GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Legislazione regionale e disciplina della pianificazione urbanistica. Riflessioni a margine di una recente sentenza della Corte costituzionale (nota a Corte cost., 28 ottobre 2021, n. 202)

    Legislazione regionale e disciplina della pianificazione urbanistica. Riflessioni a margine di una recente sentenza della Corte costituzionale (nota a Corte cost., 28 ottobre 2021, n. 202)  di Giuseppe Andrea Primerano

    Sommario: 1. Inquadramento. - 2. La declaratoria di incostituzionalità dell’art. 40-bis della l. reg. Lombardia n. 12/2005. - 3. Intangibilità della funzione comunale di pianificazione urbanistica?

    1. Inquadramento

    La Corte costituzionale è di recente tornata a occuparsi del rapporto tra legislazione regionale e disciplina della pianificazione urbanistica con la sentenza n. 202 del 28 ottobre 2021. Il sindacato verte sulla normativa lombarda relativa al recupero edilizio degli immobili degradati e abbandonati di cui all’art. 40-bis della l. reg. 11 marzo 2005, n. 12, introdotto dalla l. reg. 26 novembre 2019, n. 18, recante misure di semplificazione e incentivazione per la rigenerazione urbana e territoriale[i], nonché per il recupero del patrimonio edilizio esistente, nel testo previgente alle modifiche apportate dalla l. reg. 24 giugno 2021, n. 11[ii].

    Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40-bis citato sono state sollevate con tre analoghe ordinanze (nn. 371, 372 e 373 del 10 febbraio 2021) pronunciate della sezione II del Tar Lombardia nell’ambito di un giudizio promosso da due società, proprietarie di beni immobili situati nel Comune di Milano, concernente la delibera consiliare del 14 ottobre 2019 di approvazione definitiva del nuovo documento di piano e delle varianti del piano dei servizi e del piano delle regole costituenti il piano di governo del territorio. Gli edifici di cui trattasi sono stati inseriti nell’elenco di quelli “abbandonati o degradati” e, come tali, sottoposti alla disciplina dell’art. 11 delle norme di attuazione del piano delle regole. Da ciò discende una grave limitazione del diritto di proprietà in ragione della previsione di termini stringenti per l’avvio dei lavori di recupero dei fabbricati e delle conseguenze in caso di inadempimento.

    Le società ricorrenti contestano la portata applicativa della predetta disciplina asseritamente idonea a introdurre una fattispecie nella sostanza sanzionatoria ed espropriativa e, inoltre, la lesione dell’art. 40-bis della l. reg. Lombardia n. 12/2005 che pone differenti regole cui risultano subordinate le previsioni urbanistiche locali. A divergere sono sia i termini entro cui i proprietari devono attivarsi, sia il regime delle premialità edilizie e del reperimento di aree per servizi ed attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale. In tale scenario, occorre osservare che l’art. 40-bis non opera solo pro futuro, ma riguarda anche gli immobili già qualificati come abbandonati o degradati[iii].

    Circa gli effetti dello ius superveniens rappresentato dalla l. reg. Lombardia n. 11/2021, poi, le modifiche sostanziali della normativa censurata innanzi alla Corte comunque non giustificano la rimessione degli atti al Giudice a quo, posto che le novazioni, da un lato, sono subordinate a una successiva delibera dell’ente locale, ossia una condizione non ancora realizzata, dall’altro lato è prevista, a norma dell’art. 40-bis, comma 11-quinquies, introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. m), della l. reg. Lombardia n. 11/2021, la persistente applicazione dell’originario art. 40-bis in relazione alle richieste di titolo abilitativo per il recupero degli immobili presentate prima dell’entrata in vigore della l. reg. n. 11/2021[iv]. Resta, pertanto, valido il filtro di rilevanza e non manifesta infondatezza svolto dal Tar Lombardia.

    Prima di affrontare le censure nel merito, la Corte costituzionale ha dovuto valutare ulteriori eccezioni di inammissibilità sintetizzabili nei seguenti termini.

    In primo luogo, il Giudice a quo avrebbe omesso di esaminare prioritariamente il vizio di incompetenza del Comune di Milano ad adottare la disciplina di cui all’art. 11 delle suddette norme di attuazione, sì da eludere un principio di diritto affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con riferimento ai poteri amministrativi non ancora esercitati[v]. Ad avviso della Corte, la censura in questione va, in realtà, declinata come violazione di legge e, precisamente, riguarda l’esercizio di un potere sanzionatorio in ambito urbanistico-edilizio non previsto dalla legge, in violazione dell’art. 23 Cost.[vi].

    In secondo luogo, la circostanza per cui l’atto impugnato potrebbe essere annullato per motivi diversi dalla violazione dell’art. 40-bis della l. reg. Lombardia n. 15/2005 non vale di per sé a inficiare il giudizio di rilevanza delle questioni di costituzionalità. L’ammissibilità dello scrutinio, infatti, dipende unicamente dal fatto che la norma censurata appaia necessaria per la definizione del giudizio, dovendosi prescindere dal “senso” degli ipotetici effetti derivanti da una pronuncia sulla costituzionalità della legge[vii].

    In terzo luogo, la Corte respinge l’eccezione sull’omesso tentativo di interpretazione conforme a Costituzione da parte del Giudice a quo, richiamando un consolidato indirizzo in base al quale la valutazione sulla condivisibilità dell’esito interpretativo raggiunto dall’autorità rimettente attiene al merito, ossia alla successiva verifica di fondatezza della stessa questione[viii].

     

     2. La declaratoria di incostituzionalità dell’art. 40-bis della l. reg. Lombardia n. 12/2005

    Nel merito, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 40-bis della l. reg. Lombardia n. 12/2005 introdotto ex art. 4, comma 1, lett. a), della l. reg. n. 18/2019 nel testo vigente prima dell’entrata in vigore della l. reg. n. 11/2021 – e in via conseguenziale, ai sensi dell’art. 27 della l. 11 marzo 1953, n. 87, del comma 11-quinquies dell’art. 40-bis della l. reg. Lombardia n. 12/2005 introdotto ex art. 1, comma 1, lett. m), della l. reg. n. 11/2021 – nella parte in cui compromette la pianificazione urbanistica comunale concepibile quale funzione amministrativa fondamentale ai sensi dell’art. 14, comma 27, lett. d), del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla l. 30 luglio 2010, n. 122, che il legislatore statale ha emanato ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. p), Cost.

    Tale funzione è stata riservata ai comuni in quanto enti di prossimità fin dalla l. 25 giugno 1865, n. 2359, sulle espropriazioni per causa di pubblica utilità, che agli artt. 86 ss. aveva tipizzato il piano regolatore edilizio e il piano di ampliamento: il primo riguardante i centri abitati e il secondo le zone inedificate[ix]. Il sostanziale fallimento del sistema di pianificazione a cascata delineato dalla l. 17 agosto 1942, n. 1150, l’incapacità di riuscire ad approvare una riforma urbanistica in grado di incidere effettivamente sul regime dei suoli[x], la fuga in avanti della legge Bucalossi prontamente arginata dalla Consulta[xi], lo spill over delle tutele di settore e l’avvertita esigenza di innalzare l’asticella della sussidiarietà, ossia di riallocare a livello statale la protezione di taluni interessi indotto da lacune derivanti dall’esperienza regionalista[xii], rappresentano dati che non hanno travolto il suddetto presupposto di fondo, il quale non è stato neppure intaccato dalla più ampia concezione dell’urbanistica accolta dalla giurisprudenza amministrativa[xiii]. In virtù dei principi di sussidiarietà verticale, differenziazione e adeguatezza, d’altronde, è gioco-forza ammettere che l’autodeterminazione comunale sull’assetto e l’utilizzazione degli ambiti urbani non può mai essere vanificata dalla potestà legislativa regionale[xiv]

    Simili argomenti non risultano, invero, sconfessati dalla sentenza in nota, la quale afferma l’incostituzionalità del citato art. 40-bis per violazione degli artt. 5, 117, comma 2, lett. p), e 118, commi 1 e 2, Cost. L’alterazione dell’equilibrio che deve sussistere tra esercizio delle competenze regionali e salvaguardia dell’autonomia comunale, ad avviso della Corte, nella fattispecie emerge sotto più angolazioni. 

    Il riconoscimento di una consistente quota di diritti edificatori – in misura oscillante tra il 20 e il 25 per cento rispetto al manufatto insediato – a chi intraprende interventi di recupero degli immobili dismessi, cui si accompagna l’esenzione generalizzata del reperimento degli standard, nonché l’indiscriminata previsione di deroghe alle norme quantitative, morfologiche, sulle tipologie di intervento e sulle distanze previste dagli strumenti urbanistici costituiscono indici rivelatori dell’illegittimità della norma censurata, idonea a provocare un significativo aumento del carico urbanistico e della pressione insediativa «che per certi aspetti potrebbe risultare poco coerente con le finalità perseguite dalla stessa legge regionale»[xv]. La Consulta sembra quasi constatare una dissociazione tra obiettivi enunciati in linea di principio, quale il contenimento del consumo di suolo attraverso la rigenerazione urbana[xvi], e misure preordinate al loro raggiungimento.

    La lesione del potere di pianificazione urbanistica, peraltro, discende dall’impossibilità per i comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti[xvii] di influire sull’applicazione delle misure incentivanti e delle deroghe introdotte in via legislativa, le quali non risultano assoggettate a termini di efficacia e, quindi, si prestano a «comprimere in modo stabile il potere pianificatorio comunale»[xviii]. Anche per questa via, osserva conclusivamente la Corte, è possibile ricavare come l’art. 40-bis della l. reg. Lombardia n. 12/2005 faccia scadere i comuni a meri esecutori di scelte pianificatorie assunte a livello regionale, in violazione della loro autonomia presidiata dagli artt. 117, comma 1, lett. p), 5 e 118, commi 1 e 2, Cost.

     

     3. Intangibilità della funzione comunale di pianificazione urbanistica?

     Si può pertanto attestare l’intangibilità della funzione comunale di pianificazione urbanistica? Laddove ci si limitasse a una lettura superficiale della sentenza n. 202/2021 si potrebbe rispondere in senso affermativo. In realtà, il quesito presuppone un approfondimento della giurisprudenza costituzionale incaricata, nell’incerto scenario risultante dalla riforma del Titolo V della Costituzione, di trovare un punto di equilibrio tra regionalismo e municipalismo in materia urbanistica.

    In tale prospettiva, in nome della tutela di interessi correlati a una più ampia valutazione di bisogni diffusi sul territorio[xix], la Corte ha affermato che l’autonomia comunale «non implica una riserva intangibile di funzioni, né esclude che il legislatore competente possa modulare gli spazi dell’autonomia municipale»[xx]. In sostanza, non si può ritenere che «il sistema di pianificazione assurga a principio così assoluto e stringente da impedire alla legge regionale – fonte normativa primaria sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali – di prevedere interventi in deroga a tali strumenti»[xxi]

    La vera questione, come si intuisce, concerne la verifica dei parametri da assumere come coordinate per far coesistere ambiti di autonomia regionale e municipale nella materia de qua. È possibile individuarne almeno due.

    Il primo parametro attiene al “test di proporzionalità” il quale non deve tanto considerarsi come giudizio astratto in ordine alla legittimità dell’intervento regionale, quanto invece come concreta valutazione della «esistenza di esigenze generali che possano ragionevolmente giusti­ficare disposizioni legislative limitative delle funzioni già assegnate agli enti locali»[xxii]. Per tornare al caso sottoposto alla Corte, il tema non è tanto appurare se il legislatore regionale possa dettare norme sulla rigenerazione urbana – riconducibile alla competenza concorrente in materia di governo del territorio – ma, piuttosto, valutare se l’esercizio di una simile potestà garantita dall’art. 117, comma 3, Cost. incida in misura ragionevole, ossia rispettando la soglia dell’adeguatezza e della necessità[xxiii], sul potere di pianificazione urbanistica. 

    Ciò nella fattispecie viene escluso, in senso analogo a quanto accaduto nella precedente occasione che ha condotto alla declaratoria di incostituzionalità[xxiv] dell’art. 5, comma 4, della l. reg. Lombardia n. 31/2014 che impediva ai comuni di apportare varianti per ridurre le previsioni e i programmi edificatori nel documento di piano nel periodo necessario all’integrazione dei contenuti del piano territoriale regionale e al successivo adeguamento dei piani territoriali di coordinamento provinciale e di governo del territorio. Anche in quell’occasione il giudizio della Corte si è posto al crocevia tra regionalismo e municipalismo nel rinnovato sistema costituzionale non riguardando, di per sé, l’allocazione della funzione legislativa regionale, ma il relativo esercizio inidoneo a superare il test di proporzionalità rispetto alla tipologia degli interessi coinvolti[xxv].

    Il secondo parametro è quello del “raccordo collaborativo”. In ossequio al principio di leale cooperazione istituzionale, ai comuni deve essere garantita la possibilità di interloquire con il livello di governo superiore ove una scelta di quest’ultimo sia idonea a interferire con una funzione come quella di pianificazione urbanistica.

    È emblematico, in tal senso, il seguente passo della pronuncia in nota: «ai Comuni [lombardi] non è attribuita alcuna possibilità di influire sull’applicazione delle misure incentivanti, sia perché ad essi (ove abbiano una popolazione superiore a 20.000 abitanti) non è attribuita alcuna “riserva di tutela” rispetto ad ambiti del proprio territorio ritenuti meritevoli di una difesa rafforzata del paesaggio, sia perché, ancora prima, la scelta di intervenire con legge regionale li ha ulteriormente privati di qualsiasi compensazione procedurale (quale, in ipotesi, si sarebbe potuta avere in sede di interlocuzione nel corso della procedura di adozione del piano di governo del territorio, ovvero all’atto della pianificazione regionale), con l’effetto di estromettere tali Enti dalle decisioni riguardanti il proprio territorio»[xxvi].

    Come si è condivisibilmente osservato, l’operatività dei principi di adeguatezza e differenziazione, che si affiancano a quello di sussidiarietà verticale, il quale non vale di per sé a privilegiare i livelli di governo locale[xxvii], rappresentano momenti di concretizzazione del principio di pianificazione[xxviii]. Il rispetto di tali principi e la previsione, complementare, di moduli di raccordo intersoggettivo in grado di prevenire situazioni di conflitto o, comunque, di scarsa conoscibilità delle scelte pianificatorie da parte di enti diversi dall’amministrazione di riferimento[xxix], contribuiscono a delineare le regole volte all’individuazione del punto di equilibrio tra regionalismo e municipalismo in materia urbanistica.

    Le disposizioni legislative regionali censurabili sono quelle che prefigurano un assetto idoneo a inficiare oltre quanto necessario la funzione pianificatoria dei comuni, di fatto, privandoli del potere di pervenire a scelte razionali rispetto al programma di sviluppo ideato con i propri strumenti urbanistici[xxx]. La giurisprudenza costituzionale non esclude limitazioni ragionevoli di funzioni, sia pure fondamentali, assegnate agli enti locali e il principio di pianificazione, in un contesto di leale cooperazione istituzionale, va sempre calibrato ai risultati che la pubblica amministrazione è chiamata a perseguire anche in ambito urbanistico[xxxi].

     


    [i] Cfr. P. Lombardi, Il governo del territorio in Lombardia dopo la l.r. n. 18/2019: tra rigenerazione urbana e territoriale e consumo del suolo, in Scritti per Franco Gaetano Scoca, vol. III, Napoli, 2020, 3079 ss., sulle nozioni di “rigenerazione urbana” – da intendersi come «insieme coordinato di interventi urbanistico-edilizi e di iniziative sociali (…) in un’ottica di sostenibilità e di resilienza ambientale e sociale, di innovazione tecnologica e di incremento della biodiversità dell’ambiente urbano» (lett. e) – e “rigenerazione territoriale” – consistente in un «insieme coordinato di azioni, generalmente con ricadute sovralocali, finalizzate alla risoluzione di situazioni di degrado urbanistico, infrastrutturale, ambientale, paesaggistico o sociale» volte a «prevenire conseguenze negative per la salute umana, gli ecosistemi e le risorse naturali» (lett. e-bis) – ai sensi dell’art. 2 della l. reg. Lombardia n. 31/2014, s.m.i. L’A. si sofferma sui concetti di “sostenibilità”, “resilienza” e, più in generale, sulla dimensione sociale nei processi di rigenerazione, in relazione ai quali, a livello monografico, si veda A. Giusti, La rigenerazione urbana, Napoli, 2018. 

    [ii] L’art. 40-bis della l. reg. Lombardia n. 12/2005 recante «disposizioni relative al patrimonio edilizio dismesso con criticità», come modificato dalla l. reg. n. 11/2021, presenta sicuro interesse nell’ambito della normativa lombarda sulla rigenerazione urbana. Spetta ai comuni, con delibera consiliare da adottare entro la data del 31 dicembre 2021 suscettibile di aggiornamento, individuare gli immobili dismessi da almeno un anno dall’entrata in vigore della l. reg. n. 11/2021 (nella delibera si possono includere gli immobili già individuati come abbandonati e degradati negli strumenti urbanistici) che causano criticità per uno o più dei seguenti aspetti: salute, sicurezza idraulica, problemi strutturali che ne pregiudicano la sicurezza, inquinamento, degrado ambientale, urbanistico-edilizio e sociale. Nei successivi tre anni, i proprietari di tali immobili sono tenuti ad attivarsi ai fini del recupero. Le ragioni della predetta individuazione vanno notificate ai proprietari prima della delibera, affinché questi ultimi, entro trenta giorni, possano dimostrare la carenza dei presupposti richiesti dalla norma. Tramite perizia asseverata giurata, inoltre, i privati possono indicare elementi utili ai fini dell’applicazione dell’art. 40-bis: decorso il termine di sessanta giorni, la loro istanza si intende approvata. I consigli comunali, entro la medesima data sopra menzionata, possono individuare – a prescindere dal numero degli abitanti (v. infra) – gli ambiti del proprio territorio «ai quali non si applicano le disposizioni di cui ai commi 5, 6 e 10 del presente articolo, in relazione a motivate ragioni di tutela paesaggistica, comunque ulteriori rispetto a eventuali regole morfologiche previste negli strumenti urbanistici, che nel concreto dimostrino l’insostenibilità degli impatti generati da tali disposizioni rispetto al contesto urbanistico ed edilizio in cui si collocano gli interventi», fermo restando che «non è comunque consentita l’esclusione generalizzata delle parti di territorio ricadenti nel tessuto urbano consolidato o comunque urbanizzato». I commi dell’art. 40-bis poc’anzi citati prevedono incentivi agli interventi di recupero che vanno dal riconoscimento di diritti edificatori (commi 5 e 6) a deroghe alle norme quantitative, morfologiche, sulle tipologie di intervento, sulle distanze previste dagli strumenti urbanistici comunali vigenti e adottati ed ai regolamenti edilizi (comma 10).

    [iii] Vedi il punto 4.1 del Considerato in diritto della sentenza in nota.

    [iv] Vedi il punto 8.2 del Considerato in diritto della sentenza in nota.

    [v] Cons. Stato, ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5, con nota di L.R. Perfetti - G. Tropea, “Heart of darkness”: l’Adunanza Plenaria tra ordine di esame e assorbimento dei motivi, in Dir. proc. amm., 2016, 205 ss., e di A. Travi, Recenti sviluppi sul principio della domanda nel giudizio amministrativo, in Foro it., 2015, III, 286 ss.

    [vi] «Non può quindi ritenersi manifestamente implausibile o incongrua la scelta del rimettente di modificare l’ordine di trattazione dei motivi di ricorso (sentenze n. 120 del 2019 e n. 188 del 2018), dando rilievo assorbente al contrasto con la disciplina legislativa, in quanto idoneo a determinare l’annullamento in toto delle norme regolamentari di piano e quindi “la più radicale illegittimità dedotta”» (Corte cost. n. 202/2021).

    [vii] Cfr. Corte cost., 9 febbraio 2021, n. 15.

    [viii] Cfr., ex multis, Corte cost., 12 luglio 2021, n. 150; Id., 5 maggio 2021, n. 89; Id., 9 marzo 2021, n. 32.

    [ix] Per l’esattezza già la l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. A, aveva riservato ai consigli comunali il potere di adottare «regolamenti di igiene, edilità e polizia locale» (art. 87). Dei regolamenti edilizi, ai sensi dell’art. 70, n. 3, del r.d. 8 giugno 1865, n. 2321, potevano essere oggetto «i piani regolatori dell’ingrandimento e di livellazione, o di nuovi allineamenti delle vie, piazze o passeggi pubblici».

    [x] Naufragata la proposta (1962) di Fiorentino Sullo di “parificare” le posizioni proprietarie attraverso una riserva al Comune di tutte le aree di espansione, da concedere ai privati solo in diritto di superficie, l’ultimo tentativo di riforma organica del sistema di pianificazione urbanistica è rappresentato dalla l. 6 agosto 1967, n. 765 (legge ponte), sulla cui base sono stati adottati gli standard disciplinati con d.m. 2 aprile 1968, n. 1444.

    [xi] Il riferimento si intende effettuato alla concessione edilizia disciplinata dalla l. 28 gennaio 1977, n. 10, e alla sentenza della Consulta n. 5 del 30 gennaio 1980, in base alla quale «il diritto di edificare continua ad inerire alla proprietà e alle altre situazioni che comprendono la legittimazione a costruire».

    [xii] A partire dalla l. 8 agosto 1985, n. 431, di conversione del d.l. 27 giugno 1985, n. 312, meglio nota come legge Galasso, la tutela degli interessi c.d. sensibili si è espansa in modo direttamente proporzionale alla crisi dell’urbanistica (di “supplenza” delle tutele di settore parla P. Carpentieri, Il “consumo” del territorio e le sue limitazioni. La “rigenerazione urbana”, in www.federalismi.it, n. 1/2020, 11). Per quanto, in particolare, concerne la tutela paesaggistica, la sua impronta unitaria è stata anche di recente valorizzata dalla sentenza della Corte costituzionale che ha annullato il piano paesistico della Regione Lazio approvato con del. 2 agosto 2019, n. 5, del consiglio regionale senza il previo coinvolgimento del Mibact, donde la lesione del principio di leale collaborazione (Corte cost., 17 novembre 2020, n. 240).

    [xiii] Cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 9 maggio 2018, n. 2780; Id., 18 agosto 2017, n. 4037; Id., 10 maggio 2012, n. 2710.

    [xiv] Cfr. Corte cost., 8 aprile 1997, n. 83. 

    [xv] Corte cost. n. 202/2021. 

    [xvi] Alla l. reg. Lombardia n. 18/2019 si devono pure alcune modifiche e integrazioni alla l. reg. Lombardia 28 novembre 2014, n. 31, recante «disposizione per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato», i cui contenuti, sotto il profilo del contrasto all’impermeabilizzazione di tale risorsa naturale produttiva di servizi ecosistemici, sono stati valorizzati da A. Calegari, Le leggi regionali sul consumo di suolo, in P. Stella Richter (a cura di), Verso le leggi regionali di quarta generazione, Milano, 2019, 191 ss. Cfr., inoltre, P. Chirulli, La pianificazione urbanistica tra esigenze di sviluppo e riduzione del consumo di suolo: la riqualificazione dell’esistente, in Riv. giur. urb., 2015, 606 ss.

    [xvii] Merita al riguardo ricordare che il disposto dell’art. 40-bis della l. reg. Lombardia n. 12/2005 è stato oggetto di modifiche ad opera dell’art. 1 della l. reg. n. 11/2021, in base al quale ha assunto rilievo l’attribuzione a tutti i comuni – non più soltanto a quelli con popolazione inferiore a 20.000 abitanti – della facoltà di individuare gli ambiti del proprio territorio ai quali non si applicano le disposizioni di cui ai commi 5, 6 e 10 dell’art. 40-bis.

    [xviii] Così sempre Corte cost. n. 202/2021, la quale rileva l’unica e circoscritta eccezione dell’incremento dei diritti edificatori riconosciuto dall’art. 40-bis, comma 5, ult. per., della l. reg. Lombardia n. 12/2005 ai proprietari degli immobili in caso di demolizione applicabile per un periodo massimo di dieci anni dalla data di individuazione del bene come dismesso.

    [xix] Si veda già Corte cost., 27 luglio 2000, n. 378.

    [xx] Corte cost., 7 luglio 2016, n. 160.

    [xxi] Corte cost., 27 dicembre 2018, n. 245, in linea a Corte cost., 13 marzo 2014, n. 46.

    [xxii] Corte cost., 30 luglio 1997, n. 286. 

    [xxiii] Si veda Corte cost., 23 giugno 2020, n. 119: «nelle delicate verifiche di funzionamento del principio di sussidiarietà verticale tra l’autonomia comunale e quella regionale, il giudizio di proporzionalità deve traguardare i singoli assetti normativi, nel loro peculiare e mutevole equilibrio». Nel caso di specie, la Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 64 della l. reg. Veneto 30 dicembre 2016, n. 30, in quanto «gli interventi in deroga che la norma stessa consente, da un lato, soddisfano interessi pubblici di dimensione sovracomunale, dall’altro (…) non comprimono l’autonomia comunale oltre la soglia dell’adeguatezza e della necessità».

    [xxiv] Corte cost., 31 luglio 2019, n. 179.

    [xxv] La sottrazione, sia pure temporanea, ai comuni della potestà pianificatoria, anziché apparire il “minimo mezzo” per raggiungere gli obiettivi delineati a livello regionale, innanzitutto quello di riduzione del consumo di suolo, appare contraddittoria agli stessi: la rigidità della norma censurata, secondo la Corte, si dimostra «tale da incidere in modo non proporzionato sull’autonomia dell’ente locale, non solo perché impedisce la rivalutazione delle esigenze urbanistiche in precedenza espresse (…), ma soprattutto perché, al tempo stesso, la preclude quando questa sia rivolta alla protezione degli stessi interessi generali sottostanti alle finalità della legge regionale e quindi coerenti con queste» (Corte cost. n. 179/2019).

    [xxvi] Corte cost. n. 202/2021, che sul punto richiama Corte cost., 26 novembre 2002, n. 478.

    [xxvii] Si veda M. Renna, L’allocazione delle funzioni normative e amministrative, in G. Rossi (a cura di), Dirittodell’ambiente, Torino, 2021, 151, il quale osserva che «applicare il principio di sussidiarietà, invero, non significa affatto privilegiare incondizionatamente i livelli di governo locali nella distribuzione delle competenze (…). Il principio di sussidiarietà verticale ha in realtà una valenza intrinsecamente e fisiologicamente ambivalente, poiché, a seconda dell’ampiezza e della consistenza delle funzioni che devono essere conferite, la sua applicazione può sospingere dette funzioni sia “verso il basso” che “verso l’alto”».

    [xxviii] P.L. Portaluri, Il principio di pianificazione, in M. Renna - F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, 468.

    [xxix] In tal senso v. ancora P.L. Portaluri, Il principio di pianificazione, cit., 469.

    [xxx] Sulla portata del principio di pianificazione urbanistica, da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 13 aprile 2021, n. 2999, secondo cui compete ai comuni non solo l’individuazione delle potenzialità edificatorie delle aree, ma in termini più generali «la possibilità di realizzare anche finalità economico-sociali della comunità locale (non in contrasto ma anzi in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato) nel quadro di rispetto e positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati».

    [xxxi] Cfr. M. Immordino - A. Police (a cura di), Principio di legalità e amministrazione di risultati (Atti del Convegno, Palermo, 27-28 febbraio 2003), Torino, 2004.


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