GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Il termine dei motivi aggiunti in materia di contratti pubblici e l’incertezza della Corte Costituzionale

    Il termine dei motivi aggiunti in materia di contratti pubblici e l’incertezza della Corte Costituzionale (nota a Corte Cost. 28 ottobre 2021, n. 204) di Antonella Mirabile

    Sommario. 1. Premessa: la questione del termine di impugnazione in materia di appalti pubblici. – 2. Il contesto normativo. – 3. La questione rimessa alla Corte Costituzionale e le motivazioni a sostegno del rigetto. – 4. Considerazioni conclusive.

    1.- Premessa: la questione del termine di impugnazione in materia di appalti pubblici.

    La Corte Costituzionale, su ordinanza di rimessione del Tar Puglia - Lecce[1], con la sentenza del 28 ottobre 2021, n. 204 è tornata ad affrontare la questione relativa al termine di impugnazione degli atti delle procedure di gara per l’affidamento di contratti pubblici di appalto e di concessione di lavori, servizi e forniture[2].

    Le questioni attinenti al termine decadenziale di impugnazione hanno, in generale, da sempre sollevato molteplici riflessioni dottrinali[3].

    Con riguardo, poi, alla materia dei contratti pubblici la questione ha sollecitato molteplici pronunce[4] e l’interesse dottrinale[5] a fronte anche della accelerazione dei termini previsti per tale rito speciale.

    La Consulta, con la sentenza in commento, sembra aver dato la stura all’interpretazione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 12/2020, sancendone in via definitiva la conformità all’articolo 24 della Costituzione.

    Tale pronuncia merita, tuttavia, di essere analizzata criticamente poiché, come si avrà modo di evidenziare nel prosieguo, il dato testuale dell’articolo 120, comma 5, c.p.a., oltre che la vigente disciplina sostanziale, in assenza del necessario intervento legislativo, lasciano tutt’ora aperte alcune questioni di compatibilità con il diritto europeo e, in particolare, con la direttiva 2007/66/CE, le quali vanno ad incidere non solo sugli aspetti processuali, ma anche e, soprattutto, su quelli sostanziali.

     

    2.- Il contesto normativo.

     Per comprendere appieno i termini della questione esaminata dalla Consulta nella sentenza in commento è necessario preliminarmente chiarire il relativo contesto normativo.

    La materia dei contratti pubblici ha una spiccata matrice europea ed è anzi pressoché la sola materia nella quale il legislatore europeo si è spinto a disciplinare non solo gli aspetti sostanziali, ma anche quelli processuali.

    Con le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE (le c.d. “direttive ricorsi”), così come modificate dalla direttiva 2007/66/CE e dalla direttiva 2014/23/UE, il legislatore europeo è andato a disciplinare, in tale materia, gli aspetti relativi alla proposizione di ricorsi al fine precipuo di garantirne l’effettività della tutela e, in questo modo, assicurare il rispetto della normativa sostanziale da parte degli Stati membri, dando di fatto vita ad una giurisdizione di tipo oggettivo[6].

    Uno degli elementi centrali nella disciplina europea, tanto sostanziale quanto processuale, è rappresentato dalla necessità di garantire un notevole aumento delle garanzie di trasparenza e non discriminazione in tale materia. Per far sì che tali garanzie avessero effetti concreti, il legislatore europeo ha ritenuto che dovessero essere previsti mezzi di ricorso efficaci e rapidi in caso di loro violazione[7].

    La questione relativa al termine per proporre ricorso, in particolare, è stata presa in esame dalla direttiva 2007/66, soprattutto con riferimento alla necessità di avere un termine certo per superare una delle criticità riscontrate nell’applicazione delle direttive ricorsi, vale a dire «l’assenza di un termine che consenta un ricorso efficace tra la decisione d’aggiudicazione di un appalto e la stipula del relativo contratto»[8].

    La previsione di un termine certo per proporre il ricorso, difatti, ha una valenza non solo processuale, ma anche e soprattutto di natura sostanziale.

    Proprio a partire dalla riforma del 2007, per ovviare agli effetti lesivi e irreversibili della immediata stipulazione del contratto a seguito dell’aggiudicazione, è stato introdotto il c.d. stand still period[9], vale a dire un termine «sospensivo»[10] tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto. Questo termine dilatorio è stato previsto proprio per «concedere agli offerenti interessati sufficiente tempo per esaminare la decisione d’aggiudicazione dell’appalto e valutare se sia opportuno avviare una procedura di ricorso»[11].

    Il termine per proporre il ricorso, sia nelle direttive, sia nella giurisprudenza della Corte di Giustizia[12], dovrebbe cominciare a decorrere dalla comunicazione dell’aggiudicazione solo se tale comunicazione contiene le motivazioni specifiche che hanno determinato tale scelta, di modo che l’interessato possa rendersi conto degli eventuali vizi della procedura e dell’aggiudicazione e, quindi, decidere in maniera consapevole se impugnare o meno la decisione ad esso sfavorevole.

    Nell’ordinamento italiano, fino al recepimento della direttiva del 2007, con il d.lgs. 53/2010, ai sensi dell’art. 23-bis della l. Tar, anche al rito abbreviato per le controversie inerenti le procedure di affidamento di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture si applicava il termine di impugnazione generale di 60 giorni, decorrenti dalla notifica del provvedimento ovvero dal momento della piena conoscenza o, nel caso degli atti per i quali non era richiesta la notifica individuale, dalla scadenza del termine della pubblicazione nell'albo.

    Con il recepimento[13], ad opera del d.lgs. 53/2010, della direttiva del 2007 è stato modificato l’articolo 245 del d.lgs. 163/2006 (di seguito “primo codice appalti”) sugli strumenti di tutela. Con tale modifica, pur continuandosi ad applicare il rito abbreviato di cui all’art. 23-bis della l. Tar, veniva prevista, al comma 2-quinquies, la riduzione del termine di impugnazione a 30 giorni, decorrenti dalla comunicazione degli atti ai sensi dell’art. 79 del medesimo codice ovvero con riferimento all’impugnazione dei bandi o degli avvisi, autonomamente lesivi, dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di cui all’art. 66, comma 8.

    Il d.lgs. 53/2010, peraltro, introduceva proprio all’art. 79 una forma di accesso informale agli atti di gara stabilendo, al comma 5-quater[14], che i partecipanti alla gara entro 10 giorni dal ricevimento delle previste comunicazioni[15] potessero prendere visione ed estrarre copia della documentazione semplicemente recandosi presso gli uffici dell’amministrazione.

    Sempre nel 2010, con il d.lgs. 104/2010 e, quindi, con l’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo (di seguito c.p.a.) le norme di carattere processuale sono confluite in quest’ultimo e, pertanto, per la disciplina dei giudizi in materia di contratti pubblici le disposizioni di riferimento sono confluite negli articoli 119 e 120 e seguenti, mantenendo di fatto la configurazione di un rito abbreviato comune ad altre materie con la peculiarità della riduzione del termine di impugnazione a 30 giorni[16].

    Per la determinazione del dies a quo il c.p.a. rinviava e, tutt’ora rinvia, alla disciplina sostanziale delle comunicazioni e pubblicazioni di cui detto sopra, salvo il criterio residuale - «negli altri casi» - della decorrenza dalla conoscenza dell’atto.

    Già in questa fase di relativa chiarezza normativa, la dottrina[17] e la giurisprudenza[18] ravvisavano delle perplessità riguardo, essenzialmente, la sussistenza di una sorta di onere di ricorrere “al buio”, vale a dire prima di avere la piena conoscenza degli eventuali vizi della procedura.

    Per contemperare, quindi, la necessità di garantire l’effettività della tutela e, al contempo, la certezza del diritto, si era andata consolidando in giurisprudenza una interpretazione di tali disposizioni maggiormente garantista, la quale distingueva, per l’individuazione del termine e del dies a quo, a seconda della completezza ed esaustività della comunicazione di aggiudicazione ex art. 79 del primo codice appalti, arrivando a consentire un incremento del termine di impugnazione di massimo 10 giorni, pari ai giorni necessari per poter avere una piena conoscenza degli atti tramite l’accesso informale di cui all’art. 79, comma 5-quater[19].

    Qualora, poi, l’accesso fosse stato illegittimamente rifiutato o dilazionato per causa dell’amministrazione, il termine avrebbe cominciato a decorrere solo dalla data in cui l’accesso era stato effettivamente consentito[20].

    L’entrata in vigore del d.lgs. 50/2016 (secondo codice contratti pubblici) ha complicato ulteriormente il quadro normativo[21]. Difatti, pur abrogando integralmente il primo codice e, quindi, anche le norme alle quali l’art. 120, comma 5 c.p.a. rinviava per determinare il termine di impugnazione, il legislatore non è intervenuto a modificare tale ultima disposizione normativa in modo tale da coordinare i testi normativi e, quindi, consentire di individuare in maniera certa il termine di impugnazione e il momento della sua decorrenza.

    Peraltro, a fronte del mancato coordinamento legislativo, ulteriore elemento di complicazione è venuto dal fatto che sia stata abolita dal nuovo codice la procedura di accesso informale che prima era prevista dall’art. 79, comma 5-quater[22] e che, come visto, aveva consentito alla giurisprudenza di estendere il termine di impugnazione fino a 40 giorni.

    Come ormai di sovente accade, ancora una volta è stata la giurisprudenza a doversi fare carico delle mancanze del legislatore[23].

    Al riguardo, si sono venuti a formare due distinti ed opposti orientamenti giurisprudenziali. Un primo, rimanendo nel solco della giurisprudenza che si era consolidata prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 50/2016, ha ritenuto che il richiamo all’art. 79 del primo codice dei contratti dovesse, ora, intendersi rivolto all’art. 76 e che a fronte del diverso contenuto delle due norme comunque si sarebbe dovuta riconoscere ai ricorrenti una dilazione temporale da determinarsi in 15 giorni, quale termine previsto dal nuovo codice per la comunicazione delle ragioni dell’aggiudicazione su istanza dell’interessato[24].

    Il secondo orientamento, al contrario, ha ritenuto che l’abrogazione dell’art. 79 del primo codice abbia reso irrilevante il richiamo ad esso contenuto nell’art. 120, comma 5, c.p.a.. Questo avrebbe comportato che il termine di 30 giorni dovrebbe decorrere dalla comunicazione di aggiudicazione o, in sua mancanza, dalla conoscenza dell’aggiudicazione che l’interessato abbia acquisito aliunde. L’effettività della tutela, secondo questa interpretazione, sarebbe fatta salva dalla possibilità di proporre motivi aggiunti qualora la conoscenza dei vizi dell’aggiudicazione sia avvenuta in un momento successivo rispetto alla comunicazione[25].

    Nel quadro, tutt’altro che chiaro determinato dal mancato necessario coordinamento legislativo, venivano chiamate - tra l’altro a distanza di un mese l’una dall’altra - a sciogliere tale questione sia la Corte costituzionale sia l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato[26].

    L’Adunanza Plenaria, pur segnalando al Consiglio dei Ministri la necessità di una modifica legislativa, si è comunque pronunciata con la sentenza del 2 luglio 2020, n. 12 andando a delineare i principi di diritto da seguire nell’interpretazione dell’immodificato disposto dell’art. 120, comma 5 c.p.a., i quali di fatto rimangono nel solco dell’interpretazione giurisprudenziale antecedente al d.lgs. 50/2016.

    In particolare, la Plenaria ha affermato i seguenti principi di diritto: «a) il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione decorre dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, tra cui devono comprendersi anche i verbali di gara, ivi comprese le operazioni tutte e le valutazioni operate dalle commissioni di gara delle offerte presentate, in coerenza con la previsione contenuta nell’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016;

     b) le informazioni previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76 del d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati ovvero per accertarne altri, consentono la proposizione non solo dei motivi aggiunti, ma anche di un ricorso principale;

    c) la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara comporta la ‘dilazione temporale’ quando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta;

    d) la pubblicazione degli atti di gara, con i relativi eventuali allegati, ex art. 29 del decreto legislativo n. 50 del 2016, è idonea a far decorrere il termine di impugnazione;

    e) sono idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione dell’atto di aggiudicazione le forme di comunicazione e di pubblicità individuate nel bando di gara ed accettate dai partecipanti alla gara, purché gli atti siano comunicati o pubblicati unitamente ai relativi allegati».

     

     3.- La questione rimessa alla Corte Costituzionale e le motivazioni a sostegno del rigetto.

    Per quanto riguarda la Corte Costituzionale la sentenza 28 ottobre 2021, n. 204, oggetto di commento in questa sede, è stata sollecitata dal Tar Puglia, Lecce, con particolare riferimento al termine per la proposizione di motivi aggiunti.

    Il Tar Lecce ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 120, comma 5, c.p.a. nella parte in cui tale norma faceva (e fa tutt’ora) decorrere il termine di trenta giorni per la proposizione dei motivi aggiunti dalla ricezione della comunicazione dell’aggiudicazione di cui all’art. 79 del d. lgs. n. 163/2006, per contrasto con il diritto di difesa e il principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 della Costituzione, «poiché equiparando il termine per la proposizione dei motivi aggiunti a quello per la proposizione del ricorso, impedisce di fatto la tutela giurisdizionale della parte ricorrente avverso i vizi di legittimità del provvedimento di aggiudicazione rivelati dagli atti e dai documenti successivamente conosciuti».

    Nel caso oggetto di giudizio, difatti, la società ricorrente, a seguito della comunicazione di aggiudicazione di un appalto di servizi a favore della controinteressata, datato 29 maggio 2019, impugnava tempestivamente, con ricorso ex art. 120 c.p.a, gli esiti di tale gara.

    Fin dal 30 maggio 2019 la ricorrente chiedeva di accedere agli atti di gara, accesso che la stazione appaltante consentiva solo il 15 luglio successivo.

    A seguito dell’accesso, la società ricorrente proponeva ricorso per motivi aggiunti notificandolo in data 31 luglio 2019.

    Tali motivi aggiunti, secondo il Tar Lecce, in applicazione del disposto, ritenuto incostituzionale, dell’art. 120, comma 5, c.p.a., sarebbero stati tardivi poiché anche per essi il dies a quo di decorrenza del termine di impugnazione sarebbe stato il 29 maggio, quale data della comunicazione di aggiudicazione.

    Il Tar, difatti, riteneva di essere vincolato all’applicazione di tale disposizione nell’univoco senso espresso dalla lettera della stessa, la quale riconnetterebbe la decorrenza del termine, sia per il ricorso principale sia per i motivi aggiunti, alla sola ricezione della comunicazione di aggiudicazione inviata agli operatori concorrenti alla gara ai sensi dell’abrogato art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006.

    Tuttavia, dal momento che i vizi da porre a base dei motivi aggiunti ben potrebbero essere conosciuti solo in data successiva a tale ricezione, in forza dell’accesso agli atti di gara, tale regime processuale sarebbe palesemente in contrasto con l’art. 24 Cost., perché, comportando la decorrenza del termine per la proposizione dei motivi aggiunti in un momento antecedente alla effettiva cognizione del vizio, impedirebbe “di fatto” la tutela giurisdizionale.

    Il giudice a quo riteneva di non poter operare una interpretazione costituzionalmente orientata dal momento che «se è vero che il giudice deve interpretare le leggi in conformità ai principi costituzionali, applicando direttamente la Costituzione, quando ciò sia tecnicamente possibile - e, quindi, potendo (o meglio dovendo) trovare un significato meno prossimo alla “lettera” della legge ove questo assicuri maggiore conformità alla “lettera” e allo “spirito” della Costituzione e rimettendo la decisione alla Corte costituzionale ove non sia possibile un’interpretazione “adeguatrice” - ciò non significa, però, che la cosiddetta “lettera” possa essere travalicata attraverso l’interpretazione, al punto di pervenire ad una vera e propria “disapplicazione” del testo normativo».

    La Corte Costituzionale, tuttavia, ha ritenuto non fondata la questione sollevata dal Tar Lecce.

    In primo luogo, ha ritenuto che non sussistesse alcuno ostacolo alla praticabilità dell’interpretazione adeguatrice di tale disposizione, come dimostrato dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

    Difatti, il richiamo all’articolo 79 del d.lgs 163/2006 contenuto al comma 5, dell’art. 120 c.p.a., oggi da riferirsi all’art. 76 del d.lgs. 50/2016, non sarebbe riferito solo alla comunicazione di aggiudicazione, ma anche a tutte le informazioni successive. Il rinvio al testo integrale della disposizione e, dunque anche alle attività conseguenti alla (eventuale) richiesta di accesso, consentirebbe di «ricondurre nel cerchio delle interpretazioni compatibili con la lettera della legge, secondo il contesto logico-giuridico al quale pertiene la norma, la lettura che impone una dilazione temporale, correlata all’esercizio dell’accesso nei quindici giorni previsti attualmente dall’art. 76 del vigente “secondo” cod. dei contratti pubblici (e, in precedenza, ai dieci giorni indicati invece dall’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici)»[27].

    Sia consentito, tuttavia, rilevare sin da ora, come la Corte Costituzionale non abbia correttamente letto la pronuncia della Plenaria[28], laddove è stato evidenziato dai giudici di Palazzo Spada come l’articolo 76 del nuovo codice dei contratti non preveda una forma di accesso informale ai documenti, bensì la mera comunicazione, su richiesta scritta dell’offerente, della motivazione della decisione assunta.

    Il termine di 15 giorni contenuto nell’art. 76, comma 2 è stato, difatti, creativamente[29] e in maniera non del tutto chiara[30] utilizzato dalla Plenaria per individuare, da un lato, un termine entro il quale l’amministrazione dovrebbe rispondere all’accesso informale ex art. 5 del d.P.R. n. 184 del 2006 , per poter conseguentemente applicare la dilazione del termine di impugnazione ovvero per individuare comportamenti dell’amministrazione aggiudicatrice idonei ad impedire l’accesso agli atti e, quindi, idonei a far decorrere il termine solo dal momento della conoscenza di tali atti e, dall’altro lato, sembra essere stato utilizzato per individuare il termine entro il quale l’operatore economico debba instare per accedere agli atti.

    La Consulta ha, poi, affermato che contrariamente a quanto sostenuto dal giudice a quo l’abrogazione dell’articolo 79 non rappresenta un ostacolo all’applicabilità dell’articolo 76 dal momento che «la lettera della legge, per la parte in cui dispone un rinvio ad una disposizione successivamente abrogata, non è un ostacolo, ma al contrario il punto di partenza che onera l’interprete del compito di assegnare alla norma il significato che essa acquisisce, a seguito dell’abrogazione della disposizione oggetto di rinvio»[31].

    Il riferimento all’articolo 76 sarebbe comunque da riferirsi secondo la Corte non solo al secondo comma, ma anche al primo. Si confermerebbe in questo modo l’articolata interpretazione prospettata dall’Adunanza Plenaria secondo la quale il termine inizierebbe a decorrere dalla comunicazione di aggiudicazione, fatto salvo il meccanismo della dilazione temporale.

    Per queste ragioni non vi sarebbe, contrariamente a quanto affermato dal giudice a quo, «alcun impedimento letterale o logico ad adottare l’interpretazione della norma censurata propugnata dalla giurisprudenza amministrativa maggioritaria, avvallata dalla Adunanza plenaria».

    La Corte, superato lo “scoglio” dell’impedimento letterale – che a giudizio di chi scrive avrebbe dovuto essere maggiormente approfondito e della cui superabilità si dubita fortemente[32] - è venuta ad esaminare la conformità al disposto dell’art. 24 Cost. del termine di proposizione dei motivi aggiunti.

    A questo proposito, la Consulta ha osservato che «prevedere che il termine di decadenza per proporre i motivi aggiunti maturi, nonostante il vizio non fosse conoscibile mediante l’impiego della ordinaria diligenza, comporterebbe una arbitraria e irragionevole compressione del diritto di agire (ex plurimis, sentenze n. 271 del 2019 e n. 94 del 2017)».

    Una previsione di questo tipo sarebbe in contrasto anche con il diritto europeo il quale invece «esige che il termine per proporre ricorso decorra dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della illegittimità che intende denunciare (Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 28 gennaio 2010, in causa C-406/08, Uniplex, UK, Ltd, e ordinanza 14 febbraio 2019, in causa C-54/18, Cooperativa Animazione Valdocco S.C.S. Impresa sociale Onlus), formulando così una regola che, in tale settore, concerne sia il ricorso principale, sia la proposizione di motivi aggiunti».

    La Corte ha, quindi, ritenuto che l’interpretazione dell’art. 120, comma 5 avallata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato sia compatibile con l’art. 24 Cost. e con il diritto UE poiché «assicura, mediante il meccanismo della cosiddetta dilazione temporale per i casi di accesso tempestivamente soddisfatto dall’amministrazione, che il termine per proporre i motivi aggiunti, pur decorrendo, per l’ipotesi prevista dalla disposizione censurata, dalla data di comunicazione dell’aggiudicazione, sia ugualmente pieno.

    Parimenti, per il caso in cui l’amministrazione, invece, neghi l’accesso o lo procrastini con condotte

    dilatorie, il termine, secondo tale lettura esegetica, decorre, quanto ai vizi non percepibili innanzi, dalla data di effettiva conoscenza degli atti di gara, sicché con ciò si assicura alla parte ricorrente di poter usufruire dei trenta giorni assegnati dall’art. 120 cod. proc. amm. per articolare le proprie censure in giudizio».

     

    4.- Considerazioni conclusive.

    Il giudizio sulla pronuncia in commento non può essere di certo positivo.

    Essa rappresenta l’ennesima occasione persa per modificare una norma assolutamente non chiara e del pari per sanzionare un legislatore non solo inerte, ma di fatto assolutamente non intenzionato ad intervenire per rendere l’imprescindibile coordinamento legislativo a distanza di ormai ben 5 anni dalla avvenuta abrogazione del d.lgs. 163/2006 ad opera del d.lgs. 50/2016.

    Difatti, come ricordato, il Consiglio di Stato, ha doverosamente segnalato al Consiglio dei Ministri tale mancanza di coordinamento, ai sensi dell’art. 58 del R.D. 444/1942[33], evidenziando la necessità che venisse disposta «una modifica legislativa ispirata alla necessità che vi sia un ‘sistema di termini di decadenza sufficientemente preciso, chiaro e prevedibile’, disciplinato dalla legge con disposizioni di immediata lettura da parte degli operatori cui si rivolgono le direttive dell’Unione Europea»[34]. Tuttavia, a distanza di più di un anno dalla segnalazione del Consiglio di Stato e a fronte di molteplici interventi normativi (l’ultimo dei quali con d.l. 77/2021 c.d. “semplificazioni bis”, convertito, con modificazioni, nella legge 108/2021), intervenuti sia sulla disciplina sostanziale di cui al d.lgs. 50/2016 sia su quella processuale, risulta evidente l’intento del legislatore di scoraggiare i ricorsi in materia di contratti pubblici, anche sotto il profilo dei termini di impugnazione[35].

    Il termine di impugnazione di cui all’art. 120, comma 5, c.p.a., nonostante e anche a causa dell’interpretazione creativa del giudice amministrativo, continua ad essere tutt’altro che preciso, chiaro e prevedibile come invece richiederebbe la pacifica giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo la quale - come correttamente rilevato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato - «gli Stati membri hanno l’obbligo di istituire un sistema di termini di decadenza sufficientemente preciso, chiaro e prevedibile, onde consentire ai singoli di conoscere i loro diritti ed obblighi (Corte di Giustizia, 14 febbraio 2019, in C-54/18, punto 29; 7 novembre 1996, in C-221/94, punto 22; 10 maggio 1991, in C-361/88)».

    Nell’interpretazione dell’Adunanza Plenaria n. 12/2020, così come avallata dalla Corte Costituzionale, né il termine stesso né il momento da cui tale termine comincerebbe a decorrere si può dire chiaro, preciso o prevedibile.

    A seconda del comportamento più o meno diligente delle parti il termine di impugnazione può, difatti, variare dai 30 ai 45 giorni.

    L’art. 76 del nuovo codice dei contratti pubblici, a differenza dell’art. 79 del primo codice[36], non prevede un contenuto minimo della comunicazione di aggiudicazione né, tantomeno, un termine entro il quale esercitare l’accesso informale alla documentazione di gara.

    Ne consegue che, secondo l’interpretazione accolta dal Consiglio di Stato e dalla Corte Costituzionale, il termine di 30 giorni comincerà a decorrere dalla comunicazione di aggiudicazione solo se l’amministrazione, pur in assenza di un referente normativo, sarà stata autonomamente diligente nel rendere una comunicazione quanto più completa possibile e, parimenti, se sarà stata altrettanto diligente nel pubblicare i propri atti sul profilo committente, così come disposto dall’art. 29.

    In tutti gli altri casi, che, ovviamente, come accade nel nostro sistema sono e saranno la norma, il termine sarà dilazionato di al massimo 45 giorni, senza che tuttavia ciò sia chiaramente evincibile dalla disposizione legislativa.

    Il termine dilazionato di 45 giorni, nell’interpretazione in commento, sembrerebbe poter essere concesso agli operatori economici solo nel caso in cui questi si attivino tempestivamente per accedere agli atti[37].

    Non è chiaro, però fino a quando possa considerarsi tempestiva l’istanza d’accesso né sotto quale forma debba essere presentata.

    Non vi è norma alcuna che preveda il termine entro il quale gli interessati debbano richiedere di accedere alla documentazione di gara come, invece, era previsto nella vigenza dell’art. 79 e risulta poco chiara anche la statuizione della Plenaria sul punto, la quale sembrerebbe rinviare al termine di 15 giorni di cui all’art. 76, comma 2[38]. Tale termine, tuttavia, nella chiara lettera della disposizione è imposto, più che all’operatore economico, all’amministrazione per fornire le (sommarie) informazioni ivi elencate.

    In ordine, poi, alla effettiva praticabilità della soluzione accolta dalla Plenaria, secondo la quale a seguito della mancata previsione di un accesso informale agli atti di gara si debbano applicare le disposizioni generali sull’accesso informale di cui all’art. 5 del d.P.R. n. 184 del 2006[39], si deve considerare che tale disposizione esclude la possibilità dell’accesso informale nel caso in cui siano individuabili dei controinteressati, prevedendo che l’amministrazione, in questi casi, inviti l’interessato a presentare una richiesta formale di accesso.

    Risulta evidente, quindi, come tale disposizione non possa applicarsi in pressoché nessun caso in subiecta materia, poiché la documentazione idonea a consentire la valutazione circa la proponibilità o meno del ricorso – e a cui fa riferimento la stessa Plenaria, poiché non soggetta a pubblicazione ai sensi dell’art. 29 – è generalmente rappresentata dalla documentazione di gara o dalle giustificazioni rese in sede di verifica di anomalia dell’offerta dall’aggiudicatario e, eventualmente, da altri concorrenti.

    Le stazioni appaltanti, qualora venga loro richiesto di accedere in maniera informale, non potranno fare altro che invitare gli interessati a presentare una istanza di accesso formale ai sensi dell’art. 53 del codice per il quale, tuttavia, l’amministrazione ha, quale termine di riscontro, quello generale di 30 giorni di cui all’art. 25 della l. 241/1990.

    In tali casi, potrebbe non essere applicabile il termine dilazionato di ulteriori 15 giorni, così come vorrebbe la giurisprudenza creativa del Consiglio di Stato. Questo poiché, salvo che gli operatori economici non facciano immediatamente accesso agli atti, non ci sarebbero da un punto di vista tecnico i 15 giorni dalla comunicazione di aggiudicazione.

    Difatti, la stazione appaltante, una volta ricevuta l’istanza di accesso – che dovrà necessariamente essere formale – dovrà, ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. n. 184 del 2006, comunicare ai controinteressati la presentazione di tale richiesta. I controinteressati avranno, a loro volta, 10 giorni per opporsi all’accesso motivando e comprovando che le informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima costituiscono segreti tecnici o commerciali.

    Solo in caso di mancata opposizione, quindi trascorsi già almeno 10 giorni dalla istanza di accesso, l’amministrazione potrà ostendere la documentazione richiesta.

    Viceversa, l’amministrazione dovrà valutare, facendo così trascorrere ulteriore tempo, l’effettiva sussistenza dei rilevati segreti tecnici o commerciali e, quindi, o negare l’accesso ovvero consentirlo solo con riferimento ai documenti nei quali non sono contenuti tali segreti tecnici o commerciali.

    In questo modo, gli operatori economici vengono, di fatto, onerati a richiedere immediatamente l’accesso agli atti per poter realmente fruire della dilazione temporale riconosciuta dalla giurisprudenza.

    Dal momento, poi, che la giurisprudenza amministrativa sembra aver collegato la decorrenza del termine di trenta giorni dal momento di effettivo accesso agli atti al comportamento tenuto dall’amministrazione, nei casi in cui l’accesso avvenga dopo più di 15 giorni dalla comunicazione di aggiudicazione (e quindi non si possa applicare il termine dilazionato), per individuare il momento di decorrenza del termine dovrà valutarsi caso per caso se il comportamento tenuto dall’amministrazione sia da considerarsi dilatorio o diligente, con tutto ciò che ne comporta in termini di certezza.

    In conseguenza di ciò, qualora non siano riscontrabili vizi della procedura né dalla comunicazione di aggiudicazione né dagli atti pubblicati nel profilo committente ai sensi dell’art. 29, gli operatori economici, nell’incertezza di quale possa essere l’effettivo termine di impugnazione, potrebbero sentirsi costretti, al fine di non decadere dalla possibilità di impugnare gli atti di gara, a dover esperire, ancora una volta, un ricorso “al buio”.

    La Plenaria rispetto a tale questione è stata abbastanza tranchant nell’escludere la necessaria previa proposizione di un ricorso “al buio”.

    Tuttavia, anche in relazione a tale aspetto ha affermato in maniera non chiara che rileverebbe il «tempo necessario per accedere alla documentazione presentata dall’aggiudicataria, ai sensi dell’art. 76, comma 2, del ‘secondo codice’», il quale, tuttavia, come detto sopra, stando al tenore letterale di tale disposizione, non sarebbe compatibile con la dilazione massima di 15 giorni garantita giurisprudenzialmente.

    Ulteriore profilo di incompatibilità con il diritto europeo è, a parere di chi scrive[40], rappresentato dal mancato coordinamento del termine creato giurisprudenzialmente con quello di stand still sostanziale.

    La direttiva 2007/66, come ricordato al paragrafo 2, ha collegato in maniera pressoché inscindibile il termine per presentare ricorso al termine dilatorio tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto (c.d. stand still).

    E questo era proprio il perno della riforma del 2007[41].

    Il quadro attuale, delineato dal mancato intervento legislativo e dalla giurisprudenza creativa del Consiglio di Stato, ha comportato e comporta un disallineamento tra il periodo di stand still, individuato dall’art. 32, comma 9 del nuovo codice appalti in 35 giorni dalla comunicazione di aggiudicazione e l’incerto termine di impugnazione che, come abbiamo visto, può arrivare anche a 45 giorni (se non oltre in caso di comportamento dilatorio dell’amministrazione).

    Questo comporta che trascorsi 35 giorni l’amministrazione, salvo che non provveda prima in via d’urgenza, ben possa sottoscrivere con l’aggiudicatario il contratto, con tutto ciò che ne potrebbe derivare in termini di effettività della tutela.

    Alla luce delle considerazioni di cui sopra non si può, pertanto, dire che la sentenza della Corte Costituzionale in commento abbia definitivamente chiuso la questione.

    Solo un concreto intervento legislativo potrebbe sanare le incongruenze che si sono venute a creare nel nostro sistema[42].

    L’intervento, tuttavia, non dovrebbe riguardare il solo articolo 120 c.p.a., ma dovrebbe andare a dare maggiore consistenza anche alle norme di carattere sostanziale.

    In particolare, sarebbe auspicabile, per favorire la celerità e garantire la stabilità del rapporto nel più breve tempo possibile, l’individuazione puntuale della forma e degli elementi essenziali della comunicazione di aggiudicazione.

    Inoltre, a fronte della digitalizzazione delle gare, per tutelare l’interesse degli eventuali concorrenti pretermessi di esaminare la documentazione della aggiudicataria e, quindi, consentigli di assicurarsi una rapida piena conoscenza degli eventuali vizi della gara e, allo stesso tempo, per tutelare l’interesse alla riservatezza dell’aggiudicatario, dovrebbe essere previsto che la documentazione dell’aggiudicataria, eventualmente epurata degli elementi oggetto di obbligo di segretezza, sia obbligatoriamente pubblicata in una area riservata, accedibile tramite apposite credenziali indicate nella comunicazione di aggiudicazione[43].

    Nel caso, poi, in cui la documentazione per qualsiasi motivo non sia disponibile in formato elettronico, dovrebbe essere reintrodotto un sistema di accesso informale così come previsto nell’art. 79 del primo codice dei contratti. Dovrebbe, quindi, in tali casi, essere indicata già nella comunicazione di aggiudicazione la data entro la quale è possibile accedere tramite visione ed estrazione di copia alla documentazione di gara e far quindi decorrere il termine di impugnazione da tale momento.

    Il tutto, infine, dovrebbe essere coordinato con il termine di stand still.

    Si dubita, tuttavia, che a questo punto, dopo l’intervenuto avvallo della Consulta, il legislatore intervenga sua sponte per sanare le incongruenze del sistema.

    Probabilmente ormai solo l’avvio di una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea potrà sollecitare il nostro legislatore insipiente ed inerte.

     ****

    [1] Tar Lecce, sez. III, ordinanza 2 marzo 2020, n. 297.

    [2] L’ultima pronuncia della Corte Costituzionale sui termini di impugnazione in materia di contratti pubblici aveva avuto ad oggetto il rito super-accelerato di cui all’art. 120, comma 2-bis c.p.a., sentenza 18 dicembre 2019, n. 271.

    [3] In letteratura sul tema si vedano, tra gli altri, E. Cannada Bartoli, Decorrenza dei termini e possibilità di conoscenza dei vizi, in Foro amm., 1961, I, 1085; S. Baccarini, La comunicazione del provvedimento amministrativo tra prassi e nuove garanzie, in Dir. proc. amm., 1994, 1, 8; V. Caianiello, voce Termini, III) Diritto processuale amministrativo, in Enc. giur., vol. XXXV, Roma, 1997, 1; R. Politi, Decorrenza del termine per l'impugnazione del provvedimento in sede giurisdizionale e conoscenza della motivazione dell'atto: spunti di riflessione, in TAR, 1999, 2, 133; R. Damonte, Conoscenza del provvedimento amministrativo e termini di proposizione del ricorso al giudice amministrativo, in Riv. giur. edil., 2000, 1, 1135; F. Ceglio, La piena conoscenza e la decorrenza del termine per la proposizione del ricorso, in Giorn. dir. amm., 2003, 5, 495; A. Reggio D'aci, La piena conoscenza del provvedimento amministrativo e la decorrenza del termine per la sua impugnazione, in Urb. e app., 2007, 11, 1367; L. Ferrara, Motivazione e impugnabilità degli atti amministrativi, in Foro amm. TAR, fasc.4, 2008, pag. 1193; D. De Pretis e F. Cortese, Stabilità e contendibilità del provvedimento amministrativo: percorsi di diritto comparato, in G. Falcon (a cura di), Forme e strumenti della tutela nei confronti dei provvedimenti amministrativi nel diritto italiano, comunitario e comparato, Padova, 2010, 331 ss.; G. Falcon e D. De Pretis (a cura di), Stabilità e contendibilità del provvedimento amministrativo nella prospettiva comparata, Padova, 2011, A. Marra, Il termine di decadenza nel processo amministrativo, Milano, 2012; F. Saitta, Tutela risarcitoria degli interessi legittimi e termine di decadenza, in Dir. proc. amm., 2017, 1191 ss., 1219 ss.; M. Ramajoli, Riflessioni critiche sulla ragionevolezza della disciplina dei termini per ricorrere nel processo amministrativo, in Federalismi.it, 17/2018 (anche in F. Francario, M. A. Sandulli (a cura di), Principio di ragionevolezza delle decisioni giurisdizionali e diritto alla sicurezza giuridica, Napoli, 2018, 183 ss.); S. Martino, Termine di decadenza e la sua decorrenza: regole, applicazione, prospettive, in Principio di ragionevolezza, ult. cit. 223 ss..

    [4] Sotto la vigenza del d.lgs. 163/2006, ex multis, si vedano ordinanza Cons. Stato, sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 790 di rimessione della questione relativa alla decorrenza del termine di cui all’art. 120, comma 5, c.p.a indipendentemente dalla piena conoscenza dei plichi contenenti le offerte; Cons. Stato, Ad. plen., 20 maggio 2013, n. 14, la quale tuttavia non decideva la questione relativa ai termini in attesa della pronuncia della CGUE su analoga questione sollevata dal Tar Bari, con ordinanza 23 marzo 2013 n. 427; CGUE, Idrodinamica Spurgo, 8 maggio 2014 nella causa C-161/13. Con riferimento all’abrogato rito super accelerato di cui all’art. 120, comma 2-bis, c.p.a., si vedano a titolo esemplificativo l’ordinanza di remissione alla CGUE del Tar Piemonte, Sez. I, 17 gennaio 2018, n. 88 e la conseguente sentenza Cooperativa Animazione Valdocco, CGUE, Sez. IV, 14 febbraio 2019, nella causa C-54/18; nonché le ordinanze di rinvio della questione di legittimità costituzionale del Tar Bari, Sez. III, 20 giugno 2018 n. 903 e 20 luglio 2018, n. 1097 e la conseguente sentenza della Corte Costituzionale, con sentenza 18 dicembre 2019, n. 271.

    [5] Si vedano tra i più recenti M. Lipari, La decorrenza del termine di ricorso nel rito superspeciale di cui all’art. 120 co. 2-bis e 6-bis, del CPA: pubblicazione e comunicazione formale del provvedimento motivato, disponibilità effettiva degli atti di gara, irrilevanza della “piena conoscenza”; l’ammissione conseguente alla verifica dei requisiti, in www.giustizia-amministrativa.it; M.A. Sandulli, L'Adunanza Plenaria n. 12/2020 esclude i “ricorsi al buio” in materia di contratti pubblici, mentre il legislatore amplia le zone grigie della tutela, in questa Rivista, luglio 2020; S. Rosati, La disciplina nazionale sulla decorrenza del termine di impugnazione dell'aggiudicazione, tra (in)certezze legislative e orientamenti giurisprudenziali, in Ildirittoamministrativo.it, luglio 2020; M. Santini, L'Adunanza plenaria sulla decorrenza del termine per l'impugnazione degli atti di gara, in Urb. app., 2020, 509 ss.; F. Gaspari, Decorrenza del termine per ricorrere, piena conoscenza dell'atto lesivo e giusto processo amministrativo, in Dir. e proc. amm., 2020, 389 ss.; E. Lubrano, La decorrenza del termine nel processo-appalti (dalla conoscenza della motivazione e degli atti endoprocedimentali) dopo la Adunanza plenaria n. 12/2020: un principio da estendere a tutti i settori del processo amministrativo, in Federalismi.it, 27, 2020; M. Ferrante, Il dies a quo per l'impugnazione degli atti di gara, in Giorn. dir. amm., 2021, 90 ss.; L. Bertonazzi, La decorrenza del termine per ricorrere contro l’aggiudicazione, in Dir. proc. amm., 2021, 609 ss. Nonché, proprio con riferimento alla sentenza in commento, M.A. Sandulli, Per la Corte costituzionale non c’è incertezza sui termini per ricorrere nel rito appalti: la sentenza n. 204 del 2021 e il creazionismo normativo dell’Adunanza Plenaria, in Federalismi.it, 26, 2021.

    [6] Non essendo questa la sede per soffermarsi sulla dicotomia tra giurisdizione soggettiva e giurisdizione oggettiva, sia consentito rilevare come vi sia un dibattito ancora aperto non solo a livello dottrinale, ma anche tra Corte di Giustizia e Consiglio di Stato che riguarda in maniera particolare la materia dei contratti pubblici. Si richiama a tal proposito l’ampia letteratura sul tema, con particolare riferimento alla querelle tra Corte di Giustizia e Consiglio di Stato sui ricorsi incidentali c.d. escludenti e sull’interesse strumentale. A. Romano Tassone, Sui rapporti tra ordinamento europeo ed ordinamenti statali in materia di tutela processuale, in Dir. amm., 2012, 491; B. Marchetti, Il giudice amministrativo tra tutela soggettiva e oggettiva: riflessioni di diritto comparato, in Dir. proc. amm., 2014, 99 ss. A. Bartolini, L’Adunanza plenaria ritorna sul ricorso incidentale escludente - una decisione poco europea, in Giornale Dir. Amm., 2014, 10, 932; L. Ferrara, L’Adunanza plenaria ritorna sul ricorso incidentale escludente - un errore di fondo?, ibidem, 918; E. Follieri, Individuazione negli interessi protetti dell'ordine di trattazione dei motivi reciprocamente escludenti, in Giur. it., 2014, 2255; Id., Due passi avanti e uno indietro nell'affermazione della giurisdizione soggettiva, in Giur. it., 2015, 2192; V. Cerulli Irelli, Legittimazione “soggettiva” e legittimazione “oggettiva” ad agire nel processo amministrativo, in Dir. Proc. Amm., 2014, 341; M. Ramajoli, Legittimazione a ricorrere e giurisdizione oggettiva, in V. Cerulli Irelli (a cura di), La giustizia amministrativa in Italia e in Germania: contributi per un confronto, Torino, 2017; M. Silvestri, Le condizioni dell'azione nel rito in materia di contratti pubblici, in Dir. Proc. Amm., 2017, 937; F. Cortese, Amministrazione e giurisdizione: poteri diversi o poteri concorrenti?, in P.A. Persona e Amministrazione, 2/2018, 99 ss G. Tropea, Il ricorso incidentale escludente: illusioni ottiche, in Dir. Proc. Amm., 4, 2019,1083; Id., Il ricorso incidentale nel processo amministrativo, Napoli, 2007.

    [7] Il considerando n. 3 direttiva 89/665/CEE afferma che «l'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza comunitaria rende necessario un aumento notevole delle garanzie di trasparenza e di non discriminazione e che occorre, affinché essa sia seguita da effetti concreti, che esistano mezzi di ricorso efficaci e rapidi in caso di violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici o delle norme nazionali che recepiscano tale diritto»

    [8] Il testo tra virgolette è relativo al considerando n. 4 della direttiva 2007/66/CE.

    [9] Tra i primi commenti sulla direttiva ricorsi si vedano G. Greco, La direttiva 2007/66/CE: illegittimità comunitaria, sorte del contratto ed effetti collaterali indotti, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 5, 2008, 1029; A. Bartolini, S. Fantini, La nuova direttiva ricorsi, in Urb. e app., 2008, 10, 1093, i quali sottolineano come «il perno della nuova proposta ruota intorno alla cd. clausola stand still, consistente nell'introduzione di un termine sospensivo, operante tra il momento dell'aggiudicazione e quello della stipula del contratto: in altre parole, la possibilità di stipulare il contratto viene congelata per un certo periodo di tempo decorrente dal momento dell'aggiudicazione. In tal modo viene data la possibilità, alle imprese che si ritengono lese nelle proprie situazioni soggettive, di avviare utilmente una procedura di ricorso in una fase in cui le violazioni possono essere ancora corrette. Ad assicurare detto enforcement viene introdotto un articolato sistema sanzionatorio (privazione degli effetti del contratto e sanzioni alternative), da irrogare nel caso in cui le amministrazioni e gli enti aggiudicatori procedano alla stipula del contratto nel periodo di stand still oppure all'affidamento diretto al di fuori delle ipotesi consentite dal diritto europeo dei contratti».

    [10] Previsto dall’art. 2-bis della direttiva 89/665/CE, così come modificata dalla direttiva 2007/66/CE. A tal proposito, pur se la traduzione italiana parla di «termine sospensivo», sarebbe stato preferibile parlare piuttosto di termine dilatorio. Ad ogni modo, la direttiva del 2007 individua due tipologie di stand still, per la classificazione delle quali in termini di «sospensione sostanziale» e «sospensione processuale», cfr. A. Bartolini - S. Fantini, La nuova direttiva ricorsi, cit. In questa sede prenderemo in considerazione solo quella «sostanziale».

    [11] cfr. considerando n. 6.

    [12] Il riferimento è in particolare, tra le altre, alla sentenza Uniplex CGUE, sez. III, 28. 1. 2010 - causa C-406/08 nella quale è stato chiaramente statuito che: «il termine per proporre un ricorso diretto a far accertare la violazione della normativa in materia di aggiudicazione di appalti pubblici ovvero ad ottenere un risarcimento dei danni per la violazione di detta normativa decorra dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della violazione stessa». La CGUE ha affrontato la questione anche con riferimento al diritto italiano nel caso Idrodinamica Spurgo, sez. V, 8 maggio 2014, C-161/13.

    [13] Sul tema del recepimento della direttiva 2007/66 si vedano A. Bartolini, S. Fantini e F. Figorilli, Il decreto legislativo di recepimento della direttiva ricorsi, in Urb. app., 6, 2010, 638; D. Galli, Il recepimento della direttiva ricorsi tra nuovi e vecchi problemi, in Giorn. dir. amm., 9, 2010, 893; M. Lipari, Il recepimento della “direttiva ricorsi”: il nuovo processo super-accelerato in materia di appalti e l’inefficacia “flessibile” del contratto, in Federalismi.it, 7, 2010; R. De Nictolis, Il recepimento della direttiva ricorsi nel codice appalti e nel nuovo codice del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it; F. D’Angelo, Il recepimento della direttiva ricorsi 2007/66/ce in Francia ed in Italia, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2, 2012, 349.

    [14] Il comma 5-quater statuiva che: «Fermi i divieti e differimenti dell'accesso previsti dall'articolo 13, l'accesso agli atti del procedimento in cui sono adottati i provvedimenti oggetto di comunicazione ai sensi del presente articolo è consentito entro dieci giorni dall'invio della comunicazione dei provvedimenti medesimi mediante visione ed estrazione di copia. Non occorre istanza scritta di accesso e provvedimento di ammissione, salvi i provvedimenti di esclusione o differimento dell'accesso adottati ai sensi dell'articolo 13. Le comunicazioni di cui al comma 5 indicano se ci sono atti per i quali l'accesso è vietato o differito, e indicano l'ufficio presso cui l'accesso può essere esercitato, e i relativi orari, garantendo che l'accesso sia consentito durante tutto l'orario in cui l'ufficio è aperto al pubblico o il relativo personale presta servizio».

    [15] In particolare, le comunicazioni che la stazione appaltante era tenuta ad effettuare ai sensi dell’art. 79, comma 5, del d.lgs. 163/2006 erano: l’aggiudicazione definitiva, i provvedimenti di esclusione, la decisione di non aggiudicare l’appalto o concludere un accordo quadro, l’avvenuta stipulazione del contratto con l’aggiudicatario.

    [16] A tal proposito F. Figorilli, Tratti peculiari del rito speciale in materia di appalti, in B. Sassani - R. Villata (a cura di), Il Codice del processo amministrativo. Dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, Torino, 2012, 1027 afferma che «all’esito dell’entrata in vigore del c. proc. amm., dette innovazioni hanno trovato una loro collocazione più puntuale nell’ambito di un quadro sistematico di regole che, nel nostro, caso danno vita ad un regime doppiamente derogatorio rispetto a quelle previste, da un lato, per il rito ordinario e, dall’altro lato, dal rito abbreviato disegnato, come detto, dall’art. 119 c. proc. amm».

    [17] Si vedano a titolo esemplificativo le perplessità espresse in particolare da M. Ramajoli, Il processo in materia di pubblici appalti da rito speciale a giudizio speciale, in G. Greco, M. Antonioli (a cura di), Il sistema della giustizia amministrativa negli appalti pubblici in Europa, Milano, 2010, 127, la quale evidenziava come il legislatore si limitasse «a richiedere la mera conoscenza degli atti e non invece la piena conoscenza ai fini della decorrenza dei termini risulta in contrasto con la scelta garantista»

    [18] Si veda la giurisprudenza citata nella prima parte della nota 4.

    [19] Si vedano ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 28 agosto 2014, n. 4432; Sez. V, 5 febbraio 2018, n. 718; Sez. III, 3 luglio 2017, n. 3253; Sez. V, 27 aprile 2017, n. 1953; Sez. V, 23 febbraio 2017, n. 851; Sez. V, 13 febbraio 2017, n. 592; Sez. V, 10 febbraio 2015, n. 864.

    [20] Si vedano ex multis, Cons. Stato, sez. III, 22 luglio 2016, n. 3308; sez. III, 3 marzo 2016, n. 1143; sez. V, 7 settembre 2015, n. 4144; sez. V, 6 maggio 2015, n. 2274; sez. III, 7 gennaio 2015, n. 25; sez. V, 13 marzo 2014, n. 1250.

    [21] Oltre alle questioni indicate in questa sede, il d.lgs. 50/2016 aveva introdotto al comma 2-bis il rito c.d. super accelerato (poi abrogato dal decreto-legge n. 32/2019, convertito in legge n. 55/2019), prevedendo in capo ai partecipanti alle gare per l’affidamento di contratti pubblici l’onere di immediata impugnazione non solo dei provvedimenti di esclusione ma anche di quelli di ammissione degli altri concorrenti, precludendo, poi, in sede di impugnazione dell’aggiudicazione di proporre censure rivolte alla carenza dei requisiti di partecipazione degli altri concorrenti.

    [22] La procedura di accesso informale prevista all’ prevista dall’art. 79, comma 5-quater del primo codice dei contratti non è, difatti, oggi riscontrabile né all’art. 76, omologo dell’art. 79 del primo codice, né all’art. 29, riguardante la trasparenza delle gare in generale, né all’art. 53, sull’accesso.

    [23] Il rapporto tra certezza del diritto e crisi del diritto legislativo è affrontato efficacemente da F. Francario, Il diritto alla sicurezza giuridica. Note in tema di certezza giuridica e giusto processo, in Id. (a cura di), Garanzie degli interessi protetti e della legalità dell’azione amministrativa, Napoli, 2019, 3 ss; il quale a pag. 19 osserva come «nell’età contemporanea, caratterizzata dal fenomeno della globalizzazione e dalla profonda crisi della politica, gli spazi lasciati liberi dal legislatore tendono ad essere quasi naturalmente occupati dalla giurisdizione. L’incapacità, l’impossibilità o la rinuncia del legislatore a prevenire la soluzione dei conflitti tra interessi fa sì che la definizione dei medesimi sia sempre più spesso demandata ad un giudice che tende così a diventare nomoteta. […] E’ quanto sta avvenendo anche nel nostro Ordinamento, che, al fine di garantire il rispetto del principio della certezza del diritto, tende a rendere vincolante l’efficacia del precedente giudiziale attraverso una ibridazione della regola dello stare decisis con quella della nomofilachia. Il problema che rimane tuttavia aperto è che, in mancanza di un insieme di regole previamente ordinate in un sistema logicamente coerente, l’intelligenza del giudice rimane incontrollabile ed esposta all’arbitrio (e diventa così solo fonte di ulteriore incertezza) se rimane libera di creare essa stessa le regole che è tenuta ad applicare al caso concreto».

    [24] Cons. Stato, Sez. V, 10 giugno 2019, n. 3879; Sez. V, 27 novembre 2018, n. 6725; Sez. V, 20 settembre 2019, n. 6251; Sez. V, 2 settembre 2019, n. 6064; Sez. V, 13 agosto 2019, n. 5717, Sez. III, 6 marzo 2019, n. 1540; Sez. III, 6 marzo 2019, n. 1540.

    [25] Cons. Stato, Sez. V, 28 ottobre 2019, n. 7384; Sez. IV, 23 febbraio 2015, n. 856; Sez. V, 20 gennaio 2015, n. 143.

    [26] Cons. Stato, Sez. V, 2 aprile 2020, ord. n. 2215, la quale, peraltro, non ha dato atto della pendenza della questione costituzionale sulla medesime norma oggetto di remissione alla Plenaria.

    [27] cfr. l’ultimo periodo del punto 4.1.

    [28] Il riferimento è ai punti 24 e 25 dell’Adunanza Plenaria n. 12/2020.

    [29] Sulla “creatività” della Plenaria si veda in particolare L. Bertonazzi, cit., il quale afferma che «l’Adunanza plenaria ha vistosamente travalicato il confine tra interpretazione e produzione del diritto, essendo pervenuta a fissare un precetto generale e astratto che, nel vigente assetto costituzionale, solo il legislatore ha titolo per porre, se del caso a seguito di una sentenza additiva di principio della Corte costituzionale». Di tale avviso è anche M. A. Sandulli, Per la Corte costituzionale non c’è incertezza sui termini, cit. la quale affronta in maniera assolutamente critica il creazionismo giurisprudenziale riproposto anche dalle recentissime Adunanze plenarie, nn. 17 e 18/2021 in tema di concessioni balneari.

    [30] Nel secondo periodo del punto 27 della motivazione in diritto della Adunanza plenaria n.12/2020, difatti, si afferma che l’individuazione della «data oggettivamente riscontrabile» continua a dipendere «dal rispetto delle disposizioni sulle formalità inerenti alla ‘informazione’ e alla ‘pubblicazione’ degli atti, nonché dalle iniziative dell’impresa che effettui l’accesso informale con una ‘richiesta scritta’, per la quale sussiste il termine di quindici giorni previsto dall’art. 76, comma 2, del ‘secondo codice’, applicabile per identità di ratio anche all’accesso informale». Dalla formulazione non è chiaro se il termine di 15 giorni sia da riferire alla richiesta scritta dell’operatore economico, considerando che nell’art. 79 del primo codice dei contratti il termine di 10 giorni era imposto a quest’ultimo. Ovvero se debba riferirsi al termine per il rilascio della documentazione da parte della stazione appaltante, considerando che l’art. 76, comma 2, impone tale termine all’amministrazione per fornire la motivazione della sua scelta.

    [31] cfr. punto 4.2.

    [32] A questo proposito si condividono pienamente le considerazioni di M.A. Sandulli, op. ult. cit., secondo la quale «la Corte avrebbe dovuto forse farsi carico di verificare se tale strada era (anche) consentita dalla legge, perché, in caso contrario, nessuna “proposta interpretativa” è davvero tale e può quindi dirsi “costituzionalmente conforme” e, nel caso in cui si riferisce alle regole processuali, lede anche il diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost.».

    [33] L’art. 58 dispone testualmente che: «Quando dall'esame degli affari discussi dal Consiglio risulti che la legislazione vigente è in qualche parte oscura, imperfetta od incompleta, il Consiglio ne fa rapporto al Capo del Governo».

    [34] cfr. punto 21 dell’Adunanza Plenaria n. 12/2020.

    [35] Molteplici sono infatti gli ostacoli che da diversi anni il legislatore frappone per deflazionare di fatto il contenzioso in materia di appalti pubblici. A tal proposito si veda l’elencazione esemplificativa che offre in questa rivista M.A. Sandulli, L'Adunanza Plenaria n. 12/2020 esclude i “ricorsi al buio” in materia di contratti pubblici, mentre il legislatore amplia le zone grigie della tutela, cit.

    [36] Tale disposizione, a seguito delle modifiche del 2010 e in applicazione della diretta 2007/66, al comma 5-bis prevedeva che la comunicazione di aggiudicazione fosse «accompagnata dal provvedimento e dalla relativa motivazione contenente almeno gli elementi di cui al comma 2, lettera c), […] l’onere può essere assolto nei casi di cui al comma 5, lettere a), b) e b-bis) mediante l’invio dei verbali di gara e, nel caso di cui al comma 5, lettera b-ter), mediante richiamo alla motivazione relativa al provvedimento di aggiudicazione definitiva, se già inviata».

    [37] Nella parte finale del punto 30 della motivazione in diritto dell’Adunanza Plenaria si può leggere che i principi dalla stessa enunciati sarebbero conformi con le esigenze di celerità dei procedimenti di aggiudicazione «fermi restando gli obblighi di diligenza ricadenti sulle imprese, di consultare il ‘profilo del committente’ ai sensi dell’art. 29, comma 1, ultima parte, dello stesso codice e di attivarsi per l’accesso informale, ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. n. 184 del 2006, da considerare quale ‘normativa di chiusura’ anche quando si tratti di documenti per i quali l’art. 29 citato non prevede la pubblicazione (offerte dei concorrenti, giustificazioni delle offerte)».

    [38] Vedi a questo proposito quanto già detto a pagina 10 e alla nota 30.

    [39] L’articolo 5 del Regolamento sull’accesso ai documenti amministrativi dispone che: «Qualora in base alla natura del documento richiesto non risulti l'esistenza di controinteressati il diritto di accesso può essere esercitato in via informale mediante richiesta, anche verbale, all'ufficio dell'amministrazione competente a formare l'atto conclusivo del procedimento o a detenerlo stabilmente./2. Il richiedente deve indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta ovvero gli elementi che ne consentano l'individuazione, specificare e, ove occorra, comprovare l'interesse connesso all'oggetto della richiesta, dimostrare la propria identità e, ove occorra, i propri poteri di rappresentanza del soggetto interessato. /3. La richiesta, esaminata immediatamente e senza formalità, è accolta mediante indicazione della pubblicazione contenente le notizie, esibizione del documento, estrazione di copie, ovvero altra modalità idonea./4. La richiesta, ove provenga da una pubblica amministrazione, è presentata dal titolare dell'ufficio interessato o dal responsabile del procedimento amministrativo ed è trattata ai sensi dell'articolo 22, comma 5, della legge./5. La richiesta di accesso può essere presentata anche per il tramite degli Uffici relazioni con il pubblico./6. La pubblica amministrazione, qualora in base al contenuto del documento richiesto riscontri l'esistenza di controinteressati, invita l'interessato a presentare richiesta formale di accesso».

    [40] E come evidenziato anche da L. Bertonazzi, cit.

    [41] Si rimanda sul punto alla nota 8.

    [42] Si rammenta, infatti, che «deve infatti essere mantenuta salda la distinzione tra attuazione dei valori costituzionali, riservata al legislatore, che è l’unico titolare del potere di bilanciamento degli interessi della società, in nome dell’investitura popolare, e l’applicazione dei valori costituzionali, affidata invece ai giudici» M. Ramajoli, cit., 3.

    [43] In maniera simile alla previsione dell’art. 29 nella vigenza del rito superaccelerato ovvero a quanto disposto in relazione alle esclusioni ed ammissioni da comma 2-bis dell’art. 76.

     

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