GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Ponti versus muri, o muri e ponti. 14) Pink Floyd - The wall

    Si conclude, con la pubblicazione di Giuseppe Arbia dedicata all'album "The wall" dei Pink Floyd, la carrellata di contributi che hanno accompagnato ed allietato il tempo di fine e di inizio anno nuovo, dando un senso alle aspirazioni ed alle aspettative espresse nell'editoriale "Ponti versus muri, o muri e ponti" pubblicato il 18 dicembre scorso, al cui interno sono oggi visionabili tutti gli articoli, attraverso il collegamento ipertestuale appositamente attivato. Idee, impressioni, argomentazioni di particolare pregio grazie alla straordinaria disponibilità degli Autori ai quali va un caloroso ringraziamento.  

    La redazione

    Ponti versus muri, o muri e ponti. 14) Pink Floyd - The wall 

    di Giuseppe Arbia

    In questa apprezzabile collezione di articoli di Giustizia Insieme dedicati a « Ponti e muri », credo non possa mancare il muro per antonomasia della musica rock: il celebrato album «The wall» dei Pink Floyd il quale costituisce, per certi versi, il vertice musicale del gruppo. Dal long playing, inciso alla fine degli anni ’70, è stato successivamente ricavato anche un film musicale diretto da Alan Parker e presentato nel 1982 al 35º Festival di Cannes. Il celebre disco ci costringe ad un cambiamento di punto di vista e sposta l’enfasi dai muri di natura sociale, ai quali per lo più si sono riferiti i contributi in questa interessante rassegna, ai muri individuali eretti da ciascuno di noi.

    Come molti ricorderanno, il disco (ed il film) racconta le vicende della rockstar Pink sotto le cui spoglie si nasconde l’autore delle musiche nonché l’ideatore del concept album e del film: il mitico bassista del gruppo Roger Waters. La vicenda umana di Pink è costellata di avvenimenti che lo portano ad erigere progressivamente un muro intorno a sé ed a chiudersi in un cupo individualismo. Le sue vicende umane sono viste metaforicamente come mattoni che si aggiungono al muro («antoher brick in the wall »). Nelle vicende narrate nel disco e nel film, il personaggio principale viene, infatti, presentato nelle varie fasi della sua vita fin dall’infanzia quando deve affrontare alcuni tragici avvenimenti. Innanzitutto, la morte del padre in guerra e il senso di abbandono da essa derivato (elemento questo che sarà poi ripreso dallo stesso Waters in uno degli album successivi del gruppo e l’ultimo con la sua partecipazione: « The final cut »). Un ulteriore elemento traumatico è costituito dalla scuola e dagli insegnanti autoritari i quali, utilizzando punizioni corporali, lo portano ad una ribellione contro i metodi di insegnamento e contro il controllo del pensiero, i quali sfociano in un altro mattone sul muro. Crescendo Pink dovrà affrontare una madre iperprotettiva la quale, non accettando l'idea del bambino che diventa uomo, sia pure nella buona intenzione di proteggerlo dalla crudeltà  della società, contribuisce invece alla erezione del suo muro. Divenuto adulto e famoso, il personaggio affronta i problemi del matrimonio creati dalla scarsa comunicazione, dall’infedeltà della moglie e dalla presenza di fan disposte a tutto pur di stare con lui. Tutti questi elementi conducono il matrimonio alla rovina e, in conseguenza di ciò, alla perdita della ragione da parte protagonista. Da questo momento, Pink si chiude all’interno del suo muro psicologico considerando inutile qualsiasi rapporto con gli altri e, per quanto disperato per il suo isolamento, non riesce a fare altro che dire addio al mondo intero e a rifugiarsi nelle droghe.

    A questo punto della vicenda, il protagonista subisce un processo nel quale viene giudicato per aver commesso un crimine contro sé stesso, contro la sua umanità. Al processo partecipano, in qualità di testimoni sul banco dell’accusa i vari personaggi della sua vita: il maestro di scuola, la moglie che lo accusa di non aver mai cercato davvero un rapporto con lei, la madre che lo vuole riportare a casa. Al termine del processo il giudice emette la sua sentenza e lo condanna all’abbattimento del muro riesponendolo al mondo reale.

    Nel brano finale l'artista afferma come sia difficile rimanere sani di mente « … quelli che davvero ti amano, camminano su e giù fuori dal muro, qualcuno mano nella mano, qualcuno si riunisce in band. I cuori sanguinanti e gli artisti fanno la loro comparsa e, quando hanno dato tutto ciò che potevano, alcuni barcollano e cadono. Dopo tutto non è facile sbattere il tuo cuore contro un muro di pazzi...»

    I molti esegeti dei Pink Floyd hanno segnalato diversi piani di lettura dell’album. Il primo, il più immediato, è quello di natura autobiografica (la morte del padre in Italia durante il secondo conflitto mondiale, i problemi dell'educazione scolastica nel periodo delle rivolte studentesche, il difficile rapporto con la madre etc.). Il secondo piano di lettura è di natura più sociale e si riferisce all'incomunicabilità nei rapporti di coppia, al tema della rockstar onnipotente ed alla sua esposizione ai fan. Il terzo piano, infine, si concentra esclusivamente sulla follia del protagonista, e si riferisce non già all’autore dei testi (Waters), ma al suo amico Syd Barrett, uno dei membri fondatori della band, il quale, a causa dell’abuso delle droghe, perse la salute mentale e dovette abbandonare la band dopo le prime incisioni.

    Se il disco uscisse oggi, probabilmente Waters aggiungerebbe nuovi mattoni che contribuiscono all’erezione del muro psicologico tra gli individui. Primo fra tutti l’autoisolamento al quale ci costringiamo con la sovraesposizione alle immagini ed ai social network nel crescente fenomeno dell’ "allotopia” in virtù del quale, anche quando siamo insieme, invece di comunicare, ci trasportiamo altrove per pseudo-comunicare con persone lontane. Emblematiche le scene quotidiane di gruppi di persone di tutte le età sedute insieme attorno ad un tavolo in un bar o in un ristorante, ma ciascuno chiuso all’interno del muro del proprio smartphone. In questo era stato profetico negli anni immediatamente successivi all’uscita di “The wall” un altro capolavoro cinematografico: il meraviglioso “Fino alla fine del mondo” di Wim Wenders girato nel 1991. In riferimento a questa pellicola il regista dichiarò che l’ispirazione era stata soprattutto legata ai suoi timori circa l’impatto che avrebbe avuto sulla nostra psiche la produzione continua di immagini e filmati. Sono memorabili (e tremende riviste oggi!) le immagini del film che descrivono l'ossessione visiva che ad un certo punto assale i due protagonisti, che vediamo per giorni e giorni con lo sguardo fisso su apparecchi audiovisivi che portano sempre con sé per rielaborare i propri sogni. «Divennero tutti come dei drogati: vivevano per vedere i loro sogni, e quando dormivano sognavano i loro sogni» fa dire Wenders al suo protagonista. Peccato che Wenders non abbia chiesto all’epoca anche ai Pink Floyd di arricchire la già grandiosa colonna sonora del suo film affidata ai più grandi artisti rock dell’epoca. Sarebbe stato probabilmente un altro mattone nel muro nell’immaginario di Roger Waters ... e un’altra perla musicale ad arricchire la pellicola.

    Negli ultimi due anni poi, la pandemia che ci ha colto, tra i suoi numerosi effetti collaterali, registra sicuramente anche quello di contribuire a creare un muro di diffidenza, di paura, se non addirittura di rigetto dell’altro. A fronte delle incertezze, dei rischi e delle paure che ci assalgono in questi anni, corriamo davvero il rischio di rinchiuderci ulteriormente in noi stessi, guardando l’altro solo come un preoccupante elemento di contagio e condannandoci a fare divenire quel lockdown che purtroppo abbiamo a lungo sperimentato, uno status mentale permanente, un muro, appunto, come quello descritto dai Pink Floyd. Anche su questo Waters avrebbe oggi sicuramente qualcosa da aggiungere al suo disco. Anche questo è “another brick in the wall “.

    Ma trovo che sia significativa la chiusura del disco quando, al processo, ci indica che, se cadessimo in questa trappola, se ci rassegnassimo a vedere crescere mattone su mattone un muro intorno a noi, se lasciassimo che anche questa sventurata congiuntura che ci ha assalito rappresenti l’ultimo e definitivo mattone posto in cima al muro divenuto indistruttibile ed invalicabile, commetteremmo innanzitutto un crimine verso noi stessi, verso il nostro essere uomini e donne. La condanna pronunciata dal giudice che chiude il disco è, in ultima analisi, un invito a tornare a vivere in pieno la nostra umanità nonostante tutto sembri condannarci all’autoisolamento: la dolce condanna a vivere: “Dal momento che, amico mio, hai rivelato la tua paura più profonda, ti condanno ad essere esposto ai tuoi pari e ad abbattere il muro».

    Dopo tutto, come ha affermato Papa Francesco in occasione della XXXI Giornata mondiale della gioventù del 2016. “È più facile costruire ponti che innalzare muri”. 

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