GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    ​Acquisizione sanante e ammissibilità della rinuncia abdicativa: diversità di vedute fra giudice amministrativo e ordinario (nota a Cass. Civ., Sez. I, 6 giugno 2022, nn. 18142, 18143, 18167, 18168)

    Acquisizione sanante e ammissibilità della rinuncia abdicativa: diversità di vedute fra giudice amministrativo e ordinario (nota a Cass. Civ., Sez. I, 6 giugno 2022, nn. 18142, 18143, 18167, 18168)

    di Francesco Martines 

    Sommario: 1. La rinuncia abdicativa e l’evoluzione della giurisprudenza del giudice ordinario. – 2. L’orientamento del giudice amministrativo. – 3. L’ultima parola (?) dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. – 4. Le sentenze gemelle della Corte di Cassazione, Sez. I, del 6 giugno 2022 (nn. 18142, 18143, 18167, 18168). – 5. Riflessioni conclusive. 

    1. La rinuncia abdicativa e l’evoluzione della giurisprudenza del giudice ordinario.

    Una delle questioni più problematiche che ha riguardato l’applicazione dell’istituto dell’acquisizione sanante concerne la ammissibilità della c.d. rinuncia abdicativa del diritto di proprietà insita nella richiesta risarcitoria del proprietario[1]. La rinuncia abdicativa può configurarsi nell’ambito delle procedure ablatorie caratterizzate da un esito patologico. In particolare, non potendosi più far discendere alcun effetto traslativo alla mera occupazione sine titulo con irreversibile trasformazione del bene, occorre – per garantire il rispetto del principio di legalità – che l’amministrazione proceda all’adozione di un provvedimento acquisitivo ex art. 42 bis del Testo Unico Espropriazioni (T.U.E.).

    Già quando si riteneva che dall’irreversibile trasformazione del bene potesse derivare un effetto estintivo-traslativo della proprietà (accessione invertita), alcune pronunce del giudice ordinario avevano ipotizzato la rinuncia abdicativa come possibile rimedio alla situazione patologica venutasi a creare a causa dell’occupazione sine titulo da parte dell’amministrazione.

    La fattispecie occupatoria in relazione alla quale è stata configurata la possibilità di collegare un effetto abdicatorio alla proposizione da parte del proprietario dell’azione di risarcimento per equivalente era la c.d. occupazione usurpativa per la quale – diversamente dai casi di occupazione acquisitiva – permaneva il diritto del proprietario ad ottenere la tutela restitutoria[2].

    Con sentenza 10 giugno 1988 n. 3940, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, muovendo dal presupposto che l’effetto acquisitivo/traslativo poteva prodursi soltanto in presenza di una dichiarazione di pubblica utilità, escludevano in radice la possibilità di applicare l’istituto della rinuncia abdicativa del proprietario[3] nei casi di occupazione acquisitiva.

    La pronuncia delle Sezioni Unite n. 3940/1988 merita particolare attenzione poiché, per la prima volta, la Suprema Corte – pur approdando a conclusioni confermative e coerenti con la sentenza n. 1464/1983 – vi giunge adoperando nozioni e norme proprie del diritto pubblico. Il riferimento alle disposizioni civilistiche in materia di accessione viene così sostituito dal richiamo di nozioni quali l’espropriazione sostanziale e la disciplina della proprietà pubblica. Questa scelta offre una ricostruzione maggiormente coerente con l’inquadramento dottrinale che valorizza i profili dell’ablazione delle facoltà dominicali in nome dell’interesse pubblico[4].

    Con sentenza 4 marzo 1997 n. 1907[5], le Sezioni Unite della Cassazione tornano sul tema e recuperano l’orientamento favorevole all’istituto della rinuncia abdicativa, formulando però alcune importanti precisazioni. Delineata la nota distinzione fra occupazione acquisitiva e occupazione usurpativa, infatti, le Sezioni Unite chiariscono che – qualora manchi la dichiarazione di pubblica utilità – non possa escludersi la possibilità per il proprietario di avvalersi di un’azione di risarcimento del danno per perdita definitiva del bene, ponendo in essere “un meccanismo abdicatorio che non manca di riscontri nel nostro ordinamento positivo (artt. 1070, 1104, 550 c.c.)”. La Corte di Cassazione ribadisce, dunque, la tesi che il proprietario che agisce per il risarcimento del danno esprime una volontà del tutto incompatibile con quella di mantenere la proprietà del bene stesso[6].

    Nel 2003 le Sezioni Unite affrontano, seppur incidentalmente,  la questione ancora una volta e confermano espressamente l’orientamento secondo il quale – nelle ipotesi di occupazione usurpativa – “non si produce l’effetto acquisitivo a favore della pubblica amministrazione; il proprietario può chiedere la restituzione del fondo occupato e, se a tanto non ha interesse (e quindi vi rinunzi, anche per implicito), può avanzare domanda di risarcimento del danno, che deve essere liquidato in misura integrate” (Cass. Civ. 6 maggio 2003 n. 6853).

    2. L’orientamento del giudice amministrativo.

    Espunta dall’ordinamento l’occupazione acquisitiva (con l’introduzione dell’art. 43 e poi 42 bis del Testo Unico Espropriazioni) e assegnata al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva in materia di espropriazione, la questione dell’ammissibilità della rinuncia abdicativa è stata affrontata anche dal giudice amministrativo.

    In contrasto con l’ormai pacifico orientamento del giudice ordinario, la giurisprudenza amministrativa ha sollevato diverse obiezioni alla possibilità di collegare l’estinzione del diritto di proprietà del privato alla sua unilaterale volontà di abdicare al proprio diritto.

    Secondo il giudice amministrativo, la soluzione della rinuncia abdicativa si poneva in contrasto con l’esigenza di tutela della proprietà e con i principi di matrice civilistica[7].

    Inoltre, la configurazione dell’azione risarcitoria quale negozio unilaterale con effetto abdicativo non renderebbe ragione, per la stessa natura di atto unilaterale del negozio, dell’ulteriore effetto che dovrebbe conseguire dalla rinuncia della proprietà, ossia l’acquisto della proprietà in capo alla pubblica amministrazione occupante.

    Il giudice amministrativo ha così allargato l’ambito d’esame della questione al profilo dell’effetto (abdicativo o traslativo) della rinuncia.

    Invero, a ben vedere, l’effetto traslativo andrebbe ricollegato al titolo giudiziale, ossia alla sentenza di accoglimento della domanda di condanna al risarcimento del danno per equivalente.  Di tale effetto traslativo riconducibile al titolo giudiziale, tuttavia, non vi è traccia nel sistema, se non con riferimento all’ipotesi della sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 2932 cod. civ. (nel caso di inadempimento dell’obbligo a contrarre) .

    Infine, il riconoscimento di un effetto traslativo dovrebbe comportare l’applicazione dei principi dell’acquisto a titolo derivativo, con la conseguenza che l’ente pubblico acquisterebbe il bene gravato da diritti o garanzie reali[8].

    Tale prospettazione è apparsa in contrasto poi con il principio di tipicità dei modi di acquisto della proprietà di cui all’art. 922 cod. civ. e con il tenore dell’art. 43 (prima) e dell’art. 42 bis T.U.E. (poi) che fanno discendere l’acquisizione da un provvedimento discrezionale dell’amministrazione[9].

    Alcune sentenze hanno sostenuto la radicale impossibilità di rinuncia al diritto di proprietà sul presupposto che “il bene immobile privato diventerebbe, per effetto di una siffatta abdicazione, una res nullius, teoricamente acquisibile in proprietà per semplice occupazione o invenzione. Il codice civile, però, ammette l’occupazione e l’invenzione, quali mezzi di acquisto della proprietà a titolo originario, solo per i beni mobili. È quindi evidente che il legislatore ha concepito un sistema tendente ad evitare che possano esistere beni immobili privi di proprietario a seguito di rinuncia abdicativa[10].

    La chiusura del giudice amministrativo verso l’ipotesi della rinuncia abdicativa poggia anche su una rigorosa interpretazione dell’art. 1350 cod. civ., relativo agli atti necessitanti della forma scritta ad substantiam, e che, nella misura in cui non indica espressamente la rinuncia abdicativa al diritto di proprietà sui beni immobili, andrebbe inteso come conferma dell’estraneità di tale facoltà al nostro ordinamento giuridico. Seguendo tale orientamento, il n. 5 dell’art. 1350 cod. civ. (relativo agli “atti di rinuncia ai diritti indicati dai numeri precedenti”) sarebbe riferito ai diritti derivanti dai contratti che hanno ad oggetto il trasferimento della proprietà immobiliare (“la quale rinuncia è cosa ben diversa da quella abdicativa poiché non lascia il bene vacante”)[11].

    In senso difforme, in altra pronuncia il giudice amministrativo (C.G.A.R.S., 25 maggio 2009 n. 486) ha osservato che gli artt. 1350 n. 5 e 2643 n. 5 cod. civ. (relativo quest’ultimo agli atti soggetti a trascrizione), nel menzionare espressamente “gli atti di rinuncia ai diritti indicati dai numeri precedenti”, farebbero riferimento anche al diritto di proprietà immobiliare[12].

    Orbene, deve osservarsi che in tutte le ipotesi previste dalle richiamate disposizioni del codice civile la rinuncia è espressamente prevista a favore di uno specifico soggetto e il bene non acquista la qualità di res nullius. Diversamente, nelle ipotesi di occupazione sine titulo non è chiaro quale destino abbia il diritto di proprietà abdicato dal privato: se, astrattamente, potrebbe ritenersi che esso si trasferisca direttamente in capo all’amministrazione occupante (eventualmente mediante una semplice dichiarazione di accettazione)[13] resta il fatto che, in base alle disposizioni esaminate, esso dovrebbe farsi confluire nel patrimonio dello Stato (secondo il regime dei beni immobili vacanti) o al più diventare una res nullius[14].

    Vi è poi un altro profilo che desta qualche perplessità.

    Come evidenziato nelle pronunce che hanno negato la rinunciabilità del diritto di proprietà in caso di occupazione sine titulo, non può darsi luogo a risarcimenti connessi alla perdita della proprietà, trattandosi di un evento inesistente[15].

    Altra giurisprudenza ha, invece, accolto la domanda risarcitoria ai sensi, prima, dell’art. 35, co. 2, D. Lgs. n. 80/1998, e poi dell’art. 34, co. 4, c.p.a., affermando la necessità di prevedere un “passaggio intermedio, logicamente precedente il momento risarcitorio, consistente nell’assegnazione di un termine all’amministrazione perché definisca (in via negoziale o autoritativa, ex art. 43 citato) la sorte della titolarità del bene illecitamente appreso” e applicando in modo peculiare la norma che pone in capo al giudice amministrativo l’onere di accertare l’an della pretesa pecuniaria e consente di rinviare ad un accordo delle parti la liquidazione del quantum sulla base di criteri fissati dal giudice[16].

    Alla posizione di chiusura del giudice amministrativo hanno reagito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con sentenza n. 735/2015, seppure incidentalmente, hanno confermato la possibilità di una “scelta abdicativa” del dominus precisando che si tratterebbe di una rinuncia “abdicativa” e non “traslativa” con la conseguenza che da essa non può farsi discendere l’automatico acquisto della proprietà da parte dell’amministrazione utilizzatrice del bene[17].

    Secondo la Cassazione sussistono sufficienti elementi per individuare nella proposizione dell’azione risarcitoria per equivalente un comportamento inequivocabilmente incompatibile con il mantenimento del diritto di proprietà. Le Sezioni Unite riconoscono al privato la possibilità di domandare il risarcimento del danno per equivalente (con implicita rinuncia al diritto di proprietà) assumendo che il danno patito consiste non tanto nella perdita della proprietà quanto piuttosto nella perdita delle utilità ricavabili dal bene. Di qui l’implicita rinuncia al diritto di proprietà per mancanza di interesse al mantenimento della res.

    L’orientamento della Cassazione favorevole all’ammissibilità dell’istituto si fonda su una ricostruzione sistematica dell’impianto civilistico sulla base di disposizioni codicistiche (artt. 827, 2643 n. 5, 118 comma 2 cod. civ.) dalle quali le Sezioni Unite traggono il principio della generale rinunciabilità della proprietà immobiliare. In aggiunta a tale argomento sistematico-letterale, le Sezioni Unite evidenziano un argomento teologico-funzionale nel senso che una rinuncia implicita al diritto di proprietà in seno ad una domanda di risarcimento del danno per equivalente permette di valorizzare il principio della concentrazione delle tutele di cui all’art. 111 Cost[18]

    3. L’ultima parola (?) dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

    In tempi più recenti, sull’applicabilità della rinuncia abdicativa alle vicende dell’occupazione sine titulo è intervenuta l’Adunanza Plenaria con l’intenzione di porre fine ai contrasti interpretativi.

    Con sentenza 9 febbraio 2016 n. 2, sebbene in via incidentale, l’Adunanza Plenaria ritiene ammissibile la rinuncia abdicativa del dominus implicitamente  contenuta nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente.

    Questa soluzione comporta che la rinuncia possa avere effetto meramente abdicativo e non anche traslativo; il che significa che l’effetto traslativo sia collegato all’atto di liquidazione del danno adottato dall’amministrazione occupante convenuta in giudizio[19]. Da un lato, dunque, si avrà il negozio unilaterale di rinuncia del privato, dall’altra l’atto di liquidazione dell’amministrazione, da trascriversi ai sensi dell’art. 2643, comma primo, n. 5 cod. civ. Come è stato osservato, l’abdicazione insita nella domanda risarcitoria di un privato, non essendo propriamente traslativa del diritto di proprietà, diventa atto risolutivamente condizionato al pagamento, da parte della pubblica amministrazione, del risarcimento del danno[20].

    Sorgono, tuttavia, alcune perplessità.

    È possibile riconoscere effetto di rinuncia abdicativa implicita, oltre che alla domanda giudiziale di risarcimento per equivalente, anche ad altri atti “inequivocabili” del privato, (quale per esempio la nota di diffida e messa in mora inviata alla pubblica amministrazione occupante per ottenere il pagamento del risarcimento del danno)?

    E ancora: la quantificazione del danno prospettata dal privato nell’atto introduttivo del giudizio risarcitorio è vincolante per la pubblica amministrazione (che deve adottare l’atto di liquidazione e curarne la trascrizione) oppure essa può liquidare una somma di diverso valore?

    La giurisprudenza favorevole all’ammissibilità dello strumento della rinuncia abdicativa, invero, sembra piuttosto rigorosa e riconnette l’effetto abdicativo alla sola domanda giudiziale (e non anche ad altri atti del privato) così come non sembra lasci margine alla pubblica amministrazione per procedere ad una liquidazione che si discosti da quella indicata dal privato.

    È altresì vero, però, che – astrattamente ed in linea teorica – una volta ammessa la rinunciabilità implicita da parte del proprietario del bene occupato non pare possano affermarsi ostacoli ad un possibile ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto della rinuncia abdicativa. Sono soltanto ragioni di opportunità che inducono a scoraggiare tali interpretazioni estensive, di per sé insufficienti a escluderle del tutto.

    Quando sembrava ormai essersi assestata la posizione della giurisprudenza in ordine al tema della rinuncia abdicativa (nel senso della sua assimilabilità), com’è noto, nel 2020 l’Adunanza Plenaria è tornata ad occuparsi dell’argomento con tre pronunce coeve, molto interessanti, con le quali viene affermata in maniera netta la non ammissibilità della rinuncia abdicativa alla proprietà implicitamente contenuta nella domanda giudiziale proposta dal soggetto privato per ottenere il risarcimento per equivalente (sentenze n. 2, 3, 4 del 20 gennaio 2020) [21].

    Le sentenze nn. 2 e 3 sono gemelle

    L’Adunanza Plenaria muove dall’esame dell’orientamento giurisprudenziale favorevole all’ammissibilità della rinuncia, soffermandosi sui vantaggi che, sul piano pratico, esso comporta per il privato espropriato (concentrazione delle tutele; ragionevole durata del processo; corresponsione del quantum a titolo di risarcimento del danno e non a titolo di indennizzo).

    Nonostante tali elementi di favor per il privato espropriato, l’Adunanza Plenaria rigetta l’ipotesi ricostruttiva della rinuncia abdicativa in quanto si espone a tre fondamentali obiezioni.

    In primo luogo, quand’anche voglia riconoscersi che l’atto abdicativo sia astrattamente idoneo a determinare la perdita della proprietà privata, non è possibile affermare che esso determini l’acquisto della proprietà in capo all’autorità espropriante. In tale prospettiva, appare fuorviante il richiamo all’art. 827 cod. civ. – assunto come base legale della dichiarazione di rinuncia del proprietario di un diritto reale immobiliare – al di fuori dei casi previsti dalla legge poiché la norma prevede che gli immobili vacanti siano acquistati (a titolo originario) al patrimonio indisponibile dello Stato. Ne consegue che, applicando la disposizione al caso dell’occupazione sine titulo, la rinuncia non consentirebbe l’acquisto in capo all’ente espropriante.

    La Plenaria precisa, altresì, che non possa riconoscersi effetto traslativo alla trascrizione della sentenza di condanna al risarcimento del danno giacché si tratta di un adempimento rilevante soltanto ai fini dell’opponibilità verso i terzi. Per la medesima ragione ai fini traslativi non può assumere rilievo la trascrizione dell’atto di liquidazione del risarcimento del danno.

    La posizione assunta dal collegio giudicante è molto rigorosa e, per vero, non del tutto condivisibile soprattutto per gli effetti compressivi che comporta sulla posizione del proprietario del bene occupato[22].

    L’Adunanza Plenaria osserva inoltre che sarebbe fuorviante il richiamo alla teorica degli atti impliciti che può riguardare solo gli atti amministrativi e non gli atti del privato. In ogni caso, non è possibile ritenere che la volontà (espressa) del privato di agire per il risarcimento del danno per equivalente implichi inequivocabilmente la volontà (implicita) di rinunciare al diritto di proprietà. La domanda risarcitoria, infatti, denuncia un illecito di cui la parte chiede la riparazione; nulla di più e nulla di meno.

    Sul piano formale, prosegue l’Adunanza Plenaria, va considerato che la domanda risarcitoria è redatta e sottoscritta dal difensore del soggetto proprietario (e non anche da questi personalmente). Tuttavia, ai fini della possibile configurabilità della rinuncia, quest’ultima deve provenire dal titolare del diritto che ne ha la disponibilità.

    Rispetto alla posizione assunta dall’Adunanza Plenaria, si osserva peraltro che il riferimento alla teoria dell’atto amministrativo implicito appare non del tutto pertinente laddove si faccia riferimento alla rinuncia abdicativa del privato che è istituto del tutto differente per presupposti e ambito di operatività[23].

    La ragione principale ed assorbente che ha indotto l’Adunanza Plenaria a ritenere non percorribile la strada della rinunciabilità del diritto di proprietà in caso di occupazione sine titulo attiene al rispetto del principio di legalità: ai sensi dell’art. 42 della Costituzione la proprietà può essere espropriata “nei casi preveduti dalla legge” fra i quali non rientra la rinuncia abdicativa. Secondo quanto osservato nelle sentenze 2 e 3 del 2000, la tesi della rinuncia abdicativa rischia di riproporre “problemi e dubbi interpretativi” propri dell’ormai tramontato istituto dell’occupazione acquisitiva, ritenuto incompatibile dalla Corte EDU con i principi del Protocollo Addizionale CEDU.

    Ai sensi dell’art. 42 bis T.U.E. deve escludersi che il giudice e, a maggior ragione, il privato possano decidere sulla sorte del bene occupato; la scelta di acquisirlo è propria della pubblica amministrazione e deve restare tale “senza che possano trovare spazio elaborazioni giurisprudenziali che, se forse giustificate in assenza di una base legale, non si giustificano più una volta che intervenga un’esplicita disciplina normativa”.

    L’orientamento contrario alla rinuncia abdicativa implicita del proprietario del bene occupato sine titulodalla pubblica amministrazione trova conferma, con ulteriori argomentazioni, nella coeva sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 4/2020 che prende posizione sull’indirizzo interpretativo dedotto dalle sentenze Cass. Civ. SS.UU. n. 735/2015 e Cons. Stato Ad. Plen. n. 2/2016 che – viene fatto rilevare – non trattano ex professo le questioni inerenti l’applicazione della rinuncia abdicativa e, pertanto, non rappresentano precedenti puntuali e granitici.

    Nella sentenza n. 4/2020 l’Adunanza Plenaria muove dalla constatazione che “la trasposizione della figura negoziale della rinuncia abdicativa dall’ambito privatistico all’ambito dell’espropriazione per pubblica utilità (…) genera un’irrazionalità amministrativa di tipo funzionale”; ciò che resta irrisolto nella ricostruzione dell’istituto della rinuncia abdicativa è l’aspetto della correlazione fra effetto privativo e effetto traslativo proprio dei provvedimenti ablatori, finendo col privare la vicenda espropriativa della sua causa giuridica. Nessuna delle pronunce che ammette il ricorso alla rinuncia abdicativa fornisce una soluzione certa ed univoca sull’individuazione del titolo e del modus acquirendi del diritto di proprietà in capo all’amministrazione occupante tenuta al risarcimento dei danni.

    Il richiamo all’art. 827 cod. civ. – prosegue l’Adunanza Plenaria – appare fuorviante tenuto conto che la disposizione civilistica prevede l’acquisto a titolo originario del bene vacante da parte dello Stato e non può, dunque, giustificare l’acquisto da parte dell’ente espropriante tenuto al risarcimento del danno.

    L’Adunanza Plenaria – integrando i rilievi delle sentenze 2 e 3 – esclude altresì la possibilità di applicare in via analogica altre disposizioni del codice civile riguardanti fattispecie di acquisto a titolo originario quali gli artt. 923, 940 e 942 cod. civ. in quanto si incorrerebbe in una palese violazione del principio di legalità, più volte richiamato nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte EDU.

    Muovendo da queste premesse e osservazioni, si osserva che l’art. 42 bis ha introdotto una procedura speciale tipizzando i poteri dell’amministrazione e conformando la facoltà di autodeterminazione del proprietario.

    In particolare, ai sensi dell’art. 42 bis, l’amministrazione occupante è titolare di una “funzione a carattere doveroso consistente nella scelta fra la restituzione previa rimessione in pristino o l’acquisizione di esso”; non si tratta, dunque, di una mera facoltà di scelta fra più opzioni possibili ma di “doveroso esercizio di un potere”.

    Parallelamente, in capo al privato è attribuita la potestà di compulsare la pubblica amministrazione attraverso un’istanza o diffida all’esercizio del potere/dovere di porre termine alla situazione di illecito permanente costituita dall’occupazione sine titulo scegliendo se acquisire o restituire il bene; in caso di perdurante inerzia, il privato potrà ricorrere all’azione ex artt. 31 e 117 c.p.a.[24].

    Altre possibili soluzioni (ivi compresa la teorica della rinuncia abdicativa) potevano essere percorribili in mancanza di una disposizione (l’art. 42 bis) che ha espressamente regolato l’unica procedura da seguire.

    Ne consegue che all’interprete “non è consentito (se mai lo sia stato) più di ricorrere all’analogia iuris per integrare la fattispecie normativa di diritto amministrativo settoriale in materia espropriativa quale tassativamente predeterminata dal legislatore”.

    L’ipotesi dell’applicazione delle norme sulla rinuncia abdicativa viene ritenuta un’operazione ermeneutica da rigettare in quanto:

    - comporta uno stravolgimento dell’assetto di interessi sotteso e (ri)composto (d)alla particolare procedura ablativa disciplinata dall’art. 42 bis;

    - affida alla decisione sulla sorte del bene ad un atto eventuale ed unilaterale del proprietario cui finirebbe per attribuire “una sorta di diritto potestativo direttamente ricadente nella sfera giuridica dell’amministrazione”;

    - si risolve nell’inammissibile introduzione praeter legem di una nuova fattispecie ablativa/traslativa.

    A parere di chi scrive, l’orientamento dell’Adunanza Plenaria, pur condivisibili, si espone ad alcuni rilievi critici.

    In particolare, il rilievo (che la stessa Adunanza Plenaria ritiene “decisivo ed assorbente”) sulla violazione del principio di legalità potrebbe essere ritenuto non del tutto convincente da una diversa prospettiva. 

    Ponendosi dalla prospettiva del titolare del diritto dominicale potrebbe infatti obiettarsi che l’art. 42 Cost. (che secondo l’Adunanza Plenaria non fornirebbe la base legale all’istituto della rinuncia abdicativa) riconosce e protegge la proprietà privata e, nel sottoporre al principio di legalità la determinazione dei modi di acquisto e, soprattutto, le modalità di espropriazione della stessa per motivi di interesse generale, mira a tutelare il proprietario; sicché sarebbe priva di giustificazione un’interpretazione che individua proprio nell’art. 42 Cost. la ragione di un limite all’esercizio delle azioni ordinariamente poste a difesa del diritto dominicale e al dispiegarsi della normale potestà di disposizione dello stesso (ivi compresa quella di rinunciarvi).

    Dubbi similari possono sorgere rispetto all’affermazione secondo la quale l’ordinamento processuale appresterebbe uno strumentario efficace a tutela del soggetto privato che rende superfluo e fuorviante il ricorso all’istituto della rinuncia abdicativa[25].

    4. Le sentenze gemelle della Corte di Cassazione, Sez. I, del 6 giugno 2022 (nn. 18142, 18143, 18167, 18168).

    L’orientamento dell’Adunanza Plenaria sull’inammissibilità del ricorso alla rinuncia abdicativa è stato recepito dalla giurisprudenza amministrativa che si è prontamente adeguata alle indicazioni interpretative delle pronunce nn. 2, 3 e 4 del 2020[26].

    Non analoga condivisione si è riscontrata da parte della giurisprudenza della Corte di Cassazione che, chiamata a pronunciarsi su fattispecie per le quali ratione temporis manteneva la giurisdizione, non ha mancato di rilevare che l’esclusione della rinuncia abdicativa nelle ipotesi di occupazione sine titulo da parte della pubblica amministrazione rappresenta un grave vulnus per il diritto di proprietà del privato[27].

    Si segnalano, in particolare, per il netto dissenso manifestato rispetto alla posizione assunta dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, quattro recenti sentenze gemelle della Prima Sezione della Corte di Cassazione del 6 giugno 2022 (nn. 18142, 18143, 18167, 18168) con le quali – muovendo dall’assunto che la scelta dei rimedi a tutela della proprietà deve essere sempre riservata al privato danneggiato (Cass. n. 144/2020 e n. 301/2014) – si afferma chiaramente che l’Adunanza Plenaria, escludendo la possibilità per il privato di azionare i rimedi civilistici comuni, in sostanza ha ravvisato una “modalità conformativa della proprietà privata rimessa all’autorità amministrativa alla quale soltanto sarebbe riservata, ai sensi dell’art. 42 bis., la decisione di acquisire la proprietà dell'immobile, previo pagamento dell'indennizzo, o di restituirlo previa rimessione allo stato pristino, salva la residua possibilità per il privato di reagire introducendo un giudizio, con esito incerto e dilatato nel tempo, al solo fine di compulsare la stessa autorità ad assumere detta decisione”.

    Secondo la Corte l’adesione all’impostazione della giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato implica l’esposizione del proprietario danneggiato ai rischi insiti nella titolarità del bene in una situazione determinata dal comportamento illecito dell’autorità amministrativa; il proprietario, di fatto, verrebbe privato della possibilità di avvalersi del rimedio principale per far cessare immediatamente la prosecuzione degli effetti dell’illecito, ossia la rinuncia forzosa alla proprietà (soluzione alternativa alla richiesta di restituzione del bene previa rimessione in pristino se concretamente praticabile)[28].

    Il proprietario vittima del comportamento illecito dell’amministrazione ha il diritto di domandare in giudizio il risarcimento del danno, non solo, per la perdita del godimento nel periodo considerato (occupazione illegittima), ma anche per la perdita commisurata all'integrale valore del bene, alla cui titolarità il proprietario ha implicitamente (seppur forzosamente) rinunciato proponendo la domanda risarcitoria per equivalente. Muovendo da tale assunto, la Corte di Cassazione rigetta in toto la soluzione prospettata dal giudice amministrativo aprendo un contrasto giurisprudenziale che richiede una soluzione.

    A sostegno della propria posizione la Suprema Corte richiama anche l’orientamento della dottrina (per lo più gius-privatistica) secondo la quale non vi sono ostacoli logici e giuridici a che il proprietario - fintanto che la pubblica amministrazione non abbia esercitato il potere di acquisizione sanante - possa chiedere in giudizio e ottenere il risarcimento del danno per la perdita della proprietà del bene coattivamente trasferito in capo all’autore della lesione.

    5. Riflessioni conclusive.

    Il contrasto giurisprudenziale fra le supreme magistrature ordinaria e amministrativa in tema di rinuncia abdicativa sottende la continua tensione tra autorità e libertà, ovvero fino a che punto il potere autoritativo della pubblica amministrazione esercitato nel perseguimento del pubblico interesse possa giustificare il sacrificio del diritto di proprietà del privato garantito dalla Costituzione e dalla CEDU.

    Per un verso, la posizione dell’Adunanza Plenaria del 2020 in ordine alla non ammissibilità dell’istituto dell’abdicazione del diritto di proprietà ha l’incontestabile pregio, per un verso, di essere pienamente aderente alle disposizioni codicistiche richiamate nelle sentenze di tenore contrario e, per altro verso, di valorizzare lo spirito della disciplina dell’acquisizione sanante.

    L’art. 42 bis del Testo Unico Espropriazioni, invero, fornisce una base legale specifica e certa all’effetto ablativo della proprietà: da un lato la pubblica amministrazione è dotata di un potere di natura vincolata nell’an ma discrezionale nel quomodo, che le permette di ricondurre la situazione di occupazione illegittima nell’alveo della legalità; dall’altro lato, l’iniziativa procedimentale ed il successivo giudizio sul silenzio – come evidenziato dall’Adunanza Plenaria – costituiscono i mezzi con cui il privato può far valere il proprio interesse a conseguire il ristoro pecuniario rispetto alla restituzione del bene.

    Da altra prospettiva, le conclusioni cui giunge la Corte di Cassazione nelle recenti sentenze del 2022 non paiono potersi considerare di modesto rilievo; l’esigenza di assicurare una tutela effettiva al proprietario del bene occupato dalla pubblica amministrazione per la realizzazione di un interesse pubblico è certamente rilevante e trova conforto nelle norme della CEDU che potrebbero indurre la Corte EDU a indicare una linea interpretativa in disaccordo con l’orientamento consolidatosi nelle sentenze del giudice amministrativo.


    [1] G. Tropea, Per un inquadramento di sistema della disciplina dell’art. 42 bis DPR n. 327/2001 alla luce della giurisprudenza costituzionale e del giudice amministrativo, in www.giutiziainsieme.it, 2022; G. Mari, Rinunciabilità della proprietà e occupazione sine titulo, in Il libro dell’anno del diritto, Roma, 2019, 196 ss.; Bona-Pardolesi, Rinunzia abdicativa, abdicazione dalla giustizia?Foro It. 3/2020, 170; A. Di Cagno, La rinuncia abdicativa in favore dell’amministrazione nell’ambito delle occupazioni illegittime, in Urb. e App. 1/2020, 106 ss.; Coppola F., L’evoluzione della materia delle espropriazioni e la questione circa l’ammissibilità della rinuncia abdicativa al diritto di proprietà: la soluzione delle sentenze dell’Ad. Plen. n. 2 e n. 4 del 2020, in www.federalismi.it, 10/2021; Barilà, Nuovi interventi del Consiglio di Stato sulla tutela della proprietà rispetto ad occupazioni illegali dell’amministrazione, in Foro it., 2020, III, 159; E. Amante, L’adunanza Plenaria espunge la rinuncia abdicativa implicita dell’acquisizione sanante, in Urb. e App., n. 3/2020, 365 ss.; G. Ariemma, Occupazioni e tutela del privato: l’ammissibilità della rinuncia abdicativa in materia di espropriazione per pubblica utilità, in Ist. dir. e econ., 2/2020, 256 ss.; ID., CEDU e cultura giuridica italiana 9) La CEDU e il diritto amministrativo, in www.giustiziainsieme.it., 2020.

    [2] Si segnala Cass, Civ., 18 aprile 1987, n. 3872, in Foro It., 1987, 1, 1727 ss. (con commento di A. Romano). Per una ampia ricostruzione del dibattito giurisprudenziale, R. Conti, Diniego di rinunzia abdicativa, in Urb. e App., 2009, 103 ss.

    [3] Sentenza pubblicata in Foro Amm. 7-8/1988, 1973 ss. (con nota di G.P. Cartei, Un difficile connubio: criterio di effettività e principio di legalità dell’azione amministrativa).

    [4] A.M. Sandulli, Natura ed effetti dell’imposizione di vincoli paesistici, in Riv. trim. dir. pubb., 1961, 809 ss. ove l’Autore osserva che “l’ubi consistam dell’espropriazione non è il trasferimento – come testimonia l’etimo della parola – l’ablazione di un diritto o di facoltà inerenti ad un diritto”.

    [5] Fra i commenti alla pronuncia si segnala, M. Annunziata, Azione risarcitoria per occupazione illegittima e prescrizione del diritto, in Riv. Giur. Edil., 3/1997, 508 ss.; G. Giacalone, L’occupazione illegittima, non assistita da (valida) dichiarazione di pubblica utilità, quale illecito permanente, in Giust. Civ., 5/1997, 1237 ss.; 

    [6] Come osservato nella pronuncia del 1997 (richiamando l’orientamento condiviso nella sentenza della II Sezione n. 3872/1987), lo schema della rinuncia con effetto abdicativo non è ignoto all’ordinamento, trovando espressione nell'art. 1070 cod. civ., che prevede l'abbandono del fondo servente mediante rinunzia alla proprietà in favore del fondo dominante, nell’art. 1104 cod. civ., che prevede l’abbandono del diritto del comunista sulla cosa comune a favore degli altri partecipanti, e infine nell’art. 550 cod. civ., che prevede l’abbandono della nuda proprietà della disponibile da parte del legittimario a favore del legatario.

    [7] Si segnala TAR Calabria, Reggio Calabria, 17 giugno 2014 n. 265 secondo cui “facendo applicazione degli ordinari principi civilistici, l’esigenza di una piena tutela del diritto di proprietà esige che l’effetto traslativo consegua ad una volontà espressa ed inequivoca del proprietario interessato, da tradursi in strumenti negoziali formali e tipici (Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 maggio 2013 n. 2559) dovendosi comunque tener conto dello specifico regime giuridico degli atti inter vivos con cui si può disporre, anche mercé l’abdicazione, del diritto di proprietà (art. 1350 n. 5 c.c. e art. 2643 n. 5 c.c.)”.

    [8] TAR Calabria, Reggio Calabria, Sez. I, 27 luglio 2015 n. 802; TAR Calabria, Reggio Calabria, Sez. I, 31 agosto 2013 n. 529.

    [9] TAR Abruzzo, L’Aquila, Sez. I, 7 maggio 2015 n. 340; Cons. Stato, Sez. IV, 28 gennaio 2011 n. 676; T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 26 marzo 2015 n. 310 che osserva che “in caso di occupazione divenuta sine titulo di un’area, il giudice amministrativo non può condannare l’amministrazione al risarcimento nei confronti del proprietario per il controvalore del bene, quand’anche questa sia la richiesta formulata dal ricorrente: la legge non attribuisce rilevanza ad una dichiarazione unilaterale del proprietario, ma all’art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001 attribuisce all’amministrazione il potere di acquisizione; inoltre, la domanda giudiziale volta al risarcimento per equivalente comporterebbe una rinuncia ‘condizionata' alla pronuncia del giudice che liquidi il risarcimento ed il cui evento è comunque giuridicamente precluso, poiché — per il principio della separazione dei poteri — solo l’amministrazione può valutare quale degli interessi debba prevalere tra quelli in conflitto e decidere se restituire il terreno ovvero acquisirlo”; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 16 settembre 2014 n. 1111 secondo cui “il diritto di proprietà non può essere fatto oggetto di atti abdicativi e, quindi, anche la richiesta di risarcimento formulata dal privato diretta ad ottenere il mero controvalore del fondo oggetto di occupazione sine titulo compromesso dall’opera pubblica, ancorché interpretata quale manifestazione della volontà di rinunciare alla proprietà del fondo, non può valere a determinare in capo al privato la perdita della proprietà del terreno illegittimamente occupato”.

    [10] T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 22 settembre 2008 n. 2176.

    [11] In questi termini, T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 22 settembre 2008 n. 2176.

    [12] C.G.A.R.S., 25 maggio 2009 n. 486 in cui vengono altresì considerate alcune specifiche ipotesi di atti di rinuncia al diritto di proprietà immobiliare contemplate dagli artt. 1070, 1104 e 550 c.c.

    [13] T.A.R. Sardegna, Sez. II, 28 maggio 2010 n. 1383 dove si legge che “al momento della richiesta di risarcimento danni, cui consegue l'implicito abbandono del diritto di proprietà sul terreno, si è verificato l'incontro della volontà del Comune di voler acquisire il terreno, in precedenza manifestato con l'occupazione del terreno e la sua utilizzazione ad opera pubblica, con quella del privato che richiedendo la corresponsione del risarcimento dei danni abdica al diritto di proprietà sul terreno utilizzato dall'ente pubblico”.

    [14] Sul punto, G. Mari, Occupazioni sine titulo, espropriazione indiretta, acquisizione sanante e obblighi restitutori: gli orientamenti della giurisprudenza (ordinaria e amministrativa) a confronto, in Riv. Giur. Edil., 1-2/2016, 69 ss.

    [15] Si segnala, in particolare, Cons. Stato, Sez. IV, 16 marzo 2012 n. 1514; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 22 settembre 2008 n. 2176

    [16] Cons. Stato, Sez. IV, 2 dicembre 2011, n. 6375; 1 settembre 2015, n. 4096.

    [17] Cass. Civ., SS. UU., 19 gennaio 2015 n. 735; in termini analoghi, Cass. Civ., Sez. I, 7 marzo 2017, n. 5686; 24 maggio 2018, n. 12961; SS. UU., 6 febbraio 2019, n. 3517.

    [18] L’orientamento delle Sezioni Unite del 2015 è stato condiviso in alcune sentenze del giudice amministrativo di prime cure. Vd. TAR Abruzzo, Pescara, Sez. I, 11 giugno 2015 n. 245; TAR Calabria, Reggio Calabria, 30 gennaio 2013 n. 64; 21 maggio 2013 n. 320; 7 marzo 2014 n. 156.

    [19] Sui profili della liquidazione dell’indennizzo e del risarcimento, F. Tigano, Indennizzo “reale” ed attività espropriativa nel caleidoscopio dei poteri ablatori, in www.giustiziainsieme.it, 2020.

    [20] M. Morelli, Le occupazioni illegittime della Pubblica Amministrazione, Roma, 2018, in part. 217- 218.

    [21] Fra i commenti alle sentenze dell’Adunanza Plenaria del 2020 si segnalano: E. Barilà, Nuovi interventi del Consiglio di Stato sulla tutela della proprietà rispetto ad occupazioni illegali dell’amministrazione, in Foro it., 2020, III, 159 ss.; C. Bona – R. Pardolesi, Rinunzia abdicativa, abdicazione della giustizia?, ibidem, 169; S.R. Masera, Espropriazione per p.u. - Cessazione dell'occupazione illegittima e irreversibile trasformazione del fondo, in Giur. it., 2020; sulle conseguenze legate alla soluzione tracciata dall’Adunanza Plenaria 2020 sono condivisibili le perplessità manifestate da R. CARANTA il quale osserva che “la scelta per l’inammissibilità adottata dalla Plenaria, se pare condivisibile sul piano teorico e della funzione pubblica, finisce, ancora una volta, per riaffermare l’assoluta disparità di trattamento riservata in tale materia alla p.a. (…) rispetto a quella del privato”; l’A. conclude indicando la necessità dell’intervento del legislatore. (R.G. CONTI, CEDU e cultura giuridica italiana 9) La CEDU e il diritto amministrativo, cit., 2020); analoghe perplessità sono sollevate da G. TROPEA nel medesimo contributo.

    [22] C. Bona - R. Pardolesi, Rinunzia abdicativa, abdicazione di giustizia?, cit., 2020, III, 134 ss.

    [23] G. Tropea, Per un inquadramento di sistema della disciplina dell’art. 42 bis DPR n. 327/2001 alla luce della giurisprudenza costituzionale e del giudice amministrativo, cit.

    [24] Sulla tutela avverso l’inerzia della pubblica amministrazione, da ultimo, S. Villamena, Inerzia amministrativa e nuove forme di tutela. Profili organizzativi e sostanziali, Torino, 2020. Per un inquadramento generale, M.A. Sandulli, Riflessioni sulla tutela del cittadino contro il silenzio della pubblica amministrazione, in Giust. civ., 1994, 486 ss.; Id., La disciplina del silenzio della pubblica amministrazione spunti di riflessione in materia di tutela giurisdizionale, in V. Parisio (a cura di), Inerzia della pubblica amministrazione e tutela giurisdizionale. Una prospettiva comparata, Milano, 2002, 183 ss; S. Perongini, La tutela giurisdizionale avverso l’inerzia della pubblica amministrazione e l’interesse pubblico, in Dir. proc. amm., 2010, 423 ss.; R. Rolli, La voce del diritto attraverso i suoi silenzi. Tempo, silenzio e processo amministrativo, Milano, 2012; F. Manganaro, Dal rifiuto del provvedimento al dovere di provvedere: la tutela dell’affidamento, in Dir. amm., 2016, 93 ss.; G. Mari, L’obbligo di provvedere e i rimedi preventivi e successivi alla relativa violazione, in M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, Milano, 2017, 158 ss.

    [25] Queste ed altre perplessità sono sollevate da A. Vacca nel contributo Profili strutturali dell’attività di ius dicerenell’abdicazione del diritto di proprietà, op. cit.; i rilievi critici sono in parte condivisi da G. Tropea, Per un inquadramento di sistema della disciplina dell’art. 42 bis DPR n. 327/2001 alla luce della giurisprudenza costituzionale e del giudice amministrativo, op. cit.

    [26] Ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 16 maggio 2022, n. 3827; 11 marzo 2022, n.1746; 28 gennaio 2022, n. 600; 27 dicembre 2021, n. 8628; 2 settembre 2021,  n. 6205; 22 giugno 2021, n. 4790; 12 maggio 2021, n. 3751; , 10 maggio 2021, n. 3611; 5 maggio 2021, n. 3514; 31 marzo 2021, n. 2686; 29 marzo 2021, n. 2595; 21 settembre 2020, n. 5527; Sez. II, 7  gennaio 2022, n. 105; 11 ottobre 2021, n. 6798; 9 aprile 2021, n. 2906; 9 novembre 2020, n. 6863; C.G.A.R.S., 2 febbraio 2022, n. 156; 8 luglio 2021, n. 668; 28 giugno 2021, n. 631; 14 maggio 2021, n. 430; 25 marzo 2021, n. 253; TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 12 aprile 2021, n.523; 11 settembre 2020, n. 985; 20 aprile 2020, n. 470; TAR Sardegna, Sez. II, Cagliari, 30 aprile 2021, n. 314 TAR Campania, Napoli, Sez. V, 19 maggio 2021, n. 3328; 21 luglio 2021, n. 5048; 26 luglio 2021, n. 5221.

    [27] Cass. Civ., sez. I, 6 giugno 2022, nn. 18142, 18143, 18167, 18168; in precedenza, 7 settembre 2020, n. 18566; Sez. III, 11 dicembre 2020, n. 28297

    [28] In termini analoghi, Cass Civ., Sez. I, 7 settembre 2020, n. 18566 aveva ribadito che va condiviso l’orientamento giurisprudenziale favorevole alla rinunciabilità della proprietà (Cass. SS. UU. 735/2015) in quanto “in tema di espropriazione per pubblica utilità, la c.d. occupazione acquisitiva od accessione invertita, che si verifica quando alla dichiarazione di pubblica utilità non segue il decreto di esproprio, è illegittima al pari della cd. occupazione usurpativa, in cui invece manca del tutto detta dichiarazione, ravvisandosi in entrambi i casi un illecito a carattere permanente (inidoneo a comportare l’acquisizione autoritativa alla mano pubblica del bene occupato), che cessa tuttavia in caso di rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente”.


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