GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    La politica attraverso i social. Intervista di Giuseppe Cricenti a Gianpietro Mazzoleni e Alfio Mastropaolo

    La politica attraverso i social

    Intervista di Giuseppe Cricenti ai Prof.ri Gianpietro Mazzoleni e Alfio Mastropaolo  

     

    Introduzione

    Giuseppe Cricenti

    E’ opinione corrente - ma forse più una diceria - che i social media hanno cambiato la comunicazione politica, ed operano come mezzi di persuasione dell’elettorato; che anzi, è buona raccomandazione per ogni politico di farne uso.

    Probabilmente si tratta di una esagerazione, o comunque di una analisi ferma a quanto l’immediata evidenza sembra offrire. Il fenomeno è invece più complesso, e forse l’influenza dei social media è minore di quanto si creda: gli elettorati sono condizionati da altri ambienti, e la loro relativa stabilità dimostra l’errore di quella prospettiva.

    Tutto sommato, quella che era l’attesa emancipativa dei social media, ossia un ribaltamento del rapporto tra potere politico e popolo è rimasta delusa.

    Insomma, la complessità della questione ci ha fatto rivolgere a due eminenti esperti e studiosi del fenomeno, che, sotto diversi aspetti, sociologico e politologico, offrono di seguito un contributo determinante alla comprensione del fenomeno.  

    Al tema proposto hanno deciso di offrire le loro riflessioni, condensate nelle risposte che ognuno ha inteso offrire alle domande loro proposte,  Gianpietro Mazzoleni, già professore di sociologia presso l’Università di Milano,  e Alfio Mastropaolo, Emerito di Scienze politiche presso l’Università di Torino.
     

    1. Ci interessa capire se veramente i social hanno ridisegnato, o lo stanno facendo, il rapporto tra politici ed elettori e tra governanti e governati, o, più generalmente tra potere politico e popolo. Questo mutamento potrebbe essersi verificato in entrambi i versanti: da un lato, quello degli elettori o dei governati, che usano Internet quale forma di contestazione comune; dall’altro quella dei politici o dei governanti che invece usano Internet per la ricerca di consenso sempre maggiore ed in modo diretto. Possiamo attribuire alla comunicazione per social una simile portata?

      Prof.Giampietro Mazzoleni

    Internet in generale, che si è accompagnato al processo di digitalizzazione di molte attività sociali e individuali, ha rivoluzionato l’ecosistema della comunicazione, ridisegnando da un lato  i luoghi dove risiede il potere, e dall’altro concentrandolo nelle mani dei pochi che detengono il controllo dei mezzi di comunicazione.  Non solo di chi possiede le piattaforme ma anche di chi, dentro e soprattutto fuori le democrazie, può ancora bloccare la circolazione dell’informazione digitale.  I social sono una parte rilevante di questo mutamento epocale, e negli anni, grazie alla loro diffusione globale, si sono conquistati una posizione che nessuno degli attori della politica, dell’economia e della cultura può ignorare o sottovalutare.  L’accesso libero (pur con crescenti limitazioni, soprattutto recenti) ha di fatto indebolito il potere di influenza e di selezione dei gatekeeper tradizionali, e ha messo nelle mani degli individui strumenti che si sono rivelati avere ben maggiori valenze che il semplice uso per intrattenimento.  L’utilizzo in campo politico è stato quasi immediato.  E dunque milioni di cittadini hanno potuto far sentire la loro voce, sia in modo caotico che organizzato, e si sono mobilitati sui mille fronti della lotta politica, all’interno del proprio paese o in movimenti di opinione e di pressione a livello internazionale.  Sul versante partiti e leader la possibilità di scavalcare i cancelli dei mass media tradizionali ha reso facile e poco costoso il rapporto diretto con ampi strati di cittadini ‘digitali’, aumentando in tal modo la propria capacità di penetrazione e in fondo di influenza. E’ quella che è stata chiamata “disintermediazione,”  sicuramente il fenomeno che più di ogni altro caratterizza il passaggio dai rituali politici e le strategie simboliche tradizionali a quelli contemporanei.

      Prof.Alfio Mastropaolo

    Esistono tanti tipi di sociologia elettorale. Per semplificare: secondo una certa sociologia elettorale l’elettore è tendenzialmente mobile. In occasione delle elezioni va al mercato e sceglie secondo i propri gusti. Le tecniche di propaganda si sono aggiornate e quindi l’elettore è di continuo bersagliato dall’offerta elettorale. E quindi gli elettorati sono divenuti molto instabili. Secondo un’altra sociologia elettorale, fondata su risultati di ricerca non meno affidabili di quelli che esibisce la prima, gli orientamenti politici sono piuttosto stabili e comunque non dipendono da umori erratici degli individui. Gli elettori ereditano le loro appartenenze politiche per via familiare e, quando le modificano, ciò avviene in funzione dei loro ambienti di riferimento: scuola, lavoro, abitazione, amicizie, circoli di appartenenza, ecc. A guardare attentamente, la geografia elettorale negli ultimi anni è cambiata relativamente e comunque in maniera tutt’altro che scomposta. Senza escludere sobbalzi piuttosto bruschi.

    La geografia dell’elettorato di destra in Italia è rimasta più o meno la stessa dai primi anni ’90: sono cambiati i contenitori, ma siamo lì. L’ha modificata il declino di Berlusconi e pure quello di Bossi. Nel Mezzogiorno – ovviamente semplifico – una parte dell’elettorato di destra si è provvisoriamente lasciato attrarre dai discorsi qualunquisti dei 5 Stelle. Ma il fenomeno parrebbe in via di riassorbimento. Più complesso è valutare l’andamento dell’elettorato di sinistra, che è culturalmente diverso da quello di destra. È storicamente abituato a ottenere di più e entro quell’elettorato la crisi finanziaria ha colpito duro, insieme alla crisi migratoria. Se ne sono avvantaggiati di nuovo i 5 Stelle e in parte anche l’estrema destra. Ma quanto si tratta di un sobbalzo duraturo e quanto invece di una reazione indispettita? Gli elettori considerano anche l’offerta elettorale e, non solo a mio parere, l’offerta elettorale del Pd da decenni è molto avara verso l’elettorato popolare, le periferie, il Mezzogiorno e via di seguito. L’elettore ordinario a quel punto ha poca scelta: o si astiene o, per protesta, passa al nemico. Ma per quanto tempo? Con quanta convinzione? Nessuno lo sa. I 5 Stelle hanno costituito un’opportunità intermedia. Molte cose che hanno detto erano coerenti con la sensibilità dell’elettore di sinistra: avanzavano un’offerta politica «orizzontale», opposta alla verticalità del Pd e della stessa sinistra radicale. Ancora: bisogna stare attenti. Per come sono stati fatti gli ultimi sistemi elettorali, basta anche la crescita dell’astensione a far pendere  la bilancia dall’altra parte. 

    Infine: dobbiamo anche essere realisti. L’elettore medio è scarsamente informato delle cose politiche. In genere ha altro da fare. Deve tirare a campare. Ovviamente, i ceti meno istruiti e più disagiati sono più in difficoltà di altri. E sono anche i più inclini a comportamenti elettorali indispettiti, oltre che più vulnerabili a messaggi, come dire, regressivi. Un tempo aiutavano i partiti, che erano anche istituzioni educative. Oggi i partiti sono un’altra cosa. E quindi c’è un considerevole problema di ordine culturale, che si è aggravato in ragione dei maltrattamenti che la scuola e l’università subiscono ormai da decenni.

               

    2. Nel primo senso, i social sono il luogo di una contro-democrazia, nel senso di una democrazia dei poteri indiretti, disseminati nei corpi sociali, la democrazia della difesa organizzata contro la democrazia della legittimità elettorale: molti movimenti di contestazione sono nati lì (vedi ad esempio quella di Hong Kong contro la volontà cinese di restringere il suffragio universale).  La reazione di certi Stati alle contestazioni spontaneamente sviluppatesi su Internet forse lo dimostra.

    Possiamo dunque dire che i social hanno portato una nuova forma di contestazione ma anche di partecipazione alla vita pubblica? E possiamo dire che anziché ad un qualche modalità di populismo siamo veramente davanti ad una ridefinizione del rapporto tra potere politico e popolo?    

     Prof.Mazzoleni

    Il rapporto disintermediato – vale anche bottom up – ha rimesso lo scettro nelle mani dei cittadini, come qualcuno ha osservato.  Al di là della metafora, forse anche un po’ troppo ottimistica, è vero che i social hanno permesso il sorgere di correnti di opinione e di movimenti che hanno sfidato i diversi luoghi di potere.  Si citano qui le pur fallite Primavere Arabe, Occupy Wall Street, il Movimento di Grillo, MeToo, BlackLivesMatter, e, appunto il movimento di resistenza di Hong Kong, ma  anche sul fronte opposto, QAnon, Proud Boys, e simili.  Sono tutte forze ‘liberate’ da Internet e dai social, che in un contesto ‘analogico’ non avrebbero visto la luce, o avrebbero faticato a mobilitarsi, che raccolgono energie e forze che solo in  un contesto democratico possono sorgere e diventare attori politici primari. Per questo i poteri costituiti li vedono, e li combattono, come minaccia.  Al di là degli esiti che tali ‘single issue movements’ possono avere, tutta la letteratura scientifica socio-politologica li riconosce come forme nuove di partecipazione politica, e li sta studiando per comprendere meglio le implicazioni sia per i sistemi politici in generale, sia per i cambiamenti negli equilibri di potere in una società, e anche a livello globale.  La presidenza populista di Trump (noto per l’uso spregiudicato dei social; fu soprannominato “Twitter-in-Chief”), è riuscita a raccogliere e compattare un largo seguito, a dare una voce a un’America profonda che non era rappresentata, ma che oggi ha molti eletti al Congresso e nei parlamenti dei vari stati.  Ciò sta comportando un cambiamento nella comunicazione ma soprattutto nella lotta politica tra progressisti e conservatori.  Una delle prime vittime sarà con molta probabilità il vecchio GOP, il Partito Repubblicano che sarà lacerato nel braccio di ferro tra conservatori dell’old establishment e sovranisti estremisti.            

    3.- Nel secondo senso apparentemente può sembrare che la politica abbandona uno schema di comunicazione verticale per uno orizzontale, in cui l’interazione sostituisce la comunicazione unilaterale . Ma forse è un’apparenza: Trump ha più volte eliminato dal suo account Twitter i seguaci che lo criticavano più aspramente dagli altri, e comunque raramente si trova un politico che si rivolge, di fatto, agli elettori, piuttosto che agli altri politici o ad una elite di giornalisti.

    Si può spiegare in questa ottica la decisione di Biden di azzerare i milioni di seguaci dell’account presidenziale che aveva accumulato Trump?  

    Prof. Mazzoleni

    In effetti il flusso tipico nell’ecosistema attuale della comunicazione politica è quello orizzontale.  Tutti i leader, piccoli o grandi, preferiscono ‘parlare’ con i propri supporter via social, anche se spesso è una comunicazione one-way, nel senso che il politico non spende il suo tempo in lunghe e complesse chat con la gente, salvo nei periodi elettorali. Ma di sicuro sente il polso del suo seguito attraverso le reazioni alle sue dichiarazioni o prese di posizione.  Anche se Trump ha eliminato le moltitudini di critici su Twitter, il suo staff sicuramente ha continuato a registrare l’andamento della risposta pubblica alle sue dichiarazioni.  All’ultimo è stato bannato pure lui, per i motivi che conosciamo. Biden non ha cancellato i follower di Trump dell’account @POTUS per motivi polemici.  Molti di essi non erano necessariamente trumpiani.  E’ stato un azzeramento per segnare l’inizio di un nuovo proprietario dell’account, e non risulta che siano stati eliminati nuovi follower.    

    4. Legata alla questione precedente è quella del modello argomentativo ideale. E’ nota l’influenza, sul piano prescrittivo, e dunque dei modelli teorici, dell’ideale argomentativo habermasiano. E’ un ideale modello di argomentazione politica anche oggi, o i social hanno ridefinito lo schema argomentativo della politica?  

    Prof.Mazzoleni

    L’idea di una “sfera pubblica digitale” come sviluppo di quella classica habermasiana ha un suo fascino.  Se nell’era dei mass media il dibattito pubblico era tutt’altro che scambio di idee e di posizioni tra tutti gli attori della sfera pubblica, relegato com’era all’interazione tra élite, cioè leadership politiche e mezzi di informazione, con la nascita dei social network, finalmente il terzo attore, il cittadino, viene visto aggiungersi al confronto politico.  Questa visione neo-romantica non è condivisa da tutti gli studiosi e i pensatori.  Internet è sì una grande piattaforma che permette il funzionamento di una rinnovata sfera pubblica, ma offre anche spazio e risorse ai nemici dell’argomentazione democratica, della negoziazione tra posizioni e soluzioni alternative ai problemi dibattuti nella polity.  E c’è anche un lato oscuro di Internet che sconfina nella sovversione e nella distruzione della democrazia. L’esempio di Trump è ancora calzante in questo senso, laddove ha favorito la diffusione della disinformazione, e della denigrazione sistematica del sistema dell’informazione il famoso “Quarto potere”.  Quindi Internet è un fenomeno ambivalente, per cui è necessario monitorare con attenzione gli sviluppi delle piattaforme dei social network. Senza demonizzazioni aprioristiche. E senza atteggiamento censorio.  Ogni limitazione nella sfera pubblica digitale, anche se ampiamente giustificata da eventi controversi, è sempre un vulnus alla libera circolazione delle idee, che anche nella visione habermasiana è il fondamento della democrazia.    

    Prof.Mastropaolo

    L’altra grande questione mi pare sia quella del linguaggio. Il linguaggio informale dei media commerciali, la dicotomizzazione della contesa politica, la horse race, la personalizzazione, sono dilagati anche nei social. E, anziché migliorare, il linguaggio si è appesantito e involgarito. Sui social non si ragiona granché. Prevalgono le battute. E i toni si surriscaldano agevolmente. Non è necessario insistere, perché la questione è ben nota. Il mezzo condiziona il messaggio. E la competizione politica ha adottato toni insopportabili e rischiosissimi. Perché la polarizzazione dei discorsi politici si riflette sulla società, nel costume, nelle relazioni sociali. Ora, la straordinaria invenzione della politica moderna è stata la pacificazione della contesa politica: invece di fare a botte, si discuteva nei parlamenti. La discussione poteva essere aspra. Ma esisteva un codice della “civiltà parlamentare”. In Italia questo codice è stato messo sotto i piedi, quando sono apparsi i cappi e le mortadelle. È una responsabilità gravissima anche degli allora presidenti delle assemblee elettive, che hanno allora tollerato le prime intemperanze, e dei loro successori. I regolamenti parlamentari davano loro i mezzi per mettere a tacere i facinorosi e per escluderli. Purtroppo, simili intemperanze hanno fatto scuola e sono tracimate sui social, nelle trasmissioni televisive, nel costume, nella vita civile. Sarebbe ora di ristabilire dei limiti da rispettare. Non vedo perché nella vita civile la calunnia, il vilipendio, la diffamazione siano perseguibile e nelle pubbliche discussioni, in televisione e sui social sono ammessi. La mia opinione è che serva anche stavolta un codice, adottato su scala sovranazionale, insieme a qualche istituzione giudicante. È difficile immaginarlo, ma a volte servono le cose difficili, non quelle facili. Non tanto in ragione delle manipolazioni elettorali. Ma in ragione della civile convivenza, che è ad alto rischio di brutalizzazione. Come troverei ragionevole riformare la galassia delle piattaforme. Un processo in atto da tempo è la concentrazione mediatica nelle mani di pochi imprenditori privati. Vale per i giornali e per le catene radiotelevisive. Per i giornali si vanno delineando specie all’estero interessanti iniziative di giornalismo on line, che sono alimentate dagli stessi lettori. Per le catene radiotelevisive sarebbe auspicabile una dispersione della proprietà e il rafforzamento delle catene pubbliche, liberandole dalla concorrenza pubblicitaria. Bene, qualcosa va fatto e in fretta anche per le piattaforme dei social. Non  so cosa, ma prima è, meglio è.                

    5. Inoltre, quanto incide sulla effettiva capacità di interazione tra politica e società il fenomeno della polarizzazione dei gruppi, ossia la tendenza degli utenti che coltivano una idea a schierarsi comunque dalla parte di chi la propugna?  

    Prof.Mastropaolo

    Quanto ai social. Il rapporto tra i cittadini e la politica si è complicato. Molto autorevolmente Mazzoleni apprezza le potenzialità dei new social media e, prima ancora, della politica mediatizzata. Sono in linea di massima d’accordo. Bisognerebbe investigare molto approfonditamente su questo tema. Servirebbero indagini qualitative, che in Italia non sono granché di moda. Sappiamo poco come i cittadini fruiscano delle suddette potenzialità. Non sono uno specialista e quindi mi azzardo su un terreno per me più infido di altri. I media vecchi e nuovi spostano poco gli orientamenti degli elettori. I fruitori dei social sono confinati entro bolle piuttosto ristrette. Interagiscono, più o meno, con chi la pensa come loro. Lo stesso, del resto, vale per le trasmissioni televisive e per i giornali. Il pubblico della trasmissione di Vespa non è lo stesso di quella di Fazio o di Giletti. Fino a prova contraria, i social non funzionano troppo diversamente. In America queste cose le hanno un po’ studiate. Alle elezioni del 2016 l’uso dei social da parte di Trump non ha convertito gli increduli. Ha mobilitato l’elettorato già propenso a votare repubblicano, anche con l’aiuto dei media più convenzionali, che hanno fatto dei tweet e dei post trumpiani un evento mediatico: vi sarebbe stato perciò un effetto di rinforzo reciproco.

    Non sovrastimerei nemmeno il fenomeno delle fake. Mi pare che il problema stia nell’avallo che ricevono dalla politica ufficiale e dai media convenzionali. Un po’ il chiacchiericcio dei social alimenta notizie false. Inevitabile. Un amico che la sa lunga mi ha invitato a rileggere le pagine dedicate da Marc Bloch alle false notizie in guerra. Un po’, effettivamente, ci sono notizie false messe in circolazione ad arte. Sono un problema, di nuovo perché entrano in circuiti più vasti, ma non perché persuadano chi non è persuaso. Le fake sui vaccini diffuse dai social rafforzano la propaganda anti-vax che circola tramite altri percorsi, dove sfrutta il basso livello culturale di una parte del pubblico. Sarebbe auspicabile che le piattaforme disciplinino questa circolazione. Ci stanno a quanto pare ragionando. Come stanno discutendo di come contenere i rischi di intromissioni dall’esterno o di manipolazione delle informazioni e degli algoritmi.  E poi, anche per questo, servirebbe molta scuola. Non buona. Di ottima qualità.

     

     

       

     

     

     

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