GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    ​Il reclamo/mediazione all’indomani della riforma della giustizia tributaria

    Il reclamo/mediazione all’indomani della riforma della giustizia tributaria

    di Giuseppe Corasaniti*

    Sommario: 1. Premessa. – 2. Brevi cenni in merito all’evoluzione normativa e giurisprudenziale della disciplina del reclamo e della mediazione tributaria. – 3. Le (inattuate) proposte di riforma del reclamo/mediazione a seguito della c.d. Manovra Correttiva. – 4. Il “nuovo” reclamo/mediazione e la “conciliazione d’ufficio proposta dalla corte di giustizia tributaria”. – 5. Osservazioni conclusive. 

    1. Premessa 

    Il 31 agosto 2022 è stata emanata la l. n. 130, rubricata “Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari[1] che, dopo il fallimento di diverse iniziative legislative proposte negli ultimi anni, ha finalmente attuato l’auspicata riforma della giustizia tributaria.

    Il provvedimento legislativo in discorso, sebbene permangano talune criticità[2], deve tuttavia essere accolto con favore, avendo introdotto novità di pregio ed essendo intervenuto su profili – specie per quanto concerne la fase istruttoria del processo tributario[3] – di particolare rilievo.

    Nonostante il giudizio in merito alla menzionata riforma sia dunque, complessivamente, positivo, si è però dell’opinione che ad alcuni istituti sarebbe stato opportuno dedicare un’attenzione più ampia. Il riferimento è, in particolare, al reclamo e alla mediazione tributaria disciplinati dall’art. 17-bis, d.lgs. n. 546 del 1992, norma che, sin dalla sua introduzione, pare non aver soddisfatto gli obiettivi che avrebbe dovuto contribuire a realizzare. La disposizione in discorso, sebbene interessata da continue modifiche che hanno certamente condotto a parziali miglioramenti rispetto alla sua primaria formulazione, fatica infatti, anche a seguito delle più recenti novità contemplate dall’art. 4, co. 1, lett. e), l. n. 130 del 2022, a trovare un’adeguata collocazione che le consenta realmente di adempiere alle finalità per cui era stata introdotta, ovvero quella di fungere da «efficace rimedio amministrativo per deflazionare il contenzioso»[4].

    2. Brevi cenni in merito all’evoluzione normativa e giurisprudenziale del reclamo e della mediazione tributaria

    Come poc’anzi accennato, il testo attuale dell’art. 17-bis, d.lgs. n. 546 del 1992 si discosta sotto molteplici aspetti dalla sua originaria formulazione, essendo il risultato di una profonda trasformazione che gli istituti del reclamo e della mediazione tributaria[5] hanno conosciuto negli anni successivi alla loro introduzione, tanto ad opera del Legislatore, quanto della Corte Costituzionale[6], che attraverso una serie di interventi “correttivi” hanno tentato di porre rimedio ad alcuni fra i profili maggiormente “critici” che ne caratterizzavano l’originaria disciplina[7].

    Come noto, le prime modifiche apportate alla norma si rinvengono già in occasione dell’approvazione della l. 27 dicembre 2013, n. 147 (“Legge di stabilità 2014”), emanata nelle more del relativo giudizio di legittimità costituzionale, e testimoniano l’intento del Legislatore di «“mettere in sicurezza” il reclamo e la mediazione nella prospettiva dell’imminente pronuncia della Consulta» e di «minimizzare le eventuali conseguenze di una pronuncia di illegittimità costituzionale[8]».

    A breve distanza di tempo, tuttavia, la disciplina dell’istituto, così come risultante a seguito delle novità apportate dal Legislatore con la l. n. 147 del 2013, nonché a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 17-bis, co. 2, d.lgs. n. 546 del 1992, ha conosciuto un’ulteriore e significativa evoluzione che ha condotto ad una sostanziale riformulazione della norma, all’interno della quale l’art. 9, co. 1, lett. l), d.lgs. n. 156 del 2015[9] ha introdotto alcune novità di pregio, senza però risolvere tutte le perplessità sorte negli anni precedenti[10]. Il citato art. 9, più precisamente, ha integralmente “riscritto” il previgente art. 17-bis, d.lgs. n. 546 del 1992, contemplando novità di notevole rilevanza nel dichiarato intento di potenziare l’istituto del reclamo/mediazione e, conseguentemente, di incentivare ulteriormente rispetto al passato la deflazione del contenzioso tributario[11].

    Di minor pregnanza, seppur degne di approfondimento, si sono rivelate invece le modifiche normative operate dall’art. 10, d.l. 24 aprile 2017, n. 50 (conv. con mod. dalla l. 21 giugno 2017, n. 96, c.d. “Manovra Correttiva”), che rappresenta l’ultimo intervento legislativo che ha interessato gli istituti del reclamo e della mediazione prima delle recenti novità introdotte dalla l. n. 130 del 2022.

    A tal riguardo, si ritiene dunque opportuno ricordare brevemente come la novella del 2015 abbia anzitutto confermato l’impostazione adottata in sede di prima revisione dell’art. 17-bis, d.lgs. n. 546 del 1992, senza riproporre l’originaria sanzione dell’inammissibilità del ricorso giurisdizionale in caso di mancata previa proposizione dell’istanza di reclamo e mantenendo altresì inalterato il limite di valore di ventimila euro. L’art. 17-bis, d.lgs. n. 546 del 1992, come risultante a seguito della predetta modifica normativa, ha inoltre confermato che il ricorso diviene procedibile solo una volta trascorso il termine di novanta giorni previsto al fine di esperire la procedura amministrativa volta alla composizione della lite; tuttavia, diversamente rispetto alla disposizione precedentemente vigente, questo meccanismo è stato attuato prevedendo che il ricorso, proposto nelle forme di rito, produce anche gli effetti del reclamo, che può contenere una proposta di mediazione, con rideterminazione dell’ammontare della pretesa[12]. Ne consegue che la proposizione dell’impugnazione produce, nelle controversie di valore non superiore (originariamente) a ventimila (attualmente cinquantamila) euro, oltre agli effetti sostanziali e processuali tipici del ricorso, anche quelli del reclamo/mediazione: in concreto, dunque, si è previsto che il procedimento amministrativo in esame fosse introdotto automaticamente con la presentazione del ricorso[13].

    Sotto il profilo soggettivo, è inoltre importante sottolineare come la novella del 2015 abbia decisamente esteso l’ambito di applicazione dell’istituto, ricomprendendo infatti nell’ambito delle controversie reclamabili anche quelle riguardanti tributi di competenza dell’Agenzia delle dogane, dell’Agenzia del territorio, dei Monopoli di Stato, degli Enti locali, nonché quelle di competenza dell’Agente della riscossione e dei Concessionari della riscossione. In queste ultime due eventualità, peraltro, l’art. 17-bis, co. 9, d.lgs. n. 546 del 1992 ha disposto che il reclamo possa applicarsi solo ove compatibile.

    Come sottolineava espressamente la Relazione illustrativa al d.lgs. n. 156 del 2015, «la ratio sottesa all’estensione del reclamo risiede[va] nel principio di economicità dell’azione amministrativa diretta a produrre effetti deflativi del contenzioso, anche alla luce del proficuo abbattimento riscontrato nel contenzioso contro gli atti emessi dall’Agenzia delle entrate». E sempre alla medesima ratio rispondeva altresì l’estensione del procedimento di reclamo/mediazione ai tributi di competenza comunale o di altri Enti locali.

    Da ultimo, il già citato art. 10, d.l. 24 aprile 2017, n. 50, ha apportato ulteriori modifiche all’impianto dell’art. 17-bis, d.lgs. n. 546 del 1992, prevedendo, fra l’altro, l’innalzamento del valore delle liti reclamabili da ventimila a cinquantamila euro per tutti gli atti impugnabili notificati a decorrere dal 1° gennaio 2018[14].

    3. Le (inattuate) proposte di riforma del reclamo/mediazione a seguito della c.d. Manovra Correttiva

    A seguito delle (contenute) novità introdotte ad opera della Manovra Correttiva, nel 2017, i tentativi di riformare gli (imperfetti) istituti del reclamo e della mediazione non si sono sopiti, ragion per cui si ritiene opportuno, specie al fine di comprendere il motivo per cui la recente novella appaia di certo “deludente” rispetto alle originarie aspettative, ripercorrere brevemente i tratti salienti delle principali proposte di modifiche normative formulate nel corso degli ultimi anni.

    A tal riguardo, occorre in particolare menzionare il progetto di “Codice della Giustizia tributaria” predisposto dal prof. Glendi e del dott. Labruna, all’interno del quale si prevedeva la soppressione dell’istituto del reclamo e la “sostituzione” della mediazione con un “nuovo” strumento, avente sempre funzione deflativa del contenzioso, ma collocato nell’ambito dei “riti speciali” (titolo quinto del progetto), in specie, nel capo primo relativo alle “procedure conciliative”, denominato “conciliazione preliminare per le liti minori” (art. 114 del progetto). Tuttavia, seppur qualificata come “procedura conciliativa” e pur avendo alcuni profili disciplinari comuni con le (diverse) forme di “conciliazione in udienza” (art. 115 del progetto) e di “conciliazione fuori udienza” (art. 116 del progetto), la “nuova” “conciliazione preliminare delle liti minori”, avrebbe parzialmente conservato i tratti caratteristici dell’attuale istituto della mediazione, pur differenziandosene per taluni aspetti procedurali di non poca rilevanza[15].

    Fra i profili maggiormente caratterizzanti il “nuovo” istituto della “conciliazione preliminare per le liti minori” figurava, senza dubbio, la “facoltatività”. Difatti, la scelta di attivare la relativa procedura avrebbe dovuto essere rimessa, in via esclusiva, al ricorrente, a fronte, invece, dell’obbligatorietà dell’attuale procedura del reclamo e della facoltatività – ad iniziativa del ricorrente oppure dell’Ufficio – della mediazione (ex art. 17-bis, d.lgs. n. 546 del 1992).

    Si prevedeva, altresì, diversamente da quanto previsto dalla normativa attualmente vigente, un obbligo, a carico dell’Ente fiscale, di formulare al ricorrente una “controproposta di conciliazione novativa della controversia”, ma solo nel caso in cui ritenesse di non accogliere la proposta conciliativa formulata nel ricorso. In tal senso, la “conciliazione preliminare per le liti minori” avrebbe dovuto rappresentare uno strumento deflativo del contenzioso destinato a condurre solo ed esclusivamente ad una “rideterminazione novativa” dell’ammontare complessivo della pretesa formulata nell’atto impugnato non potendo, al contrario, mai condurre ad un suo annullamento integrale.

    Alla luce di quanto illustrato può dunque osservarsi che il progetto, da un lato, abbandonava l’attuale strumento del reclamo quale istanza amministrativa volta all’annullamento totale o parziale dell’atto ovvero (più correttamente) quale “ricorso amministrativo in opposizione” (volto a provocare un riesame giustiziale dell’atto), ravvisabile ex lege nel ricorso tutte le volte in cui il valore della lite non superasse la soglia normativamente predeterminata (con attivazione, in ogni caso, di una procedura amministrativa della durata di novanta giorni, che è condizione di procedibilità del ricorso quale atto processuale); mentre, dall’altro, conservava lo strumento della mediazione, pur modificandone la “veste”, la “denominazione” e alcuni tratti disciplinari[16].

    Un ulteriore interessante (e condivisibile) profilo disciplinare del “nuovo” istituto della “conciliazione preliminare per le liti minori” era rappresentato dalle modalità di perfezionamento. Difatti, ai fini del perfezionamento dell’“accordo conciliativo”, non sarebbe stato necessario il pagamento dell’intero o della prima rata dell’importo dovuto, in quanto l’“accordo conciliativo” si sarebbe perfezionato con la relativa sottoscrizione e produzione in giudizio, in modo sostanzialmente analogo a quanto previsto dalla disciplina vigente per la conciliazione giudiziale ex artt. 48 ss., d.lgs. n. 546 del 1992.

    Di minor interesse rispetto all’ambizioso progetto di “Codice della Giustizia tributaria” che, come visto, per gli istituti del reclamo e della mediazione prospettava soluzioni condivisibili e normativamente impeccabili, a conclusioni senz’altro diverse si giungeva con riferimento alla proposta n. 2283 di disegno di legge delega di iniziativa parlamentare presentata il 29 novembre 2019 presso la Camera dei Deputati, all’interno della quale era prevista la soppressione delle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali e l’attribuzione delle relative competenze al Giudice ordinario, con l’istituzione di sezioni specializzate in materia tributaria presso i principali Tribunali e le Corti d’appello. In tale proposta di disegno di legge delega, inoltre, era previsto che ai procedimenti in materia tributaria fossero applicabili le disposizioni previste dagli artt. 702-bis e ss., c.p.c. (fatta eccezione per l’art. 702-ter, co. 3, c.p.c.) e che le opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi in materia tributaria fossero proposte, ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c., al Giudice dell’esecuzione del Tribunale competente.

    Ciò posto, tra i principi e criteri di delega era prevista anche l’applicazione delle procedure di mediazione tributaria vigenti alla data di entrata in vigore della legge delega. Ciò significava che, nelle intenzioni dei promotori della suddetta riforma, nel “nuovo” processo tributario innanzi al Giudice ordinario avrebbe potuto essere applicabile la sola procedura (facoltativa) di mediazione tributaria disciplinata dall’attuale art. 17-bis, d.lgs. n. 546 del 1992, ma non anche l’istituto (obbligatorio) del reclamo.

    Come già espresso in un precedente contributo, al di là di qualsiasi giudizio in merito ad una simile riforma del processo tributario[17] (che, fortunatamente, è rimasta priva di seguito), ci si limiti ad osservare che l’applicazione sic et simpliciter dell’attuale procedura di mediazione tributaria (ex art. 17-bis, d.lgs. n. 546 del 1992) avrebbe implicato un “innaturale” innesto di una procedura di natura prettamente amministrativa nella fase inziale di un giudizio svolto con rito ordinario. Ed in effetti, si sarebbe passati da un giudizio (quello attuale) che si attiva mediante impugnazione di provvedimenti amministrativi tributari, che ha ad oggetto un rapporto giuridico (quello tributario) di natura pubblicistica, ad un giudizio svolto non già sul modello (ovvero con il rito) del (più similare) processo amministrativo, bensì svolto con le modalità previste per la risoluzione delle controversie di stampo privatistico, con tutte le anomalie che ciò avrebbe implicato.

    4. Il “nuovo” reclamo/mediazione e la “conciliazione d’ufficio proposta dalla corte di giustizia tributaria

    Il disegno di legge di iniziativa governativa di riforma della giustizia tributaria AS 2636, concretizzatosi nell’approvazione della l. n. 130 del 2022, è giunto al termine di un lungo percorso di approfondimento delle complessità concernenti la giustizia tributaria nel suo complesso, con l’obiettivo primario di realizzare una riforma strutturale che consentisse, in particolare, di far fronte al contenzioso arretrato e di ridurre la durata dei processi. Il disegno di legge in parola ha affrontato numerose tematiche di considerevole rilevanza, soffermandosi altresì su taluni istituti – quali quelli del reclamo e della mediazione tributaria – che per la loro natura di “strumenti deflativi del contenzioso” rivestono evidentemente un ruolo essenziale per il raggiungimento delle suddette finalità. Tuttavia, come accennato in premessa, le novità che la l. n. 130 del 2022 ha contemplato con specifico riguardo al reclamo/mediazione appaiono piuttosto contenute.

    Ebbene, per comprendere le ragioni che hanno indotto il Legislatore a mantenere sostanzialmente inalterata la configurazione degli istituti in discorso, si è dell’opinione che non possa prescindersi da una, seppur breve, ricognizione del dibattito sorto sul tema nell’ambito della Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria, istituita con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro della giustizia del 12 aprile 2021, e presieduta dal prof. Giacinto della Cananea.

    Nella Relazione finale della Commissione, pubblicata il 30 giugno 2021, non si è mancato di porre in evidenza come, nel corso delle audizioni, sulla struttura del reclamo/mediazione così come disciplinata dall’art. 17-bis, d.lgs. n. 546 del 1992 fossero state sollevate diverse perplessità in merito alla concreta efficacia dell’istituto ai fini della deflazione del contenzioso tributario, specie a motivo dell’assenza di terzietà dell’organo competente all’esame delle relative istanze.

    Sul punto, come correttamente osservato dal prof. Franco Gallo, l’affidamento del reclamo e della mediazione ai medesimi Uffici che hanno notificato gli atti e, di conseguenza, dato origine alle controversie «appesantisce indubbiamente la procedura, la rende di scarsa utilità, dilata inutilmente i tempi del giudizio ed è di fatto sovrapponibile all’accertamento con adesione»[18]. Proprio per tale ragione, il prof. Gallo suggeriva di abolire tanto il reclamo quanto la mediazione, proponendo quali alternative all’istituto, la “conversione” della mediazione in una «conciliazione “forte”, presieduta dal giudice monocratico o relatore» ovvero, in alternativa, l’affidamento del tentativo di mediazione «ad un apposito organismo terzo ed imparziale, mediante la creazione di un albo dei mediatori presso il Ministero di Grazia e Giustizia (avvocati e commercialisti)»[19].

    Nonostante le manifestate critiche ed insoddisfazioni riguardo all’istituto del reclamo/mediazione, la Commissione della Cananea non ha giudicato opportuno né procedere alla sua soppressione, né, tantomeno “stravolgere” la struttura disegnata dall’art. 17-bis. Anzitutto, la Commissione ha ritenuto “significativa” la percentuale di controversie tributarie definite secondo la procedura di cui alla norma in discorso[20], circostanza che dunque avrebbe giustificato la sopravvivenza dell’istituto, tenuto altresì conto del fatto che (ma sul punto sia consentito sollevare qualche dubbio) «esso induce nell’Ente impositore una rimeditazione complessiva dell’atto impugnato ai fini dell’eventuale esercizio del potere di autotutela». In secondo luogo, la Commissione riteneva necessario che per tutte quelle controversie di valore non superiore a 50.000 euro «che “sopravvivono” al tentativo di mediazione» e che, di conseguenza, non vengono definite in via amministrativa, fossero potenziati altri istituti deflativi. In altre parole, nell’intento della Commissione l’eventuale fallimento della mediazione avrebbe dovuto essere “temperato” dalla possibilità di usufruire di ulteriori rimedi extraprocessuali, con l’obiettivo, quindi, di avvalersi di altri strumenti di natura amministrativa per scongiurare il deposito del ricorso e l’avvio del giudizio dinanzi alla Commissione tributaria.

    Anche con specifico riferimento all’opportunità di affidare la procedura di reclamo/mediazione ad un organismo terzo e indipendente rispetto all’Ufficio responsabile dell’emanazione dell’atto impositivo, la Commissione ha ritenuto di non accogliere le istanze e gli auspici formulati in tal senso. Ciò, per ragioni senz’altro comprensibili da un punto di vista strettamente “pratico”, ma non del tutto condivisibili sotto il profilo della necessità di assicurare una reale tutela per il contribuente che, si ritiene, sarebbe maggiormente garantita solo nel caso in cui l’istanza di reclamo/mediazione fosse esaminata da un soggetto imparziale e privo di interessi nel caso concreto. Difatti, le motivazioni addotte dalla Commissione a sostegno del proprio convincimento risiedevano: i) nella difficoltà di creare ex novo un organismo di mediazione, terzo rispetto all’Ente impositore, «anche considerati i costi ed i tempi amministrativi necessari»; ii) in una (presunta) ambiguità circa la natura delle funzioni che avrebbero dovuto essere attribuite al suddetto organismo, «tra la pura mediazione e l’attività decisoria»; iii) «i costi ed i tempi per il contribuente, certi a fronte dell’incertezza dell’esito».

    Ebbene, le conclusioni espresse dalla Commissione della Cananea nella propria Relazione finale paiono aver influenzato in maniera determinante la sorte degli istituti del reclamo e della mediazione di cui all’art. 17-bis, d.lgs. n. 546 del 1992, il quale, nonostante gli emendamenti proposti a seguito della presentazione in Senato del d.d.l. AS 2636[21], ha sostanzialmente mantenuto la sua precedente formulazione. La l. n. 130 del 2022, difatti, si è limitata a contemplare l’aggiunta di un ultimo comma alla norma in parola, il 9-bis, che prevede quanto segue: “In caso di rigetto del reclamo o di mancato accoglimento della proposta di mediazione formulata ai sensi del precedente comma 5, la soccombenza di una delle parti, in accoglimento delle ragioni già espresse in sede di reclamo o mediazione, comporta per la parte soccombente la condanna al pagamento delle relative spese di giudizio. Tale condanna può rilevare ai fini dell’eventuale responsabilità amministrativa del funzionario che ha immotivatamente rigettato il reclamo o non accolto la proposta di mediazione”.

    In aggiunta alla suddetta modifica, occorre tuttavia fare presente un’altra novità introdotta dalla l. n. 130 del 2022 che, sebbene non abbia ulteriormente scalfito la lettera dell’art. 17-bis, d.lgs. n. 546 del 1992, risulta comunque connessa all’istituto del reclamo/mediazione e trae anch’essa origine dalle considerazioni svolte dalla Commissione della Cananea in merito alla necessità di consentire il ricorso ad ulteriori rimedi di natura extra-processuale in caso di fallimento della mediazione.

    Nella Relazione finale del 30 giugno 2021, difatti, si ipotizzava di “rafforzare” e di dare una diversa configurazione all’istituto della conciliazione giudiziale, con specifico riferimento alle controversie di valore non superiore a 50.000 euro. Più precisamente, si proponeva di introdurre una nuova forma di conciliazione giudiziale su proposta del giudice, così mutuando quanto previsto nell’ambito del processo civile dall’art. 185-bis c.p.c. In questo modo, secondo quanto osservato dalla Commissione, il tentativo di conciliazione avrebbe potuto essere esperito anche «per le controversie per le quali l’Ente impositore è rimasto inerte nella fase di reclamo/mediazione, ovvero ha opposto dinieghi in qualche misura non giustificati, con il decisivo ausilio del giudice chiamato a formulare un’equilibrata proposta». Inoltre, si riteneva che l’efficacia deflativa della nuova conciliazione “d’ufficio” sarebbe stata «potenziata» dall’istituzione di una magistratura tributaria di ruolo.

    Evidentemente accogliendo le istanze della Commissione della Cananea, la l. n. 130 del 2022 ha inserito nel d.lgs. n. 546 del 1992 il nuovo art. 48-bis.1, rubricato “Conciliazione proposta dalla corte di giustizia tributaria”, il cui co. 1 prevede espressamente che: “Per le controversie soggette a reclamo ai sensi dell’articolo 17-bis la corte di giustizia tributaria, ove possibile, può formulare alle parti una proposta conciliativa, avuto riguardo all’oggetto del giudizio e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione”.

    La norma chiarisce, inoltre, che la proposta di conciliazione può essere formulata in udienza o fuori udienza e si perfeziona con la redazione di un processo verbale all’interno del quale dovranno essere indicati le somme dovute, i termini e le modalità di pagamento e che costituirà titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il per il pagamento delle somme dovute al contribuente[22].

    5. Osservazioni conclusive

    Il dibattito in merito al reclamo e alla mediazione tributaria, a distanza di undici anni dalla loro introduzione all’interno del d.lgs. n. 546 del 1992, fatica ancora ad attenuarsi e, a parere di chi scrive, non troverà definitiva soluzione a seguito delle recenti novità introdotte dalla l. n. 130 del 2022.

    Diversi sono ancora i profili, come si è tentato di illustrare nei paragrafi precedenti, che non consentono all’istituto in discorso di soddisfare appieno gli obiettivi che hanno originariamente condotto alla sua introduzione, né si ritiene che la previsione di una “seconda possibilità” di risolvere la controversia in via “extra-processuale”, grazie all’introduzione della nuova conciliazione su proposta del giudice ex art. 48-bis.1, d.lgs. n. 546 del 1992, rappresenti la scelta più adeguata a risolvere quelle criticità cui non hanno posto rimedio i numerosi interventi legislativi che hanno interessato l’art. 17-bis nel corso degli anni.

    La nuova conciliazione ex art. 48-bis1 si pone invero come una sorta di rimedio di seconda istanza che potrebbe avere quale possibile effetto (indesiderato) quello di dilatare ulteriormente i tempi di conclusione della controversia senza peraltro soddisfare l’esigenza di deflazionare il contenzioso tributario. A tal riguardo, si è dell’opinione che sarebbe stato preferibile sposare la soluzione, proposta dal prof. Glendi e dal dott. Labruna nel progetto di Codice della Giustizia tributaria, di introdurre sì una nuova forma di conciliazione, ma con l’obiettivo (più ragionevole) di sostituire il reclamo/mediazione e non di (tentare di) potenziarne gli effetti in caso di suo fallimento.

     

    *Professore ordinario di Diritto tributario Università degli Studi di Brescia

    [1] Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 204 del 1° settembre 2022.

    [2] Al riguardo, come correttamente sottolineava il prof. Giuseppe Melis all’indomani della presentazione in Senato del d.d.l. A.S. 2636, una più ampia e «meditata riforma dell’intero processo tributario, ordinamentale e processuale, sarebbe risultata incompatibile con i tempi di urgenza dell’intervento dettati dal PNRR». Si veda, al riguardo, la testimonianza fornita dal prof. Melis in data 28 giugno 2022 nell’ambito del Ciclo di audizioni informali nell'ambito dell’esame del disegno di legge n. 2636 sulla riforma della giustizia tributaria. Si veda inoltre, sempre G. Melis, Liti tributarie, una riforma a danno dei contribuenti, in Il Sole-24 Ore, 24 giugno 2022; Id., Il d.d.l. “Disposizioni in materia di giustizia e processo tributari”: una giustizia tributaria sull’orlo del precipizio, in Giustizia insieme, 30 giugno 2022.

    [3] Sul punto si vedano le riflessioni di C. Glendi, L’istruttoria del processo tributario riformato. Una rivoluzione copernicana!, in Ipsoa Quotidiano, 24 settembre 2022, il quale ha sottolineato che «Rispetto al Ddl, il testo di legge fornito dal Parlamento presenta modifiche molto significative e migliorative» e ha osservato, con particolare riguardo alla disciplina dell’istruttoria del processo tributario, che le modifiche introdotte rappresentano «Nell’insieme (…) una vera e propria “rivoluzione copernicana”, che trasforma profondamente tale disciplina in termini di maggiore affidabilità e funzionalità operativa».

    Particolarmente critico, invece, si dimostrava il prof. Glendi a seguito della presentazione in Senato del d.d.l. A.S. 2636. Cfr. C. Glendi, “At ille murem peperit” (ovvero del tormentato parto governativo sulla riforma della giustizia tributaria), in GT – Riv. giur. trib., 2022, 6, 473, il quale ha correttamente posto in evidenza come le scarne novità contemplate dal d.d.l. A.S. 2636 rappresentassero «una sorta di “minimo sindacale” (…) che sembra studiato apposta per evitare incidenti di percorso in sede assembleare nei termini ormai prossimi a scadere onde acquisire gli agognati benefici unionali».

    [4] In questi termini si esprimeva la Relazione di accompagnamento al d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla l. 15 luglio 2011, n. 111, il cui art. 39 ha originariamente introdotto l’art. 17-bis all’interno del d.lgs. 546 del 1992.

    [5] Per un’analisi degli istituti del reclamo e della mediazione, oltre che per maggiori riferimenti bibliografici e giurisprudenziali sul tema, si consenta il rinvio a G. Corasaniti, Il reclamo e la mediazione nel sistema tributario, Padova, 2013, passim; Id., Mediazione e conciliazione nel processo tributario: lo stato dell’arte e le prospettive di riforma, in Dir. prat. trib., 2020, 3, 965 ss.

    [6] Il riferimento è, in particolare, alla sentenza della Corte Costituzionale n. 98 del 16 aprile 2014.

    [7] La disposizione in esame è stata inoltre oggetto, sin dalla sua originaria introduzione nel nostro ordinamento, di giudizi contrastanti da parte della dottrina che ne ha accuratamente studiato i profili sostanziali e procedurali. Difatti, a chi considerava «sicuramente apprezzabile l’intento di creare un filtro con finalità conciliative» (cfr. F. Pistolesi, Il reclamo e la mediazione nel processo tributario, in Rass. trib., 2012, 89), si contrapponeva chi, considerando la procedura un’inutile e fuorviante sovrastruttura (cfr. M. Basilavecchia, Reclamo, mediazione fiscale e definizione delle liti pendenti, in Corr. trib., 2011, 2492), esprimeva notevoli perplessità sia perché essa determinava il totale disvelamento della strategia processuale del contribuente, sia in quanto la disciplina del reclamo era mal coordinata con quella dell’accertamento con adesione. Sotto questo ultimo profilo, appariva singolare la scelta di imporre lo svolgimento di un’ulteriore fase amministrativa, pur avanti ad una struttura diversa dell’ufficio – quella deputata alla gestione del contenzioso – dopo che non fosse andata a buon fine quella avviata ex art. 6, d.lgs. n. 218/ del 1997 (sulla mancanza di coordinamento tra la disciplina in esame e l’accertamento con adesione concordava, comunque, anche F. Pistolesi, op. cit., 73).

    [8] In questi termini A. Marinello, Reclamo e mediazione tributaria: i limiti costituzionali della giurisdizione condizionata, in Dir. prat. trib., 2014, 4, 628 ss. Si consenta inoltre il rinvio a G. Corasaniti, Il reclamo e la mediazione nel sistema tributario, cit., 123 ss.

    [9] Emanato in attuazione dell’art. 10 della legge delega 11 marzo 2014, n. 23.

    [10] Con riferimento alle citate modifiche, Autorevole dottrina rilevava che, in realtà, «alla stregua della nuova normativa sembra ormai del tutto improprio parlare di mediazione, non avendo comunque il congegno normativamente previsto più nulla a che fare con la mediazione di stampo processualcivilistico». Cfr. C. Glendi, Il reclamo e la mediazione, in Abuso del diritto e novità sul processo tributario, (a cura di) Glendi – Consolo – Contrino, Milano, 2016, 182.

    [11] Cfr. Circolare n. 38/E del 29 dicembre 2015.

    [12] Lo precisa l’art. 17-bis, co. 1., d.lgs. n. 546 del 1992.

    [13] Cfr. Circ. n. 38/E del 2015.

    Al riguardo, si sono peraltro sempre condivisi gli orientamenti interpretativi di quella parte della dottrina che ravvisa nella disciplina del reclamo (nella sua veste amministrativa) «aspetti dei veri e propri rimedi giustiziali» (cfr. S. La Rosa, Principi di diritto tributario, Torino, 2012, 413) ovvero, in modo ancora più specifico, che sembrerebbe assimilare il reclamo (nella sua veste amministrativa) al ricorso amministrativo in opposizione, affermando che il reclamo, essendo «volto all’annullamento totale o parziale dell’atto», da questo punto di vista «altro non è che un ricorso in opposizione amministrativa» (cfr. A. Giovannini, Reclamo e mediazione tributaria: per una riflessione sistematica, in Rass. Trib., 2013, 54 ss.; Id., Giurisdizione tributaria condizionata e reclamo amministrativo, in Riv. trim. dir. trib., 2012, 915 ss.). Al riguardo si consenta inoltre il rinvio, per una più approfondita trattazione sul tema, a G. Corasaniti, Il reclamo e la mediazione nel sistema tributario, cit., 4; Id., L’incessante evoluzione del reclamo/mediazione: pregi e difetti di un istituto in continuo rinnovamento, in Dir. prat. trib., 2017, 21, 1639 ss.

    In merito, si ricordino inoltre le parole con cui Autorevole dottrina ha sottolineato «l’alto tasso di scadimento confusionale sul piano della tecnica legislativa» osservando come risulti pressoché inutile che la nuova norma continui a parlare di “reclamo” e, a maggior ragione, di “reclamo” quale effetto del ricorso (cfr. C. Glendi, Il reclamo e la mediazione, in Abuso del diritto e novità sul processo tributario, cit., 175.)

    Per una più approfondita riflessione in merito alla natura giuridica degli istituti del reclamo e della mediazione si consenta inoltre il rinvio a G. Corasaniti, La mediazione e la conciliazione nel processo tributario, in La riforma della giustizia tributaria, C. Glendi (a cura di), Milano, 2021, 42 ss.

    [14] Per una disamina delle più recenti modifiche apportate all’art. 17-bis, d.lgs. n. 546 del 1992, sia consentito il rinvio a G. Corasaniti, Dall’Agenzia delle Entrate istruzioni sul reclamo/mediazione: una riforma ancora incompleta, in Corr. trib., 2018, 600 ss.

    Si veda inoltre: Agenzia delle Entrate, Circolare 22 dicembre 2017, n. 30.

    [15] Per una più completa disamina del “nuovo” istituto contemplato nel progetto di “Codice della Giustizia tributaria” si consenta il rinvio a G. Corasaniti, La mediazione e la conciliazione nel processo tributario, cit., 65 ss.

    [16] Il progetto disciplinava espressamente, inoltre, l’ipotesi dell’“accordo conciliativo parziale” che avrebbe determinato una separazione del processo: si sarebbe estinta la parte del processo che aveva ad oggetto la parte della pretesa formulata nell’atto impugnato “definita” con lo strumento della “conciliazione preliminare”; sarebbe proseguita, invece, la parte del processo che aveva ad oggetto la parte residua non conciliata. Senza dubbio, l’espressa previsione (e disciplina) dell’“accordo conciliativo parziale” avrebbe potuto rappresentare un ulteriore “stimolo” per il ricorrente ad attivare il “nuovo” strumento deflativo del contenzioso.

     

    [17] Al riguardo si sono condivise appieno le dure critiche formulate da C. Glendi, Verso l’ecatombe della giustizia tributaria (e di quella civile), in Ipsoa Quotidiano del 12 ottobre 2020, il quale, tra l’altro, sottolineava come un simile progetto di riforma si ponesse «in aperta contraddizione con l’attuale assetto ordinamentale costituzionalmente guarentigiato dove, piaccia o non piaccia, così come congegnato e formatosi dopo i ben noti dibattiti in sede di Assemblea costituente, non è prevista una sola giurisdizione (quella ordinaria), ma sono previste più giurisdizioni e cioè varie giurisdizioni speciali (amministrativa, contabile e anche tributaria), che dunque non possono essere soppresse con una legge ordinaria, richiedendosi, perché ciò, malauguratamente possa trovare ingresso, una disposizione normativa di rango costituzionale (come, tra l’altro, già in altre occasioni sostenuto e affermato dalla Corte costituzionale e dalle stesse SS.UU. della Corte di cassazione)».

    [18] Ciò è vero, secondo il parere del prof. Gallo cui si ritiene di aderire, sebbene le procedure di reclamo/mediazione siano affidate a strutture interne differenti rispetto a quelle che procedono alla notifica degli atti impositivi.

    [19] «La prima soluzione», osservava il prof. Gallo, «avrebbe il vantaggio di incidere maggiormente sulle scelte delle parti, perché la proposta del giudice monocratico potrebbe essere in qualche modo indicativa dell’orientamento della Commissione adita», generando inoltre «un trait d’union diretto con la condanna alle spese in caso di mancato raggiungimento dell’accordo». In concreto, adottando una soluzione di tal genere, la procedura avrebbe dovuto concludersi attraverso la conclusione di un vero e proprio accordo conciliativo, il cui perfezionamento si sarebbe realizzato con la redazione di un processo verbale volto a dare atto dell’accordo raggiunto, delle somme dovute, nonché dei relativi termini e modalità di pagamento.

    La seconda soluzione proposta, invece, avrebbe avuto quale primario vantaggio quello della terzietà dell’organo competente ad esaminare l’istanza (cfr. pagg. 53 ss. della Relazione finale)

    [20] Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, e riportati nella Relazione finale della Commissione, nei primi anni di applicazione del reclamo/mediazione i ricorsi definiti in via amministrativa rappresentavano una percentuale (di poco) superiore al cinquanta per cento. Tale percentuale è poi diminuita negli anni successivi, sebbene la Commissione l’abbia ritenuta, in ogni caso, «nel complesso molto elevata» (cfr. pagg. 39 ss. della Relazione finale).

    [21] Gli emendamenti proposti, in particolare, testimoniavano la necessità di rafforzare quanto più possibile la terzietà e l’indipendenza dell’organo deputato all’esame dell’istanza di reclamo e mediazione formulata dal contribuente. Si suggeriva, altresì, di innalzare il limite di valore delle controversie reclamabili sino a 100.000 euro (il riferimento è all’emendamento proposto dagli On.li Pittella, Comincini e Mirabelli) ovvero a 250.000 euro e alle liti di valore indeterminabile (il riferimento è all’emendamento proposto dagli On.li Ferro e Boccardi).

    Per maggiori approfondimenti si vedano gli Emendamenti proposti nel Fascicolo Finale del 19 luglio 2022 con riferimento al d.d.l. AS 2636.

    [22] Nel dettaglio, l’art. 48-bis.1 prevede quanto segue: “1. Per le controversie soggette a reclamo ai sensi dell’articolo 17-bis la corte di giustizia tributaria, ove possibile, può formulare alle parti una proposta conciliativa, avuto riguardo all’oggetto del giudizio e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione. 2. La proposta può essere formulata in udienza o fuori udienza. Se è formulata fuori udienza, è comunicata alle parti. Se è formulata in udienza, è comunicata alle parti non comparse. 3. La causa può essere rinviata alla successiva udienza per il perfezionamento dell’accordo conciliativo. Ove l’accordo non si perfezioni, si procede nella stessa udienza alla trattazione della causa. 4. La conciliazione si perfeziona con la redazione del processo verbale, nel quale sono indicati le somme dovute nonché i termini e le modalità di pagamento. Il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente. 5. Il giudice dichiara con sentenza l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere. 6. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice.” 

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