GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Riflessioni sulla sentenza a Sezioni Unite della Suprema Corte n. 22281/2022 in tema di motivazione degli interessi nella cartella di pagamento: un arretramento sul piano dell’effettività giuridica

    Riflessioni sulla sentenza a Sezioni Unite della Suprema Corte n. 22281/2022 in tema di motivazione degli interessi nella cartella di pagamento: un arretramento sul piano dell’effettività giuridica

    di Rossella Miceli    

    Sommario: 1. Premessa - 2. Il caso di specie e la ricostruzione del quadro normativo nella prospettiva delle Sezioni Unite - 3. Le argomentazioni delle Sezioni Unite in ordine all’ampiezza della motivazione della cartella esattoriale in tema di interessi – 3.1. La motivazione della cartella di pagamento per gli interessi mai prima determinati e pretesi dal Fisco – 3.2. La motivazione della cartella di pagamento per gli interessi già richiesti con un precedente atto prodromico – 4. Il principio di diritto delle Sezioni Unite e considerazioni critiche – 4.1. La motivazione della cartella esattoriale quale risultante del buon andamento ed efficienza dell’agire amministrativo – 4.2. Il principio di effettività nella tutela dei diritti e la motivazione della cartella di pagamento in ordine agli interessi – 5. Conclusioni.

    1. Premessa

    Con la recente sentenza a Sezioni Unite del 14 luglio 2022, n. 22281, la Corte di Cassazione ha risolto la nota querelle giurisprudenziale relativa al rapporto tra l’obbligo motivazionale della cartella di pagamento ed il calcolo degli interessi richiesti per il ritardato versamento dei tributi.

    Chi scrive, nel commentare la precedente ordinanza interlocutoria di rimessione alle Sezioni Unite, n. 31960 del 5 novembre 2021, sollevata dalla quinta sezione civile della Suprema Corte, aveva auspicato una soluzione della vicenda improntata a garantire la massima trasparenza e chiarezza dell’agire amministrativo, quali irrinunciabili canoni di civiltà giuridica, non sacrificabili dinanzi ad apparenti esigenze di celerità ed economicità della fase di riscossione coattiva[1].

    Le argomentazioni spese in tale sede, fondate su di una interpretazione sostanziale e non meramente formale dei principi sottesi agli artt. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241 e 7 della L. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), sono state tuttavia disattese dalle Sezioni Unite, le quali hanno mostrato di prediligere un approccio differente, volto a semplificare l’onere motivazionale dell’atto esattoriale nella prospettiva di un bilanciamento tra l’interesse del contribuente ad una cognizione reale e non meramente formale degli obblighi nascenti dall’atto fiscale e l’opposto interesse dell’Amministrazione finanziaria alla realizzazione di procedure esattive snelle ed efficienti nel contrasto all’evasione.

    Nel prosieguo della trattazione, attraverso un esame critico delle riflessioni sviluppate dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, si intende dimostrare come, secondo la prospettiva di chi scrive, la pronuncia annotata non conduca, sul piano sostanziale, alla realizzazione di un equo assetto dei valori costituzionali in gioco, favorendo piuttosto una soluzione che sacrifica il diritto di difesa del contribuente e il principio di effettività, come sanciti rispettivamente dalla Carta Costituzionale e dall’ordinamento europeo.

    2. Il caso di specie e la ricostruzione del quadro normativo nella prospettiva delle Sezioni Unite

    La vicenda, come noto, trae origine dalla impugnazione di una sentenza della CTR del Lazio che aveva riconosciuto la legittimità di una cartella di pagamento, impugnata dai contribuenti, recante un elevato importo a titolo di interessi maturati nell’arco di circa trent’anni e del tutto priva di motivazione in ordine alle modalità di calcolo e di determinazione degli stessi.

    In specie, i ricorrenti sostenevano che la cartella si ponesse in evidente contrasto con l’obbligo motivazionale di cui agli artt. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241 e 7 della L. 27 luglio 2000, n. 212, atteso che non era possibile ricostruire i calcoli eseguiti dall’Agente della riscossione nella quantificazione degli interessi applicati all’imposta dovuta, degli interessi di mora e delle somme aggiuntive, essendo la cartella del tutto priva dell’indicazione delle relative basi di calcolo e delle percentuali applicate.

    La sezione quinta civile della Suprema Corte, esaminate le argomentazioni poste dai contribuenti, ne riconosceva la rilevanza, anche alla luce di un acceso contrasto giurisprudenziale esistente sul tema, ed auspicava l’intervento delle Sezioni Unite per una riconsiderazione complessiva della materia.

    Sulla scorta di queste premesse, la pronuncia annotata procede dapprima alla ricostruzione del quadro normativo di riferimento ed illustra, con rigore, le norme applicabili al caso di specie, distinguendo tra le disposizioni di legge rilevanti rispetto alla questione dell’obbligo di motivazione degli atti tributari ed il relativo contenuto circa l’obbligazione degli interessi dovuti dal debitore fiscale.

    Con riferimento al primo aspetto, le Sezioni Unite ricordano che l’obbligo motivazionale degli atti amministrativi tributari, rinvenibile nei citati artt. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241 e 7 della L. 27 luglio 2000, n. 212, involge anche la cartella di pagamento emessa dall’agente della riscossione, mediante il richiamo effettuato dall’art. 17 della medesima L. 27 luglio 2000, n. 212, la quale deve necessariamente recare l’esposizione dei “presupposti di fatto” e delle “ragioni giuridiche” sui quali si fonda la pretesa fatta valere.

    Tale obbligo è peraltro rafforzato dalle previsioni di cui agli artt. 12, comma terzo, e 25, comma secondo, del d.p.r. n. 602/1973, ove il legislatore prevede che nel ruolo debbano essere indicati i riferimenti al precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, una motivazione sintetica della pretesa fiscale.

    L’obbligo di motivazione della cartella esattoriale dovrebbe, in sostanza, anche alla luce delle norme richiamate dalla Suprema Corte, essere parametrato al grado di effettiva conoscenza che il contribuente possiede rispetto ai vari elementi destinati a comporre il credito vantato dal Fisco.

    Per ciò che concerne il secondo aspetto, il panorama normativo tratteggiato dalle Sezioni Unite appare – ovviamente - ben più complesso e disarticolato dal momento che la disciplina del calcolo degli interessi nella procedura di riscossione coattiva dei tributi afferisce ad una pluralità di norme, di fonte primaria o secondaria, stratificatesi nel tempo, secondo un’impostazione che manifesta marcati caratteri di ipertrofia.

    Senza necessità di ripercorrere in questa sede le considerazioni già svolte nel precedente contributo della scrivente, preme ricordare che per la Suprema Corte assumono rilievo, per le imposte dirette, gli artt. 20 e 30 del d.p.r. n. 600/1973 e per le imposte sui trasferimenti di ricchezza, gli artt. 54 e 55 del d.p.r. n. 131/1986, che si completano con le previsioni di cui alla L. 26 gennaio 1961, n. 29, alla L. 28 marzo 1962, n. 147 e alla L. 18 aprile 1978, n. 130.

    A questi riferimenti normativi si sommano poi numerose disposizioni di attuazione, fondamentali per la quantificazione degli interessi – a mero esempio, D.L. 6 luglio 1974, n. 260, art. 8 comma 1 conv. da L. 14 agosto 1974, n. 354; D.L. 4 marzo 1976, n. 30, art. 2, comma 1, conv. da L. 2 maggio 1976, n. 160; L. 11 marzo 1988, n. 67, art. 7, comma 3; D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 13, comma 1, conv. da L. 26 febbraio 1994, n. 133; L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 141; D.M. Finanze 27 giugno 2003, art. 3, comma 1, n. 149; D.M. Finanze 21 maggio 2009 - che, a vario titolo, si sono succedute nel tempo e che segnano, con estrema evidenza, la frammentazione e la complessità della disciplina in esame.  

    La pronuncia annotata, ancor prima di addentrarsi nella soluzione del quesito posto dal giudice remittente, mostra così il pregio di una ricostruzione in punto di diritto che appare esatta e puntuale in ordine alla identificazione delle molteplici disposizioni che regolano la quantificazione degli interessi ma che, contestualmente, sconta la grave carenza di non valorizzare la natura disorganica ed ipertrofica di tale normativa.

    In specie le Sezioni Unite avrebbero dovuto sottolineare, già dalla esposizione preliminare del quadro normativo, il grado di profonda asistematicità che connota la disciplina degli interessi nella procedura di riscossione coattiva dei tributi.

    Si tratta di un profilo oggettivo e di massima evidenza, che non può non essere considerato e valorizzato ove si voglia compiere un bilanciamento degli interessi costituzionali rilevanti; invero, più elevato è il grado di complessità e/o oscurità della normativa di riferimento, maggiore è la chiarezza e la trasparenza che deve essere pretesa dall’impianto motivazionale dell’atto amministrativo.

    Tale rilevantissimo aspetto rimane del tutto taciuto.

    Il silenzio delle Sezioni Unite risulta un primo indice dell’atteggiamento svalutativo adottato rispetto alle problematiche sollevate dai ricorrenti e preconizza una sensibilità giuridica più vicina alle esigenze di celerità dell’Amministrazione finanziaria che alla effettività nella tutela dei diritti del contribuente.

    3. Le argomentazioni delle Sezioni Unite in ordine all’ampiezza della motivazione della cartella esattoriale in tema di interessi

    Soprassedendo all’esame degli orientamenti giurisprudenziali emersi negli anni circa il contenuto motivazionale della cartella di pagamento che intima al contribuente il versamento di interessi sul debito fiscale accertato, ampiamente illustrati nel precedente contributo, si vogliono ora esaminare, con attenzione, le argomentazioni spese nella pronuncia in commento per risolvere la querelle giurisprudenziale.

     Il ragionamento sviluppato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte si avvia da una premessa logica del tutto condivisibile: appare dirimente individuare l’esatto significato da attribuire ai sintagmi “presupposti di fatto” e “ragioni giuridiche” enucleati dal disposto dell’art. 7 della L. 27 luglio 2000, n. 212, che fonda l’obbligo di motivazione degli atti tributari (e quindi anche della cartella esattoriale) ed è espressione di principi immanenti dell’ordinamento giuridico[2], al fine di comprendere se sia necessario che l’Agente della riscossione espliciti – oltre ai riferimenti normativi e alla data di decorrenza – anche i criteri di calcolo adottati ed i tassi applicati.

    In questa prospettiva di analisi, afferma correttamente la Corte, è necessario operare un bilanciamento tra divergenti interessi costituzionali, abitualmente posti in una condizione di tensione dialettica.

    Da un lato, si collocano gli interessi dei contribuenti ad una “cognizione reale e non meramente formale degli obblighi nascenti dall’atto fiscale”, ritraibili dagli artt. 23, 24, 97, 111 e 113 Cost., oltreché dall’art. 41 della Carta europea dei diritti fondamentali, che si concretizzano, in un’ottica di trasparenza e di difesa, nella esplicitazione del criterio di calcolo e dei saggi d’interesse all’interno della cartella esattoriale.

    Sul versante opposto, si rilevano gli interessi del Fisco, di cui agli artt. 2, 3, 53 e 97 Cost., volti a favorire atti amministrativi sintetici e snelli ed evitare un aggravio ingiustificato della procedura di riscossione e di contrasto all’evasione, che potrebbe aversi ove si reputasse come essenziale un obbligo motivazionale non necessario e ridondante.

    Il bilanciamento tra tali diversi interessi, desumibili dal vigente quadro costituzionale, rappresenta il file rouge seguito dalla Suprema Corte per definire lo standard motivazionale relativo all’obbligazione degli interessi reclamati con la cartella di pagamento. 

    3.1. La motivazione della cartella di pagamento per gli interessi mai prima determinati e pretesi dal Fisco

    Le Sezioni Unite procedono dapprima ad illustrare l’ampiezza dell’obbligo motivazionale nell’ipotesi in cui la cartella esattoriale sia il primo atto con il quale gli interessi vengono richiesti al contribuente.

    In tale circostanza, affermano i giudici di legittimità, la cartella palesa la natura di un atto impositivo in senso sostanziale che impone un obbligo motivazionale stringente, essendo necessario veicolare al contribuente tutte le informazioni utili a verificare la bontà della pretesa e, se del caso, a fondarne l’impugnazione.

    La pronuncia annotata si appoggia ad una interpretazione marcatamente restrittiva del sintagma “presupposti di fatto” e “ragioni giuridiche” di cui all’art. 7 della L. 27 luglio 2000, n. 212, ritenendo sufficiente l’indicazione i) del fondamento normativo idoneo a giustificare la debenza degli interessi, ii) dell’imposta cui essi afferiscono e iii) della data di decorrenza, essendo ogni altro criterio di calcolo già predeterminato dalla legge.

    Più in particolare, per le Sezioni Unite, la generale indicazione della normativa in tema di interessi dovrebbe reputarsi sufficiente per consentire al contribuente di valutare la legittimità della pretesa e, se del caso, di difendersi, giacché le operazioni di calcolo degli interessi potrebbero essere eseguite, in maniera autonoma, dal contribuente, che si trova nella condizione di compiere da sé i passaggi aritmetici e di applicare i saggi d’interesse di volta in volta rilevanti.

    La giustificazione del ragionamento seguito dalla Corte va ricercata nella pubblicità legale di tutte le norme relative alla determinazione degli interessi nella Gazzetta Ufficiale o, comunque, nei portali online dell’Agenzia delle Entrate e del Ministero dell’Economia e delle finanze, le quali divengono così immediatamente accessibili per il contribuente, che è chiamato a ricercarle sua sponte e quindi a provvedere ai relativi calcoli.

    Invero, le “ragioni giuridiche” della pretesa che devono essere espresse nella motivazione dell’atto consistono, secondo le Sezioni Unite, nella elencazione delle norme di legge dalle quali discende l’obbligazione degli interessi, di modo che la mera citazione di tali norme, nel corpo della cartella esattoriale, valga ad integrare sic et simpliciter il sintagma dell’art. 7.

    L’ipertrofia normativa, lo stratificarsi di differenti fonti attuative nel tempo, la pluralità di aliquote e il tecnicismo della materia risultano essere – paradossalmente – del tutto irrilevanti a fronte della predeterminazione normativa del saggio degli interessi.

     In definitiva, nella prospettiva svalutativa del principio di effettività adottata della Corte, la mera enunciazione di norme di legge, nel corpo della motivazione, prevale in ogni caso sulla comprensibilità e applicabilità delle stesse da parte del contribuente[3].

    3.2. La motivazione della cartella di pagamento per gli interessi già richiesti con un precedente atto prodromico

    Nella diversa ipotesi di una cartella di pagamento che rechi un importo a titolo di interessi, già richiesti in un precedente atto impositivo notificato al contribuente (si pensi all’ipotesi ordinaria dell’avviso di accertamento) ovvero in una sentenza, l’interpretazione resa dalle Sezioni Unite in ordine all’art. 7 della L. 27 luglio 2000, n. 212 appare ancor più restrittiva.

    Invero, atteso che le norme di legge e il periodo di decorrenza degli interessi si trovano già esposti nell’atto prodromico ricevuto dal contribuente, la cartella esattoriale dovrà limitarsi ad un diretto riferimento all’atto presupposto, essendo le “ragioni giuridiche” ed i “presupposti di fatto” già enucleati in tale sede.

    L’atto genetico è l’unico chiamato a rispettare l’obbligo motivazionale – nella versione ristretta concepita dalle Sezioni Unite – di cui al citato art. 7, dovendosi solo limitare ad aggiornare il quantum preteso in ragione dell’ulteriore lasso temporale trascorso.

    Addirittura, secondo la sentenza qui in esame, non solo l’enunciazione delle norme di legge relative agli interessi e al periodo di decorrenza, presenti nell’atto prodromico, sarebbero sufficienti a rendere edotto il contribuente della legittimità della pretesa ma egli potrebbe addirittura impugnare la cartella esattoriale, sul punto, solo ove la quantificazione compiuta dall’Amministrazione finanziaria non corrisponda al calcolo che il contribuente stesso ha realizzato in autonomia[4].

    In questa prospettiva, il diritto ad una motivazione rigorosa e chiara in ordine alla determinazione degli interessi risulta ancor più ridimensionato dal momento che il contribuente è chiamato, da sé, a recuperare il precedente atto prodromico, ad individuare le norme di legge ivi citate, a tenere conto degli eventuali mutamenti intercorsi medio tempore nella disciplina e nella applicazione dei saggi d’interesse e, quindi, a tentare di ripercorrere le operazioni di calcolo già compiute dal Fisco.

    La probabile difficoltà o, addirittura, impossibilità manifestata dal contribuente nello svolgere tali dispendiose attività non viene, in alcun modo, contemplata dalla Suprema Corte.

    4. Il principio di diritto delle Sezioni Unite e considerazioni critiche

    Le argomentazioni delle Sezioni Unite si compendiano in un principio di diritto piuttosto asciutto che, al netto della distinzione tra le due fattispecie dinanzi illustrate, dispone che

    (i) in presenza di un atto prodromico, l’obbligo di motivazione di cui all’art. 7 della L. 27 luglio 2000, n. 212 è da reputarsi soddisfatto attraverso il semplice richiamo all’atto presupposto e la quantificazione dell’ulteriore importo a titolo di accessori;

    (ii) in presenza di una cartella esattoriale recante per la prima volta la pretesa a titolo di interessi, è sufficiente indicarne la base normativa e il periodo di decorrenza.

    In alcun caso appare necessaria la specificazione dei singoli saggi applicati o delle relative modalità di calcolo[5].

    Ad avviso di chi scrive, le conclusioni contenute in questo principio di diritto e sviluppate nella sentenza non appaiono condivisibili, in quanto come anticipato contrastanti con i principi costituzionali ed europei.

    4.1. La motivazione della cartella esattoriale quale risultante del buon andamento ed efficienza dell’agire amministrativo

    Il nodo focale del ragionamento esposto dalla Suprema Corte è dato dalla necessità di addivenire ad un equo bilanciamento tra vari interessi costituzionali, fisiologicamente contrapposti, rappresentati dalla necessità di atti amministrativi chiari ed esaustivi in relazione ad ogni pretesa fatta valere, così da permettere al consociato di saggiarne la legittimità e valutare le possibilità di difesa, e dall’esigenza di una attività amministrativa snella ed efficiente, in specie nella fase di riscossione coattiva e di contrasto all’evasione.

    Nel ponderare i predetti interessi, le Sezioni Unite hanno privilegiato una interpretazione dell’art. 97 Cost. volta a sostenere una motivazione minima (e senza dati specifici) della cartella di pagamento.

    In tale ragionamento emerge il convincimento che l’obbligo di una motivazione più pregnante in ordine alle modalità di determinazione degli interessi possa rappresentare, per l’Amministrazione finanziaria, un onere gravoso e ridondante.

    Si ritiene che il principio di buon andamento, espresso dall’art. 97 Cost. e correlato agli artt. 2 e 3 Cost., non possa legittimare una scelta incondizionata di alleviare gli oneri procedimentali della Pubblica Amministrazione ove questa scelta comprometta la comprensione del fondamento della pretesa recata nell’atto impositivo[6].

    Il suddetto principio costituzionale impone l’adozione di forme procedimentali adeguate al caso di specie, quale bilanciamento nel rapporto tra il potere esercitato e lo scopo perseguito, che dia prova della massima trasparenza, imparzialità ed efficienza dello Stato[7].

    Ne consegue che l’agire amministrativo presenta le suddette caratteristiche solo se pone il contribuente nella condizione di poter - materialmente e concretamente - comprendere la legittimità del credito che lo Stato fa valere nei suoi confronti, a maggior ragione ove esso si sia originato in un tempo remoto e sia mutato negli anni.

    In altre parole, l’atto amministrativo deve essere chiaro nella forma e comprensibile nella sostanza e permettere attraverso la motivazione di ripercorrere e/o ricostruire i calcoli operati dal Fisco; in assenza di tali prerogative il paradigma offerto dall’art. 97 Cost. risulta del tutto vanificato.

    Con riferimento al caso di specie ne seguono alcune considerazioni.

    In primo luogo, si evidenzia che l’esplicitazione dei calcoli aritmetici e dei saggi applicati in ciascuna cartella esattoriale non comporterebbe aggravio alcuno per l’agire amministrativo, ai sensi dell’art. 97 Cost.

    Invero, gli importi ivi descritti a titolo di interesse sono il frutto – chiaramente - di operazioni automatizzate, compiute dai software posti a disposizione dell’Agente della riscossione, con la conseguenza che la loro enunciazione per iscritto, nel corpo della cartella, non sarebbe altro che una banale operazione di trascrizione di tali calcoli aritmetici già eseguiti dai computer, e quindi del tutto priva di costi ed oneri.

    L’esplicitazione di queste operazioni aritmetiche, come richiesto dai ricorrenti, non si porrebbe pertanto in contrasto con il principio di efficienza e buon andamento dell’agire amministrativo, ma ne sarebbe la più ovvia risultante.

    Inoltre, la sentenza annotata statuisce che la motivazione della cartella esattoriale non deve indicare né la specificazione dei saggi applicati né le modalità di calcolo ma, allo stesso tempo, chiarisce che tali considerazioni non vogliono in alcun modo inficiare la “prassi virtuosa” che alcuni uffici dell’Amministrazione finanziaria hanno spontaneamente adottato, esplicitando i criteri di calcolo seguiti, anche in attuazione dei principi di leale collaborazione di cui all’art. 10 della L. 27 luglio 2000, n. 212[8].

    Queste ultime parole appaiono difficilmente conciliabili con il principio di diritto espresso dalla sentenza giacché se la prassi di esplicitare nel corpo motivazionale della cartella i calcoli degli interessi è da ritenersi “virtuosa”, allora è evidente che la prassi opposta, propugnata dalle Sezioni Unite, “non è virtuosa” e quindi non può che essere in contrasto con l’art. 97 Cost.

    4.2. Il principio di effettività nella tutela dei diritti e la motivazione della cartella di pagamento in ordine agli interessi

    L’approccio espresso dalle Sezioni Unite della Suprema Corte non appare altresì accettabile in un moderno ordinamento giuridico permeato dal principio di effettività[9].

    Nella sostanza, il nucleo essenziale del principio di effettività impone di interpretare e implementare l’enunciato astratto della legge di modo che esso venga concretamente applicato nella realtà quotidiana, rifuggendo da approcci di “mera forma”, che rendono, di fatto, impossibile o estremamente difficile il riconoscimento e la tutela dei diritti[10].

     In questa prospettiva, appare evidente che la pronuncia annotata si ponga in aperto contrasto con tale principio giacché l’interpretazione formale dell’art. 7 della L. 27 luglio 2000, n. 212, che reputa sufficiente la mera enunciazione astratta di norme di legge nel corpo della cartella esattoriale al fine di assolvere all’obbligo motivazionale sugli interessi, pone su di un piano secondario la comprensibilità e la conseguente applicabilità – sul piano fattuale e concreto – di tali norme da parte del contribuente.

    Più nel dettaglio, la posizione assunta dalle Sezioni Unite permette di rispettare formalmente il disposto normativo dell’art. 7, attraverso l’interpretazione del sintagma “ragioni giuridiche” e “presupposti di fatto” come mera enunciazione di riferimenti normativi o temporali.

    Al contempo, però, l’interpretazione in esame determina un ostacolo alla effettiva possibilità, per il contribuente, di cogliere le ragioni della pretesa fatta valere (ossia il quantum degli interessi da pagare) poiché l’ipertrofia normativa, la complessità dei calcoli e la modalità di applicazione dei tassi – in specie ove la pretesa sia molto risalente nel tempo – rendono la ricostruzione defatigante o, financo, impossibile.

    Non si comprende, infatti, come possa ritenersi legittima la motivazione della cartella di pagamento che si limiti a sterili enunciazioni di norme di legge.

    Quanto rappresentato si trasla peraltro sul piano della tutela giurisdizionale dei diritti.

    Invero, il principio di diritto propugnato dalle Sezioni Unite pone il contribuente in una condizione profondamente deteriore poiché, pur non potendo ricostruire le operazioni di calcolo che hanno condotto l’Amministrazione finanziaria a vantare un determinato credito e pur versando in una condizione di incertezza circa il quantum della pretesa fatta valere a titolo di interessi, egli non ha – ad oggi - facoltà di trovare una adeguata tutela giurisdizionale, non potendo far valere l’oscurità della motivazione recata dalla cartella esattoriale ove questa si sia limitata a enunciare le norme di legge e il periodo di decorrenza degli interessi.

    Con la pronuncia in esame, il grado di effettività dell’ordinamento giuridico, con specifico riferimento all’istituto della motivazione ne risulta compromesso.

    5. Conclusioni

    L’evoluzione del rapporto tributario verso i canoni universali della trasparenza e collaborazione imporrebbe la ricerca costante di soluzioni giuridiche ispirate al principio di effettività.

     Tale necessità si deve tradurre nella valutazione dell’adattabilità delle norme alle fattispecie concrete, ponendosi sempre in una prospettiva secondo la quale i contribuenti dovrebbero essere in grado di comprendere le ragioni sottese alle pretese fiscali.

    In tale assetto, la motivazione degli atti costituisce un istituto fondamentale nelle dinamiche del rapporto tributario; quest’ultima nel corso degli anni ha acquisito sempre di più una valenza sostanziale, definendo un punto di equilibrio tra i contribuenti, l’Amministrazione finanziaria e il giudice[11].

    Alla motivazione sono assegnate funzioni primarie, espressive di un ordinamento tributario moderno, garantista ed efficiente che si traducono nella trasparenza dell’attività amministrativa, nella garanzia della difesa del contribuente e nella conseguente attivazione di processi consapevoli, in ordine ai fatti contestati, per le parti e per i giudici.

    Si tratta di interessi non sacrificabili in nome di una celere lotta all’evasione perché essi stessi funzionali a quest’ultimo obiettivo.

    Secondo tale prospettiva, il principio di diritto espresso dalla sentenza delle Sezioni Unite non può essere condiviso in quanto si pone in contrasto con i suddetti valori e non declina l’istituto della motivazione alla luce dei canoni dell’effettività.

    Quest’ultima, nel caso specifico, avrebbe dovuto fungere da criterio interpretativo espressivo di concretezza giuridica e di buon senso, volto a calibrare il contenuto del paradigma normativo alla fattispecie concreta al fine di garantire il raggiungimento delle suddette funzioni primarie.

    Ne deriva come anche l’obbligazione in materia di interessi debba ricevere una motivazione adeguata alla fattispecie concreta.

    Una motivazione recante il dettaglio dei saggi applicati e delle relative modalità di calcolo permette, senza alcun ulteriore passaggio operativo o finanziario per il Fisco, di garantire la trasparenza dell’agire amministrativo e, contestualmente, di porre il contribuente nella condizione di avere piena contezza della legittimità dell’obbligazione che è chiamato ad assolvere, in specie se risalente nel tempo.

    Preso atto della posizione in esame, si auspica una maggiore saldatura tra gli istituti giuridici, le disposizioni ed i canoni dell’effettività al fine di edificare un rapporto tributario più evoluto e vicino alle legittime aspettative dei contribuenti.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              [1] Cfr. R. Miceli, La motivazione della cartella di pagamento sugli interessi e il valore dell’effettività giuridica, in Giustizia Insieme, 2022. Si veda anche sulla medesima pronuncia C. Califano, Alle Sezioni Unite la motivazione delle cartelle di pagamento. Verso un obbligo di motivazione differenziato?, in Giustizia Insieme, 2022.

    [2] In questi termini Corte Cass., SS. UU., 2 febbraio 2022, n. 3182.

    [3] Affermano espressamente le Sezioni Unite che “il richiamo alla disposizione che regola il “tipo” di interesse richiesto e le norme che presiedono alla sua quantificazione, ivi predeterminate, consentono dunque al contribuente di individuare gli elementi essenziali dell’obbligazione complessivamente pretesa ed il perimetro entro il quale l’Amministrazione si è mossa per quantificare specificamente l’obbligazione degli interessi, onde eventualmente contestarla”.

    [4] Sul punto si legge nella sentenza annotata che “ne consegue che, in assenza di una ulteriore specificazione di una diversa tipologia di interessi richiesti rispetto a quanto già indicato a titolo di interessi nell'atto prodromico, la cartella di pagamento non dovrà che limitarsi ad attualizzare il debito di interessi già individuato in modo dettagliato e completo nell'atto genetico. Sarà semmai onere del contribuente contestare la quantificazione degli interessi operata in cartella ove risulti incoerente rispetto all'originaria pretesa per interessi, evidenziandone in tutto o in parte la non conformità rispetto al contenuto dell'obbligazione degli interessi determinata nell'atto genetico e sarà, per l'effetto, compito del giudice tributario acclarare il reale contenuto dell'obbligazione azionata con la cartella”.

    [5] Il principio di diritto è di seguito riportato. “Allorché segua l'adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il quantum del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, la cartella che intimi al contribuente il pagamento degli ulteriori interessi nel frattempo maturati soddisfa l'obbligo di motivazione, prescritto dalla L. n. 212 del 2000art. 7 e dalla L. n. 241 del 1990art. 3, attraverso il semplice richiamo dell'atto precedente e la quantificazione dell'ulteriore importo per gli accessori. Nel caso in cui, invece, la cartella costituisca il primo atto con cui si reclama per la prima volta il pagamento degli interessi, la stessa, al fine di soddisfare l'obbligo di motivazione deve indicare, oltre all'importo monetario richiesto a tale titolo, la base normativa relativa agli interessi reclamati che può anche essere desunta per implicito dall'individuazione specifica della tipologia e della natura degli interessi richiesti ovvero del tipo di tributo cui accedono, dovendo altresì segnalare la decorrenza dalla quale gli interessi sono dovuti e senza che in ogni caso sia necessaria la specificazione dei singoli saggi periodicamente applicati nè delle modalità di calcolo”.

    [6] Come noto, la nozione di buon andamento non si riduce alla rapidità, semplicità ed efficacia dell’attività amministrativa ma impone collaborazione e solidarietà delle quali sono espressione imprescindibile il rispetto della fiducia dei cittadini e la lealtà dello Stato.  In tal senso, F. Benvenuti, Per un diritto amministrativo paritario, in Studi in memoria di Enrico Guicciardi, Padova, 1975, pp. 818 ss. Il passaggio in esame è stato declinato nella materia tributaria da G. Marongiu, Statuto del contribuente, diritto on line (Enc. giur. Treccani), 2016.

    [7] Cfr. A. Andreani, Il principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione, Padova, 1979, p. 23. Sul tema, in tal senso, S. Cassese, Il diritto alla buona amministrazione, in Studi in onore di Alberto Romano, I, Napoli, 2011, 105; A. Cerri, Imparzialità e buon andamento della Pubblica amministrazione, diritto on line, (Enc. giur. Treccani), 2013.  

    [8] Nella sentenza in commento si legge che “le considerazioni appena esposte non intendono, ovviamente, incidere sulla prassi che l'Amministrazione abbia eventualmente intrapreso, nell'ottica di una migliore collaborazione con il contribuente - anche alla luce dell'art. 10 del c.d. Statuto dei diritti del contribuente - volta ad esplicitare nelle cartelle anche i tassi via via applicabili per la quantificazione degli interessi richiesti. Prassi virtuosa che, tuttavia, non è in grado di modificare il contenuto precettivo delle disposizioni normative richiamate né, dunque, il contenuto dell'obbligo motivazionale dalle stesse risultante. Obbligo che, come si è già detto, non priva in alcun modo di effettività la tutela apprestata al contribuente, anzi garantendola in modo pieno ed adeguato rispetto alle diverse fattispecie sopra ricordate”.

    [9] Cfr. N. Lipari, Il problema dell’effettività del diritto comunitario, in Diritto comunitario e sistemi nazionali: pluralità delle fonti e unitarietà degli ordinamenti, Napoli, 2009, pp. 635 ss.; M. Ross, Effectiveness in the European Legal Order(s): Beyond Supremacy to Constitutional Proportionality?, in Eur. Law Rev., 2006, pp. 476 ss.

    [10] Per alcune riflessioni su questo tema, R. Miceli, Il principio comunitario di effettività quale fondamento dell’integrazione giuridica europea (in AA. VV., Scritti in onore di V. Atripaldi, Napoli, 2010, sezione Europa, p. 1623.

    [11] Cfr., in tal senso, ex pluribus, F. Gallo, Motivazione e prova nell’accertamento tributario: l’evoluzione del pensiero della Corte, in Rass. trib., 2001, p. 1088; F. Califano, La motivazione degli atti impositivi tra forma e sostanza, principi europei e valori costituzionali, in Riv. trim. dir. trib., 2013, p. 81; Id., La motivazione degli atti impositivi, Torino, 2012, passim; R. Miceli, La motivazione degli atti tributari, in Lo Statuto dei diritti del contribuente, (a cura di A. Fantozzi, A. Fedele), Milano, 2005, p. 281.

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