norma fa riferimento, o meglio la circolazione dei veicoli di cui fa riferimento all'art. 2054, era strettamente collegata alla circolazione regolata dal codice della strada allora vigente.

    Tesi questa che avrebbe potuto presentare più di un dubbio per l'assorbente ragione che l'articolo 2054 non fa riferimento diretto alla circolazione stradale, anche se è indubbio che sia stato dettato in contemplazione di essa e dell’estensione che già nel Ventennio essa aveva avuto.

    4. La prospettiva dell’art. 2050 c.c.

    Sempre nella situazione anteriore alla legislazione speciale, ci si interrogò, sulla base di sollecitazioni della dottrina e del lavorìo del foro, circa la possibilità di collocare la nostra responsabilità nell'ambito dell’art. 2050 del codice civile; e quindi di considerare l'attività sciistica come un'attività pericolosa, con la conseguenza di applicarle il criterio di imputazione della responsabilità previsto da questa norma.

    Ora, una soluzione del genere supponeva a monte l'interrogarsi su quale fosse la nozione di attività pericolose enucleabile dall'art. 2050 e l’interrogativo rimaneva su un piano che non poteva tenere conto di un’eventuale legge speciale di qualificazione dell’attività sciistica che non esisteva.

    La risposta sulla collocabilità dell'attività sciistica nell'ambito dell'articolo 2050 dipendeva allora naturalmente dalla scelta che si fosse ritenuta praticabile in ordine alla qualificazione dell'attività pericolosa nei casi in cui non fosse stata la legge, come dice l'art. 2050, a indicare l'attività come pericolosa o comunque – può concedersi - non fossero sussistiti indizi normativi idonei in via di implicazione a rivelare indirettamente quella qualificazione.

    Come è noto si sono sempre scontrate nell’esegesi della norma dell’art. 2050 due orientamenti, l’uno “ontologico”, l’altro per così dire attento alla “potenzialità dell’attività”.

    Applicando la distinzione all’attività sciatoria, chi sosteneva che l'attività sciistica fosse pericolosa valorizzava il secondo criterio, in pratica sostanzialmente il criterio per cui lo sciatore, quando scia, può ben incorrere in scontri con altri sciatori o perché lui non guida in maniera prudente, quindi non esercita l'attività sciatoria in maniera prudente, sì da renderla pericolosa, oppure perché altre persone che utilizzano la stessa pista a loro volta non lo fanno svolgendo la loro attività in maniera prudente, oppure ancora perché ci sono altri soggetti che in qualche modo sono coinvolti nell'ambito spaziale della pista che non osservano regole di prudenza, sì da riflettersi sull’attività dello sciatore. Seguendo questo criterio che sostanzialmente valorizza semplicemente la possibilità che l'attività sciistica, pur in ipotesi assunta come di per sé non pericolosa, possa assumere questa caratteristica in ragione di queste evenienze, una collocazione di essa sotto l'ambito dell'art. 2050 sarebbe stata possibile[6].

    Viceversa, ove si fosse privilegiata la tesi che ricostruiva l’articolo 2050 o meglio la nozione di attività pericolosa nel senso di un'attività che - fuori dei casi naturalmente in cui la pericolosità sia espressamente indicata dal legislatore direttamente o indirettamente – dovesse connotarsi come un'attività ontologicamente pericolosa, cioè per la sua stessa essenza, per lo stesso modo del suo svolgimento, la conseguenza sarebbe stata quella di negarne la riconducibilità all'art. 2050, perché - si diceva, si è detto - la pericolosità non può derivare dall'esercizio dell'attività in modo imprudente. In pratica, l’assunto di questa ricostruzione era che, se l'attività prudentemente esercitata non è pericolosa, non può diventare pericolosa perché chi la esercita non osservi le regole di prudenza secondo le quali l'attività dovrebbe svolgersi oppure perché altri non osservi le regole di prudenza nello svolgimento della stessa attività e dette attività si vengono ad intersecare.

    Per la verità, fra le due alternative indicate, a me sarebbe sembrato difficile sostenere che non fosse valida la prima e che dunque l'attività sciatoria dovesse considerarsi come un'attività pericolosa non ontologicamente come tale ma proprio in ragione, per così dire, della “normalità” (vogliamo dire della frequenza?) della possibile inosservanza di regole di prudenza da parte di chi la conduceva o da parte di altri soggetti: la nozione dell'art. 2050, infatti, quando prescinde da una qualificazione legislativa diretta od indiretta mi pare idonea a comprendere anche le ipotesi in cui un’attività di regola esercitabile come non pericolosa, in concreto si presti ad uno svolgimento con modalità pericolose o possa intercettare un’attività che le può fare assumere tali modalità. Quindi, credo che secondo la prima opzione si sarebbe potuta ricondurre l’attività sciistica all'art. 2050.

    Peraltro, a ben vedere, pur rifuggendo dall'idea che gli sci potessero considerarsi un veicolo, a me che non sono uno sciatore sembrerebbe che si sarebbe potuto sostenere che il fatto di mettersi gli sci ai piedi, di iniziare una discesa, per definizione rende la capacità dello sciatore di controllare il proprio movimento certamente meno normale e non vorrei dire anormale rispetto a quella “normale” di un essere umano  che non ha gli sci ai piedi: il fatto stesso di mettere ai piedi gli sci (sia pure non un veicolo, ma comunque un arnese che consente di deambulare e scivolare in modo del tutto particolare per il modo di essere della sua struttura meccanica, esigendo notoriamente attività di equilibrio particolari) e soprattutto il fatto stesso di esercitare l'attività su una pista che va in discesa, nonché il fatto che per fermarsi sono necessarie particolari manovre che certamente incidono sull’equilibrio già precario per il sol fatto di indossare gli sci, avrebbero potuto giustificare anche, ove ritenuta necessaria,una qualificazione dell'attività come ontologicamente pericolosa, senza che potesse rilevare il fatto che questa attività poteva come può essere esercitata da chiunque e quindi da quella gran parte dei consociati che, avendo imparato l’uso degli sci, amano appunto andare sulle nevi. In sostanza, anche per chi preferisce la tesi per così dire “ontologica” dell’attività pericolosa, sarebbe stato difficile sottrarre l’attività sciatoria alla riconducibilità all’art. 2050.

    E ciò è tanto vero che buona parte della dottrina anche di recente ha sostenuto la tesi della riconducibilità dell'attività sciistica all’art. 2050, rigettando la seconda delle opzioni di cui ho detto[7].

    Se ci si interroga sul se la tesi abbia avuto successo a livello giurisprudenziale e in particolare sul se la Corte di Cassazione abbia qualificato la responsabilità per l'attività dello sciatore alla stregua dell'art. 2050, ancorché in dottrina qualcuno[8] abbia sostenutosi il contrario, in realtà a me pare non si rinvengano nella giurisprudenza della Cassazione affermazioni tali da ricondurre l’attività sciatoria e dunque la responsabilità sciatoria all'art. 2050.

    Quelle decisioni che vengono evocate in questo senso - e si badi si tratta non solo di decisione civili ma anche di decisioni penali - sono in realtà decisioni che hanno scrutinato fattispecie in cui chi era chiamato a rispondere sul piano civile o penale era il gestore della pista e quindi non fattispecie in cui veniva in considerazione la responsabilità dello sciatore; in queste decisione si coglie – è vero - l'affermazione del tutto incidentale[9] che l'attività sciistica è oggettivamente pericolosa per le stesse condizioni in cui si esercita. Lo si fa soprattutto valorizzando il criterio della morfologia stessa della pista, per l'ampiezza delle piste di sci e per la presenza in essa di un numero di soggetti indeterminati. Ma, se ci si chiede se queste decisioni siano espressione di un convincimento espresso alla Corte di Cassazione circa la riconduzione della responsabilità dello sciatore all'art. 2050, la risposta non può che essere negativa. La ragione è che sono affermazioni che sono state fatte non ai fini di ricondurre la responsabilità dello sciatore alla norma dell’art. 2050 e, quindi, non con riferimento ad una condotta dannosa dello sciatore, ma semplicemente per apprezzare la responsabilità del gestore in ordine all'adempimento o all'inadempimento circa gli obblighi ed i doveri sulla tenuta della pista sede dell’attività sciatoria. Si è detto che le modalità gestorie della pista debbono essere adeguate alla circostanza che la pista o meglio l’attività esercitata da essi sugli utenti è pericolosa, ma ciò per farne derivare che il gestore deve adeguare i suoi comportamenti gestori a tale circostanza. Quindi la qualificazione di pericolosità è stata fatta (peraltro, come emerge dalla lettura delle motivazioni, incidentalmente, va detto) assumendo il punto di vista e, dunque, l’onere comportamentale del gestore e non di chi pratica lo sci. Tra l’altro si tratta di affermazioni generiche e rafforzative della responsabilità del gestore.

    Non possiamo ravvisare, perciò, in tali decisioni della Corte di Cassazione[10] una riconduzione della disciplina della responsabilità dello sciatore all'art. 2050. Quello che si riscontra, è una chiara affermazione della riconducibilità della responsabilità del gestore all'art. 2050, però vista questa riconducibilità sempre nel senso che ho detto, cioè dal punto di vista comportamentale del gestore. Non è questa la sede per domandarsi e discutere se questa tesi fosse e sia tuttora convincente o non sia piuttosto una tesi che in definitiva potrebbe non essere predicata e che dovrebbe essere superata dall'opzione della applicabilità al gestore dell'art. 2051 c.c. in dipendenza dei doveri comportamentali inerenti alla tenuta della pista. Quello che mi preme sottolineare è che nella giurisprudenza della Cassazione non c'è mai stata la riconduzione dell'attività dello sciatore in quanto fonte di danno all'art. 2050 con riferimento ai vari profili della sua eventuale responsabilità per i danni cagionati nel suo svolgimento.

    5. La legge del 2003

    A questo punto passo a considerare la legge del 2003[11].

    Fermo che la legge del 2003 non procedette ad alcuna qualificazione dell'attività dello sciatore, ricordo che quella legge si caratterizzò per un approccio che, per quanto riguarda tale attività, si concretizzò nel fissare tutta una serie di prescrizioni sul comportamento da tenere sulle piste da sci. Prescrizioni abbastanza dettagliate, riguardanti la velocità, la precedenza e altro. Ma quella legge introdusse soprattutto una previsione che senza direttamente smentire quello che era stato detto dalla Corte di Cassazione circa l'inapplicabilità dell’art. 2050, piuttosto smentì quello che si era detto sull’inapplicabilità del criterio dell’art. 2054, secondo comma, cod. civ. allo scontro fra sciatori (che è un pezzo, come ho detto, dell'area della responsabilità sciistica).

    L'art. 19 di quella legge dispose, infatti, che nel caso di scontro tra sciatori, si presume, fino a prova contraria che ciascuno di essi abbia concorso ugualmente a produrre gli eventuali danni.

    La norma era rubricata espressamente “concorso di colpa” ed era una norma che sostanzialmente introduceva un criterio di addebito del concorso che nella sostanza imponeva allo sciatore di provare l’assenza di responsabilità, di colpa, nella causazione dello scontro: dunque collocava la responsabilità nel caso di scontro al di fuori della logica dell’art. 2043 c.c., giacché onerava lo sciatore, ciascuno degli sciatori, della prova liberatoria.  

    Quello che semmai non era chiaro era il tipo di prova liberatoria imposto dalla previsione della presunzione di concorrente responsabilità.

    Tuttavia, tale onere doveva trovare un referente normativo ed esso ben difficilmente poteva – mi pare - essere individuato in modi diversi che seguendo due alternative, quella dell’evocazione dell’art.   2050 o quella dell’evocazione del – pur non richiamato – art.  2054 primo comma c.c.

    Nell’art. 2054, secondo comma, l’onere probatorio di ciascun conducente per sottrarsi alla presunzione è certamente quello di cui al primo comma della norma ed esso non mi pare che si sostenga debba apprezzarsi come cosa diversa dall’onere probatorio di cui all’art. 2050 (è noto che si è sempre detto che la circolazione dei veicoli è sostanzialmente una fattispecie di attività pericolosa), sicché l’art. 19 poteva avallare sia l’idea che l’onere probatorio dello sciatore per andare esente da responsabilità nel caso di scontro fosse quello del primo comma dell’art. 2054, sia l’idea che l’onere fosse quello dell’art. 2050 c.c. In fondo, ripeto, la logica di veicolazione della responsabilità del 2054, lo si è sempre detto, non è dissimile da quella del 2050.

    L'introduzione della regola del secondo comma dell'art. 2054, ancorché non si fosse accompagnata alla ripetizione espressa di una regola come quella che sta a monte di esso, cioè la regola del primo comma dell'art. 2054 (che ci dice che il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno), avrebbe dovuto apprezzarsi o nel senso di avere introdotto implicitamente quella regola o nel senso di avere avallato implicitamente l’idea che operasse per la condotta dello sciatore l’art. 2050.

    Invero, una volta collocato lo scontro fra sciatori fuori dell’ipotetica applicazione dell’art. 2043 c.c., non mi sembra possibile che fossero immaginabili alternative diverse da queste due.

    Naturalmente, poiché l’introduzione della regola dell’art. 19 riguardava solo la condotta dello sciatore in caso di scontro con altro sciatore o con altri sciatori e non anche la condotta causativa di danno in assenza di scontro con altro sciatore (o equiparato: vedi l’art. 20, che estendeva le norme comportamentali allo snowboard, così comportando l’applicazione dell’art. 19 anche allo scontro fra sciatore e snowboardista e fra due o più snowboardisti), si sarebbe dovuto constatare che queste altre ipotesi restavano al di fuori della sua efficacia e, dunque, per esse continuava ad operare la situazione normativa precedente. Ma certo l’introduzione dell’art. 19 costituiva, mi pare, una sorta di evidente avallo dell’idea che l’attività sciatoria fosse da qualificare o come pericolosa, volta che si consideri che non sembra dubitabile che la logica del secondo comma dell’art. 2054 sia, in definitiva, giustificata proprio dalla pericolosità dell’attività di circolazione dei veicoli, o come soggetta al primo comma dell’art. 2054.

    Mi preme a questo punto ricordare che tale primo comma ripete un criterio di imputazione soggettiva della responsabilità, quello del secondo comma dell’art. 2054, che nella sostanza è difficile non ritenere identico a quello dell'art. 2050, il quale, perché si vada esenti da responsabilità, esige che chi esercita un’attività pericolosa debba provare di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Del resto, va ricordato che l’origine dell’art. 2050 sta proprio nell’antenato del secondo comma dell’art. 2054, come si legge nella Relazione al Codice Civile del Guardasigilli. Antenato che si rintraccia in una legge del 1912.  

    Ma, mi pare, accanto all’introduzione del principio di cui all’art. 19, a favore di una “spinta” del legislatore a suggerire l’idea della pericolosità dell’attività sciatoria, si sarebbe dovuta considerare poi la grossa novità della introduzione con la legge del 2003 di una serie di norme di comportamento per lo sciatore.

    Se a monte di esse non vi era un’affermazione espressa di un principio simile a quello del primo comma dell'articolo 2054, andava considerata l’incidenza di quelle prescrizioni comportamentali ai fini della prova liberatoria che nel caso di scontro fra sciatori doveva dare ognuno dei coinvolti. La presenza di queste prescrizioni veniva, infatti, in rilievo per connotare il contenuto di tale prova liberatoria, nel senso che certamente lo sciatore che avesse voluto sottrarsi alla presunzione avrebbe dovuto dimostrare una condotta fra l’altro conforme a quelle prescrizioni. Inoltre, la presenza di dette prescrizioni non poteva che essere il sintomo di una particolare “attenzione” del legislatore alla capacità di recar danno dell’attività sciatoria e questo, mi pare, costituiva ulteriore spinta per una qualificazione di essa come pericolosa. Ciò sulla base del rilievo che, se il legislatore ebbe a sentire il bisogno di imporre regole comportamentali allo sciatore, avvertì questo bisogno per la pericolosità dell’attività da lui svolta.

    Ma nella legge del 2003 vi erano, mi sembra, ulteriori indizi giustificativi di tale qualificazione. Vi erano, infatti, alcuni espressi riferimenti al concetto di “pericolo” e ciò proprio nelle norme di prescrizione dei doveri comportamentali.

    Il comma 1 dell'art. 9, nel regolare la condotta dello sciatore espressamente prescriveva che essa dovesse tenersi in modo da non costituire pericolo per l'incolumità altrui: quindi era evocato espressamente concetto di pericolo.

    L'articolo 13, comma 1, nel prescrivere il modo della sosta dello sciatore espressamente stabiliva che lo stazionamento dovesse evitare pericoli per gli altri utenti.

    Anche questi espressi riferimenti al pericolo in qualche modo mi sembra che potessero considerare indizi della riconducibilità dell'attività sciatoria all'art. 2050 e ciò, a dire il vero, anche al di fuori dello scontro fra sciatori, fermo restando che in questo caso, come ho detto, l’operare della presunzione di colpa concorrente di cui all’art. 19 rendeva impossibile ragionare nella contemplazione dell’art. 2043 c.c. A proposito delle condotte dannose dello sciatore cagionanti uno scontro fra veicoli, se si applicasse la logica dell’art. 2043 c.c., infatti, l’onere della prova della colpa (o del dolo) sarebbe a carico del danneggiato, mentre in presenza di una regola come quell’art. 19 la logica dell’art. 2043 non può operare: se a carico di ognuno dei conducenti v’è la presunzione di colpa.

    Ognuno dei conducenti può, infatti, beneficiare della presunzione di colpa eguale dell’altro.

    L’essere onerato ognuno della prova idonea a superare la presunzione a proprio carico a favore dell’altro poneva la situazione fuori della logica dell’art. 2043 e comportava in realtà, per quello che ho detto, un onere della prova simile a quello dell’art. 2050 e ciò sempre che non si fosse ritenuto applicabile il primo comma dell’art. 2054 (come ho detto ispirato alla stessa logica).

    Del resto, alla stessa logica obbedisce, come ho detto, il secondo comma dell’art. 2054 c.c. Imponendo un onere di superare la presunzione di concorrente responsabilità, evidentemente impone una prova liberatoria che non può basarsi solo sulla dimostrazione della colpa dell’altro conducente (giurisprudenza pacifica), ma deve basarsi anche sull’esclusione della colpa propria, il che, nell’economia dell’art. 2054, sottende l’onere di cui all’art. 2054 primo comma c.c.

    È vero, dunque, che nel sistema della l. n. 363 del 2003, accanto alla previsione dell'articolo 19 non vi era una previsione come quella del primo comma dell'articolo 2054.

    Senonché, lo ripeto, è tutto da dimostrare che l'assenza di una simile previsione implicasse che l'onere a carico di ciascuno degli sciatori non fosse quello di dare dimostrazione dell'assenza di propria colpa in modo assoluto e quindi di dare dimostrazione di un qualcosa che, anche alla luce delle prescrizioni comportamentali, non implicasse un onere dissimile da quello dell'art. 2054 primo comma e quindi da quello omologo dell'art. 2050. Non mi pare che potesse sfuggirsi a questa conclusione, implicante, dunque, la pericolosità dell’attività sciistica (e di quelle equiparate).

    L'interrogativo che poteva sorgere riguardava semmai i casi in cui la responsabilità di uno sciatore venisse in gioco al di fuori di uno scontro con un altro sciatore, cioè come negli esempi che ho fatto all’inizio di questo scritto, e, quindi, quando si fosse verificato il danno a carico di un soggetto che prestava soccorso, o a carico di altro sciatore in posizione di stazionamento, naturalmente a meno che lo stazionamento non si intendesse ricondurlo a una delle condotte supposte dell'articolo 19, o a carico ancora di un estraneo che avesse interferito con la pista od ancora con riguardo ad un manufatto facente parte della pista.

    Per questi casi ritornava nuovamente il problema della possibile qualificazione della responsabilità dello sciatore ai sensi dell'art. 2050 e valevano le notazioni che ho svolto sopra a proposito della collocazione dell’attività sciatoria sotto quella norma sulla base del Codice Civile. 

    6. La nuova legge del 2021

    Veniamo ora alla nuova legge. Una volta registrato che la legge ha ripetuto nell’art. 28 la regola del concorso ad instar del secondo comma dell’art. 2054, rubricando la norma “concorso di responsabilità, è bene anzitutto rimarcare alcune particolarità che si riscontrano rispetto al testo della l. n. 363 del 2003 nel gruppo di norme che anche in questa legge sono dettate relativamente ai comportamento degli utenti delle aree.

    Comincio dall'art. 18, il quale esordisce nel comma 1 con un primo inciso, il quale stabilisce che lo sciatore è responsabile della condotta tenuta sulle piste da sci. Nel secondo inciso si stabilisce che a tal fine deve conoscere e rispettare le disposizioni previste per l'uso delle piste, rese pubbliche mediante affissione da parte del gestore delle piste stesse alla partenza degli impianti, alle biglietterie e agli accessi delle piste.

    Sottolineo che questa previsione, nel prescrivere una sorta di principio di autoresponsabilità e nel contempo nel ribadire pedantemente l'obbligo di conoscere e rispettare le disposizioni per l'uso delle piste, quindi sostanzialmente di informarvisi, sottende nell'intenzione del legislatore la consapevolezza della particolare “problematicità” e, quindi, soggezione a cautele, dell'attività sciatoria.

    Passo oltre: il comma due ripete la formula del comma 1 dell'art. 9 della l. del 2003, ma prescrive in aggiunta che lo sciatore deve tenere una condotta che non costituisca pericolo per l'incolumità propria e altrui. Ebbene balza agli occhi l'aggiunta del riferimento alla incolumità propria. Già il riferimento alla incolumità altrui si prestava a far considerare l'attività esercitata dallo sciatore come idonea ad incidere sugli altri, ma qui abbiamo addirittura la sottolineatura della attitudine dell'attività a determinare pericolo per se stessi. Il richiamo anche alla incolumità propria rafforza ulteriormente il valore della evocazione del pericolo, già presente nella legge del 2003.

    Nell'art. 18 compare poi, in un comma 4, una previsione del tutto nuova che suona quasi come pedantesca ripetizione di ciò che è stato detto prima. Essa prescrive allo sciatore di tenere una velocità e un comportamento di prudenza, diligenza e attenzione adeguati alla propria capacità, alla segnaletica e alle prescrizioni di sicurezza esistenti, nonché alle condizioni generali della pista stessa, alla libera visuale, alle condizioni metereologiche e alle intensità del traffico. Di particolare valore è l'ulteriore sottolineatura che lo sciatore deve adeguare la propria andatura alle condizioni dell'attrezzatura utilizzata, alle caratteristiche tecniche della pista e alle condizioni di affondamento della medesima.

    Ebbene, tutte queste prescrizioni mi sembra che sottendano una evidente volontà del legislatore di apprezzare l'attività sciatoria come oggetto dell'adozione di particolarissime cautele e riesce difficile negare che questo non significhi l’intentio legis indiretta di individuare un'attività lato sensu pericolosa.

    Passiamo oltre. Nell'articolo 19 viene ripetuta la norma della l. del 2003 (art. 10) sulla precedenza ma con un'aggiunta, con la quale si parla di pericoli riferiti allo sciatore a valle. Ecco anche in questo caso una particolare sottolineatura della pericolosità connessa alla nostra attività.

    Vengo poi alla norma che regola l'incrocio, quella dell'articolo 21. La particolare previsione della norma, nella quale non è più presente l'obbligo di dare precedenza a destra, ma sono precisate una serie di comportamenti che deve tenere chi si approssima ad un incrocio, anche qui rende evidente che il legislatore è consapevole della necessità che la condotta dello sciatore in prossimità degli incroci di per sé possa essere fonte di pericoli, il che giustifica la puntuale prescrizione di comportamenti da tenere.

    Ebbene un primo dato che bisogna registrare leggendo la nuova legge del 2021 è quello che l'aumento della specificità delle prescrizioni dettate per la condotta dello sciatore e l'aumento anche della evocazione del concetto di pericolo non possono che sottendere il convincimento del legislatore che l'attività sciatoria è un'attività che ha attitudine di per sé a determinare situazioni di pericolo e quindi un'attività pericolosa.

    Ma vengo a questo punto ad un argomento finale, che si basa su una pregnante novità legislativa.

    L’art. 30 del d.lgs. n. 40 del 2021 stabilisce che lo sciatore che utilizza le piste da sci alpino deve possedere una assicurazione in corso di validità che copra la propria responsabilità civile per danni o infortuni causati a terzi. Inoltre, introduce l’obbligo in capo al gestore delle aree sciabili attrezzate, con l'esclusione di quelle riservate allo sci di fondo, di mettere a disposizione degli utenti all'atto dell'acquisto del titolo di transito una polizza assicurativa per la responsabilità civile per danni provocati alle persone o alle cose.

    Ebbene l'assoluta novità della introduzione di un obbligo, anzi di due obblighi, uno direttamente impositivo a carico dello sciatore dell’onere di assicurarsi, l'altro a carico del gestore della pista di mettere a disposizione una polizza assicurativa, obblighi il cui inadempimento l'articolo 33, comma 2, assoggetta a sanzione amministrativa, evidenzia che il legislatore ha ritenuto che l'attività dello sciatore debba essere coperta da assicurazione perché è naturalmente foriera di possibili danni a terzi. Ebbene questo dato, quindi, come può consentire di negare che ormai a livello legislativo l'attività sciatoria come fonte di responsabilità civile debba essere considerata un'attività pericolosa?

    Rilevo semmai che colpisce nella norma dell'art. 30 che non si sia detto che il gestore di fronte alla mancanza di disponibilità da parte dell'operatore di una polizza e al rifiuto da parte sua di utilizzare quella che lui deve mettere a disposizione a pagamento naturalmente virgola non debba rifiutare l'accesso alla pista. Questa previsione manca nella norma e mi sembra difficile poterla estrapolare.

     

    [1] Esse rappresentano il contenuto di una relazione tenuta in Cortina d’Ampezzo lo scorso 1° ottobre 2022 nel Convegno organizzato dalla Camera Civile degli Avvocati di Belluno sul tema “La responsabilità in ambito sciistico”.

    [2] Per una prima lettura di tale d.lgs., si veda M. PITTALIS, L’attuazione della legge delega 8 agosto 2019, n. 86 in tema di ordinamento sportivo, professioni sportive e semplificazione, in Corriere Giuridico, 2021, 751 e ss.

    [3] Si veda l’art. 43-bis del d.lgs., introdotto dall’art. 30, comma 11, del d.l. n. 41 del 2021, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 69 del 2021, e, quindi, l’art. 10, comma 13-quater, lett. f), del d.l. n. 73 del 2021, convertito con modificazioni, dalla l. n. 106 del 2021.

    [4] Per un’ampia rassegna si veda: M. PITTALIS, La responsabilità in ambito sciistico, in Riv. Dir. Sportivo, 2015, 373 e ss. Adde, con specifico riferimento allo scontro fra sciatori, S. VERNIZZI, Scontro tra sciatori – profili di responsabilità civile, in La responsabilità sciistica. Prospettive attuali, a cura di M. SESTA e L. VIALE, Bolzano, 2015 (pubblicazione edita dalla Libera Università di Bolzano, ma rintracciabile su Internet).

    [5] Si tratta di Cass., 1 aprile 1980, n. 2111, in Riv. Dir. Sportivo, 1980, 354 (sulla sentenza si veda anche il commento di F.D. Busnelli-G. Ponzanelli, Rischio sportivo e responsabilità civile, in Resp. Civ. e prev., 1984, 285) e di Cass., 30 luglio 1987, n. 6603, in Archi. Giur. Circ., 1988, 25. Le decisioni sono anche evocate dalla PITTALIS nello scritto citato sub nota 3.

    [6] Riassuntivamente rinvio allo scritto della PITTALIS, citato nella nota 4.

    [7] Rimando, anche per riferimenti allo scritto della PITTALIS, citato sub nota n. 4

    [8] Si veda la PITTALIS, sempre nello scritto citato, sub paragrafo 2, 380 e ss..

    [9] Si vedano: Cass. 19 febbraio 2013, n. 4018, in Rass. dir. econ. sport, 2014, 165 e ss., con nota di G. Berti De Marinis e in Danno e Resp., 2013, 863 e ss., con nota di U. IZZO; Cass. 22 ottobre 2014, n. 22344, in Rass. dir. econ. sport, 2014, 438 e ss., con nota di M. Pittalis e in Danno e Resp., 2015, 357 e ss., con nota di U. IZZO; per le decisioni penali: Cass. 15 settembre 2015, n. 37267, in Danno e Resp., 2016, 139 e ss., con nota di S. Rossi. Adde: Cass. 9 novembre 2015, n. 44796 ; Cass. 25 febbraio 2019, n. 8110; Cass. 7 ottobre 2020, n. 27923.

    [10] Esse sono espressioni di un orientamento inaugurato da Cass. 26 aprile 2004, n. 7916, in Giust. Civ., 2005, 1, 3120 e ss.

    [11] Sulla legge, si vedano: M. FLICK, Sicurezza e responsabilità nella pratica degli sport invernali alla luce della legge 24 dicembre 2033, n. 363, in Danno e Resp., 2004, 475 e ss.; R. CAMPIONE, Le nuove norme in materia di responsabilità e sicurezza dell’attività sciistica, in Contratto e Impresa, 2004, 1305 e ss.; E. BALLARDINI, La legge n. 363/2003 in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali, in U. IZZO e G. PASCUZZI (a cura di), La responsabilità sciistica. Analisi giurisprudenziale e prospettive dalla comparazione, Torino, 2006, 3  ss.

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