GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Commento al Decreto Legislativo 8 novembre 2021, n. 188 di Armando Spataro

    Commento al Decreto Legislativo 8 novembre 2021, n. 188 (Disposizioni per il compiuto adeguamento  della  normativa  nazionale alle disposizioni  della  direttiva  (UE)  2016/343  del  Parlamento europeo e del Consiglio, del  9  marzo  2016,  sul  rafforzamento  di alcuni aspetti della  presunzione  di  innocenza  e  del  diritto  di presenziare al processo nei procedimenti penali)[1] [2] di Armando Spataro

    Le modalità di pubblica comunicazione dei magistrati hanno dato luogo a frequenti critiche secondo cui essi parlerebbero per rafforzare il peso dell’accusa o la propria immagine, nonostante il dovere di riservatezza cui sono tenuti. Si tratta di accuse quasi sempre infondate, ma che traggono spunto da innegabili criticità: basti pensare alla prassi  delle conferenze stampa teatrali e dei comunicati stampa per proclami, o all’autocelebrazione della proprie inchieste. Il dovere di informare è naturalmente irrinunciabile, purchè esercitato nei limiti della legge, del rispetto della privacy e delle regole deontologiche, ma è anche necessario che i magistrati si guardino bene dal contribuire a rafforzare un’ormai evidente degenerazione informativa, di cui  non sono ovviamente gli unici responsabili ed alla quale contribuiscono spesso anche appartenenti alle categorie degli avvocati, dei politici e degli stessi giornalisti che spesso producono informazioni sulla giustizia prive di approfondimento e di verifiche. I contenuti del D. Lgs. n. 188/2022 sono pertanto sostanzialmente condivisibili, pur se riguardano solo le Pubbliche Autorità. Ma è anche necessaria, per venir fuori da questo preoccupante labirinto, una riflessione diffusa che coinvolga tutte le categorie interessate .

    sommario:  1.Premessa. - 2. Il contenuto delle previsioni introdotte con il D. Lgs. N. 188/2022 (2.a: art. 2; 2.b: art.3; 2,c: art.4; 2.d: art. 5) - 3. Gli altri protagonisti della comunicazione relativa alla giustizia. -  3.a. Avvocati e Informazione - 3.b I politici che strumentalizzano l’informazione sulla giustizia. -  3.c . I giornalisti che producono l’informazione sulla giustizia. - 4. La necessità di una riflessione comune su informazione e giustizia tra  magistrati, avvocati e giornalisti. - 5. Cenni sull’ Allegato seguente

    Allegato: I criteri direttivi della Procura di Torino dell’8 ottobre 2018 che hanno anticipato varie disposizioni del D.Lgs. n. 188/221.

     1.Premessa

    Il corretto rapporto tra giustizia ed informazione-comunicazione è oggi uno dei pilastri su cui si fonda la credibilità dell’amministrare giustizia. All’opposto, la comunicazione scorretta ed impropria genera tra i cittadini errate aspettative e distorte visioni della giustizia, in sostanza disinformazione, così determinando ragioni di sfiducia nei confronti della magistratura e conseguente perdita della sua credibilità .

    Non è per caso che il Consiglio Superiore della Magistratura abbia emanato nella seduta dell’11 luglio 2018 le Linee Guida per l’organizzazione degli Uffici Giudiziari “ai fini di una corretta comunicazione istituzionale”, quale espressione della necessità di trasparenza, controllo sociale e comprensione - da parte dei cittadini - della giustizia intesa come servizio, come funzione, come istituzione.  

    Del resto, come è stato osservato[3], il magistrato non è più, in sé, simbolo di prestigio sociale e, tanto meno, di autorevolezza, fiducia, credibilità. La percezione sociale del magistrato e della giustizia – e dunque la maggiore o minore fiducia, il maggiore o minore rispetto, la maggiore o minore credibilità - si nutre sempre di più anche del “costume giudiziario”, ovvero di come i magistrati si pongono, parlano, scrivono, si comportano, e si relazionano con le parti del processo e con il pubblico.

    Va precisato, però, che quelle di vari magistrati non sono certo le uniche criticità che ormai si manifestano sul terreno dei rapporti tra giustizia ed informazione: intendo riferirmi, anche in questo caso evitando rischi di ingiuste generalizzazioni, a certi atteggiamenti che sono propri di forze di polizia giudiziaria, di avvocati, politici e di giornalisti. Se ne parlerà appresso.

    Si può comprendere, pertanto, come l’approvazione del decreto legislativo n.188/ 2021 (in intestazione precisato) abbia determinato sin dalla fase di sua gestazione divisioni nei commenti, soprattutto, di magistrati (in particolare di quelli che delle conferenze stampa e delle pubbliche dichiarazioni sulle inchieste da loro condotte fanno o hanno fatto un uso inaccettabile durante le rispettive carriere) e giornalisti (specie quelli abituati a cercare e sfruttare canali privilegiati di accesso alle informazioni riservate).

    Da appartenenti ad entrambe le categorie si è parlato di un inaccettabile bavaglio che con il provvedimento in questione si vorrebbe imporre a magistrati e giornalisti limitando l’informazione sui procedimenti penali, senza considerare che in discussione sono invece gli eccessi delle modalità informative allorchè, in contrasto anche con la Direttiva UE 2016/343, vanno a  ledere i diritti di indagati ed imputati.

    Ovviamente vi sono stati anche commenti critici di avvocati e politici, i quali, però, hanno auspicato soprattutto una ulteriore restrizione – francamente impensabile - dei contenuti delle pubbliche dichiarazioni dei magistrati sulle inchieste penali.

    Il problema dei limiti da rispettare nelle modalità comunicative in tema di giustizia è comunque reale, poiché non si può ovviamente accettare alcuna forma di censura sulla diffusione di notizie di pubblico interesse per i cittadini, salvo scatenare un “mercato nero”[4] di tali notizie.

    2. Il contenuto delle previsioni introdotte con il D. Lgs. N. 188/2022

    E’ allora utile, a questo punto, passare all’esame delle previsioni contenute nel decreto legislativo in questione (tralasciando l’ormai abituale “clausola di invarianza”, qui inserita nell’art.6), però con una premessa: in questo intervento non saranno approfonditi gli importanti temi giuridici che derivano dalla direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, citate nell’art. 1 del D. Lgs. 188/2021 (quale “Oggetto” e fine del provvedimento), concernenti il rafforzamento di alcuni aspetti della “presunzione di innocenza”, oggetto anche della giurisprudenza della Corte Edu.  Le nuove norme saranno piuttosto oggetto di commenti che chi scrive formulerà alla luce della propria esperienza professionale di pubblico ministero, maturata per tutto l’arco della propria carriera, salvo una pausa quadriennale di esercizio delle funzioni di componente eletto del CSM (1998-2002).  

    A tal fine saranno comunque di seguito riprodotti i testi delle norme oggetto di commento

    2.a - L’art. 2 del D. Lgs. 188/2021  (Dichiarazioni di autorità pubbliche sulla colpevolezza delle persone fisiche sottoposte a procedimento penaleprevede quanto segue:

    1.È  fatto  divieto  alle  autorità   pubbliche   di   indicare pubblicamente come colpevole  la  persona  sottoposta  a  indagini  o l'imputato fino a quando la colpevolezza non è stata  accertata  con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili.

    2. In caso di violazione del divieto  di  cui  al  comma  1,  ferma l'applicazione  delle  eventuali  sanzioni  penali  e   disciplinari, nonchè l'obbligo di risarcimento del danno, l'interessato ha diritto di richiedere all'autorità pubblica la rettifica della dichiarazione resa.

    3. Quando ritiene fondata la richiesta, l'autorità che ha reso  la dichiarazione procede alla rettifica immediatamente e, comunque,  non oltre quarantotto ore dalla ricezione della richiesta, dandone avviso all'interessato.

    4. L'autorità che ha reso la dichiarazione  è  tenuta  a  rendere pubblica la rettifica con le medesime modalità  della  dichiarazione oppure, se ciò non è possibile, con modalità idonee a garantire il medesimo rilievo e grado di diffusione della dichiarazione oggetto di rettifica. 

    5. Quando l'istanza di rettifica non è accolta, ovvero  quando  la rettifica  non  rispetta  le  disposizioni  di  cui   al   comma   4, l'interessato può chiedere al tribunale, ai sensi dell'articolo  700 del codice di procedura civile, che  sia  ordinata  la  pubblicazione della rettifica secondo le modalità di cui al comma 4.

     

    Le previsioni dell’art. 2 appaiono corrette in quanto, al di là delle modalità di comunicazione di cui si dirà appresso, sono ispirate dall’elementare  principio di “presunzione di innocenza”, peraltro espressione che ha finito anche per denominare il D. Lgs. 188/2021 nel dibattito pubblico che lo ha riguardato.

    La norma ovviamente rispetta quanto previsto nella direttiva (UE) 2016/343 e si riferisce al dovere delle pubbliche autorità (dunque, non solo dell’Autorità Giudiziaria ma, ad es.,  anche di Ministri: non possono dimenticarsi, a tal proposito, le premature esternazioni in ordine ad una delicata inchiesta del Ministro dell’Interno Salvini che, alla fine del 2018, determinarono contrasti con la Procura di Torino) di non forzare, fino alla decisione definitiva, il modo di presentare alla pubblica opinione gli indagati o imputati anche nel caso in cui le stesse autorità siano pervenute a precisi convincimenti presenti nei provvedimenti emessi nel corso delle varie fasi processuali.

    Personalmente, pur dando per scontati vizi e pessime abitudini di cui si parlerà, non credo affatto che sia diffusa tra i pm la convinzione che, incrementando il rilievo mediatico delle proprie inchieste e presentandoli come colpevoli dei reati loro ascritti, sia possibile far crescere le probabilità di ottenere la condanna degli imputati, specie in processi complessi.

    Ma è giusto che si preveda un divieto legislativo in materia, così come è giusto prevedere una procedura di rimedio – in caso di violazione del divieto stesso – attivabile dall’interessato il quale potrà richiedere la rettifica  della comunicazione, che dovrà intervenire "immediatamente e, comunque, non oltre quarantotto ore dalla ricezione della richiesta", venendo resa pubblica "con le medesime modalità della dichiarazione" o comunque con "modalità idonee", pur se nulla si dice sul connesso dovere di provvedervi da parte degli organi di informazione. In caso di diniego, invece, l'interessato potrà sempre rivolgersi al tribunale in via d'urgenza ex art. 700 c.p.c. .

    La norma evoca anche, in caso di violazione del divieto, oltre al risarcimento del danno, l'applicazione delle eventuali sanzioni penali e disciplinari. A tale ultimo proposito, vanno ricordato le previsioni di cui alle lettere “u”, “v” ed “aa” dell’ art. 2, comma 1 del D. L.vo 109/2006, secondo cui:

    1. 1. Costituiscono illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni:

    u) la divulgazione, anche dipendente da negligenza, di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione, nonché la violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione, o sugli affari definiti, quando è idonea a ledere indebitamente diritti altrui;

    v) pubbliche dichiarazioni o interviste che riguardino i soggetti coinvolti negli affari in corso di trattazione, ovvero trattati e non definiti con provvedimento non soggetto a impugnazione ordinaria, quando sono dirette a ledere indebitamente diritti altrui nonché la violazione del divieto di cui all'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106 (2);

    aa) il sollecitare la pubblicità di notizie attinenti alla propria attività di ufficio ovvero il costituire e l'utilizzare canali informativi personali riservati o privilegiati.

     Dunque, se le previsioni dell’art. 2 del D. Lg.s. 188/2021 non riguardano le tecniche di redazione dei provvedimenti giudiziari, quanto i confini lessicali imposti alla loro redazione, è giusto che venga ricordato il doveroso contrasto sul piano disciplinare di diffuse propensioni dei magistrati ad accrescere, per quelle vie, la popolarità della propria immagine.

    Se infatti l’informazione serve ai cittadini, essa va data con misura e quando lo sviluppo delle indagini lo consente, con connesso dovere dei dirigenti di assicurare che essa avvenga in forma corretta per fatti di pubblico rilievo, specie quanto i fatti sono oggetto di indagine e non ancora di una sentenza, sia pure di primo grado. Per i dirigenti degli Uffici Giudiziari, in particolare per i Procuratori della Repubblica, esiste anche il dovere di intervenire per correggere, anche di propria iniziativa e senza istanza degli interessati, imprecisioni e fake news: serve farlo con misura e precisione per evitarne l’enfatizzazione, così come per far fronte al rischio di “pregiudizio alle indagini, e per la dovuta attenzione ai diritti delle persone coinvolte (tra cui quello di non essere presentato alla pubblica opinione come colpevole di reati), all’immagine di imparzialità e correttezza del singolo magistrato, dell’ufficio giudiziario e, nei casi più gravi” della stessa funzione giudiziaria”[5]

    Per chiudere sull’art. 2, si potrebbe ipotizzare la non applicabilità del divieto di cui al co. 1, nel caso di indagato arrestato in flagranza di reato e/o immediatamente reo-confesso: ma anche in questo caso, ove sussista un interesse pubblico alla notizia, il comunicato stampa potrebbe dare atto delle modalità dell’arresto e di altre circostanze non coperte dal segreto investigativo, ma non potrebbe parlare di un “colpevole” prima della sentenza definitiva, tra l’altro essendo possibile anche in quei casi, come è noto, il riconoscimento di avere agito per legittima difesa o in presenza di altre circostanze che rendono non punibile l’autore del fatto.

    2.b - L’art. 3 del D. Lgs. 188/2021  (Modifiche al decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106 prevede quanto segue:

      1. All'articolo 5 del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, sono apportate le seguenti modificazioni:

       a) al comma 1, dopo la parola «informazione»,  sono  inserite  le seguenti: «, esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure,  nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite  conferenze stampa. La determinazione di procedere a conferenza stampa è assunta con atto motivato in  ordine  alle  specifiche  ragioni  di  pubblico interesse che la giustificano»;

      b) dopo il comma 2 è inserito il seguente: «2-bis. La diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita solo quando  è strettamente  necessaria  per  la  prosecuzione  delle   indagini   o ricorrono  altre  specifiche  ragioni  di  interesse   pubblico.   Le informazioni sui procedimenti  in  corso  sono  fornite  in  modo  da chiarire la fase in cui il procedimento pende  e  da  assicurare,  in ogni  caso,  il  diritto  della  persona  sottoposta  a  indagini   e dell'imputato a non essere indicati come colpevoli fino a  quando  la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale  di condanna irrevocabili.»;

      c) dopo il comma 3 sono inseriti i seguenti:

          «3-bis. Nei casi di cui al comma 2-bis,  il  procuratore  della Repubblica può autorizzare gli ufficiali di  polizia  giudiziaria  a fornire,  tramite  comunicati  ufficiali  oppure  tramite  conferenze stampa, informazioni sugli atti di indagine compiuti o ai quali hanno partecipato. L'autorizzazione è  rilasciata  con  atto  motivato  in ordine  alle  specifiche  ragioni  di  pubblico  interesse   che   la giustificano. Si applicano le disposizioni di cui ai commi 2-bis e 3.

      3-ter. Nei comunicati e nelle conferenze stampa di cui ai commi 1 e 3-bis è fatto divieto  di  assegnare  ai  procedimenti  pendenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza.».

      2. All'articolo 6, comma 1, del  decreto  legislativo  20  febbraio 2006, n. 106, dopo la parola «preposti,», sono inserite le  seguenti: «oltre che dei doveri di cui all'articolo 5,».

     Leggendo la lett. a), può dunque dedursi che l’informazione corretta non è quella delle conferenze stampa teatrali e dei comunicati stampa per proclami che ben abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, ma quella comunque sobria in presenza di due condizioni, cioè possibile quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o quando ricorrono altre specifiche ragioni di ordine pubblico. Disposizione valida anche quando il Procuratore autorizzi gli ufficiali di p.g. a fornire l’informazione.

    Proprio in tale prospettiva, mi permetto subito un riferimento personale: per il periodo in cui ho diretto la Procura della Repubblica di Torino, cioè dalla fine del mese di giugno del 2014 a metà del dicembre 2018, ho tenuto solo tre conferenze stampa: la prima per denunciare pubblicamente, insieme agli Avvocati (da me invitati a parteciparvi), il grave deficit di personale amministrativo dell’Ufficio; la seconda per illustrare i risultati ostensibili delle indagini sui gravi fatti verificatisi in Torino, in Piazza San Carlo, il 3 giugno 2017 (che avevano scosso l’intera città) e l’ultima per presentare pubblicamente le direttive emesse il 9 luglio 2018 in tema di priorità da accordare alla trattazione dei reati connotati da odio razziale ed al fine di velocizzare le procedure relative ai ricorsi avverso il rigetto delle richieste di protezione internazionale (argomenti, cioè, che richiamavano attualità e diritti fondamentali delle persone).  Nel lungo periodo precedente di servizio alla Procura di Milano, ho partecipato solo ad altre due conferenze: la prima nel 1988, insieme al collega Pomarici, in occasione della scoperta dell’ultimo “covo” della Brigate Rosse a Milano che segnò la fine degli “anni di piombo” (fu peraltro una conferenza tenuta dai Carabinieri cui noi, che l’avevamo autorizzata, assistemmo quasi silenti) ed un’altra di cui mi sono pentito, in epoca più recente.

    Sarà chiaro, dunque, che  non apprezzo in alcun modo la pratica delle conferenze stampa che vedono appartenenti alle forze di polizia schierati in divisa al fianco dei magistrati o dietro di loro. Sono preferibili comunicati stampa sobri ed essenziali che hanno il pregio di diffondere parole e notizie precise, senza possibilità di interpretazioni forzate, come accade con i “racconti” a voce.

    Quanto ai comunicati ed alle conferenze stampa, è però inaccettabile la prassi di quei pubblici ministeri che, presentando pubblicamente le proprie indagini, usano lanciare veri e propri proclami del tipo “si tratta della più importante indagine antimafia del secolo” o “finalmente abbiamo scoperto la mafia al Nord”, così proponendosi come icone - categoria purtroppo in espansione - per le piazze plaudenti.  Per non parlare della logica sottesa alla esaltazione di certi presunti misteri in relazione ai quali certi magistrati spesso richiamano responsabilità di imprecisate entità esterne e dei soliti “poteri forti”, senza nome e senza volto, così rinforzando il motto che i giornalisti inglesi usano per stigmatizzare quei loro colleghi che rifiutano di accerta­re/accettare il reale andamento dei fatti pur di non indebolire le lo­ro fantasiose ipotesi: «Non permettere ai fatti di rovinare una bella storia!».

    Recentemente, sono stati anche diffusi comunicati in forma non condivisibile: troppo lunghi nel testo e perfino contenenti, da un lato, brani oggetto di conversazioni registrate durante le indagini preliminari, dall’altro spunti critici verso giudici o avvocati, oppure affermazioni apodittiche quasi che le tesi dei pm esposte nei comunicati rappresentino la verità inconfutabile, definitivamente accertata, insomma un anticipo di sentenza. Niente di più lontano, insomma, dal senso del limite e dall’etica del dubbio cui devono conformarsi le parole di un pubblico ministero prima della decisione del giudice.

    I comunicati stampa, invece, oltre a dover essere ovviamente chiari, sintetici ed efficaci, non possono che riguardare informazioni di effettivo interesse pubblico e contenere brevi riferimenti alla natura dei reati per cui si procede, alla provvisorietà delle valutazioni del giudice (oltre che del PM) sulle responsabilità delle persone sottoposte a misura cautelare, evitando citazione di nomi e diffusione di fotografie o comunicazione di dati sensibili almeno ove tali nomi ed immagini non siano noti per altri fatti oggettivi (ad es., arresti in flagranza o diffusione di notizie, come è avvenuto, da parte degli stessi indagati).

    Particolare attenzione va riservata alla necessità di evitare in qualsiasi modo che notizie segrete o comunque riservate possano essere anche indirettamente propalate o intuite: i danni alle indagini sono in questi casi evidenti e finiscono con il legittimare le accuse sistematicamente rivolte ai magistrati – in quanto detentori delle notizie – di determinarne le cd. “fughe”.

    E’ doveroso anche (come previsto nella lett. “c” dell’art. 3 prima riportato) che i Pubblici Ministeri, anche per dare ulteriore concretezza al principio della direzione della Polizia Giudiziaria che la Costituzione ed il Codice di rito loro attribuiscono, debbano sempre ricevere preventivamente dai vertici dei presidi di polizia giudiziaria operanti nel circondario o, a seconda delle competenza, nel Distretto, i comunicati stampa che essi intendono diffondere in ordine a rilevanti indagini effettuate e, in caso di necessità, sottoporli alle valutazioni del Procuratore. Tale prassi è utile anche per pervenire a contenuti, modalità e tempi della diffusione della notizie di interesse pubblico improntati anche al rispetto dei diritti e delle garanzie spettanti agli indagati per qualsiasi reato.

    In sostanza, vanno evitati eccessi comunicativi anche della polizia giudiziaria (spesso dovuti al fine di acquisire titoli utili per la progressione in carriera, mediante visibilità e impatto mediatico delle proprie attività) o anticipate diffusioni di notizie che possono determinare il rischio di pregiudicare il buon esito delle operazioni. Queste, infatti, non si esauriscono nel momento dell’arresto di un ricercato o dell’avvenuta effettuazione di controlli e perquisizioni: talvolta, ad es., l’arrestato può chiedere di essere interrogato ed occorre che il PM vi provveda subito se l’atto si presenta utile. Altre volte il materiale sequestrato può determinare ulteriori urgenti attività. E gli esempi potrebbero continuare. E’ importante, dunque, che PM, Polizia Giudiziaria e vertici delle strutture operanti condividano la cultura della informazione appropriata per contenuto e tempistica, che può persino essere frutto di oculata elaborazione di strategie investigative, quando, ad es., si diffonde ad hoc una specifica notizia perché ciò può determinare utili ed importanti sviluppi.

     

    Sia permesso riportare di seguito la parte concernente questo tema che figura nei Criteri organizzativi della Procura di Torino dell’8 ottobre del 2018 (pag. 221), principio già dettato in precedenza (con analoghe direttive del 23.6.2015) e che la Polizia Giudiziaria del Circondario ha condiviso e sempre rispettato:

    Pag. 221 dei Criteri Organizzativi dell’8 ottobre 2018

    Direttive per i magistrati dell’Ufficio, con particolare riferimento ai rapporti con la Polizia Giudiziaria

    Sempre per quanto riguarda la direzione delle indagini, i Pubblici ministeri dovranno raccomandare alla polizia giudiziaria, ogniqualvolta ciò risulti utile o necessario, quanto segue:

    …omissis…

    - evitare, specie in caso di indagini delicate, conferenze e comunicati stampa relativi ad attività di polizia giudiziaria, senza previo assenso del magistrato che le coordina.

     Anche il contenuto dell’art. 3 del D. Lgs. 188/2021, dunque, è condiviso da chi scrive salvo nella parte in cui si prevede (co.1, lett. “a”) che, al comma 1 del D. lgs. 20 febbraio 2006 n. 106 (Disposizioni in materia di riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera d), della legge 25 luglio 2005, n. 150) venga aggiunta la frase “La determinazione di procedere a conferenza stampa è assunta con atto motivato in  ordine  alle  specifiche  ragioni  di  pubblico interesse che la giustificano”.

    Si tratta francamente di una previsione di tipo burocratico, quella dell’atto motivato, che allude ad un controllo di tipo gerarchico sulle decisioni del Procuratore della Repubblica: non a caso, con l’ultimo capoverso dell’art. 3 D. Lgs. 188/2021, si prevede che  “All'articolo 6, comma 1, del  decreto  legislativo  20  febbraio 2006, n. 106 (ndr.: Attività di vigilanza del procuratore generale presso la corte di appello), dopo la parola «preposti,», sono inserite le  seguenti: «oltre che dei doveri di cui all'articolo 5,”. Il procuratore generale presso la corte di appello, cioè, dovrà acquisire anche dati e notizie dalle procure della Repubblica del distretto sulle conferenze stampa e sugli atti motivati con cui sono state autorizzate, ed inviarle al procuratore generale presso la Corte di cassazione con relazione almeno annuale.

    Francamente troppo: non vi è bisogno di un atto scritto per motivare una conferenza stampa (salvo quando si tratti di un’autorizzazione diretta alla polizia giudiziaria): il Procuratore della Repubblica, infatti, è comunque responsabile delle decisioni adottate anche quanto alla valutazione della necessità per la prosecuzione delle indagini o delle  specifiche ragioni di pubblico interesse che facciano ritenere doverose le conferenze stampa, di cui comunque può dare spiegazione nei casi e nei tempi  in cui ciò gli venga richiesto.

    Si dovrebbe evitare di “immettere sul mercato”, insomma, altri formalismi inutili e relativi “moduli” da cui è già gravata la vita quotidiana delle Procure, prevedendo, semmai, la redazione facoltativa di tali atti motivati.

    E’ anche condivisibile il divieto (ex punto 3-ter della lett. “c”) di  assegnare  ai  procedimenti  pendenti, in comunicati e conferenze stampa, denominazioni lesive della presunzione di innocenza: un’altra pessima abitudine conosciuta per valorizzare la teatralità della comunicazione relativa a determinate indagini.

    In ogni caso, ai sensi della lett. b) del co. 1 della norma, le informazioni devono far riferimento alla fase in cui si trova il processo e rispettare le prescrizioni del già citato art. 2 del D. lgs. 188/2021.

    La regola non scritta rimane comunque, anche in questo caso, quella secondo cui i Procuratori, comunque, ed i loro delegati, devono adoperarsi perché sia diffusa all’interno ed all’esterno degli uffici che dirigono la consapevolezza della delicatezza e importanza della comunicazione relativa alle procedure giudiziarie, pur se – sul punto - i magistrati rimarranno sempre esposti a critiche spesso strumentali quando indagati ed imputati apparterranno alle note “categorie protette”. Molto raramente, invece, è dato rilevare critiche ad altri protagonisti di una deriva insopportabile che ormai si manifesta sul terreno dei rapporti tra giustizia ed informazione : intendo riferirmi, anche in questo caso evitando rischi di ingiuste generalizzazioni, a certi atteggiamenti che sono propri anche di avvocati, politici e perfino, se non soprattutto, di giornalisti.

    Il tema in questione va comunque affrontato considerando che l’informazione sulla giustizia è certamente necessaria, rivestendo anzi la dimensione di un dovere da parte di chi deve diffonderla e di un diritto da parte di chi ne è destinatario.

    2.c - L’art. 4 del D. Lgs. 188/2021  (Modifiche al codice di procedura penaleprevede quanto segue:

    1. Al  codice  di  procedura  penale  sono  apportate  le  seguenti modificazioni:

        a) dopo l'articolo 115, è inserito il seguente:

      «Articolo 115-bis (Garanzia della presunzione di  innocenza). - 

    2. Salvo quanto previsto dal  comma  2,  nei  provvedimenti  diversi  da quelli volti alla decisione in  merito  alla  responsabilità  penale dell'imputato, la persona sottoposta  a  indagini  o  l'imputato  non possono essere indicati come colpevoli fino a quando la  colpevolezza non è stata accertata con sentenza  o  decreto  penale  di  condanna irrevocabili. Tale disposizione non si applica agli atti del pubblico ministero volti a dimostrare la colpevolezza della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato.

      3. Nei provvedimenti diversi da  quelli  volti  alla  decisione  in merito alla responsabilità penale dell'imputato,  che  presuppongono la valutazione di prove, elementi di prova o indizi di colpevolezza, l'autorità giudiziaria limita i riferimenti alla colpevolezza  della persona  sottoposta  alle  indagini   o   dell'imputato   alle   sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti, i requisiti  e  le altre  condizioni  richieste   dalla   legge   per   l'adozione   del provvedimento.

      4.. In caso di violazione delle disposizioni  di  cui  al  comma  1, l'interessato può, a pena di decadenza, nei dieci giorni  successivi alla conoscenza del provvedimento, richiederne la correzione,  quando è necessario per  salvaguardare  la  presunzione  di  innocenza  nelprocesso.

    5. Sull'istanza di correzione il giudice che procede provvede,  con decreto motivato, entro quarantotto ore dal suo deposito.  Nel  corso delle indagini preliminari è competente il giudice per  le  indagini preliminari. Il decreto è notificato all'interessato  e  alle  altre parti e  comunicato  al  pubblico  ministero,  i  quali,  a  pena  di decadenza, nei dieci giorni successivi, possono proporre  opposizione al presidente del tribunale  o  della  corte,  il  quale  decide  con decreto senza formalità di procedura. Quando l'opposizione  riguarda un provvedimento emesso dal presidente del tribunale o dalla corte di appello si applicano le disposizioni di cui  all'articolo  36,  comma

    4.»;

        b) all'articolo 314, comma 1, è aggiunto, in fine,  il  seguente periodo: «L'esercizio da parte dell'imputato della  facoltà  di  cui all'articolo 64, comma 3, lettera b), non  incide  sul  diritto  alla riparazione di cui al primo periodo.»;

        c) all'articolo 329, comma 2, dopo  le  parole  «Quando  è»,  è inserita la seguente: «strettamente»;

       d) all'articolo 474 del codice di procedura penale, dopo il comma 1, è aggiunto il seguente:

          «1-bis. Il giudice, sentite le  parti,  dispone  con  ordinanza l'impiego delle cautele di cui al comma 1. È comunque  garantito  il diritto dell'imputato e del difensore di consultarsi  riservatamente, anche  attraverso  l'impiego  di  strumenti   tecnici   idonei,   ove disponibili. L'ordinanza è revocata con  le  medesime  forme  quando sono cessati i motivi del provvedimento.».

     Assolutamente condivisibili sono le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 del nuovo art.  115 bis cpp. : la giustizia, infatti, viene comunicata quotidianamente all’esterno con anche con vari atti giudiziari destinati a diventare pubblici, quali decreti di perquisizione, avvisi di garanzia, provvedimenti cautelari, decreti penali e sentenze, ma fino al momento in cui sia emesso il provvedimento definitivo, non può essere consentito ai magistrati  - specialmente se pubblici ministeri -  di utilizzare tali provvedimenti per finalità diverse da quelle cui sono direttamente destinate, ad es. per rafforzare il peso dell’accusa e delle proprie convinzioni, anche indirettamente, attraverso la loro pubblicità o mediante improprie modalità di redazione.

    Un esempio, certamente estremo ma significativo, può essere utile: riguarda il cd.  «derby del Sud», cioè il noto scontro tra la Procura della Repubblica di Salerno e quella di Catanzaro risalente al 2008. Prescindendo dal merito e dall’esito del processo, intendo qui ricordare che il 2 e il 3 dicembre di quell’anno, il procura­tore di Salerno «vistava», e due suoi sostituti firmavano, un decreto di perquisizione di oltre millecinquecento pagine nei confronti, tra gli altri, di sette magistrati di Catanzaro, compreso il procuratore ge­nerale. Costoro risultavano indagati per reati che andavano dalla cor­ruzione in atti giudiziari all’omissione di atti d’ufficio, dal falso ideologico al favoreggiamento personale e alla corruzione.

    Il decreto di perquisizione non rientra tra gli atti destinati a porre l’indagato in condizione di difendersi, ma serve solo a mo­tivare la scelta di cercare qualcosa in un certo luogo; per questa ragione consta normalmente di poche pagine: tre o quattro al massimo. Non mi è mai capitato di firmarne uno più lungo, pur se è accaduto anche a me di condurre qualche indagine delicata.  Il decreto di perquisizione emesso dai pm di Salerno venne subi­to pubblicato su un sito web ricevendo così ampia diffusione: vi si  riproducevano pressoché integralmente dichiarazioni rese da persone informate sui fatti contenenti opi­nioni ed apprezzamenti personali di dubbia compatibilità con le re-gole procedurali e di ancor più dubbia pertinenza con l’oggetto del­l’indagine, quali  ipotesi di scarsa sensibilità istituzionale, di comportamenti omissivi e sospette relazioni formulate nei confronti di personalità politiche, compo­nenti del Csm, un pubblico ministero della Cassazione, nonché vertici ed esponenti dell’Associazione magistrati.

    Provvedimenti così costruiti presentano un altro grave limite, questa volta intrinseco, quello di far «evaporare» le responsabilità penali su cui si indaga, che così rischiano di annegare in un mare di affermazioni non pertinenti e di ipotesi indimostrate.

     I commi 1 e 2 del nuovo art.  115 bis cpp, dunque, richiamano il dovere di sobrietà dell’Autorità Giudiziaria  e quello di non motivare gli atti giudiziari in modo ultroneo rispetto ai fini cui sono diretti.

    Comprensibili e conseguenti le previsioni di cui ai successivi commi 3 e 4 che disciplinano la procedura di correzione dei provvedimenti e di connessa autotutela degli interessati.

    Le altre previsioni (lett. “b”, “c” e “d” dell’art. 4 del D. lgs. in esame) rispettivamente riguardano:

    -il tema della equa riparazione in caso di assoluzione (art. 314 c.p.p.), rispetto alla quale non incide il diritto ad esercitare la facoltà di non rispondere : si tratta dell’assestamento legislativo di una questione spesso dibattuta;

    -la modifica all’art. 329 co. 2 cpp (obbligo del segreto) con la possibilità per il pubblico ministero – in deroga a quanto previsto dall’art. 114 cpp in tema di divieto di pubblicazione di atti e di immagini – di consentire con decreto motivato la pubblicazione di singoli atti o parti di essi solo quando ciò è strettamente necessario per la prosecuzione delle indagini (ove la novità è l’introduzione nella norma dell’avverbio “strettamente”, che – comunque – non potrà che essere oggetto di valutazione esclusiva del magistrato inquirente su cui neppure il CSM può interferire). Si tratta comunque di modifica dovuta all’esigenza di rispettare l'articolo 4, paragrafo 3, della Direttiva europea già citata;

    -l’aggiunta del co. 1 bis all’art. 474 c.p.p. (“Assistenza dell’imputato all’udienza”) che meglio disciplina il diritto alla partecipazione “da libero” dell’imputato all’udienza, anche se detenuto, mediante l’impiego delle cautele di cui al comma 1 e garantendo il diritto dell’imputato e del difensore di consultarsi riservatamente, anche attraverso l’impiego di strumenti tecnici idonei, ove disponibili, certamente essenziale ai fini del pieno esercizio del diritto alla difesa. Si tratta di disciplina formale di prassi che normalmente sono da tempo già attuate nel corso delle udienze, conseguente comunque all’art. 5 della Direttiva che impone agli Stati membri di adottare «le misure appropriate per garantire che gli indagati e imputati non siano presentati come colpevoli, in tribunale o in pubblico, attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica», consentite ove «necessarie per ragioni legate al caso di specie, in relazione alla sicurezza o al fine di impedire che gli indagati o imputati fuggano o entrino in contatto con terzi».

     

    2.d - L’art. 5 del D. Lgs. 188/2021  (Rilevazione, analisi e trasmissione dei dati statisticiprevede quanto segue:

    1.  Alla  rilevazione,  all'analisi  e   alla   trasmissione   alla Commissione europea dei dati di cui all'articolo 11  della  direttiva provvede il Ministero della giustizia.

    2. Ai fini di cui al comma 1, sono oggetto di rilevazione, tra  gli altri, i dati relativi al numero e all'esito dei  procedimenti  anche disciplinari connessi alla violazione degli articoli 2,  3  e  4  del presente decreto  e  dei  procedimenti  sospesi  per  irreperibilità dell'imputato ovvero nei confronti di imputati latitanti, nonchè dei procedimenti per rescissione del  giudicato  ai  sensi  dell'articolo 629-bis del codice di procedura penale.

    Non vi è qui necessità di particolari commenti, salvo ricordare che, ai sensi dell’art. 11 della Direttiva, la trasmissione di tali dati dovrà avvenire ogni tre anni.

     3. Gli altri protagonisti della comunicazione relativa alla giustizia

    Si è già detto che protagonisti necessari della comunicazione relativa alla giustizia non sono solo i magistrati ma anche la polizia giudiziaria (di cui si è già parlato), gli avvocati, i politici ed i giornalisti.

    Avviandomi alla conclusione di questo intervento, qualche  osservazione in merito è necessaria anche per porre in evidenza il fatto che sarebbero utili interventi legislativi ulteriori o una severa applicazione dei codici etici o deontologici delle citate categorie professionali, così come dei partiti politici che ne dispongono.

    La Ministra Cartabia, nel ricordare la spinta al Governo frutto della Direttiva Europea 2016/343 che sin qui non era stata attuata, ha dichiarato[6] che “oggi è cambiato il contesto: il solo fatto di una notizia di indagini…se viene immediatamente proposto sulla stampa come se si fosse già individuato l’esito di quel processo, può pregiudicare nei fatti quel principio che noi vogliamo garantire, cioè il fatto che la persona non è considerata colpevole fino alla fine della sentenza di condanna. Se posto male dal punto di vista mediatico, il processo può arrecare un danno alla reputazione...alla vita di una persona… Questo non vuol dire che non serve parlare delle indagini, ma bisogna farlo con delle nuove garanzie per preservare questo che è un caposaldo del rapporto tra il cittadino e il potere giudiziario...occorre un equilibrio diverso”.

    Parole certo condivisibili, che ad avviso di chi scrive devono però intendersi riferibili alle molteplici strumentalizzazioni delle nuove modalità di comunicazione sulla giustizia addebitabili a larghi settori del mondo forense, del ceto politico e dello stesso giornalismo.

     3.a. Avvocati e informazione

    Ricordo quando Virginio Rognoni, da ex vice presidente del CSM, ebbe a definire virtuoso il protagonismo dei magistrati e degli avvocati civilmente impegnati a fornire corrette informazioni ai cittadini nell’interesse della amministrazione della giustizia e della sua credibilità.

    Ma, così come è stato sin qui fatto per le criticità comunicative dei magistrati, non si può tacere in ordine a certi comportamenti di non pochi avvocati che sfruttano la risonanza mediatica delle inchieste in cui sono coinvolti i loro assistiti, ed anzi le amplificano.

    Anche grazie a tale propensione si afferma il processo mediatico, che – maggiormente deprimente se vi partecipano magistrati – diventa spesso più importante ed efficace di quello che si celebra nelle Aule di Giustizia e della sentenza cui è finalizzato. Senonchè, come ha scritto Luigi Ferrarella[7], “su questo piano nessuno si salva, perché nel processo mediatico vince comunque il più scorretto, a prescindere dal lavoro che fa. Vince il magistrato più ambizioso o più vanitoso, come viene lamentato spesso; ma vince anche l'avvocato più aggressivo e scorretto; vince l’imputato (se mi si concede l’errore) più "eccellente", vince il poliziotto-carabiniere-finanziere meglio introdotto nel circuito mediatico ai fini della sua progressione in carriera o della sua logica di cordata interna; e vince il giornalista più spregiudicato. Con un risultato micidiale anche sul modo in cui in una collettività democratica viene amministrata la giustizia”.

    Ed a ciò deve anche aggiungersi che il consenso popolare viene televisivamente ricercato da qualche avvocato anche quale mezzo per favorire la espansione della propria clientela

    Inesistente, o comunque rara, è peraltro qualsiasi forma di autocritica della categoria anche rispetto a quegli avvocati che, subito dopo la pronuncia di una sentenza di condanna dei loro assistiti, anziché formulare, come è ben possibile, legittime critiche in modo pacato ed eticamente consentito, si lasciano andare a commenti delegittimanti nei confronti dei giudici che hanno emesso la sentenza e dei Pm che hanno condotto le indagini.

    Senza questo tipo di atteggiamenti i talk-show non avrebbero seguito e le telecamere non avrebbero ragione di popolare le aule di giustizia, ma il prestigio e dignità della classe forense ne trarrebbero vantaggio.

     

    3.b I politici che strumentalizzano  l’informazione sulla giustizia

    Non intendo qui far riferimento alle conosciute modalità di reazione a processi, condanne e assoluzioni da parte di politici a vario titolo incriminati. Il tema mi interessa poco anche perché è ovviamente prevedibile che un imputato, a qualsiasi categoria appartenente, ben difficilmente potrà essere riconoscente nei confronti di quanti lo hanno incriminato e condannato.

    Mi interessa invece qualche breve cenno al comportamento di quei politici, con incarichi governativi o meno, che sono ben attenti a sfruttare le modalità di comunicazione che i tempi moderni hanno imposto: come si dirà appresso, si moltiplicano giornalisti inclini non tanto all’approfondimento della notizia dai politici propalata con insopportabile retorica, ma a determinarne comunque il massimo clamore .

    Basti pensare a come, per mero scopo di supporto populista alle proprie scelte e posizioni, esponenti di rilievo di vari Governi hanno presentato ai cittadini i famosi “pacchetti sicurezza” del 2008 e del 2009, o i “decreti sicurezza” del 2018 e 2019, o a come sono stati diffusi infondati allarmi sui rischi derivanti per l’Italia dal terrorismo internazionale (notizie riguardanti inesistenti scuole di kamikaze; inesistenti progetti di attentati a seggi elettorali, alla cattedrale di Bologna, alle stazioni metropolitane; o, ancora, la massiccia presenza dell’IS a Roma, i numeri esagerati di foreign fighters espulsi, la balla del marocchino arrestato in provincia di Milano – e poi scarcerato dai Giudici - perché complice dell’attentato al Bardo di Tunisi), così come va ricordata la propalazione di pulsioni xenofobe nei confronti degli immigrati, in particolare di quanti arrivano in Italia sui barconi, tra i quali si dice – contrariamente al vero – vi sarebbero terroristi ed aspiranti kamikaze .

    Insomma, negli esempi fatti, la notizia che dovrebbe informare correttamente serve in realtà ad enfatizzare il problema sicurezza, così da allarmare i cittadini ed insieme rassicurarli grazie a continui riferimenti alla capacità di chi governa di saperli tutelare attraverso apparati di intelligence e leggi sapienti. Zygmunt Bauman ci aveva già avvertito in odine al senso di questa strategia politica che serve a far passare in second’ordine – rispetto all’abusato tema della sicurezza - problemi sociali ed economici, doveri costituzionali ed incapacità di guida politica del paese. E per tutto questo, ora, basta un tweet o un sms di 160 caratteri: forse lo stesso Bauman non l’aveva immaginato!

    E la stessa strategia è utilizzata nel periodo che stiamo vivendo per ogni procedimento che vede indagato o imputato un politico o un suo parente o persone a lui vicine. Il brand utilizzato continua ad essere sempre eguale: si tratta di processi frutto dell’orientamento politico dei magistrati  che non rispettano la legge !

     3.c . I giornalisti che producono l’informazione sulla giustizia

    I giornalisti, ovviamente, dovrebbero essere gli osservanti più scrupolosi delle regole della corretta informazione. E fortunatamente molti lo sono. Ma anche per questa categoria, la modernità ha imposto “anti-regole” pericolose ed inaccettabili.

    Cito un altro episodio personalmente vissuto circa trent’anni fa allorchè effettuai un lungo viaggio di studio negli Stati Uniti, trovandomi a discutere, a Chicago, con il locale Prosecutor federale, in ordine al livello di indipendenza possibile dei Procuratori designati dal Presidente degli Stati Uniti (nel sistema di giustizia federale) o eletti (nel sistema di giustizia statale). Gli chiedevo se i pubblici ministeri non fossero condizionati dalla fonte politica della loro nomina. La risposta fu “Caro collega, qui c’è la stampa!”. Non disse “..la stampa libera”. Alludeva al famoso ruolo di cane da guardia del giornalismo d’inchiesta, forse troppo citato, ma che, come è noto, ha consentito – negli Stati Uniti – di far venire alla luce scandali di portata storica.

    Il giornalismo d’inchiesta, in sostanza, negli Stati Uniti e dovunque, grazie ad approfondimenti seri, documentati e soprattutto liberi, dovrebbe ricercare la verità dei fatti, come spetta al PM nelle sue indagini giudiziarie: Julian Assange e Wikileaks ne sono un altro esempio, pure nella bufera che stanno vivendo da anni.

    E’ così anche in Italia? Purtroppo non è sempre così. Ho prima citato, a proposito dei politici, i vizi originati della moderna informazione, in modo particolare di quella ormai dominante (o quasi) sul web, che impone assoluta rapidità di diffusione delle notizie. Ma se ciò avviene senza approfondimenti e senza le dovute precisazioni, non è affatto una buona informazione, specie ove si pensi che, nei frequenti casi  di diffusione via web di informazioni imprecise e superficiali, è molto difficile che l’indomani, i quotidiani titolari del siti web possano correggere ed ammettere l’errore.

    Si sono però diffuse altre modalità poco corrette di interlocuzione ed informazione nel settore della giustizia (al quale mi limito): una parola di saluto e commento informale di un magistrato diventa intervista mai rilasciata o autorizzata, titoli in rilievo e virgolettati lasciano pensare a contenuti degli articoli ad essi conformi ed a dichiarazioni rilasciate da persona intervistata, mentre quasi mai quelle parole sono state pronunciate da alcuno e spesso i contenuti degli articoli ne smentiscono i titoli.

    Parlandone con qualche autorevole giornalista amico, mi è stato risposto che quella è ormai la moderna tecnica utilizzata dai giornali per attirare l’attenzione del lettore.

    E c’è molto altro: presenza di telecamere non autorizzate nei palazzi di giustizia, i cui utilizzatori sono pronti a riprendere persone che si recano negli uffici dei magistrati per essere esaminati o interrogati, con conseguente violazione della privacy; giornalisti che pretendono di dar vita a rapporti confidenziali con i magistrati  per avere accesso prioritario a notizie riservate o che nelle interviste pongono domande dai toni e contenuti provocatori per generare imbarazzo negli intervistati e perché ne resti traccia nei servizi televisivi; articoli che tendono ad assecondare le peggiori pulsioni populiste dei lettori etc. . A tal proposito ricordo quando, da Procuratore Aggiunto a Milano, ebbi a ricevere nel mio ufficio un giovane giornalista che, presentandosi come nuovo addetto della sua importante testata alle cronache giudiziarie milanesi, mi rassicurò sul fatto che avrebbe mantenuto segreta la fonte di ogni notizia riservata che gli avrei passato. Mentre lo sbattevo fuori dall’ufficio, pensai che qualcuno doveva avergli detto che così si fa con i magistrati e che i magistrati lo accettano e magari lo gradiscono. E non è difficile ipotizzare che, purtroppo, ciò possa effettivamente avvenire fino a determinare l’ “abbandono” di uno dei più importanti obiettivi che le corrette modalità di comunicazione impongono, cioè quello della massima spersonalizzazione  delle notizie : ciò significa, ad es., che si può ben dare informazione – nei limiti sin qui precisati – circa un’indagine di pubblico interesse, ma  questa deve essere attribuita all’Ufficio e non al singolo pubblico ministero che l’ha condotta.

    Sono questi i principali vizi del giornalismo moderno che si occupa della giustizia, fermo restando che non intendo spendere una sola parola sui professionisti disonesti. Ce ne sono infatti anche tra magistrati, avvocati e politici e non vi è necessità di alcun commento in proposito. Onore, invece, ai tanti giornalisti che fanno il loro dovere con assoluta professionalità e correttezza, senza sconti per alcuno. Ed onore a coloro che, in ogni parte del mondo, sono morti o sono stati perseguitati nell’adempimento del loro dovere.

    Il mio sogno è di vedere il nostro mondo della giustizia popolato da giornalisti “factcheckers” che, anziché cercare documenti in modo scorretto, provvedano ad eventualmente richiederli con formali istanze.  A tal proposito, mi permetto di citare ancora una volta disposizioni e prassi esistenti presso la Procura di Torino (ma anche presso altre Procure come quella di Napoli), ove, in base a direttive specifiche, anche giornalisti ed altre persone interessate  possono proporre istanza  ai sensi dell’art. 116 c.p.p.[8] di accesso agli atti e di eventuale rilascio di copie, illustrando il loro interesse e la relativa rilevanza.

    Meglio ancora sarebbe, come da anni proposto da Luigi Ferrarella, disciplinare legislativamente il loro accesso agli atti, per evitare dipendenza da fonti portatrici di interesse e per esaltare la libertà e professionalità dei giornalisti.

    Lo stesso giornalista, noto per la qualità delle sue osservazioni, ha posto in evidenza[9] quelle che a suo parere sono le criticità del D. lgs. N. 188/2021, che potrebbe amplificare il “mercato nero della notizia…propellente del processo mediatico”. Nel ricordare che le nuove norme non intervengono sul lavoro del giornalista (come sarebbe stato meglio: ndr) e che i guasti nel sistema di informazione sulla giustizia sono dovuti alle scomposte vanterie di magistrati e forze dell’ordine, si dichiara contrario alla stretta delle conferenze stampa che consentirebbe al giornalista scrupoloso di verificare una notizia non più coperta dal segreto di Stato. I giornalisti, conseguentemente, saranno spinti a coltivare nell’ombra rapporti per forza di cose opachi con le varie fonti negate, magari interessate a fornire solo frammenti di notizie. Ferrarella, inoltre, denuncia il rischio insito nel riconoscimento della competenza unicamente in capo ai dirigenti delle Procure della valutazione di cosa sia o non sia di “interesse pubblico” (con la prevedibile accusa di fare politica attraverso tali scelte), compito che invece – alla luce della giurisprudenza della Corte Edu – spetterebbe proprio ai giornalisti.

    Certamente osservazioni come queste, specie se provenienti da una fonte così autorevole, devono far riflettere, ma è mia opinione che esse riguardino possibili criticità nell’applicazione delle norme sin qui citate, piuttosto che aspetti negativi dei loro contenuti. Vi è sempre il rischio che una qualsiasi legge non venga rispettata o venga applicata strumentalmente rispetto ad interessi ed obiettivi personali.

    In realtà è giusto che le conferenze stampa siano limitate ai fatti di pubblico interesse e che sia il procuratore a deciderlo: si potrebbe mai operare una simile scelta d’intesa con organismi rappresentativi del giornalismo? Ma se tutto avviene correttamente e nello spirito della legge, i giornalisti non vedranno mai depotenziato il loro ruolo ed il diritto di selezionare le notizie di interesse: le indagini non nascono per tale fine, bensì per accertare i responsabili dei reati consumati e toccherà ai giornalisti ricercare le notizie correttamente, attraverso le fonti possibili e – come è sperabile – con possibilità di accesso legale a quelle documentali.

     4. La necessità di una riflessione comune su informazione e giustizia tra  magistrati, avvocati e giornalisti.

    Sono da tempo intervenuti codici deontologici per magistrati, avvocati e giornalisti, cioè per tre delle principali categorie protagoniste del rapporto tra comunicazione e giustizia: tali codici sono sempre più mirati a disciplinare diritti e doveri connessi all’esercizio delle rispettive citate funzioni, ma i vizi sin qui esposti – ed altri ancora - permangono ed anzi rischiano di amplificarsi.

    Non occorre – allora – invocare nuove regole deontologiche e sanzioni, quanto applicare quelle esistenti e comunque dar luogo ad un confronto diffuso, serrato e sincero tra le categorie interessate a dar luogo a prassi corrette d’informazione. Rammento, ad esempio, i vari incontri organizzati a Torino negli ultimi anni con giornalisti ed un’assemblea anche con gli avvocati per discutere dell’irrinunciabile importanza della informazione sulla giustizia e dei connessi diritti – doveri, di cui, però, vanno anche conosciuti i confini, diversi a seconda delle fasi del processo e comunque giustamente condizionati dal rispetto delle regole poste a tutela della privacy delle persone e della presunzione di innocenza di indagati e imputati.

     L’auspicio è che tutti i magistrati, qualunque sia la funzione da loro svolta (ma in particolare i pubblici ministeri, categoria cui chi scrive ha appartenuto per tutta la sua carriera), siano ben consapevoli che la propria autorevolezza e credibilità non dipendono dallo spazio e dal rilievo eventualmente riservati dalla informazione alla loro attività professionale, ai loro volti ed ai loro nomi, ma dai risultati attestati nelle sentenze definitive. E’ anche questo che dà corpo alla fiducia nella Giustizia.

     Il magistrato, dunque, sia protagonista virtuoso di corretta comunicazione e di ogni utile interlocuzione nel dibattito sui temi della giustizia! Ma sia capace di esserlo con misura, anche in questo difficile contesto storico in cui qualsiasi intervento tecnico, persino in ordine ad un disegno di legge che concerna il tema di diritti fondamentali, genera in automatico sempre la stessa risposta: “il magistrato taccia o scenda in politica”, come se a tale tipo di interlocuzione fossero abilitati solo i politici !  Deve essere ben chiaro, allora, che dipenderà soprattutto dai magistrati stessi se i cittadini comprenderanno quali sono le ragioni per cui nessuno può farli tacere e quali i limiti del loro diritto-dovere di informare.

     Ben venga, a tal fine, il Decreto Legislativo 8 novembre 2021, n. 188 !

    5. Cenni sull’allegato riguardante i criteri direttivi della Procura di Torino dell’8 ottobre 2018 che hanno anticipato varie disposizioni del D.Lgs. n. 188/221.

     Le osservazioni fin qui formulate non devono essere considerate meramente discorsive e volte a stimolare solo dibattito teorico e dialettica sul tema in intestazione. Chi scrive, infatti, ritiene che, unitamente agli spunti tratti dal D. Lgs. N. 188/2021, esse possano costituire la base di precise direttive nella formulazione di circolari e criteri organizzativi degli Uffici Giudiziari di competenza dei rispettivi dirigenti (in particolare dei Procuratori della Repubblica presso i Tribunali).

    Per tale ragione, nella consapevolezza della delicatezza della materia e solo per contribuire a possibili ulteriori riflessioni, lo scrivente ritiene utile allegare al presente intervento le parti dei Criteri di organizzazione della Procura della Repubblica di Torino (che ha varato l’8 ottobre 2018 e che, composto da 242 pagine e 25 allegati, è consultabile sulla homepage del sito web dell’ufficio: www.procura.torino.it) concernenti le direttive in tema di rapporti dei magistrati e della polizia giudiziaria con gli organi di informazione.

    All’evidenza, tali direttive, che si pongono in linea con quanto previsto dalla citata delibera del CSM dell’11 luglio 2018 che prevede che il Procuratore della Repubblica “..assicura l’informazione sull’organizzazione e sull’attività della procura nel quadro della generale esigenza  di trasparenza dell’organizzazione giudiziaria.”, hanno anticipato di vari anni molte delle condivisibili previsioni del Decreto Legislativo n. 188/2021 .

    Si rimanda, dunque, alle pagine allegate.

    [1] Il provvedimento è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 284 del 29 novembre 2021 (Suppl. Ordinario n. 40) con l'indicazione della vigenza dal 14 dicembre 2021

    [2] Questo intervento contiene richiami e riferimenti a valutazioni già  formulate dall’autore in occasione di Incontri di studio ed aggiornamento professionale organizzati dalla SSM del CSM (da ultimo in quello del 19 gennaio 2021 su “Il dovere di riservatezza nell’attività giudiziaria”), nonché contenuti in articoli pubblicati in Riviste giuridiche, tra cui si richiama, in particolare, quello intitolato “Comunicazione della giustizia sulla giustizia. Come non si comunica”, pubblicato su Questione Giustizia n. 4/2018.

    [3] Documento di presentazione di un Corso di studi tenutosi nel giugno 2017 presso la Scuola Superiore della Magistratura di Scandicci

    [4] Efficace definizione di Luigi Ferrarella in “Processo vero o mediatico?  Le insidie delle nuove norme” (Corriere della Sera, 27 novembre 2021).

    [5] Citata delibera del CSM dell’11 luglio 2028

    [6] Intervista a Il Foglio del 3 dicembre 2021

    [7] L. Ferrarella : “Proposta minoritaria di ecologia giornalistica” (2007)

    [8] Per le parti che qui interessano si ricorda  che l’art. 116 c.p.p. (Copie, estratti e certificati) prevede che:

    1. Durante il procedimento e dopo la sua definizione, chiunque vi abbia interesse può ottenere il rilascio a proprie spese di copie, estratti o certificati di singoli atti.

    2. Sulla richiesta provvede il pubblico ministero o il giudice che procede al momento della presentazione della domanda ovvero, dopo la definizione del procedimento, il presidente del collegio o il giudice che ha emesso il provvedimento di archiviazione o la sentenza.

    3. Il rilascio non fa venire meno il divieto di pubblicazione stabilito dall’articolo 114.

    3-bis. ..omissis..

     [9] “Processo vero o mediatico? Le insidie delle nuove norme”  (Corriere della Sera, 27 novembre 2021)

    I​l “compiuto” adeguamento alla direttiva 2016/343/UE sulla presunzione d’innocenza

    Il “compiuto” adeguamento alla direttiva 2016/343/UE sulla presunzione d’innocenza

    di Federica Resta*

    Al fine di determinare il “compiuto adeguamento” dell’ordinamento interno alla direttiva 2016/343/UE, il dlgs 188 del 2021 introduce innovazioni importanti nello statuto delle garanzie del processo penale e nella disciplina della comunicazione giudiziaria. Si prevedono, infatti, non soltanto un articolato sistema di tutele del diritto dell’indagato o dell’imputato a non essere indicato “pubblicamente come colpevole” finché non ne sia definitivamente accertata la responsabilità penale, ma anche nuove modalità di gestione del rapporto tra giustizia e informazione. Parallelamente a queste garanzie extraprocessuali della presunzione d’innocenza, si introducono poi ulteriori garanzie specificamente intraprocessuali, rilevanti (anche) quali parametri di redazione degli atti e regola di “trattamento” dell’indagato e dell’imputato, nella fase anteriore all’accertamento definitivo di responsabilità.

    Sommario: 1. La scelta in favore della delega – 2. Le innovazioni del decreto- 2.1. Il diritto a non essere indicato pubblicamente come colpevole- 2.2. Presupposti e forme della comunicazione giudiziaria – 2.3.2.3. Garanzie e rimedi procedimentali

    1.La scelta in favore della delega

    Il dlgs 188 del 2021, in vigore dal 14 dicembre, segna un passaggio importante nello statuto delle garanzie del processo penale e nel rapporto- complesso tanto quanto centrale per la democrazia – tra giustizia e informazione.

    Sotto il profilo del metodo, rileva anzitutto la scelta parlamentare (derivante dall’accoglimento di un emendamento dell’On. Costa) di conferire al Governo una nuova delega per l’attuazione della direttiva (UE) 2016/343(il cui termine di recepimento era scaduto il 1^ aprile 2018). Una prima delega era, infatti, stata già prevista dalla l. 163 del 2017, ma non era stata esercitata ritenendosi l’ordinamento interno già conforme alla direttiva. La valutazione è tuttavia mutata con la prima Relazione della Commissione europea, del 31 marzo scorso, sullo stato di attuazione della direttiva, rendendo così opportuna anche ad avviso del Governo (che ha reso parere favorevole sull’emendamento) la reintroduzione della delega legislativa all’interno del d.d.l. di delegazione europea e, successivamente, l’emanazione del decreto legislativo in tempi celeri.

    E che si tratti di un tassello ulteriore (non certo l’unico) nel mosaico di norme interne a tutela della presunzione d’innocenza è evidente sin dal titolo del decreto legislativo, che individua nel “compiuto adeguamento” della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva l’obiettivo delle norme introdotte. Gli aspetti più innovativi della direttiva che il Governo ha ritenuto necessario recepire con disposizioni specifiche riguardano, in particolare, il diritto dell’indagato e dell’imputato:

    -a non essere oggetto di dichiarazioni di autorità pubbliche o di decisioni giudiziarie diverse da quelle relative alla responsabilità penale, in cui egli venga pubblicamente presentato come colpevole, nonostante la mancata conclusione del processo (art. 4);

    -a non essere sottoposto a mezzi di coercizione fisica anche in aula di udienza, durante il processo, o comunque in altre circostanze pubbliche, salva la necessità per specifiche esigenze di sicurezza (art. 5):

    -a disporre in caso di violazione di tali garanzie di un ricorso effettivo (art. 10), ovvero di  un rimedio processuale tale da “porre l'indagato o imputato nella posizione in cui questi si sarebbe trovato se la violazione non si fosse verificata, così da salvaguardare il diritto a un equo processo e i diritti della difesa” (C 44).

    Benché “integrative” rispetto al quadro normativo vigente (art. 1 del d.lgs.), quelle previste dal d.lgs. 188 sono, tuttavia, disposizioni di notevole rilevanza. Esse, infatti sanciscono non soltanto un articolato sistema di tutele (anche remediali) del diritto dell’indagato o dell’imputato a non essere indicato “pubblicamente come colpevole” finché non ne sia definitivamente accertata la colpevolezza, ma anche nuove modalità di gestione della comunicazione giudiziaria, suscettibili di avere effetti importanti sulla qualità dell’informazione. Parallelamente a queste garanzie extraprocessuali della presunzione d’innocenza[1] (intesa non solo “come canone di giudizio ma anche come “canone di trattamento” dell’indagato e dell’imputato nella fase antecedente ad una pronuncia definitiva”[2]) l’articolo 4 introduce poi ulteriori garanzie specificamente intraprocessuali, rilevanti (anche) quali parametri di redazione degli atti. Essa declina dunque, in rigorosi canoni di continenza espressiva, il “senso del limite e [..]l’etica del dubbio[3]” cui devono conformarsi le asserzioni dell’autorità giudiziaria prima dell’accertamento definitivo di responsabilità.

    2.Le innovazioni del decreto

    2.1Il diritto a non essere indicato pubblicamente come colpevole

    Sotto il primo profilo rileva, in particolare, l’articolo 2 del d.lgs. 188, che vieta alle “autorità pubbliche” di “indicare pubblicamente” l'indagato o l'imputato come "colpevole", prima dell’adozione di un provvedimento definitivo di condanna. Il ricorso alla nozione lata di “autorità pubbliche” è diretto specificamente ad includere ogni autorità, anche esterna all’ambito giudiziario, titolare di un pubblico potere, conformemente a quanto sancito dalla giurisprudenza della Corte EDU (che ha esteso anche ad autorità politiche, amministrative, elettive l’obbligo del rispetto della presunzione d’innocenza) oltre che dal C 17 della direttiva.

    Quali rimedi attivabili in caso di violazione (ferme le eventuali responsabilità penali e disciplinari dell’autore),  la norma prevede la tutela risarcitoria per equivalente (rispetto al danno, da ritenersi sia patrimoniale che non) e in forma specifica, da attuarsi nelle forme della rettifica, mediante un procedimento speciale rispetto a quello previsto in via generale dalla legge sulla stampa. A fronte dell’istanza di rettifica avanzata dall’interessato, l’autorità pubblica, ritenendo la richiesta fondata, è tenuta a disporre la rettifica (avvisandone l’interessato) entro 48 ore, con le stesse modalità proprie della dichiarazione contestata o, in caso d’impossibilità, con modalità tali da garantire alla rettifica lo stesso rilievo e lo stesso grado di diffusione che hanno caratterizzato la dichiarazione. In caso di mancato accoglimento dell’istanza o di esecuzione della rettifica con modalità diverse da quelle prescritte (proprio per assicurare corrispondenza e omogeneità formale della prima alla dichiarazione originaria), l’interessato ha facoltà di richiedere al tribunale, ex art. 700 c.p.c., l’ordine di pubblicazione della rettifica.  Pur nel silenzio della norma, un’interpretazione della direttiva volta a garantirne l’ “effetto utile” impone di ammettere l’esperibilità di tale rimedio anche nel caso di inerzia, dell’autorità adita, rispetto all’obbligo di provvedere sull’istanza. 

    La norma presenta alcune affinità con altre già proposte in passato, in particolare nella XVI legislatura con l’emendamento a prima firma Casson n.1.287 al disegno di legge in materia di intercettazioni, AS 1611 e il sub-emendamento 1.0.4 all’ AS 3491, in materia di diffamazione. Tuttavia, diversamente dalla norma attuale che circoscrive il proprio ambito applicativo alle dichiarazioni dell’autorità pubblica, le proposte Casson riferivano il diritto di “chiunque” a non essere indicato come autore di reato, prima della definizione del relativo giudizio, genericamente alle dichiarazioni rese “a mezzo della stampa o di qualsiasi altro mezzo di pubblicità”. La proposta Casson (che pure introduceva una tutela remediale attivabile ex art. 700 c.p.c., oltre a quella risarcitoria espressamente estesa anche al danno non patrimoniale) si caratterizzava, dunque, per uno spettro applicativo più ampio, tale da onerare del dovere di rispetto della presunzione d’innocenza anche i giornalisti. In senso analogo si muovevano anche le proposte di revisione del Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica discusse, su impulso del Garante per la protezione dei dati personali nel 2014, ma senza esito risolutivo.

    La limitazione (conforme alla direttiva) della norma attuale alle sole comunicazioni rese dalle autorità pubbliche non esclude, tuttavia, l’autonomo dovere delle testate (in particolare telematiche) di aggiornare, alla sopravvenuta rettifica, la notizia eventualmente riportata sulla base della dichiarazione scorretta degli inquirenti. Tale dovere autonomo deriva, infatti, dall’osservanza del principio di esattezza nel trattamento dei dati (art. 5, p.1, lett.d) Reg. Ue 2016/679), in base al quale una consolidata prassi del Garante per la protezione dei dati personali impone alle emeroteche on line di segnalare l’evoluzione subita dalla notizia (cfr., ad es, provv. n. 286 del 10.12.2020). 

    L’assenza di una espressa clausola di salvaguardia (presente invece nel C 17 della direttiva) in favore delle prerogative immunitarie previste dall’ordinamento (si pensi all’insindacabilità dei parlamentari) non osta, comunque, alla loro applicazione. Essa è, infatti, dovuta secondo un’interpretazione sistematica delle norme, che tenga conto anche del rango normativo (in particolare,  costituzionale) delle garanzie considerate.

    2.2. Presupposti e forme della comunicazione giudiziaria

    Particolarmente rilevante è, poi, l’articolo 3 che novella il decreto legislativo n. 106 del 2006, in relazione ai rapporti del procuratore della Repubblica con gli organi di informazione, innovandone la disciplina sull’an e sul quomodo. In particolare, si introduce un vincolo di esclusività nelle forme da osservare per la gestione di tali rapporti, circoscrivendole ai soli comunicati ufficiali o, nei casi di “particolare rilevanza pubblica dei fatti”, alle conferenze stampa, in quest’ultima ipotesi previa determinazione assunta con atto motivato in ordine alle “specifiche ragioni di pubblico interesse” legittimanti l’iniziativa[4].  Con le stesse modalità, la polizia giudiziaria può essere autorizzata dal procuratore della Repubblica a fornire al pubblico informazioni sugli atti di indagine compiuti. Tale previsione induce a ritenere che la polizia giudiziaria debba ottenere la prescritta autorizzazione in tutte le fasi in cui opera, sia autonomamente ex artt. 347, comma 1, e 348, comma 1, c.p.p. sia dopo l’intervento del Pubblico Ministero ex art. 348, comma 3, c.p.p..

    Le sole forme di comunicazione ammesse divengono, dunque, quelle ufficiali, con assunzione in capo allo stesso Procuratore della Repubblica della responsabilità in ordine alla scelta di attivare o meno la via, a maggiore risonanza, della conferenza stampa in ragione di specifiche ragioni di interesse pubblico che sono oggetto di un peculiare onere motivazionale.

    In ordine all’an della comunicazione, lo stesso articolo subordina l’ammissibilità della “diffusione di informazioni sui procedimenti penali” a presupposti di stretta necessità (della diffusione stessa) per la prosecuzione delle indagini ovvero alla ricorrenza di “altre specifiche ragioni di interesse pubblico”. Si introduce anche un vincolo contenutistico all’informazione, precisando che le informazioni fornite alla stampa debbano chiarire la fase in cui il procedimento si trova e assicurare, in ogni caso, il diritto dell’indagato e dell'imputato a non essere indicati come colpevoli fino a condanna definitiva. Come rileva il Consiglio superiore della Magistratura nel parere del 3 novembre 2021 sullo schema di decreto, il riferimento alla fase procedimentale è particolarmente importante per far comprendere, soprattutto in sede d’indagini preliminari, l’eventuale provvisorietà e transitorietà di alcuni atti e conclusioni.

    Si vieta infine l’assegnazione ai procedimenti penali pendenti, nell’ambito delle comunicazioni ufficiali, di denominazioni lesive della presunzione di innocenza. Si tratta di un criterio di sobrietà comunicativa (applicabile anche alle comunicazioni ufficiali della polizia giudiziaria) che, se osservato nella lettera e nella ratio, potrebbe essere utile a contenere, di riflesso, anche la tendenza al sensazionalismo che spesso caratterizza la cronaca giudiziaria.

    Naturalmente, resta valida per i giornalisti la possibilità di acquisizione di specifiche informazioni sul procedimento penale, non coperte da segreto investigativo, in virtù di istanza di accesso ex art. 116 c.p.p. (ancorata al parametro dell’interesse), valorizzata in particolare da alcuni uffici giudiziari. La Procura di Napoli, ad esempio, con ordine di servizio n. 118/2019 (e dapprima la Procura di Torino, con provvedimento dell’8 ottobre 2018), ha chiarito che l’ostensione di provvedimenti non coperti da segreto investigativo, agli organi di informazione che ne facciano richiesta, deve considerarsi «funzionale ad assicurare, da un lato, il corretto esercizio del diritto di cronaca e, dall’altro, il soddisfacimento dell’interesse pubblico ad un’informazione obiettiva e trasparente in relazione a fatti di rilevanza ed interessi collettivi, fermo restando il divieto di pubblicazione del testo dei provvedimenti giudiziari di cui all’art. 114 c.2 c.p.p.»[5]. Può, anzi, ragionevolmente ipotizzarsi che proprio la limitazione dei casi e dei modi nei quali è ammessa la comunicazione da parte degli uffici giudiziari, valorizzi ulteriormente lo strumento dell’accesso, da parte dei giornalisti, agli atti procedimentali ex art. 116 c.p.p. Questa soluzione potrebbe contribuire, in particolare, ad evitare il rischio che al “possibile arbitrio della parola si sostituisca un “arbitrio del silenzio”, che sottragga, per tempi più o meno lunghi, alla conoscenza ed al controllo dell’opinione pubblica informazioni non coperte da alcun segreto, che vengono mantenute riservate solo per valutazioni di opportunità compiute dagli inquirenti”[6].

    In linea generale, attraverso la riduzione delle possibilità di comunicazione “della giustizia sulla giustizia” ai soli canali ufficiali e formali,  si riduce significativamente “il rischio di trascinamento del pubblico ministero in sistemi di relazione non coerenti con il suo statuto di imparzialità[7]”.

    2.3. Garanzie e rimedi procedimentali

    L’articolo 4 interviene, invece, sulla dimensione processuale della presunzione di innocenza, rendendola più espressamente criterio di redazione anche degli atti processuali[8]. Con uno specifico articolo (il 115-bis, inserito tra le disposizioni generali del Libro II del codice di rito e rubricato "Garanzia della presunzione di innocenza"), si vieta l’indicazione come colpevole dell’indagato o dell’imputato, prima della condanna definitiva, nei provvedimenti adottati nel corso del procedimento, diversi da quelli volti alla decisione in merito alla responsabilità penale e dagli atti con i quali il Pubblico Ministero tende a dimostrare la colpevolezza del soggetto.

    Il rimedio attivabile in caso di ritenuta violazione del suddetto divieto consiste nell’istanza di correzione, necessaria alla salvaguardia della presunzione d’innocenza, da presentare- a pena di decadenza entro dieci giorni dalla conoscenza del provvedimento- al giudice procedente (il gip per le indagini preliminari), che provvede con decreto motivato entro 48 ore. Il decreto, che è notificato all'interessato e alle altre parti e comunicato al Pubblico Ministero, è opponibile (a pena di decadenza entro dieci giorni) al Presidente del Tribunale o della Corte (ovvero, ove siano opposti provvedimenti di questi ultimi, rispettivamente, al presidente della Corte d’appello o al Presidente della Corte di cassazione), che decide “con decreto senza formalità di procedura”. La norma è stata così modificata, rispetto alla versione originaria del decreto (che prevedeva l’opposizione dinanzi alla stessa autorità procedente) sulla scorta dei rilievi contenuti nei pareri parlamentari, al fine di assicurare maggiore conformità alla  garanzia, di cui all’art. 10 della direttiva, di effettività del ricorso attivabile in caso di violazione. 

    Il rimedio endo-procedimentale introdotto dal d.lgs. 188 si aggiunge, dunque (escludendone, per il principio di specialità, la concorrenza) a quello previsto in via generale dall’art. 14 del d.lgs. 51 del 2018 per la rettifica, limitazione (del trattamento) o cancellazione di dati (di “chiunque”) illegittimamente trattati nell’ambito del procedimento penale. Prima dell’introduzione, da parte del d.lgs. 188, dello specifico rimedio su descritto, la procedura (modulata su quella per la correzione degli errori materiali) di cui al citato art. 14 ben avrebbe potuto, infatti, prestarsi alla rettifica del dato (trattato appunto illegittimamente perché in violazione della presunzione di innocenza) relativo a un’anticipazione di giudizio di colpevolezza dell’indagato o dell’imputato.            

    Come ulteriore criterio di continenza espressiva, relativamente agli atti (ad esempio quelli in materia cautelare) che presuppongono la valutazione di prove o di indizi di colpevolezza, si impone di  limitare i riferimenti alla colpevolezza dell'indagato o dell’imputato alle sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti previsti dalla legge per l'adozione del provvedimento stesso.

    In ottemperanza ai rilievi delle Commissioni parlamentari, conformemente all’articolo 7 della direttiva sul diritto al silenzio e a non autoincriminarsi, l’art. 4, comma 1, lettera b) del d.lgs. 188 novella l’articolo 314  c.p.p. precisando che l’esercizio del diritto al silenzio ex art. 64, comma 3, lett. b), c.p.p. non incide sul diritto alla riparazione per ingiusta detenzione. La previsione supera, dunque, un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui «la condotta dell'indagato che, in sede di interrogatorio, si avvalga della facoltà di non rispondere, pur costituendo esercizio del diritto di difesa, può assumere rilievo ai fini dell'accertamento della sussistenza della condizione ostativa del dolo o della colpa grave, poiché è onere dell'interessato apportare immediati contributi o riferire circostanze che avrebbero indotto l’autorità giudiziaria ad attribuire un diverso significato agli elementi posti a fondamento del provvedimento cautelare» (cfr., Cass. pen., 18 dicembre 2020, Gallo, Ced Cass. n. 280082; Cass. pen., 30 maggio 2018, Stamatopoulou, ivi, n. 273744; Cass. pen. 29 novembre 2011, Messina e altro, ivi, n. 251325). La norma valorizza, dunque, gli effetti pur extraprocessuali del diritto al silenzio, sviluppando così in senso ulteriormente garantista le norme della direttiva.

    L'articolo 4 novella, inoltre l’articolo 329 c.p.p. limitando- in aderenza alla previsione dell'articolo 4, par. 3, della direttiva -ai soli casi di “stretta” necessità per la prosecuzione delle indagini l’ammissibilità della pubblicazione di singoli atti relativi alle indagini preliminari in deroga al segreto investigativo. La norma è evidentemente funzionale a ridurre quanto più possibile l’ammissibilità della discovery di atti interni ad indagini ancora in corso e, dunque, “potenzialmente idonei a fornire [ dell’indagato] un’immagine in contrasto con la presunzione di innocenza” (parere CSM, cit.).

    Viene inoltre modificato l’articolo 474 c.p.p., in ordine al diritto dell'imputato di assistere all'udienza libero nella persona, anche se detenuto, salve in questo caso le cautele necessarie per prevenire il pericolo di fuga o di violenza. Sul punto, il d.lgs. 188 precisa che le eventuali cautele sono disposte dal giudice con ordinanza, sentite le parti e devono essere rimosse con revoca quando ne siano cessati i presupposti. Si impone, poi, di garantire sempre il diritto dell'imputato e del difensore (dunque anche laddove il primo sia allontanato dal secondo perché sottoposto a misure restrittive) di consultarsi riservatamente, anche attraverso l'impiego di strumenti tecnici idonei, ove disponibili.

    Tali ultime modifiche muovono dall’esigenza di garantire una maggiore conformità al diritto – sancito dall’articolo 5 della direttiva in capo all’imputato e all’indagato- di non essere presentato come colpevole, in tribunale o in pubblico, mediante il ricorso a misure di coercizione fisica. Si tratta di un’implicazione delicatissima della presunzione d’innocenza, che attiene a una prassi – più volte denunciata dal Garante per la protezione dei dati personali, nei confronti degli organi d’informazione ma anche, talora, della stessa polizia giudiziaria- fortemente lesiva della dignità, anche in ragione dell’eco mediatica che hanno le riprese della persona soggetta a misure restrittive[9]. I divieti già previsti agli articoli 114, c.6-bis, c.p.p., 42-bis, comma 4, l. 354 del 1975 e 8, c.3 delle Regole deontologiche relative al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica non hanno, infatti, sinora rappresentato un argine significativo alla tendenza alla spettacolarizzazione della cronaca giudiziaria, che si esprime anche mediante l’esibizione dell’indagato o dell’imputato in vinculis.

    La previsione si lascia comunque apprezzare anche e soprattutto perché, procedimentalizzando    forma e presupposti per l’adozione del provvedimento limitativo della libertà personale dell’imputato in udienza, impone una precisa e motivata assunzione di responsabilità dell’autorità procedente, nel confronto con le parti, in ordine alla disposizione di mezzi coercitivi. Ciò dovrebbe servire a eradicare una prassi secondo cui tali scelte (e in particolare la collocazione dell’imputato nelle gabbie o in “banchi dedicati” che ancora caratterizzano molte aule di giustizia) sono spesso assunte, secondo automatismi dettati da mere esigenze facilitative, dagli agenti  di scorta.

    Fra l’altro, la circostanza che l’intero intervento normativo in esame riconosca specificamente come lesivo del diritto dell’imputato ogni intervento illegittimamente lesivo della presunzione di innocenza, comporterà probabilmente effetti espansivi, interni al processo, dell’eventuale accertamento, anche successivo, di tale lesione. Con riferimento alla norma sui mezzi coercitivi in udienza, ad esempio, l’accertamento, anche successivo, dell’assenza di ragioni legittimanti l’adozione degli stessi potrebbe determinare conseguenze processuali non irrilevanti. La naturale forza espansiva del concetto di “intervento” dell’imputato, di cui all’art. 178, comma 1, lett. c) c.p.p. sembra, infatti, poter includere il momento decisivo della sua partecipazione  all’udienza, di cui all’art. 474 c.p.p. Del resto, anche la previsione del diritto dell'imputato e del difensore di consultarsi riservatamente, anche attraverso l'impiego di strumenti tecnici idonei- in modo analogo a come oggi previsto in caso di partecipazione all’udienza da remoto- induce a ritenere leso il diritto di assistenza dell’imputato da parte del suo difensore, ancora una volta tutelato dall’art. 178, comma 1, lett. c) c.p.p., laddove non gli sia garantita la possibilità di consultazione riservata.

    Anche sotto questo profilo, dunque, il d.lgs. 188 potrebbe indurre, effettivamente, un mutamento importante nella comunicazione sulla giustizia; non solo per le disposizioni introdotte ma anche per le ragioni che sottendono e la “cultura” che intendono promuovere.

    In un contesto di costante trasposizione in rete non soltanto dell’informazione, ma anche della stessa vita, pubblica e privata,  uno dei maggiori rischi del “trial by media” è infatti quello di indurre una generale sottovalutazione delle garanzie proprie del processo penale: dalla presunzione d’innocenza al regime di pubblicità degli atti, volto a coniugare esigenze informative, investigative e neutralità conoscitiva del giudice. Come osserva Nello Rossi, infatti, i “pregiudizi” (certo alimentati dalla mediatizzazione dei processi) rischiano di “sminuire, offuscare, compromettere il valore delle procedure legali di accertamento dei fatti e delle eventuali responsabilità (…). Come la CEDU ha più volte avvertito «il costante spettacolo di pseudo-processi condotti dai media potrebbe nel lungo periodo, avere nefaste conseguenze quanto all’accettazione, da parte dell’opinione pubblica, dei tribunali ufficiali come reale e unico foro per la determinazione della colpevolezza o dell’innocenza dei singoli”[10].  La rete rischia, in altri termini, di divenire quel giudice “che infligge ciecamente destino” cui alludeva Walter Benjamin.

    Naturalmente, non saranno solo le norme a poter garantire un equilibrio, democraticamente sostenibile, tra diritto di (e all’) informazione, dignità dei soggetti coinvolti nel processo, presunzione d’innocenza ed esigenze di accertamento dei reati. Molto dipenderà da come, magistratura  e organi d’informazione, interpreteranno il loro ruolo, prescindendo la prima dalla ricerca del consenso e i secondi da quello che Luciano Violante definisce “giornalismo per trascrizione”.  Ma alla promozione di questa cultura (della giurisdizione e dell’informazione e del loro rapporto reciproco), norme quali quelle introdotte dal decreto sono certo funzionali.

    * le opinioni contenute nel contributo sono espresse a titolo esclusivamente personale e non impegnano in alcun modo l’Autorità di appartenenza

     [1]La presunzione d’innocenza si riferisce, già nella direttiva, esclusivamente alle persone fisiche, ritenendone allo stato attuale “prematura” – precisa il Considerando 14- l’estensione alle persone giuridiche.

    [2] N. Rossi, Il diritto a non essere “additato” come colpevole prima del giudizio. La direttiva UE e il decreto legislativo in itinere, in Questionegiustizia.it

    [3]A. SPATARO, “Processi in tv, troppi magistrati tra i nuovi “mostri”, in Il dubbio, 5 novembre 2021; dello stesso Autore v. anche il contributo sul d.lgs. 188 pubblicato su questa Rivista.

    [4] Quest’onere procedurale è stato introdotto nella versione finale del decreto legislativo, in recepimento di specifico rilievo contenuto nel parere delle Commissioni parlamentari.

    [5] L’ordine di servizio indica, inoltre, quali parametri in base ai quali valutare la meritevolezza di accoglimento dell’istanza i seguenti: il rilascio della copia non deve interferire con le investigazioni in corso e con l’esercizio dell’azione penale e deve avere luogo nel rispetto del segreto delle indagini e del principio di riservatezza; ii) il rilascio della copia non deve ledere la tutela dei diritti dei soggetti coinvolti nel procedimento o dei terzi; iii) il rilascio della copia è effettuato evitando ogni ingiustificata comunicazione di dati sensibili ed assicurando l’osservanza del divieto di diffusione delle generalità di minori e, più in generale, dell’obbligo della loro protezione; iv) il rilascio della copia è effettuato evitando ogni ingiustificata diffusione di notizie ed immagini potenzialmente lesive della dignità e della riservatezza delle vittime e delle persone offese dai reati, in particolari se minori.

    [6]N. Rossi, op.loc.ult.cit.

    [7]G. MELILLO, La comunicazione dell’ufficio del pubblico ministero, in questa Rivista.

    [8]Riferimenti in questo senso erano comunque contenuti già nelle Linee guida del CSM dell’11 luglio 2018.

    [9]Cfr., ad es., Garante per la protezione dei dati personali, provv. n. 80 del 2021, nonché Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, circolare 19.12.2017, diretta tra l’altro alle autorità di polizia, secondo cui “le SS.LL. vorranno assicurare – impartendo ogni opportuna disposizione agli uffici e ai comandi dipendenti – la più scrupolosa osservanza del divieto di indebita diffusione di fotografie o immagini di persone arrestate o sottoposte ad indagini nell’ambito di procedimenti la cura dei quali competa a questo Ufficio, segnalando preventivamente le specifiche istanze investigative o di polizia di prevenzione ritenute idonee a giustificare eventuali, motivate deroghe al principio sopra richiamato”.

    [10] Il diritto a non essere “additato” come colpevole prima del giudizio. La direttiva UE e il decreto legislativo in itinere, in Questionegiustizia.it

    Recepimento della direttiva europea sulla presunzione di innocenza: è davvero la fine dei processi mediatici?

    Recepimento della direttiva europea sulla presunzione di innocenza: è davvero la fine dei processi mediatici?

    di Valentina Angela Stella, giornalista del Dubbio News e del Riformista

    Sommario: 1. Le novità principali -  2. Profili critici rilevati in fase di dibattito parlamentare - 3. Era necessario questo cambiamento? - 4. Se e come cambieranno i processi mediatici paralleli.

    1. Le novità principali

    Con ben cinque anni di ritardo, l'Italia ha recepito la direttiva 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sul «rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali». Era stata la stessa Ministra della Giustizia Marta Cartabia a spronare il Parlamento in tal senso durante la condivisione delle linee programmatiche alle Camere.  Il nostro Consiglio dei Ministri ha dato il via libero definitivo al decreto legislativo lo scorso 4 novembre, preceduto da un iter travagliato di discussione parlamentare: i due schieramenti che si sono fronteggiati sono stati quello del Partito Democratico e del Movimento Cinque Stelle da un lato e quello della destra insieme ad Azione ed Italia Viva dall'altro lato. Il primo gruppo avrebbe voluto un recepimento soft, il secondo limitare al massimo la comunicazione delle Procure. Alla fine, dopo diversi rinvii per l'emanazione dei pareri non vincolanti nelle Commissioni giustizia di Camera e Senato, i partiti hanno trovato un accordo e hanno inviato al Governo un testo (relatori: il senatore leghista Andrea Ostellari e il responsabile giustizia di Azione, l'onorevole Enrico Costa) che è stato recepito in pieno. La norma è in vigore dal 14 dicembre di quest'anno. Vediamo quali sono le novità principali.

    L'articolo 2 prevede il divieto per le «autorità pubbliche» (magistrati, forze di polizia, ma anche Ministri) di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini.  In caso di violazione di tale divieto, la norma prevede il diritto di rettifica in capo all’interessato, ferme restando le sanzioni penali e disciplinari e il risarcimento del danno.

    Secondo l'articolo 3 invece il Procuratore della Repubblica può comunicare con i media solo tramite comunicati stampa. Nei casi di «particolare rilevanza pubblica dei fatti» ci sarà la possibilità di indire da parte del Procuratore, o un magistrato delegato, conferenze stampa ma la decisione di convocarle «deve essere assunta con atto motivato in ordine alle specifiche ragioni di pubblico interesse che lo giustificano». L' «atto motivato» ha rappresentato un punto cruciale della discussione parlamentare ed ha costituito l'approdo di mediazione, rispetto a chi avrebbe voluto vietare sempre le conferenza stampa.

    Lo stesso principio vale per la comunicazione delle forze di polizia giudiziaria: «il procuratore della Repubblica può autorizzare gli ufficiali di polizia a fornire, tramite propri comunicati ufficiali oppure proprie conferenze stampa, informazioni sugli atti di indagine compiuti o ai quali hanno partecipato»; «l’autorizzazione è rilasciata con atto motivato in ordine alle specifiche ragioni di pubblico interesse che lo giustificano».

    Il medesimo articolo prevede anche di non «assegnare ai procedimenti pendenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza».

    L’articolo 4 prevede invece che nei provvedimenti diversi da quelli volti alla decisione in merito alla responsabilità penale dell’imputato (ad esempio quelli cautelari, secondo l'interpretazione di alcuni giuristi), la persona sottoposta a indagini o l’imputato non possono essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza definitiva.

    Un ulteriore aspetto molto importante è che «sia specificato all’articolo 314 del codice di procedura penale che la condotta dell'indagato che in sede di interrogatorio si sia avvalso della facoltà di non rispondere non costituisce, ai fini del riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione, elemento causale della custodia cautelare subìta».

    2.  Profili critici rilevati in fase di dibattito parlamentare

    Prima di arrivare al testo definitivo, le Commissioni parlamentari hanno tenuto un ciclo di audizioni con giuristi, magistrati, avvocati da cui sono emerse alcune problematicità.  Ad esempio il dottor Giuseppe Santalucia, Presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, sebbene abbia detto che «il testo complessivamente può trovare condivisione perché il bisogno di rafforzare la presunzione di innocenza è certamente un bisogno meritevole di considerazione», ha però rilevato delle criticità, soprattutto sull'art. 3: «Si sono voluti irrigidire, attraverso l'esclusivo riferimento ai comunicati ufficiali e alle conferenze stampa, i rapporti tra l'ufficio di Procura e la stampa. Ritengo che questa sia una eccessiva ingessatura che bandisce qualsiasi possibilità che il Procuratore della Repubblica possa rendere una dichiarazione ad un giornalista fuori da una conferenza stampa». Santalucia si  era chiesto poi «perché le modifiche debbano valere solo per gli uffici di procura e non anche per i giudici». Insomma, aveva concluso: «Mi rendo conto della necessità di richiamare l'attenzione, soprattutto della magistratura requirente, a sobrietà e continenza con i rapporti con la stampa ma credo che questa eccessiva formalizzazione dei canali di comunicazione possa rivelarsi in concreto più lesiva del bisogno di una corretta informazione». Se per l'Anm i paletti erano stati ritenuti troppo rigidi, di parere contrario si era mostrata l'Unione Camere Penali Italiane intervenuta in audizione con gli avvocati Giorgio Varano e Luca Brezigar: « Le norme, così come formulate, rischiano di essere dei meri desiderata che non avranno mai concreta applicazione». Inoltre avevano tacciato la norma di essere troppo indeterminata nel non elencare nel dettaglio le «autorità pubbliche». In aggiunta, avevano stigmatizzato il fatto che a decidere la rilevanza pubblica di un fatto degno di conferenza stampa è la stessa Procura che ha condotto le indagini, la stessa che «decide l’eventuale iscrizione di notizie di reato in tema di diffamazione e l’esercizio dell’azione penale sullo stesso tipo di reato - sulla base magari dell’assenza di rilevanza pubblica della notizia». In generale, per l'Ucpi, « affidare in via esclusiva alla magistratura la tutela del diritto alla presunzione di innocenza » non rappresenta il giusto rimedio che invece potrebbe essere quello di « un Garante per i diritti delle persone sottoposte ad indagini e processo che potrebbe realmente diventare quel soggetto “terzo” capace di tutelare i diritti di chi viene sottoposto ad un processo mediatico e di chi viene potenzialmente esposto allo stesso da atti della magistratura violativi dei principi declinati dalla direttiva europea»[1].

    3. Era necessario questo cambiamento?

    È la domanda che in molti si stanno ponendo. Da un punto di vista formale, e per evitare una possibile procedura di infrazione, il nostro Paese ha dovuto adeguarsi alla prospettiva europea. Tuttavia c'erano diversi modi per farlo. L'articolo 27 della Costituzione recita: « L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». Quindi per alcuni commentatori sarebbe potuto bastare ribadire in qualche modo questo concetto per impedire una comunicazione colpevolista da parte, tra l'altro, delle autorità pubbliche fino ad una sentenza passata in giudicato. Ma sappiamo che in molte circostanze lo spirito costituzionale è stato tradito. È innegabile infatti che una fetta della magistratura e un'altra della polizia giudiziaria in questi anni si siano rese protagoniste di scomposte autocelebrazioni pubbliche attraverso reboanti conferenza stampa in pompa magna e mediante produzione audiovideo di materiali d'indagine a mo' di fiction giudiziarie confezionate su misura per i media. Un esempio su tutti:  il video confezionato dal Ris del furgone bianco di Massimo Bossetti, che continuava a girare intorno alla palestra di Yara Gambirasio il giorno della scomparsa della 13enne. Fu dato alla stampa  prima del processo e descritto come una delle prove decisive della colpevolezza del muratore di Mapello ma poi ci fu un vero colpo di scena. Durante il processo di primo grado, il comandante del Ris ammise, incalzato da uno dei difensori di Bossetti, che il realtà era un montaggio di un unico frame del furgone dell'imputato con molti altri di diversa provenienza, usato solo a scopo mediatico e privo di qualsiasi rilevanza probatoria, tanto è vero che non fu inserito nel fascicolo. A tal proposito qualche mese fa il gip del Tribunale di Milano Fabrizio Filice ha archiviato, come chiesto dal pm, un procedimento penale per diffamazione, partito da una denuncia del comandante dei Ris, a carico di ben sedici giornalisti che avevano definito quel video «un filmino tarocco», una «patacca». Nelle sue motivazioni il gip è lapidario: «è quindi chiaro che la cronaca e la critica giornalistica, nel caso di specie, non solo si sono inserite su un fatto obiettivo, di indubbio interesse pubblicistico e certamente non frutto di loro invenzione o di artefatto, ma siano state anche mosse dal fondamentale principio della presunzione di innocenza dell'imputato che, in base alla direttiva UE n. 343 del 2016, oggetto di recente recepimento da parte dell'Italia, deve proteggere le persone indagate o imputate in procedimenti penali da sovraesposizioni mediatiche deliberatamente volte a presentarli all'opinione pubblica come colpevoli prima dell'accertamento processuale definitivo». 

    È evidente che servissero delle regole più stringenti per normare la comunicazione di chi indaga, accusa, arresta.  In realtà alcune regole già esistevano prima del recepimento della direttiva. Il decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, modificato appunto dall'articolo 3 spiegato all'inizio di questo articolo, già prevede ai comma 2 e 3 dell'articolo 5 che ogni informazione inerente l'attività della Procura deve essere impersonale e che è vietato per i magistrati della Procura rilasciare dichiarazione sull'attività giudiziaria dell'ufficio. Inoltre il Procuratore della Repubblica ha l'obbligo, secondo il comma 4, di segnalare al consiglio giudiziario chi trasgredisce la norma. Questa norma, pensata per i sostituti in cerca di visibilità, è stata chiaramente disattesa. E allora cosa dovremmo aspettarci in merito alla nuova disciplina? Solo il tempo potrà fornire una risposta. Certamente occorrerà osservare se la norma verrà rispettata: è prevista una rilevazione dei procedimenti disciplinari tuttavia, come ha evidenziato in una intervista l'onorevole Enrico Costa, uno dei massimi promotori del recepimento della direttiva, in una intervista: « Io sarò il primo a vigilare e spero che anche gli altri lo facciano, soprattutto gli avvocati»[2]. Sta anche predisponendo moduli perché tutti possano segnalare al Ministero della Giustizia ogni violazione.

    4. Se e come cambieranno i processi mediatici paralleli

    I grandi sostenitori del recepimento della norma europea hanno cantato vittoria, mettendo in luce che con un fermo stop al processo mediatico si ripristineranno principi di civiltà giuridica che diventano regole di comportamento. Ma è davvero così?

    Intanto il 6 dicembre il  Procuratore della Repubblica di Perugia Raffaele Cantone, muovendosi in anticipo rispetto all'entrata in vigore della norma, ha emanato una direttiva, indirizzata al Questore e ai comandanti provinciali dei carabinieri e della guardia di finanza, sulle «modalità con cui vanno comunicate ai mass media le informazioni sui procedimenti penali e sugli atti d'indagine». In essa ricorda che le informazioni sui procedimenti penali sono di «esclusiva competenza del Procuratore» che sarà l'unico organo «legittimato a fornire informazioni» o tramite sintetico comunicato stampa o tramite conferenza stampa, specificando che i «provvedimenti, se adottati in fase di indagine, non implicano alcuna responsabilità dei soggetti sottoposti ad indagini. I nomi delle persone raggiunte da misure cautelari personali e reali saranno contenuti nel documento solo quando tale dato si renderà necessario per garantire una effettiva completezza delle informazioni». Poi un passaggio importante che viene letteralmente sottolineato nel documento: «al di fuori di queste informazioni fornite ufficialmente non è consentito ad alcuno, né ai magistrati né agli appartenenti alla polizia giudiziaria, di dare ulteriori notizie ai mezzi di informazione».

    Infatti, in teoria, tutto quello che verrà comunicato al di fuori di quanto esplicitato in un comunicato stampa della Procura o condiviso in una conferenza stampa sarebbe da configurarsi come una fuga di notizie, contra legem. Come ha scritto Luigi Ferrarella «si creeranno le condizioni perfette per incrementare, anziché contrastare, il mercato nero della notizia, giacché la nuova norma spingerà i giornalisti all'unica alternativa possibile, e cioè a coltivare nell'ombra rapporti per forza di cose opachi con le varie fonti 'negate' alla luce del sole»[3]. E quando ciò accadrà le Procure indagheranno? La domanda è di per sé oziosa.

    Proviamo però a vedere anche noi un lato positivo. Qualche tempo fa il professor Giorgio Spangher descrisse così le conseguenze del processo mediatico il cui seme viene piantato nella fase delle indagini preliminari: «gli imputati sono morti che camminano perché su di loro si posa lo stigma sociale scaturito dal racconto che il pubblico ministero costruisce intorno a loro e che la stampa replica all'infinito. Il pm costruisce una sua notitia criminis che resta storicizzata, anche se il processo farà un altro corso»[4]. Probabilmente adesso, venendo limitata la comunicazione della magistratura requirente e delle forze di polizia, ed essendo richiesto un linguaggio rispettoso della presunzione di innocenza quello stigma di cui parla Spangher sarà fortemente ridimensionato e, seguendo il pensiero dell'ex magistrato Nello Rossi, «si affermerà il principio che c’è un “onore” dell’imputato presunto innocente che non può essere violato impunemente. La novità inciderà perciò anche sui media, abbassando sensibilmente la soglia oltre la quale vi è diffamazione e spostando la frontiera della tutela della reputazione».[5]

    Sempre in teoria, poi, non dovremmo più leggere, tra l'altro, tweet di Ministri della Repubblica che, solo per l'apertura di un fascicolo di indagine o per l'applicazione di misure cautelari in carcere ad un indagato, aizzano il pubblico social con espressioni del tipo «brutto bastardo, marcisci in galera».

    Dovrebbe essere finito anche il tempo del nome suggestivo dato alle inchieste inaugurato con Mani pulite e proseguito con Angeli e demoniMafia capitaleBocca di RosaTerminator 3, solo per citarne alcuni. Ma attenzione: la disciplina di cui stiamo parlando si rivolge principalmente ai magistrati, e non incide tecnicamente sui comportamenti dei media.  Pertanto, nulla impedirà alla stampa di assegnare in maniera autonoma un nome all'indagine, che potrebbe cristallizzarsi nel tempo in riferimento al fatto di cronaca specifico.

    Per di più, la nuova norma non potrà forse porre un freno, come ha detto il pm Eugenio Albamonte, «alle esternazioni che alcuni magistrati fanno soprattutto nei talk show, in cui spesso vengono espresse delle considerazioni che non fanno onore alla magistratura e danno una idea della categoria investita di un qualche ruolo morale, come fustigatrice dei costumi, che dà giudizi sommari sui fatti del giorno, tradendo l'idea di ponderazione che la comunicazione di un magistrato dovrebbe sempre soddisfare».[6]

    Inoltre, la nuova disciplina interviene principalmente sulla fase delle indagini preliminari ma cosa accade nelle fasi successive? Resta l'annoso problema della pubblicazione di atti del fascicolo di indagine o coperti da segreto, o non pubblicabili o non pertinenti con il quadro probatorio.

    Prendiamo due esempi tratti dalla recente cronaca giudiziaria.

    - Caso Renzi/Open/Fatto Quotidiano. Il contesto lo riassumiamo brevemente: sul giornale diretto da Marco Travaglio sono stati pubblicati ad inizio novembre i contenuti dei verbali delle indagini della Procura di Firenze sui conti della Fondazione Open, tra cui una informativa del 10 giugno 2020 della Guardia di Finanza che contiene anche gli estratti del conto corrente intestato a Renzi. I cronisti del Fatto nell'articolo del 6 novembre  specificano che  «Gli incassi dell'ex premier non sono oggetto di indagine: non è per questo che Renzi è finito sotto inchiesta»[7]. Senza entrare nel merito della vicenda, non essendo questa la sede per discuterne, ci siamo però chiesti se la norma sulla presunzione di innocenza, non ancora in vigore in quei giorni, avrebbe potuto impedire quella macchina del fango nei confronti di un indagato. La risposta è chiaramente no, al di là del fatto che in questo caso c'è un personaggio politico al centro della discussione. Se al posto di Matteo Renzi ci fosse stato Mario Rossi, nulla avrebbe potuto fermare la stampa nel pubblicare quegli atti. In questo caso le indagini sono state chiuse e gli atti  sottoposti alla discovery. Forse ancora una volta la criticità l'ha centrata il professor Giorgio Spangher: «il problema non riguarda tanto la pubblicabilità o meno degli atti, ma la pertinenza delle acquisizioni al fascicolo.  Mentre per le intercettazioni si è riusciti a far inserire nell'archivio riservato quelle irrilevanti ai fini delle indagini, il legislatore ancora non si è posto il tema dell'irrilevanza rispetto all'attività di acquisizione di materiale da perquisizione e sequestro, soprattutto in materia bancaria. Questo episodio dunque deve indurre il legislatore a ripensare la norma».

    - Caso plusvalenze Juventus. La Procura di Torino a fine novembre ha diramato un comunicato stampa di poche righe in cui, tra l'altro, informava che «i finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria Torino, delegati alle indagini, sono stati incaricati di reperire documentazione e altri elementi utili relativi ai bilanci societari approvati negli anni dal 2019 al 2021». Il problema è quello che è successo dopo: dopo qualche giorno su quasi tutti i media sono stati pubblicati ampi stralci del decreto di perquisizione. Addirittura una grossa testata nazionale ha aggiunto proprio foto delle pagine originali del decreto. Per alcuni, come l'onorevole Catello Vitiello (IV), autore di una proposta di legge che estenderebbe il segreto istruttorio all'arco temporale in cui gli atti di indagine sono conosciuti dalle parti, cioè fino a quando non inizia il processo vero e proprio, «che l'atto di perquisizione venga notificato agli indagati, non significa che cade il segreto investigativo. C'è un errore tecnico di fondo in quanto si confonde la conoscenza dell'atto da parte del soggetto interessato con l'opponibilità dell'atto erga omnes. La conoscibilità non riguarda tutti e in più siamo ancora nella fase dell'indagine preliminare». Per altri invece entra poi in gioco l'interpretazione dell'articolo 114 cpp, forse uno dei più ambigui e peggio scritti del codice: che ci si riferisca ad atti coperti da segreto (art. 114  comma 1) o ad atti non più coperti da segreto ma non divulgabili (art. 114  comma 2) quel decreto di perquisizione non andava reso noto integralmente o parzialmente sulla stampa[8].

    C'è poi tutto un altro filone che, a parere di chi scrive, non subirà alcuna limitazione, ed è quello della cronaca giudiziaria che si trasforma in voyeurismo. Era il 1983 e i militari, per trasferire Enzo Tortora, accusato ingiustamente di associazione camorristica, nel carcere di Regina Coeli, aspettarono che fosse mattina presto per garantire ai fotografi la prima fila davanti all'Hotel Plaza e riprendere il giornalista con i ceppi ai polsi. Da allora è stato un susseguirsi di processi mediatici, che sempre più hanno invaso quella sfera che dovrebbe rimanere circoscritta nelle aule giudiziarie o almeno dovrebbe essere trattata sulla stampa spiegando i termini della questione, non imbastendo un criminal show[9]. Salvatore Ferraro, Giovanni Scattone, Raffaele Sollecito, Alberto Stasi, Annamaria Franzoni, la famiglia Ciontoli, Cosima Serrano, Sabrina Misseri, Antonio Logli, Massimo Bossetti, il generale Mario Mori, Mario Oliverio, Clemente Mastella, Nunzia De Girolamo: sono solo alcuni dei nomi più noti di persone che hanno subìto nel nostro Paese i più morbosi processi mediatici. Non importa se tanti di loro siano stato poi condannati: nel momento in cui erano presunti non colpevoli sono stati attenzionati da un voyeurismo giudiziario senza precedenti, che ha costruito mostri da prima pagina, rovinando carriere e relazioni personali. Il fenomeno del processo mediatico è complesso e, come scrive il professore avvocato Vittorio Manes in un contributo dal titolo ‘La “vittima” del “processo mediatico”: misure di carattere rimediale’, alla base «si pone il conflitto, difficilmente superabile, tra diritti contrapposti: il diritto di cronaca giudiziaria, da un lato, e dall’altro i diversi diritti che fanno capo a chi lo subisce (vita privata, riservatezza, presunzione di innocenza), oltre a più generali istanze di imparzialità del giudizio». Molti  sono gli studiosi che da anni analizzano la questione e cercano delle soluzioni per bilanciare tutte le esigenze in gioco. Il professore avvocato Ennio Amodio,  in un documento pubblicato dalle Camere Penali, descrive una situazione allarmante: «L’onda impetuosa dei media si abbatte sul processo penale e ne deforma lo scenario fino a renderlo irriconoscibile persino a chi, come difensore, ha vissuto in prima persona le vicende giudiziarie che la stampa e la televisione scelgono di raccontare». Ecco  il nodo della questione: la norma di recepimento della direttiva europea, come abbiamo visto, agisce principalmente sulla fase delle indagini preliminari non su quella del processo che potrà comunque essere raccontato in maniera distorta. Certo, se la comunicazione colpevolista verrà effettivamente limitata e sgonfiata, forse qualche giornalista dovrà impegnarsi maggiormente nel suo lavoro e frequentare di più le aule di tribunale, fino ad ora quasi sempre disertate. E potremmo così sperare nel racconto del contraddittorio delle parti, che non ha mai quasi interessato la nostra categoria, impegnata molto spesso a fare da cassa di risonanza alle ipotesi delle Procure e a presentarsi in Tribunale solo il giorno della sentenza, con pesanti conseguenze sulla narrazione del processo. A me personalmente, ad esempio, è capitato di confrontarmi durante l'ultima udienza di un processo dal clamore nazionale con una collega di una emittente nazionale che non sapeva distinguere gli avvocati di parte civile da quelli della difesa.

    In ogni modo, a delineare quasi scientificamente le differenze tra processo penale e processo mediatico ci ha pensato il professor Glauco Giostra in un elaborato dal titolo ‘Processo penale e mass media’: «il processo giurisdizionale ha un luogo deputato, il processo mediatico nessun luogo; l’uno ha un itinerario scandito, l'altro nessun ordine; l'uno un tempo (finisce con il giudicato), l'altro nessun tempo; l’uno è celebrato da un organo professionalmente attrezzato, l’altro può essere “officiato” da chiunque. Ma vi sono anche differenze meno evidenti e più profonde. Il processo giurisdizionale seleziona i dati su cui fondare la decisione; il processo mediatico raccoglie in modo bulimico ogni conoscenza che arrivi ad un microfono o ad una telecamera: non ci sono testi falsi, non ci sono domande suggestive, tutto può essere utilizzato per maturare un convincimento. Il primo, intramato di regole di esclusione, è un ecosistema chiuso; il secondo invece è aperto, conoscendo soltanto regole d’inclusione; la logica dell’uno è una logica accusatoria, quella dell’altro, inquisitoria».

    Ma tutto questo può inficiare il giudizio della Corte? Per la Cassazione non esiste questo pericolo: «le campagne stampa quantunque astiose, accese e martellanti o le pressioni dell’opinione pubblica non sono di per sé idonee a condizionare il giudice, abituato ad essere oggetto di attenzione e critica senza che sia menomata la sua indipendenza» (Cass. Sez. V, 12.5.2015, Fiesoli). Si tratta dello stereotipo del giudice con la corazza: ma è davvero così? La diffusione al di fuori del processo degli atti di indagine, coperti da segreto o non pubblicabili, costituisce certamente un ostacolo all’esercizio del diritto di difesa a causa del forte pregiudizio che arreca all’indipendenza psicologica del giudice. Quest'ultimo dovrebbe conoscere il materiale probatorio solo durante la sua formazione nella dialettica tra le parti. Qualche giurista sostiene che in realtà i giudici sono strutturati in modo da non farsi condizionare, tuttavia una volta un famoso avvocato, durante una cena, partecipò ai commensali che un magistrato gli aveva confessato che in realtà si lasciano in parte influenzare. Nondimeno, cosa accade invece per le giurie popolari, molto spesso composta da persone prive delle adeguate conoscenze giuridiche e facilmente influenzabili? Se la risposta è che in fin dei conti decidono i giudici togati, allora discutiamo seriamente affinché vengano soppresse. Se, invece, il loro giudizio ha un peso allora pensiamo a come metterli al riparo dall'influenza della stampa colpevolista.

    Tutto questo purtroppo non avrà mai fine se non cambierà la cultura di tutti i protagonisti. I magistrati e le forze di polizia dovranno chiudere i rubinetti tramite i quali passano gli atti alla stampa nelle fasi in cui gli stessi non sono conoscibili; la stampa dovrebbe cominciare a rispettare il proprio codice deontologico. Pensiamo all'articolo 8 del Testo Unico dei doveri del giornalista che da solo se rispettato, come l'articolo 27 della Carta costituzionale, basterebbe a far andare le cose in maniera corretta: «Il giornalista: a) rispetta sempre e comunque il diritto alla presunzione di non colpevolezza. In caso di assoluzione o proscioglimento, ne dà notizia sempre con appropriato rilievo e aggiorna quanto pubblicato precedentemente, in special modo per quanto riguarda le testate online; [...] d) nelle trasmissioni televisive rispetta il principio del contraddittorio delle tesi; [...] cura che risultino chiare le differenze fra documentazione e rappresentazione, fra cronaca e commento, fra indagato, imputato e condannato, fra pubblico ministero e giudice, fra accusa e difesa, fra carattere non definitivo e definitivo dei provvedimenti e delle decisioni nell’evoluzione delle fasi e dei gradi dei procedimenti e dei giudizi». Queste regole vengono rispettate? Altra domanda oziosa. Anche gli avvocati hanno la loro parte di responsabilità: talvolta per convenienza personale  -  un lauto gettone di presenza in una trasmissione, o per farsi pubblicità, o per creare empatia intorno alle presunte vittime - alimentano la gogna mediatica. Forse sarebbe il caso anche di cominciare a chiudere le porte dei salotti televisivi ai familiari delle vittime che, animati da comprensibile vendetta punitiva, si esibiscono in un coro colpevolista contro indagati impotenti. Volendo allargare il campo  visivo dovremmo cominciare seriamente a interrogarci sulla qualità del pubblico che ci legge, ci ascolta, ci vede. Siamo un Paese in cui l'emotività e la paura hanno il sopravvento sull'analisi dei fatti, l'angoscia collettiva reclama pene sempre più severe nonostante i crimini siano in calo, e dove appunto processi pubblici e gogne mediatiche hanno perfettamente preso il posto delle tricoteuses settecentesche. Inoltre «siamo in presenza - come mi disse in una intervista il sociologo dei fenomeni politici Luigi Manconi[10] -  di un circuito chiuso dove quello che lei chiama il Tribunale del Popolo alimenta il sistema dell’informazione, e quest’ultimo incentiva gli umori e i rancori del Tribunale del Popolo. L’uno giustifica l’altro. Il primo asseconda e accende, eccita e rinfocola il secondo, e ne viene, a sua volta, stimolato e blandito. Senza sottovalutare nemmeno per un attimo le responsabilità dei media, non si deve dimenticare che una domanda di giustizia sommaria e di rivalsa sociale cova nel profondo dell’animo umano. E si alimenta di relazioni private e scambi domestici, di frustrazioni personali e di sentimenti familiari persino prima di entrare in rapporto con il sistema dell’informazione».

    È chiaro che la nuova normativa sulla presunzione di innocenza è inerme dinanzi a questa gigantesca rappresentazione che può essere ridisegnata in chiave garantista, costituzionale solo con un cambiamento culturale che parta dalle scuole. Anche per frenare un fenomeno che dovrebbe preoccuparci, ossia l'analfabetismo funzionale, che oggi è la «più grande emergenza» secondo il report 'Ridisegnare l’Italia. Proposte di governance per cambiare il Paese' a cura del The European House-Ambrosetti[11].

    Insomma, questo quadro, che non pretende affatto di essere esaustivo della questione, fa capire che il recepimento della direttiva sulla presunzione di innocenza è stato sì necessario ma non rappresenta la panacea di tutti i mali che affliggono la narrazione dei processi nel nostro Paese.

     

    [1] Tratto da un articolo del Dubbio del 29 settembre 2021

    [2] Intervista a Enrico Costa, Il Riformista 6 novembre 2021

    [3] Corriere della Sera, 27 novembre 2021

    [4] Intervista a Giorgio Spangher, Il Dubbio 17 maggio 2021

    [5] Intervista a Nello Rossi, Il Dubbio 27 ottobre 2021

    [6] Intervista ad Eugenio Albamonte, Il Riformista 7 dicembre 2021

    [7] Tratto da un articolo del Dubbio del 9 novembre 2021

    [8] Tratto da un articolo del Dubbio del 30 novembre 2021

    [9] Tratto da un articolo del Dubbio del 15 ottobre 2021

    [10] Intervista a Luigi Manconi e Federica Graziani, Il Dubbio 15 ottobre 2020

    [11] Fonte: https://www.ambrosetti.eu/news/ridisegnare-litalia-proposte-di-governance-per-cambiare-il-paese/

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